Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020 (parte seconda)

INDICE

Sigle e abbreviazioni

Ringraziamenti

Introduzione


Parte Prima

Breve biografia dei fondatori 1772-1858

Box: la situazione veneziana

1. I fratelli Anton’Angelo e Marcantonio Cavanis

1.1 Infanzia e adolescenza

Box: un ritratto infantile e uno giovanile di P. Anton’Angelo Cavanis

1.2 Inizio produttivo

1.3 Dalla prima comunità all’erezione canonica

1.4 I fondatori e la scuola nel loro tempo

1.5 I fondatori nella formazione dei seminaristi

1.6 Terza età, lotte e preparazione della successione

1.7 La vecchiaia e le malattie. Morte e fama di santità

1.8 La causa di beatificazione

1.9 Sull’origine dei Cavanis a Cornalba (Bergamo) e sul loro stemma

1.10 Il nome dei Cavanis nei toponimi stradali del mondo

2. Del nome della Congregazione delle Scuole di Carità

2.1 Del significato del nome “Scuole”

2.2 Del significato del nome “Carità”

3. Dell’abito della Congregazione delle Scuole di Carità

4. La situazione numerica della Congregazione nel XIX secolo

Tabella: situazione numerica e lista dei membri dell’Istituto Cavanis all’inizio della comunità della “casetta” (27 agosto 1820)

Tabella: situazione numerica e lista dei membri dell’Istituto Cavanis l’8  dicembre 1830

4.1 La situazione numerica della Congregazione nel 1838

Tabella: religiosi e seminaristi Cavanis alla fine del 1835, cinque mesi dopo l’erezione canonica dell’Istituto Cavanis

4.2 Lista dei religiosi e seminaristi Cavanis il 10 settembre 1841

4.2.1 Sacerdoti nella casa di Venezia

4.2.2 Sacerdoti nella casa di Lendinara

4.2.3 L’Istituto femminile nel 1841

Tabella: religiosi e seminaristi Cavanis il 12 novembre 1856

Tabella: religiosi e seminaristi Cavanis il 1° novembre 1864

4.3 Lista dei religiosi sacerdoti Cavanis nel febbraio 1868

4.3.1 Casa di Venezia

4.3.2 Casa di Lendinara

4.3.3 Casa di Possagno

4.4 Lista dei religiosi sacerdoti Cavanis il 12 marzo 1877

4.4.1 Casa di Venezia

4.4.2 Casa di Lendinara

4.4.3 Casa di Possagno

4.5 Numero dei religiosi preti il 16 aprile 1886

4.6 Lista dei patriarchi di Venezia ai tempi della Congregazione

4.7 Lista dei vescovi della diocesi di Adria ai tempi della casa Cavanis di Lendinara

4.8 Lista dei vescovi della diocesi di Treviso nei tempi della Congregazione Cavanis

4.9 Lista degli arcivescovi dell’arcidiocesi di Lucca nei tempi della Congregazione Cavanis

4.10 Lista dei papi nei tempi della Congregazione Cavanis

5. La casa di Venezia 1820-2020

5.1 La nuova casa di residenza della comunità di Venezia

5.2 L’ala “nuova” delle scuole di Venezia

Box: a proposito di caléte

5.3 La storia della casa di Venezia, dopo la prepositura di P. Sebastiano Casara

Tabella: costruzioni, acquisti e affitti della casa di Venezia

Tabella: mappali e numeri anagrafici della casa di Venezia

6. La Chiesa di s. Agnese (1866-2020)

6.1 Origine e vicende

6.2 Scuole e confraternite relative alla parrocchia di s. Agnese

6.3 Gli altari antichi della chiesa di s. Agnese

6.3.1 Presbiterio

6.3.2 Navata di destra

6.3.3 Navata di sinistra

6.3.4 Sagrestia

Box: Il fonte battesimale di S. Agnese, ora a S. Maria del Rosario

6.4 Il rifacimento della chiesa

6.5 Si pensa al ripristino

6.6 La Soprintendenza all’opera

6.7 II risultato

6.8 Il nuovo organo

6.9 Il collaudo dei restauri e del nuovo organo

Box: P. Giuseppe Panizzolo e l’acqua alta

6.10 Nota sulle chiese e cappelle dell’Istituto Cavanis di Venezia

Tabella: cronologia delle chiese e cappelle della casa-madre di Venezia

Tabella: la comunità di Venezia dal 1820 al 2020

7. La casa di Lendinara 1833-1896

Box: gli archivi e il diario della casa di Lendinara

7.1 La casa di Lendinara dal 1833 al 1866

Tabella: comunità di Lendinara dal 1834 al 1866

7.2 La casa di Lendinara dal 1866 al 1896

7.2.1 I Padri Cavanis a Lendinara e Alberto Mario

Tabella: comunità di Lendinara dal 1866 al 1896

Tabella: le case (comunità e scuola) di Lendinara

Tabella: le chiese e cappelle di Lendinara utilizzate dall’Istituto

Tabella: le proprietà immobiliari della comunità di Lendinara

7.3 La passione e la morte della casa di Lendinara nella prospettiva generale italiana

8. Excursus sulle devozioni e sui santi dei Cavanis

8.1 San Giuseppe Calasanzio (1557-1648)

8.2 Maria SS. ma, Madre di Dio

8.3 San Vincenzo de’ Paoli (1581-1660)

8.4 San Gaetano Thiene (1480-1547)

8.5 Sant’Alfonso de’ Liguori (1696-1787)

8.6 San Giuseppe

8.7 Sacra Famiglia

8.8 Sacro Cuore di Gesù

8.9 Santi e altari

8.10 Santi Scolopi e della Famiglia Calasanziana

8.11 Le preghiere e pratiche devote dei Padri Cavanis

8.12. La rete mirabile


Parte Seconda

Seconda fase della vita della Congregazione 1848-1884

Box: il Risorgimento d’Italia

Box: Prima Guerra d’Indipendenza (1848-1849)

Box: la Repubblica di San Marco (22 marzo 1848-24 luglio 1849)

Tabella: lista dei prepositi generali dell’Istituto Cavanis

1. I tempi dei prepositi generali Frigiolini, Casara e Traiber

1.1 P. Vittorio Frigiolini, secondo preposito generale (1852)

1.2 Modalità di elezione/nomina del terzo preposito generale, P. Sebastiano Casara

2. L’epoca di P. Sebastiano Casara, il “secondo fondatore” nella
Congregazione e nel mondo

2.1 La prima serie di mandati di P. Sebastiano Casara (1852-1863)

2.2 La seconda serie di mandati di P. Sebastiano Casara (1866-1884)

Box: la Seconda Guerra d’Indipendenza d’Italia (1859) e l’inizio del Regno d’Italia (1861)

2.3 Il mandato di P. Giovanni Battista Traiber (1863-1866)

Box: la terza Guerra d’Indipedenza d’Italia (1866)

Box: il beato Antonio Rosmini Serbati, prete e filosofo

2.4 Possibilità di fusione tra la Congregazione delle Scuole di Carità e un’altra

3. La casa di Possagno

3.1 La prima fase (1856-1869)

3.1.1 Le trattative (1856-1857)

3.1.2 Vita della comunità di Possagno e del Collegio Canova (1857-1869)

3.2 La seconda fase (1869-1881)

3.3 La terza fase: anni di assenza e di silenzio (1881-1889)

3.4 La quarta fase: tre anni d’incertezze e la riapertura (1889-1892)

3.5 La quinta fase: la casa di Possagno attuale (1892-2019)

3.6 Il Liceo Calasanzio dagli anni Cinquanta ad oggi

3.6.1 Relazione storica sull’edificio

3.6.2 II nuovo Liceo Calasanzio

3.6.3 Evoluzione dei corsi e della popolazione scolastica

Tabella: la comunità di Possagno (1857-2020)

 

Terza fase della storia della Congregazione. Il “dopo Casara” (1885-1900)

Terza fase della storia della Congregazione. Il “dopo Casara” (1885-1900)

1. Padre Domenico Sapori, preposito generale (1885-1887)

2. L’era di papa Leone XIII

3. Padre Giuseppe Da Col, preposito generale (1887-1900)

Tabella: i sacerdoti Cavanis nell’agosto 1891

4. L’era del cardinal Sarto, patriarca di Venezia

Box: il corredo per entrare nella comunità Cavanis nell’Ottocento

5. I principali discepoli e compagni dei fondatori

6. Biografie dei religiosi Cavanis del secolo XIX

6.1 Diacono don Angelo Battesti

6.2 Seminarista Giuseppe Scarella

6.3 Seminarista Bartolomeo Giacomelli

6.4 Chierico Francesco Minozzi

6.5 Fratel Francesco Dall’Agnola

6.6 Seminarista Antonio Spessa

6.7 P. Angelo Minozzi

6.8 Chierico Giovanni Giovannini

6.9 Fratel Domenico Ducati

6.10 Fratel Filippo Sartori

6.11 Fratel Giovanni Avi

6.12 Fratel Pietro Rossi

6.13 P. Pietro Spernich

6.14 P. Matteo Voltolini

6.15 I padri Angelo Cerchieri e Giovanni Battista Toscani e il laico Pietro Zalivani

6.16 P. Giovanni Luigi Paoli

6.17 P. Alessandro Scarella

6.18 Padre Vittorio Frigiolini

6.19 P. Eugenio Leva

6.20 P. Domenico Luigi Piva

6.21 P. Giovanni Francesco Mihator

6.22 P. Giuseppe Rovigo

6.23 Fratel Francesco Luteri

6.24 P. Narciso Emanuele Gretter

6.25 P. Pietro Maderò

6.26 P. Vincenzo Brizzi

6.27 Fratel Luigi Tommaso Armanini

6.28 P. Giuseppe Marchiori

6.29 P. Antonio Fontana

6.30 Fratel Francesco Avi

6.31 P. Tito Fusarini

6.32 P. Nicolò Morelli

6.33 Fratel Giacomo Barbaro (Fratel Giacometto)

6.34 P. Giovanni Maria Spalmach

6.35 P. Giuseppe Bassi

6.36 P. Giovanni Battista Larese

6.37 Fratel Giovanni Cherubin

6.38 P. Andrea Berlese

6.39 P. Francesco Bolech

6.40 P. Giovanni Battista Fanton

7. Biografie di religiosi Cavanis del XX secolo

7.1 P. Giovanni Tomaso Ghezzo

7.2 Fratel Pietro Sighel

7.3 Fratel Clemente Dal Castagné

7.4 Fratel Giovanni Cavaldoro

7.5 P. Enrico Calza

7.6 Seminarista Carlo Trevisan

7.7 Fratel Bartolomeo (Bortolo) Fedel

7.8 Fratel Corrado Salvadori

7.9 P. Agostino Santacattarina

7.10 Novizio Nazzareno De Piante

7.11 P. Carlo Simeoni

7.12 P. Arturo Zanon

7.13 P. Mario Miotello

7.14 P. Michele Marini

7.15 P. Giuseppe Miorelli

7.16 Fratel Giuseppe Vedovato

7.17 Fratel Filippo Fornasier

7.18 P. Giuseppe Borghese (P. Bepi)

7.19 P. Giovanni Tamanini

7.20 P. Luigi D’Andrea e fratel Enrico Cognolato

7.21 P. Luigi D’Andrea

7.22 Fratel Enrico Cognolato

7.23 P. Amedeo Fedel

7.24 Fratel Angelo Furian

7.25 P. Carlo Donati

7.26 P. Cesare Turetta

7.27 P. Agostino Menegoz Fagaro

7.28 Fratel Vincenzo Faliva

7.29 Il Venerabile P. Basilio Martinelli

7.30 P. Francesco Saverio Zanon

7.31 Fratel Italo Guzzon

7.32 P. Michele Busellato

7.33 P. Antonio Eibenstein

7.34 P. Giovanni D’Ambrosi

7.35 P. Augusto Taddei

7.36 P. Alessandro Vianello

7.37 P. Luigi Sighel

7.38 Fratel Olivo Bertelli

7.39 P. Federico Sottopietra

7.40 P. Gioacchino Sighel

7.41 P. Marco Cipolat

7.42 P. Luigi Janeselli

7.43 P. Andrea Galbussera

7.44 P. Valentino Pozzobon

7.45 Fratel Edoardo Bartolamedi

7.46 Fratel Ausonio Bassan

7.47 P. Angelo Trevisan

7.48 P. Ferruccio Vianello

7.49 P. Giosuè Gazzola

7.50 P. Valentino Fedel

7.51 P. Giuseppe Pagnacco

7.52 P. Bruno Marangoni

7.53 Fratel Guerrino Zacchello

7.54 P. Angelo Pillon

7.55 P. (Vescovo) Giovanni Battista Piasentini

7.56 P. Vincenzo Saveri

7.57 P. Pellegrino Bolzonello

7.58 P. Mario Janeselli

7.59 P. Lino Janeselli

7.60 P. Mansueto Janeselli

7.61 P. Luigi Ferrari

7.62 P. Guido Cognolato

7.63 Fratel Giorgio Vanin

7.64 Fratel Sebastiano Barbot

7.65 P. Vittorio Cristelli

7.66 P. Pio Pasqualini

7.67 Fratel Luigi Santin

7.68 P. Giuseppe Cortelezzi

7.69 P. Giuseppe Da Lio

7.70 P. Angelo Sighel

7.71 P. Luigi Candiago

7.72 P. Marcello Quilici

7.73 P. Francesco Rizzardo

7.74 P. Ermenegildo Loris Zanon

7.75 P. Luis Enrique Navarro Durán (P. Lucho)

7.76 P. Giuseppe Fogarollo

7.77 P. Aldo Servini

7.78 P. Riccardo Janeselli

7.79 P. Siro Marchet

7.80 P. Narciso Bastianon

7.81 P. Luigi Toninato

7.82 Fratel Ettore Perale

7.83 Fratello e diacono don Aldo Menghi

7.84 P. Antonio Turetta

7.85 P. Franco Degan

7.86 P. Ugo Del Debbio

7.87 P. Livio Donati

8. Biografie dei padri Cavanis defunti nel secolo XXI

8.1 Fra Luigi Gant

8.2 P. Riccardo Zardinoni

8.3 P. Giulio Avi

8.4 P. Cleimar Pedro Fassini

8.5 P. Danilo Baccin

8.6 Fra Roberto Feller

8.7 P. Giuseppe Simioni

8.8 P. Federico Grigolo

8.9 P. Guerrino Molon

8.10 P. Alessandro Valeriani

8.11 P. Angelo Zaniol

8.12 P. Rito Luigi Cosmo

8.13 P. Attilio Collotto

8.14 P. Aldino Antonio da Rosa

8.15 P. Amedeo Morandi

8.16 P. Diego Beggiao

8.17 P. Fiorino Francesco Basso

8.18 P. Norberto Artemio Rech

8.19 P. Armando Manente

8.20 P. Angelo Guariento

8.21 P. Giuseppe Maretto

8.22 P. Emilio Gianola

8.23 P. Raffaele Pozzobon

8.24 Fratello e diacono don Giusto Larvete

8.25 P. Giovanni De Biasio

8.26 P. Sergio Vio

8.27 P. Enrico Franchin

8.28 P. Giuseppe Colombara

8.29 P. Giovanni Carlo Tittoto

8.30 P. Mario Zendron

8.31 P. Luigi Scuttari

8.32 P. Lino Carlin

8.33 P. Artemio Bandiera

8.34 P. Angelo Moretti

8.35 P. Primo Zoppas

8.36 P. Rocco Tomei

8.37 P. Bruno Lorenzon

8.38 P. Antonio (Tonino) Armini

8.39 P. Natale Sossai

8.40 P. Silvano Mason

8.41 P. Mario Merotto

8.42 P. Marino Scarparo

8.43 P. Nicola Zecchin

Tabella: religiosi Cavanis defunti in ordine alfabetico

Tabella: religiosi Cavanis defunti in ordine di anno di morte

Tabella: religiosi Cavanis defunti (sepolture e cimiteri)

9. Principali amici e collaboratori dei fondatori

9.1 Don Federico Bonlini

9.2 Il beato Luigi Caburlotto (1817-1897)

9.3 Ricordando Mons. Daniele Canal

9.4 Ricordando i fratelli Passi

10. Benefattori e benefattrici dei Cavanis

10.1 Benefattori e benefattrici dei fondatori della prima metà del XIX secolo

10.1.1 Marchesa Santa Maddalena di Canossa (vedi capitolo sull’istituto delle Scuole di Carità femminile)

10.1.2 Sig. Francesco Marchiori (vedi il capitolo sulla casa di Lendinara)

10.1.3 Conte Giacomo Mellerio

10.1.4 Contessa Carolina Durini Trotti

10.1.5 Cav.r Pietro Pesaro, Londra

10.1.6 Canonico Angelo Pedralli di Firenze

10.2 Benefattori e benefattrici dell’Istituto della seconda metà del XIX secolo

10.2.1 Mons. Giovanni Battista Sartori Canova (Vedi capitolo sulla casa di Possagno)

10.2.2 Contessa Loredana Gatterburg-Morosini

10.2.3 Mons. Luigi Bragato di Vienna

10.2.4 Don Giuseppe Ghisellini

10.2.5 Principe Giuseppe Giovanelli e sua madre, la principessa Maria Buri-Giovanelli

11. I capitoli generali dell’Istituto Cavanis del XIX secolo

11.1 I capitoli del XIX secolo più in dettaglio

Tabella: prepositi, vicari, definitori e consiglieri generali (1852-2019)

Tabella: capitoli generali (1855-2019)

 

Parte Terza – Il XX secolo

1. L’inizio del XX secolo

1.1 I tempi del pontificato di papa Pio X nella chiesa e nel mondo

1.1.1 Missioni e colonie

1.2 L’inizio del XX secolo nel mondo

1.3 L’inizio del XX secolo in Europa

1.4 L’inizio del XX secolo in Italia

1.5 Padre Giovanni Chiereghin, preposito generale (1900-1904)

1.6 Padre Vincenzo Rossi, preposito generale (1904-1910)

1.7 Padre Antonio dalla Venezia, preposito generale (1910-1913)

Box: Sfogliando i verbali

Box: Censimento della Congregazione mariana di Venezia 1952

1.8 Padre Augusto Tormene, preposito generale (1913-1921)

2. La prima guerra mondiale: “La prima carneficina mondiale” (8 luglio 1914 -11 novembre 1918)

2.1 Venezia e la prima guerra mondiale

2.2 L’Istituto Cavanis durante la prima guerra mondiale

2.3 Le testimonianze nel Diario di Congregazione

2.4 I diari di guerra dei religiosi-soldati Cavanis

2.4.1 Diario di guerra e prigionia di Pellegrino Bolzonello, novizio Cavanis: “I miei ricordi di guerra 1915-1918”.
– Offensive sul fronte dell’Isonzo
– Questo era il mio fronte, il fronte goriziano
– La grande offensiva del maggio 1917
– Seconda azione – Quota 126 – Cimitero di Gorizia
Sugli Altipiani di Bainzizza
Sul Monte S. Gabriele
– La ritirata di Caporetto
– Dal fiume Isonzo a Codroipo
– La prigionia
– Piccoli episodi
– Vicende del campo

2.4.2 Diario di guerra e prigionia del novizio Alessandro Vianello

2.5 Monumenti e lapidi dei caduti

3. La chiesa tra le due guerre mondiali

3.1 I tempi di Benedetto XV nella chiesa e nel mondo

3.2 La politica femminile dell’Istituto Cavanis

3.3 I tempi di Pio XI nella chiesa e nel mondo

3.3.1 Papa Pio XI e l’Istituto Cavanis

3.4 Padre Agostino Zamattio, preposito generale (1922-1928)

3.5 Padre Giovanni Rizzardo, preposito generale (1928-1931)

4. Il ventennio fascista

4.1 L’Istituto Cavanis nel periodo fascista

Box: attività della Centuria Balilla e Avanguardisti

4.2 Padre Aurelio Andreatta, preposito generale (1931-1949)

4.2.1 Il riconoscimento giuridico dell’Istituto

Tabella: proposte di fondazioni non accettate

Tabella: religiosi Cavanis nel luglio 1939

4.3 I tempi di Pio XII nella chiesa e nel mondo dal 1939 al 1958

4.4 Pio XII e l’Istituto Cavanis

4.5 Padre Aurelio Andreatta preposito generale (seconda parte)

5. La seconda guerra mondiale: “La seconda carneficina mondiale”
(1939-
1945)

5.1 La seconda guerra mondiale e l’Istituto Cavanis

5.2 La resistenza dei Cavanis

5.3 Bilancio di guerra

5.4 Vita di una comunità Cavanis nell’Italia in guerra nel 1943

5.5 Microstorie Cavanis nella macrostoria della seconda guerra mondiale

5.5.1 La guerra e la prigionia di Edoardo Bortolamedi

5.5.2 Memorie di guerra di Armando Soldera, un noviziato diverso

5.5.3 La guerra di Marino Scarparo

5.5.4 La guerra e la cappella votiva di S. Giuseppe a Coldraga

5.5.5 Vita di seminario nel Probandato di Possagno (1940-1945)

5.5.6 La guerra a Porcari, annotazioni di P. Vincenzo Saveri

5.5.7 Ricordi del Probandato di Vicopelago

5.5.8 Memorie di guerra di P. Giuseppe Leonardi

5.6 La casa di Roma – Casilina

5.6.1 Illustrazione del progetto “Renosto” dell’erigendo Istituto Cavanis Pio XII a Roma

5.7 Le catacombe dei santi Marcellino e Pietro ad duas lauros

5.7.1 Il martirio di Marcellino e Pietro

5.8 Il mausoleo di sant’Elena

5.8.1 L’apertura del mausoleo di sant’Elena

5.9 La curia generale a Roma

6. Il Dopoguerra

6.1 Il mandato di P. Aurelio Andreatta continua dopo la guerra

6.2 Cronaca della vita della Congregazione dal 1947

6.3 Lo sviluppo dell’Istituto Cavanis sotto i pontificati di Pio XI e Pio XII e
l’ambiente cattolico in Italia (1922-1958)

Tabella: apertura di case dal 1919 al 1968

Tabella: ordinazioni presbiterali 1795-2019

Tabella: date su professioni e ordinazioni

Tabella: seminari Cavanis in Italia dal 1918 al 1970

7. La seconda metà del XX secolo

7.1 Padre Antonio Cristelli, preposito generale (1949-1955)

7.2 Il padre Gioachino Tomasi, preposito generale (1955-1961)

7.2.1 Precisazioni istituzionali definite all’inizio del mandato di P. Tomasi

Tabella: numeri dei religiosi Cavanis nel luglio 1958

8. Dal 1958 al 1970: anni che hanno cambiato la Chiesa e il mondo

8.1 Il papa Giovanni XXIII e l’Istituto Cavanis

8.2 Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII

8.3 Continuando la relazione sui fatti della prepositura del P. Gioachino Tomasi.

Tabella: numeri dei religiosi Cavanis nel luglio 1960

8.4 Padre Giuseppe Panizzolo, preposito generale (1961-1967)

Tabella: numeri dei religiosi Cavanis nel luglio 1967

8.5 Padre Orfeo Mason, preposito generale (1967-79): apertura dei Cavanis in
Brasile e nel mondo

8.6 Il capitolo generale straordinario speciale (1969-1970) e le Costituzioni e direttorio

8.6.1 Breve storia dei lavori capitolari

8.6.2 Breve cronologia delle Costituzioni

8.7 I tempi di papa Paolo VI nella Chiesa e nel mondo

8.8 I capitoli generali del XX e XXI secolo

8.9 I capitoli generali ordinari del XX e XXI secolo

8.10 I capitoli generali straordinari del XX secolo

9. Alcuni collaboratori e benefattori dell’Istituto Cavanis defunti nel XX-XXI secolo

9.1 Pietro Baio

9.2 Don Giovanni Andreatta

9.3 Don Costante Dalla Brida

9.4 Angelo (Lino) Architetto Scattolin

9.5 Maria Pianezzola

9.6 Professor Andrea Tognetto

9.7 Don Luigi Feltrin

9.8 Don Felice Del Carlo

9.9  Alberto Cosulich e famiglia

9.10 Professor Antonio Lazzarin, restauratore

9.11  Suore della Pia Società del Santo Nome di Dio

9.12   Le assistenti  della nostra casa di riposo di Possagno

 

Parte Quarta

Le case d’Italia fondate nel XX secolo

1. La casa di Porcari – Lucca

1.1 “Porcari: la chiesetta dell’Immacolata”

1.2 “Testimonianze di anziani”

1.3 Inaugurazione della chiesa

1.4 Il duplice giubileo del collegio Cavanis di Porcari

Tabella: la casa di Porcari

2. La casa del Probandato di Possagno (1919)

3. La casa di Pieve di Soligo (1923)

4. La casa di Conselve

5. La casa del Sacro Cuore e il noviziato annesso

5.1 Una gita dei padri a Coldraga e benedizione della “villa”

5.2 La posa della prima pietra e l’inaugurazione della casa

5.3 Lo sviluppo della casa

5.4 Gli esercizi spirituali – gli incontri di preghiera

5.5 La chiesa del Sacro Cuore

5.5.1 Il comitato

5.5.2 La benedizione e la posa della prima pietra della chiesa (5 giugno 1938)

5.5.3 La prima pietra

5.5.4 Consacrazione della chiesa (2 giugno 1939)

5.5.5 Inaugurazione solenne nella domenica di Pentecoste (4 giugno 1939)

5.5.6 Il pontificale del vescovo

5.6 Uno sguardo al complesso delle costruzioni in Col Draga

5.7 Altri edifici e avvenimenti

6. La casa di Santo Stefano di Camastra (1938)

7. La casa di Fietta del Grappa – Villa Buon Pastore (1940)

8. La casa di Vicopelago e poi di s. Alessio (1941)

9. La casa di Costasavina (Pergine-Trento) e poi di Levico (Trento)
(1943-1948)

10. L’Istituto “Dolomiti” di Borca di San Vito di Cadore – Belluno (1945)

11. La casa di Roma –Torpignattara (1946)

12. La casa dell’Istituto Tata Giovanni –Roma (1953)

13. La casa di Capezzano Pianore (1953)

14. La casa di Chioggia (1954)

15. La casa di Cesena (1958-1959)

16. La casa di Solaro –Milano (1962)

17. La casa di Sappada (1962)

18. La casa (parrocchia) di Corsico

19. La casa di Asiago (1971)

20. La casa di Mestre (1982)

 

Parte Sesta

Le parti territoriali

1. Le missioni Cavanis: storia degli inizi

2. La provincia italiana, la Pars Italiae

3. Breve storia della provincia del Brasile, la Pars Brasiliae

Tabella: religiosi Cavanis Italiani attivi nella Provincia Antônio e Marcos Cavanis do Brasil

Tabella: i governi della Pars Brasiliae

3.1 Le case della Pars Brasiliae

Tabella: case del Brasile

3.2 La casa (le case) di Castro-Paraná-Brasile

Tabella: casa di Castro

3.3 La casa di Ortiguera-Paraná-Brasile

3.4 La casa di Ponta Grossa-Paraná-Brasile

3.5 La Parrocchia de Nossa Senhora de Fátima di Vila Cipa e la Sua “Casa do Menor”

3.6 Il centro della pastorale universitaria di Ponta Grossa – Oásis
– Primi passi
– Le cose cominciano a funzionare
– Espansione della PU
– Momenti forti
– “Assessoria” nazionale
– Conclusione

3.7 Il seminario maggiore Antônio e Marcos Cavanis e il noviziato di Ponta Grossa

Tabella: case riunite di Ortiguera (1969-2019) e Ponta Grossa (1980-2019)- Paraná -Brasile

Tabella: la casa di Ortigueira (autonoma)

Tabella: la casa di Ponta Grossa (autonoma)

Tabella: centro di Pastorale Universitaria Oásis-Ponta Grossa-Paraná-Brasile

3.8 La casa di Realeza-Paraná-Brasile

3.9 La casa di Pérola d’Oeste-Paraná-Brasile

3.10 La casa di Planalto-Paraná-Brasile

Tabella: le casa di Realeza (1971-2019) e di Pérola d’Oeste (1994-2019)- Paraná-Brasile

Tabella: casa di Realeza (separata dalle altre)-Paraná-Brasile

Tabella: casa di Pérola d’Oeste, parrocchia Sagrado coração de Jesus

Tabella: casa di Planalto (separata da Realeza)-Paraná-Brasile (1988-2010)

3.11 L’arcidiocesi di Belo Horizonte-Minas Gerais-Brasile

Tabella: le case di Belo Horizonte-Minas Gerais-Brasile (1984-2019)

3.12 I Cavanis a Brasília-Brasile

3.13 La casa di Uberlândia-Brasile

Tabella: la casa di Uberlândia

3.14 La Casa di Celso Ramos – santa Catarina (1998-2019)

3.15 La casa di parrocchia São José a São Paulo (1994-2019)

3.16 La casa di Mossunguê – Curitiba (1996-2008)

3.17 La casa della parrocchia di São Mateus do Sul (1995-2004)

3.18 La casa di Novo Progresso, parrocchia Santa Luzia – Pará – Brasile (1998-2019)

3.19 La casa di Maringá-Paraná-Brasile (2001-2019)

3.20 La casa di Guarantã do Norte, parrocchia Nossa Senhora do Rosário – Mato Grosso

3.21 La casa di Castelo de Sonhos-Pará-Brasile

Tabella: seminaristi Cavanis del Brasile nel 1999

Tabella: religiosi e seminaristi Cavanis brasiliani nel 2018

3.22 Le case do Menor o da Criança-Brasile

Tabella: case do Menor o da Criança

4. La regione andina, la Pars andium

Tabella: i governi della Pars andium

4.1 Ecuador

4.1.1 La casa di Esmeralda (1982-1996)

4.1.2 La casa di Quito, seminario (1984-2019)

4.1.3 I seminario filosofico e teologico Hermanos Cavanis e il “Taller de Nazaret” a Cotocallao, Quito-Ecuador

4.1.4 Casa del Collegio Borja III

4.1.5 Casa di Valle Hermoso (1992-2019)

4.2 Colombia

4.2.1 La casa di Bogotá, seminario “Virgen de chiquinquirá”-Colombia

4.3 Bolivia

4.3.1 La casa di Santa Cruz de la Sierra -Bolivia

4.4 Perù

4.4.1 La casa di Éten-Chiclayo-Perù

5. La delegazione delle Filippine (2000-2019)

Tabella: delegazione delle Filippine

5.1 Casa del collegio Letran di Tagum (2000-2019)

5.2 Seminari di Tibungco – Davao City (2003-2019)-Repubblica delle Filippine

5.3 Parrocchia di San José di Braulio E Dujali-Davao de Norte-Repubblica
delle Filippine

6. Delegazione della Casa di Romania

6.1 La città di Paşcani e la Romania

Tabella: delegazione della Romania

7. Delegazione Cavanis nella Repubblica Democratica del Congo (2004-2019)

Tabella: governi della delegazione della Repubblica Democratica del Congo

Tabella: membri della delegazione della Repubblica Democratica del Congo

8. La casa Cavanis di Macomia in Mozambico (2016-2019)

9. Comunità di Dili-Lessibutak, Timor Leste

 

Parte Settima

Breve storia della Congregazione delle “Maestre delle Scuole di Carità”

1. Le tre sedi dell’Istituto femminile Cavanis

1.1 La prima residenza

1.2 La seconda residenza

1.3 La terza e definitiva residenza

2. Elenco delle Maestre e delle ragazze dell’Istituto femminile Cavanis il 10 settembre 1811

3. Alcuni episodi notevoli della Pia Casa di educazione delle Scuole di Carità

4. I venerabili Cavanis e Santa Maddalena di Canossa

4.1 Maddalena di Canossa chiamata a Venezia

4.2 Lettera di accompagnamento

4.3 Regole generali per la Scuole di Carità

4.4 Approvazione dell’Istituto femminile da parte dell’Imperatore d’Austria e del patriarca  di Venezia

4.5 Elenco delle maestre nel locale delle Eremite in parrocchia dei SS. Gervasio e Protasio

4.6 Anni opachi

4.7 L’Istituto femminile confluisce nell’Istituto Figlie di Carità Canosina

5. Breve storia delle Suore della Pia Società del Santo Nome di Dio, dette “Suore Cavanis”

6. Considerazioni conclusive

7. Appendici

Appendice 1 – L’opera dei fondatori

1. (Appendice 1.1) Preghiera attribuita ai fondatori dell’Istituto Cavanis

2. (Appendice 1.2) La gratuità delle Scuole dei fondatori e dei Cavanis

3. (Appendice 1.3) Commento di P. Antonio Cavanis al punto delle costituzioni sui doveri dei congregati nel ministero dell’educazione dei giovani

3.1 Pueros et juvenes paterna dilectione complecti

3.2 Gratis educare

3.3 Sollicita vigilantia a saeculi contagione tueri

3.4 Spiritu intelligentiae ac pietatis quotidie erudire

4. (Appendice 4) I fondatori e la parola di Dio: corrispondenza del viaggio di P. Marcantonio Cavanis a Roma

4.1 Il metodo

4.2 Le costituzioni e la Bibbia

4.3 I fondatori e la Bibbia

4.4 Generalità

4.5 Statistica

4.6 I libri biblici preferiti

4.7 I temi biblici preferiti

4.8 Testi biblici nelle lettere dei fondatori

5. (Appendice 5) Edifici storici

Appendice 5.1. Il palazzo natale dei fondatori

5.1.1 Il palazzo veneziano

5.1.2 Il palazzo dei Cavanis

Appendice 5.2. Breve storia della “casetta”

Appendice 5.3. La cappella del Crocifisso a S. Agnese. Memoriale dei fondatori

6. (Appendice 6) Le missioni all’estero

Appendice 6.1. Spiritualità Cavanis in Brasile

6.1.1 Introduzione

6.1.2 La congiuntura veneziana

6.1.3 I Cavanis

6.1.4 La spiritualità Cavanis

6.1.4.1 Opzione per i poveri e opzione per i giovani

6.1.4.2 Il nome della Congregazione: paternità e carità

6.1.4.3 L’educazione

6.1.4.4 La gratuità

6.1.4.5 La povertà e i mezzi poveri

6.1.4.6 L’ingenuità e la semplicità

6.1.4.7 La piccolezza dell’Istituto

6.1.4.8 Fiducia in Dio

6.1.4.9 Amore per la Croce

6.1.4.10 L’orazione

6.1.4.11 La gioia, la libertà e la pace

6.1.4.12 “Uniforme vocazione” e la comunità

6.1.5 La congiuntura del Brasile nel 1988

6.1.5.1 Congiuntura generale

6.1.5.2 La gioventù

6.1.6 Il Progetto educativo Cavanis in Brasile

6.1.6.1 Stile Cavanis in Brasile. Una proiezione nel futuro

6.1.6.2 Future attività educative dei Cavanis in Brasile
– La scuola
– “Casas do Menor”
– Centri di Pastorale Universitaria e della Gioventù
– “Assessoria”
– La catechesi

6.1.7 Conclusione

Appendice 6.2. Uno sguardo dei Cavanis sull’Africa

6.2.1 Africa e Vangelo

6.2.2 L’Istituto Cavanis e l’Africa

6.2.3 Il viaggio in Africa

6.2.3.1 Il Camerun

6.2.3.2 L’Angola

6.2.3.3 Il Senegal

6.2.3.4 La Guinea Bissau

Appendice 6.3. La lista dei Mani-Kongo ai tempi dei fondatori e della Congregazione delle Scuole di Carità-Istituto Cavanis

Appendice 7 – Sistemi di riferimento

Appendice 7.1. Glossario dei termini viari (toponimi) veneziani

Appendice 7.2. Excursus sui selciati veneziani

Appendice 8 La biblioteca dell’Istituto Cavanis a Venezia

Riferimenti bibliografici

PARTE SECONDA

Seconda fase della vita della Congregazione 1848-1884

Il passaggio tra i fondatori, in particolare fra P. Antonio, preposito generale, e i suoi due primi successori, P. Vittorio Frigiolini e P. Sebastiano Casara, ebbe luogo a partire dal 1848. Il 10 dicembre 1848, P. Antonio redige un documento segreto che rimette al fratello Marco (che de resto era stato il redattore del testo, perché P. Antonio era cieco; non si sa se sotto dettatura da parte del fratello senior, o sviluppando la sua intenzione dando la forma.), dove dichiara che il suo successore, con il titolo provvisorio di “vicario provinciale”, sarebbe stato P. Vittorio Frigiolini, in caso di morte o d’incapacità del seniore dei fondatori – P. Antonio aveva a quei tempi settantasei anni. Non si tratta solo di un documento o di un’intenzione di cedere la direzione della Congregazione, quanto piuttosto di una nuova fase che prende piede; a questo punto l’operatività dei fondatori era in procinto di esaurirsi.

Ecco dunque che verso la fine del 1848, anno di notevole importanza per l’Italia e per tutta l’Europa, inizia moralmente una nuova fase storica della Congregazione, anche se l’effettivo passaggio verrà sancito nel 1852.

Si ricordano qui e altrove a grandi linee gli eventi del Risorgimento d’Italia e più dettagliatamente quelli del 1848-49.

Box: il Risorgimento d’Italia

Il termine “Risorgimento”, letteralmente “rinascita” o “risurrezione”, indica il movimento politico-culturale di liberazione e unificazione d’Italia, e indica inoltre, nel complesso, buona parte del periodo della storia italiana del XIX secolo. Al termine di questo periodo, i re della casa Savoia (re del Regno di Sardegna comprendente la Savoia, il Piemonte, la Liguria e la Sardegna), unificano l’Italia annettendo progressivamente al loro regno di Sardegna tutti gli altri stati della Penisola (la Lombardia, il Regno delle Due Sicilie, i ducati di Lucca, Modena e Reggio, il granducato di Toscana e lo Stato Pontificio; poi il Veneto e Mantova; molto più tardi il Trentino e Trieste).

L’Italia ebbe una storia gloriosa ai tempi della Magna Grecia e in quelli degli antichi Romani, ma successivamente fu invasa, dominata, divisa in numerosi piccoli o grandi stati, spesso controllati o dominati dall’estero, tanto che nell’aprile del 1847 Metternich diceva che l’Italia non era null’altro che «una mera espressione geografica». C’era comunque una lingua di fondo italiana in gran parte letteraria, mentre permanevano dialetti molto diversi fra loro e una splendida tradizione culturale tipicamente italiana. Inoltre la situazione geografica di separazione dagli altri paesi europei attraverso la catena delle Alpi e i mari ne faceva un territorio molto differenziato e naturalmente separato dal resto dell’Europa da confini fisici. L’appartenenza a una nazione italiana era sentita tuttavia solo da una piccola parte di italiani composta da intellettuali, artisti, aristocratici illuminati, classi borghesi.

In qualche stato italiano, durante il XVIII secolo, furono favorite delle riforme di carattere liberale che in qualche modo incentivavano lo sviluppo delle idee di libertà e unificazione, ma la scossa fu data principalmente dall’influenza della rivoluzione francese e della dominazione napoleonica, con la diffusione dello spirito illuminista e rivoluzionario in una forma più

chiara e più diffusa. Dopo la proclamazione della repubblica in Francia (1792) ci furono congiure repubblicane, duramente represse, a Torino, Genova, Napoli, Bologna e Palermo (1794-1795). A queste si aggiunsero delle insurrezioni contadine e operaie in diverse regioni d’Italia negli anni Novanta. Lo spirito rivoluzionario e le idee giacobine e liberali si diffusero ancor più durante la presenza delle armate napoleoniche in Italia (1796-1815).

La conquista di Venezia per mano di Napoleone (1797 e 1802) significò l’istituzione di un governo personale, guidato dal fratello Luigi Napoleone, e la cessione di Venezia all’Austria con il trattato di Campoformio. Napoleone eccede e contravviene agli ordini del suo Governo, il Direttorio, ottenendo una sorta di legittimazione internazionale. Egli pertanto, pur essendo stato inizialmente atteso dagli intellettuali italiani come un liberatore, contravviene sia ai principi liberali, sia agli ideali risorgimentali. L’unificazione di alcune regioni della Penisola italiana, più tardi del Regno d’Italia, nel 1805, rappresentano una prima unificazione parziale della penisola anche se in realtà sotto una dominazione straniera.

Il Congresso di Vienna (23 settembre 1814 – 9 giugno 1815) ripristina la situazione italiana precedente, (l’unica a non riottenere la situazione antecedente a Napoleone fu proprio Venezia), alla condizione in cui versava nel 1796, cioè in quella di una costellazione di stati, sotto l’egemonia austriaca. Le idee e la voglia di libertà e d’unificazione del paese erano però ancora vive. Movimenti e associazioni, club e circoli letterari si svilupparono, spesso come copertura ufficiale di società segrete considerate sovversive dai diversi governi tra le quali i Carbonari e la Giovine Italia

di Giuseppe Mazzini. Tentativi d’insurrezione si manifestarono a Napoli, Alessandria (Piemonte) e Milano (1820-21). Altri moti ebbero luogo più tardi a Modena e Parma (1831). Il Risorgimento era iniziato.

L’Austria e il suo impero furono un grande avversario del Risorgimento, dell’indipendenza e dell’unificazione. L’impero temeva di perdere la sua influenza e il suo dominio coloniale o semi-coloniale della Penisola, come avvenne gradualmente, nell’arco di un secolo, in tutto e per tutto. L’Inghilterra invece salutò di buon grado il movimento di liberazione italiana senza tuttavia intervenire direttamente; la Francia intervenne militarmente in Italia a volte a favore, altre volte contro (tra l’altro aiutò l’Italia, con interessi propri, nel 1848-49 e ancora nel 1859). La Prussia si alleò con l’Italia nel 1866.

I progetti risorgimentali d’unificazione italiana furono numerosi, tra i quali si ricordano:

  1. Progetto repubblicano, di Giuseppe Mazzini, con la sua associazione segreta “Giovane Italia” e i gruppi associati, e di Giuseppe Garibaldi.
  2. Progetto federalista, ovvero quello di una federazione di stati italiani riuniti sotto la presidenza di papa Pio IX, fortemente voluta da uomini come Vincenzo Gioberti, Massimo D’Azeglio e Antonio Rosmini.
  3. Progetto monarchico, che prevedeva l’unificazione e la liberazione d’Italia attraverso un re che si facesse carico dell’unificazione sotto

    forma di Regno. Il re in questione sarebbe stato quello di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia-Carignano (1848-49), e poi suo figlio e successore Vittorio Emanuele II, soprattutto con il primo ministro Camillo Benso conte di Cavour, disposto a continuare il suo progetto sino alla vittoria.

Le principali fasi del Risorgimento sono:

  1. Le insurrezioni del 1821 e del 1831.
  1. La prima Guerra d’Indipendenza (1848-1849), in cui il regno di Sardegna uscì sconfitto.
  2. La seconda Guerra d’Indipendenza (1859) che riuscì a unire al regno di Sardegna quasi tutta la Lombardia.
  3. L’impresa di Garibaldi e dei “Mille” (1860), che conquistò la Sicilia e tutto il sud della penisola italiana e la consegnò al re Vittorio Emanuele II.
  4. L’occupazione della Romagna, delle Marche e dell’Umbria da parte dell’armata sardo-piemontese (1860), di passaggio per raggiungere Garibaldi.
  5. La fondazione del Regno d’Italia (1861), con capitale inizialmente a Firenze, poi a Roma.
  6. La terza Guerra d’Indipendenza (1866), con la conquista del Veneto e di Mantova.
  1. La conquista del Lazio e di Roma (20 settembre 1870), che diventa capitale d’Italia (Giugno 1871).
  2. La conquista del Friuli orientale, del Trentino e dell’Alto Adige o Südtirol, quest’ultima una provincia di lingua e cultura germaniche, di Gorizia e di Trieste, con l’Istria, come risultato della partecipazione italiana alla Prima Guerra Mondiale (1915-1918). Questo conflitto è talvolta chiamato in Italia quarta Guerra d’Indipendenza.


Il Risorgimento non è solo un movimento politico e militare, ma anche culturale, di carattere romantico e nazionalista, che fa riferimento ai tempi gloriosi dell’impero romano e alle radici culturali italiane.

Box: Prima Guerra d’Indipendenza (1848-1849)

La Prima Guerra d’Indipendenza si svolse quando P. Antonio e P. Marco erano già anziani (rispettivamente settantasei e settantaquattro anni). Poco tempo dopo la fine della guerra, P. Antonio lasciò la direzione della Congregazione a P. Vittorio Frigiolini e poi a P. Sebastiano Casara. I venerabili avevano molti problemi di salute; e, naturalmente “Senectus ipsa morbus!”

La prima Guerra d’Indipendenza italiana ebbe delle gravi e pesanti conseguenze per la città di Venezia e per il Veneto in generale, inclusa la città di Lendinara, dove si trovava un’altra casa della Congregazione.

Il Risorgimento italiano, in quanto movimento di liberazione e unificazione dell’Italia, fu costellato da insurrezioni locali duramente represse. Questi periodi di tensione, che interessarono marginalmente la città di Venezia, avvennero tuttavia a cavallo tra l’approvazione dell’Istituto da parte dell’impero austriaco e a livello diocesano di Venezia (1819) e la data d’approvazione a livello di Chiesa universale (1835-38).

Nel 1848, ci furono insurrezioni contro i Borbone a Palermo, Messina e a Milano con le famose “cinque giornate”. In questa situazione di sconvolgimento generale, inizia la prima Guerra d’Indipendenza italiana, dichiarata da Carlo Alberto di Savoia all’impero austriaco. Carlo Alberto era re di Sardegna-Piemonte (regno che comprendeva Piemonte, Savoia, l’isola della Sardegna e la Liguria) e al momento era a capo di una coalizione provvisoria che comprendeva altri stati italiani.

Giuseppe Garibaldi, celebre rivoluzionario, e Giuseppe Mazzini, intellettuale e fondatore del movimento della Giovane Italia, fanno ritorno dal loro esilio per partecipare alla rivolta, ma l’accoglienza da parte dei Savoia è poco calorosa. In realtà li si temeva.

La sfida era coraggiosa, audace e forse imprudente davanti alla grande disparità numerica dei rispettivi eserciti e della disponibilità di riserve e di mezzi. Questa guerra si rivelò come una prova generale delle successive guerre d’indipendenza: ci fu la successione di alcune vittorie fra cui quelle di Goito, di Pastrengo di Curtatone e Montanara e di Peschiera del Garda, ma senza risultati durevoli, senza un coordinamento efficace delle varie unità in gioco, e con un’evidente inesperienza strategica e tattica.

A questo punto la situazione diviene incerta e papa Pio IX, poco entusiasta fin dall’inizio della guerra e impressionato ora per la carneficina che derivava dalle varie battaglie, richiama le sue armate, seguito in questo da altri stati alleati. Anche Ferdinando II, re delle Due Sicilie, infatti, comanda la ritirata al suo esercito, ma il generale Guglielmo Pepe si rifiuta di tornare a Napoli e raggiunge le sue truppe a Venezia per partecipare alla difesa della “Regina delle Lagune” e affrontare la controffensiva austriaca. Ferdinando II aveva cambiato idea soprattutto perché preoccupato dal risvolto degli avvenimenti nel suo stesso regno: il popolo napoletano si era sollevato e quello siciliano era riuscito a prendere il controllo dell’isola e le truppe reali vi mantenevano ormai soltanto la fortezza di Messina.

La Sicilia infatti sperava di proclamare la sua indipendenza e ristabilire l’antico Regno indipendente. Per questo alcuni delegati siciliani si recarono a Torino, capitale del regno sabaudo, ed offrirono la corona della Sicilia al principe sabaudo. Carlo Alberto adotta una posizione d’attesa e ciò dispiacque profondamente ai Borbone, la dinastia regnante nelle Due

Sicilie. Questo atteggiamento del principe resterà celebre e per questo Carlo Alberto sarà soprannominato, il re tentenna. I piemontesi restano così da soli, se si eccettuano corpi volontari e parte delle truppe pontificie e del regno delle due Sicilie che avevano ricusato di ritirarsi, e operavano soprattutto in Veneto.

Gli austriaci continuavano invece a ricevere rinforzi e occuparono Vicenza, Padova e Treviso. I sardo-piemontesi furono sconfitti dagli austriaci a Custoza (22-27 luglio 1848), costretti a ritirarsi oltre il Mincio, l’Oglio e poi l’Adda, ad abbandonare Milano e sono obbligati a chiedere una tregua e poi ad accettare le pesanti condizioni dell’armistizio detto di Salasco (9 agosto 1848), cioè ad abbandonare tutto il Lombardo-Veneto e a restringere le frontiere come lo erano prima della guerra, quelle fissate nel 1815 dal Congresso di Vienna. Dopo l’armistizio soltanto Brescia resiste ancora contro le truppe austriache, mentre tutta la Lombardia cade sotto il controllo austriaco. Venezia è l’unica città del Lombardo-Veneto a rimanere ancora nelle mani degli insorti.

La guerra riprende il 20 marzo 1849. Gli austriaci questa volta prendono direttamente l’iniziativa e invadono il Piemonte partendo dalla loro base di Pavia; l’armata sardo-piemontese è sconfitta durante la battaglia di Novara (23 marzo 1849) in Piemonte e ciò costringe Carlo Alberto ad abdicare a favore del figlio Vittorio-Emanuele II di Savoia e a chiedere un nuovo armistizio, che si tenne il giorno dopo a Vignale. La pace fu firmata a Milano il 9 agosto 1849.

La guerra non aveva raggiunto il fine desiderato da Carlo Alberto e aveva indebolito la posizione del regno di Sardegna-Piemonte. Tuttavia Vittorio Emanuele II fu l’unico tra i regnanti a rispettare lo statuto concesso prima della guerra, nel caso, da Carlo Alberto. Il Piemonte iniziò così a diventare un luogo di rifugio e riferimento per i patrioti degli altri stati preunitari.

Dopo il primo armistizio se ne era andato da Firenze il granduca di Toscana Leopoldo II e la Toscana fu guidata da un governo provvisorio. Pio IX era fuggito da Roma a Gaeta, una città fortificata della Campania, dopo l’uccisione del ministro dell’interno Pellegrino Rossi, e a Roma era stata proclamata a febbraio la Repubblica romana, governata da un triumvirato dal 9 maggio 1849. Del triunvirato fanno parte Aurelio Saffi, Carlo Armellini e Giuseppe Mazzini. A questa repubblica avevano aderito molte città degli Stati pontifici.

Già dal febbraio 1849, durante la tregua della guerra, le principali città degli stati pontifici erano state riprese una a una dagli austriaci; Roma, difesa da Garibaldi e da truppe volontarie è attaccata invece da truppe francesi spedizionarie che l’accerchiarono e la presero il 2 luglio 1849. Con la caduta della Repubblica romana, molti rivoluzionari sono costretti all’esilio. Garibaldi si rifugia a New York nel 1850. Lo vedremo ancora in azione in Italia e altrove.

Anche la città di Venezia, che sotto il comandante Manin si era ribellata all’Austria nel 1848 proclamando la sua indipendenza, dopo una lunga resistenza, si arrese, spossata dall’assedio, dal terribile bombardamento austriaco, dalla fame e dall’epidemia di colera.

Così finisce, piuttosto tristemente, la prima Guerra d’Indipendenza d’Italia. Fra i principali protagonisti del Risorgimento italiano, si ricorda Camillo Benso, conte di Cavour (18101861), membro del partito liberale, anticlericale, eletto presidente dal consiglio piemontese nel novembre 1852. Egli fu autore di una serie di riforme non solo politiche ma anche economiche, infrastrutturali, agricole e industriali che saranno alla base del futuro stato italiano. Membro della loggia massonica torinese Ausonia, fa passare diverse leggi anticlericali che miravano a distaccare il popolo cattolico dalla religione per fondare uno stato laico. Sciolse tutte le comunità religiose contro l’opinione di quasi tutta la popolazione piemontese e confiscò i beni della Chiesa, che servirono a pagare l’impressionante indebitamento dello stato piemontese, che ammontava ad un miliardo di lire.

La soppressione degli istituti religiosi e la confisca dei beni ecclesiastici e religiosi verranno estese a tutte le altre regioni italiane, compreso il Veneto, annesso al Regno d’Italia (1866), ed in particolare alle case del nostro Istituto.

Box: la Repubblica di San Marco (22 marzo 1848 – 24 luglio 1849)

La Repubblica di San Marco fu uno stato democratico istituito a Venezia il 22 marzo 1848, con l’insurrezione della città (17 marzo) contro il governo austriaco che occupava il vice-regno lombardo-veneto. I due patrioti, Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, che erano rinchiusi nelle prigioni austriache, furono liberati a furor di popolo e presero il comando di un nuovo governo provvisorio, di cui il primo diventa il presidente. La Repubblica, che richiama il nome storico di Venezia e del suo santo patrono, San Marco evangelista, ebbe durata breve, dal momento che la città fu rioccupata dagli austriaci il 24 agosto 1849, dopo un’ eroica resistenza durata diciassette mesi.

Gli insorti inizialmente ricevettero qualche aiuto dal Piemonte, ma dopo la sconfitta sardo-piemontese a Custoza il 27 luglio 1848 e il ritiro della flotta sarda da Venezia, restarono soli dinanzi alle forze austriache, che verso la fine del 1848, riconquistarono tutta la “terraferma” veneziana.

Un aiuto prezioso arrivò dal generale napoletano Guglielmo Pepe, inviato per combattere a fianco dei piemontesi e che rifiutò di ritirarsi e ritornare a Napoli, per andare ad aiutare i veneziani con duemila volontari. Egli prese, infatti, il comando militare della città.

Di fronte alla minaccia austriaca, giunta a Mestre e a Marghera e che aveva creato un blocco marittimo e terrestre della città, i veneziani scelsero di resistere e conferirono pieni poteri a Manin.

Grazie al senso di organizzazione di quest’ultimo e di Pepe e al coraggio dei volontari, riescono a difendere Venezia con efficacia per diversi mesi e realizzano dei blitz per procurarsi gli approvvigionamenti e le derrate alimentari. Nonostante tutto, la carestia investe la città.

Il 4 maggio 1849 gli austriaci intensificano le ostilità contro il forte Marghera difeso da duemilacinquecento uomini comandati dal colonnello napoletano Girolamo Ulloa. La difesa è accanita e la notte del 26 maggio, d’accordo col governo, Ulloa ordina l’evacuazione del forte. Gli austriaci avanzano lungo il ponte ferroviario che unisce le isole di Venezia alla terraferma ma fronteggiano una forte resistenza, così bombardano con violenza con la loro artiglieria i quartieri occidentali della città, aumentando gradualmente la gittata. Una prima offerta di resa viene proposta dal comandante delle forze austriache, il maresciallo Giuseppe Radetzky, ma è respinta.

La situazione in città diventa presto militarmente insostenibile; a ciò si aggiunge un’epidemia di colera e ai primi giorni d’agosto, Manin, poiché era impossibile resistere oltre, aprí le trattative di resa. Intanto si combattè fino all’estremo. L’assemblea gli dà piena fiducia e gli conferisce pieni poteri per negoziare la resa che è firmata il 22 agosto 1849. Il 27 agosto, gli austriaci entrano a Venezia, mentre Manin, Tommaseo, Pepe e altri numerosi patrioti prendono la via dell’esilio.

Armando Fusinato cantava con tristezza:

«Il morbo infuria, il pan ci manca,

sul ponte sventola bandiera bianca».

Dopo la caduta della repubblica romana, Giuseppe Garibaldi al comando di un gruppo di volontari fugge da Roma in soccorso a Venezia, ultima città a proseguire la lotta, ma è bloccato dagli austriaci verso Comacchio. Questo episodio è conosciuto come la Marcia su Roma di Garibaldi a Comacchio. La moglie Anita, brasiliana, si ammala e muore a Ravenna, nelle paludi di Comacchio.

I proiettili di cannone, secondo le possibilità limitate dell’artiglieria di quell’epoca, arrivavano sino alla metà occidentale e settentrionale della città di Venezia e dunque erano sotto tiro anche gli edifici dell’Istituto femminile delle Scuole di Carità dove caddero sei bombe di cannone il 30 luglio 1849;

l’Istituto maschile e l’abitazione della nostra comunità sembravano non essere a tiro, ma una bomba vi cadde nel 31 luglio. Un’altra bomba colpì la chiesa di S. Agnese, che all’epoca era chiusa al culto.

Alcuni religiosi dei Cavanis si rifugiarono nel seminario patriarcale che si trovava più lontano verso est e quindi fuori tiro. Successivamente, quasi tutta la comunità trovò rifugio lì, lasciando uno o due religiosi più coraggiosi a far da «sentinelle» permanenti all’Istituto; il giovane P. Vittorio Frigiolini e un fratello religioso, Fra Giovanni Cherubin, si trasferirono ancora più a ovest nell’Istituto Cavanis femminile alle Romite, a S. Barnaba, per celebrarvi ogni giorno l’eucaristia e per proteggere e incoraggiare le sorelle, le maestre e le giovani a fronteggiare le bombe austriache. Diverse case e strade (fondamenta) attorno all’Istituto femminile furono colpite ma sembra che quelle che caddero sul convento delle Romite ebbero il buon senso di finire nei chiostri e nei giardini.

C’è una bella lettera di P. Vittorio (che sarà il secondo preposito dell’Istituto) ai fondatori nell’archivio storico di Venezia. Vi si dice che i nostri religiosi avevano «incaricato» ufficiosamente e poeticamente una squadra di santi di proteggere e difendere sia l’Istituto che la scuola dai bombardamenti austriaci: la «comandante in capo» di questa squadra era ovviamente la Madonna. I quattro santi incaricati di proteggere i quattro lati delle mura erano rispettivamente: S. Vincenzo de Paoli (patrono della sezione femminile Cavanis), S. Alfonso de’ Liguori, S. Barbara (patrona dell’artiglieria e delle miniere, pregata anche per essere difesi dai fulmini) e il beato Lorenzo da Brindisi.

A Lendinara, era tutto più tranquillo e la nostra comunità non ebbe grossi problemi. Nella Positio, ci sono delle lettere sulla situazione, di P. Marco alla comunità e viceversa nel periodo 1848-1849.

La corrispondenza dei nostri Fondatori riguardante l’insurrezione e l’assedio di Venezia e della Repubblica di S. Marco è molto abbondante e comprende circa centocinquanta documenti molto interessanti, dal punto di vista storico e in particolare per la storia dell’Istituto Cavanis.

Questi avvenimenti occupano una parte cospicua e sono importanti da un punto di vista politico-militare anche nel diario (le Memorie) dell’Istituto scritte da P. Marco. P. Aldo Servini, nella Positioriporta finemente che di solito, cosa piuttosto sorprendente, i nostri fondatori non si occupavano di politica dato che erano coinvolti anima e corpo nel loro apostolato per i giovani; si accontentavano di rispettare e di obbedire alle autorità in carica che si susseguivano così spesso a quell’epoca, straniere o italiane che fossero, seguendo le parole della Bibbia e lo spirito di fede. P. Servini continua precisando però che gli era impossibile vivere a margine e ignorare quel che succedeva a Venezia e in tutto il Lombardo-Veneto durante i due anni del 1848-1849.

Certamente però i due Cavanis, nobili veneziani figli di una patrizia, che avevano conosciuto da giovani la Repubblica Serenissima di Venezia, e che avevano seguito la fase di breve indipendenza di Venezia del 1848-49 con una discreta ma non del tutto silenziosa collaborazione, non avrebbero

salutato il feldmaresciallo Josef Radetzky, alla sua entrata in Venezia alla testa delle truppe austriache, il 27 agosto 1849, dopo la conclusione dell’assedio, come l’uomo che viveva di “fatiche e glorie” come l’aveva di fatto salutato a Venezia il vescovo di Verona Giovanni-Pietro-Aurelio Mutti (1775 – 1857), poi patriarca di Venezia (1852-1857).

Tabella: lista dei prepositi generali dell’Istituto Cavanis

P. Anton’Angelo Cavanis [1802-1838]; 1838, lug. 16-1852

P. Vittorio Frigiolini 1852, lug. 6-1852, ott. 21

P. Sebastiano Casara 1852 – 1863, set. 1; 1866, set. 1-1884

P. Giovanni Battista Traiber 1863, set. 1-1866, set. 1

P. Domenico Sapori 1884 – 1887

P. Giuseppe Da Col 1887 – 1900

P. Giovanni Chiereghin 1900 – 1904

P. Vincenzo Rossi 1904 – 1910

P. Antonio Dalla Venezia 1910 – 1913

P. Augusto Tormene 1913 – 1921

P. Agostino Zamattio 1922 – 1928

P. Giovanni Rizzardo 1928 – 1931

P. Aurelio Andreatta 1931 – 1949

P. Antonio Cristelli 1949 – 1955

P. Gioacchino Tomasi 1955 – 1961

P. Giuseppe Panizzolo 1961 – 1967

P. Orfeo Mason 1967 – 1979

P. Guglielmo Incerti 1979 – 1989

P. Giuseppe Leonardi 1989 – 1995

P. Pietro Fietta 1995 – 2007

P. Alvise Bellinato 2007 – 2013

P. Pietro Fietta 2013 – 2019

P. Manoel Rosalino Pereira Rosa 2019 – ***

1. I tempi dei prepositi generali Frigiolini, Casara e Traiber

Nel 1852 l’Istituto Cavanis visse un’epoca di cambiamenti e di rinnovamento. Il primo a essere nominato preposito generale dopo il fondatore senior fu P. Vittorio Frigiolini, piemontese di Novara, il 6 luglio 1852, il quale morì il 21 ottobre dello stesso anno, solo tre mesi e mezzo più tardi. Il terzo preposito, P. Sebastiano Casara sarà più incisivo e resterà alla direzione della Congregazione per più tempo. Giovanni Battista Traiber resterà invece per un solo triennio.

1.1 Padre Vittorio Frigiolini, secondo preposito generale (1852)

Vittorio Genesio Frigiolini nacque a Varallo (oggi Varallo Sesia), in Piemonte, in provincia di Vercelli ma in diocesi di Novara, il 16 ottobre 1818. Fu ordinato sacerdote diocesano il 18 settembre 1841, in seguito fu nominato vicario della parrocchia di Sabbia, un piccolo paese di montagna nelle Alpi, dove fece un ottimo lavoro pastorale essendo molto amato e stimato e dedicando tutto se stesso all’educazione dei giovani. Aspirava però a una maggiore perfezione e pensò di ritirarsi in un istituto religioso, inizialmente individuato nella Compagnia di Gesù.

Nell’ottobre 1844, tuttavia, lesse in una rivista per il clero un articolo scritto da P. Marco sull’Istituto Cavanis e il 12 novembre dello stesso anno scrisse una lettera ai fondatori chiedendo di entrare nella comunità Cavanis. La risposta non si fece attendere, perché P. Marco gli rispose quattro giorni dopo accettandolo con gioia. Il 19 dicembre 1844 don Vittorio arrivò nell’Istituto di Venezia, dove fu molto ben accolto. Fu un modello di religiosità Cavanis. Già prete, presto indossò l’abito dei Cavanis e il 13 novembre 1846 fece la sua prima professione di voti. Già nel 1849 aveva chiesto e ottenuto la cittadinanza austriaca, dovendo vivere a Venezia o, come alternativa in prospettiva futura, a Lendinara.

Il 6 luglio 1852 P. Vittorio diventò preposito generale (1852, lug. 6- 1852, ott. 21), ma si ammalò di congestione intestinale (più probabilmente una peritonite) e morì prematuramente il 21 ottobre 1852, dopo cinque giorni di agonia che affrontava con una santa pazienza, grande fede e accettazione del dolore, prevedendo anche esattamente il giorno della sua morte. Per la comunità e per i fondatori quelli furono giorni di dolore e di profonda tristezza. Data la brevità del suo mandato, che si concluse tragicamente dopo poco più di tre mesi, P. Vittorio non ebbe molta influenza sulla vita della Congregazione.

Nel 1848 P. Frigiolini era tanto stimato dai fondatori per il suo spirito Cavanis e per la sua prudenza, saggezza, santità di vita e per le sue capacità, quanto per la sua comprovata capacità di diventare un buon preposito, che P. Antonio, in accordo con P. Marco, preparò un documento segreto datato 10 dicembre 1848, nel quale dichiarava che in caso di morte o incapacità fisica il titolo provvisorio di “vicario provinciale”, sarebbe andato a P. Vittorio. Il documento, in latino, era stato scritto da P. Marco, firmato da P. Antonio, ormai completamente cieco, e controfirmato da P. Marco, e infine timbrato con il sigillo della Congregazione.

Questo documento secreto e i fatti che seguono sono interessanti perché dimostrano la mentalità aperta e libera dei fondatori: stimavano P. Vittorio, uno “straniero”, piemontese arrivato da soli quattro anni, al di sopra dei padri veneziani o del Veneto, come i PP. Casara e Traiber, per esempio. Erano dunque aperti a un’espansione della Congregazione e non avevano solo una visione locale e ristretta come invece si nota da altre parole e fatti.

Negli anni a seguire, le condizioni di salute e gli acciacchi naturali, dovuti all’età molto avanzata (80 anni) di P. Antonio e pure di P. Marco (78 anni), erano peggiorati. P. Antonio ne soffriva, ma non si rendeva conto del tutto della situazione peggiorata, per cui non si decideva a rassegnare le dimissioni e far eleggere o nominare il suo successore, come succede a chi ha un incarico a vita e raggiunge un’età molto avanzata, perdendo la lucidità.

Nel 1852 la situazione era talmente evidente che se ne resero conto sia P. Marco, cofondatore e vicario, sia gli altri religiosi. Questi, secondo P. Vittorio Frigiolini volevano la nomina di un nuovo preposito affinché P. Antonio fosse alleggerito del suo pesante compito e la Congregazione potesse avere un superiore attivo.

L’ostacolo principale e risaputo era la debolezza mentale dovuta all’estrema vecchiaia di P. Antonio, che pensava di essere ancora indispensabile per la direzione dell’Istituto, a tal punto che nessuno sapeva come affrontare l’argomento con lui. Ci si ricordava tuttavia che a volte egli si fosse mostrato disponibile a cedere il suo posto qualora il patriarca si fosse interessato della questione; monsignor Vincenzo Moro, vicario generale del Patriarcato fu messo al corrente.

Questi era confessore e direttore spirituale di P. Antonio. Monsignor Moro ne parlò al Padre e gli consigliò di rimettersi alla volontà del patriarca e di rassegnare le dimissioni; il fondatore accettò. monsignor Moro espose al patriarca, il cardinal Pietro Aurelio Mutti, la condizione di P. Antonio e il legittimo desiderio e la necessità urgente della comunità. Si stabilì che tutti i religiosi, professi e preti, avrebbero indicato il nome del successore tramite schede segrete, nonostante, come sottolinea P. Vittorio Frigiolini, i due fondatori non volessero sentir parlare di capitolo e di voto, perché pensavano che appartenesse a loro de jure la funzione elettiva (in realtà, di nomina).

Monsignor Moro quindi fu costretto a raccogliere tutte le votazioni dei religiosi delle due case di Venezia e di Lendinara in segreto e separatamente. Il patriarca fece lo spoglio delle schede e furono totalizzati sette voti per P. Vittorio Frigiolini, tre voti per P. Sebastiano Casara e tre per P. Giovanni Battista Traiber. Fu una consultazione informale piuttosto che una vera elezione. Il patriarca conobbe così la scelta della Congregazione all’insaputa dei fondatori. Sapeva d’altra parte tramite monsignor Moro che questa chiara scelta della comunità corrispondeva anche all’indicazione che P. Antonio stesso aveva espresso formalmente nel documento del 10 dicembre 1848. Il patriarca chiese allora a P. Antonio di scrivere una lettera nella quale egli stesso proponesse il suo successore, comunicando che l’avrebbe riconosciuto e confermato come tale, senza ledere i diritti dei fondatori e della Congregazione. Il 5 luglio 1852 P. Antonio affidò al vicario generale una lettera redatta dal fratello e da lui firmata, nella quale richiedeva di essere sollevato dal gravoso peso della prepositura e annunciava al patriarca che nominava come preposito P. Vittorio Frigiolini.

Il patriarca accettò le sue dimissioni, e con una lettera del 7 luglio 1852 approvò che monsignor Vincenzo Moro il giorno seguente andasse a comunicare di persona la decisione alla comunità di Venezia riunita. In questo modo i padri fondatori credettero di eleggere essi stessi il nuovo preposito e allo stesso tempo la Congregazione fu soddisfatta vedendo eletto la persona che aveva ricevuto la maggioranza dei suoi voti (Monsignor Moro, infatti, ebbe la bontà di scrivere di suo pugno una lettera personale a ciascuno dei religiosi comunicando il risultato della consultazione effettuata).

Tutti furono soddisfatti e il nuovo preposito era di certo la persona più conveniente e desiderata. Dal punto di vista giuridico, tuttavia, forse non furono rispettati tutti i passaggi della procedura. C’era il problema dell’età estrema dei fondatori e della debolezza mentale di P. Antonio. In più c’era la reticenza caratteristica dei fondatori a lasciare ad altri la direzione della loro “creatura”; e ancora il fatto che il grande amore che i religiosi Cavanis provavano per i Padri impediva loro di prendere decisioni che potessero farli soffrire.

Leggendo la lettera del 5 luglio 1852 di P. Antonio al patriarca, si evince chiaramente che i fondatori credevano fermamente che almeno il maggiore dei due avrebbe avuto il diritto di scegliere il suo successore, in funzione di vicario o come futuro preposito. Egli sosteneva che questo diritto derivava dalla costituzione 7 del capitolo primo delle costituzioni del 1837.

Questa costituzione, in realtà, non parla esplicitamente dell’elezione o nomina del preposito, ma solo in generale della vita interna alla Congregazione. P. Antonio ricorda inoltre che, quando molti anni prima i fondatori avevano interrogato il segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari sulla procedura da seguire per l’elezione di un superiore e su altre questioni relative alla struttura dell’Istituto, si era risposto loro che «dato che i fondatori erano i superiori di diritto de jure, stava a loro dare alla loro corporazione, la forma di governo che ritenevano più conveniente».

Il Padre dunque non aveva domandato al patriarca di nominare il suo successore, presentava solo le sue dimissioni e comunicava al suo ordinario il nome del prescelto. P. Aldo Servini dice bene quando parla di un procedimento præter ius invece di contra ius. Effettivamente i fondatori non avevano mai redatto e fatto approvare la seconda parte delle Costituzioni, che doveva vertere sulla formazione dei congregati, sulle strutture della Congregazione, sul governo, sulle elezioni, sui capitoli; e la Santa Sede da parte sua, per amicizia e con l’intenzione di aiutare i Cavanis, aveva approvato la Congregazione e le Costituzioni, nonostante l’assenza di questa seconda parte così importante e necessaria. Non c’era allora uno ius, ovvero un diritto proprio relativo alle elezioni e/o alle nomine. Questo errore, una sorta di “peccato originale”, causerà non solo le difficoltà che stiamo esaminando nel caso dell’elezione dei primi due successori di P. Anton’Angelo, ma rappresenterà anche occasione e causa di diversi conflitti interni fino almeno al 1891.

1.2 Modalità di elezione/nomina del terzo preposito generale, P. Sebastiano Casara

Il problema giuridico si ripropose qualche mese dopo quando si presentò la necessità di sostituire alla direzione della Congregazione P. Frigiolini improvvisamente defunto.

Il patriarca Pietro Aurelio Mutti fece delle consultazioni con i religiosi Cavanis di Venezia, che manifestarono il desiderio di avere P. Sebastiano Casara come superiore. Il patriarca, con la sua lettera dell’8 novembre 1852, nominò preposito per decreto P. Casara, dichiarando che la “santa memoria” del papa Gregorio XVI, con l’approvazione delle costituzioni, gli conferivano l’autorità di nominare il preposito, essendo egli l’ordinario diocesano.

La Bolla di approvazione e indirettamente, la costituzione 7, in realtà danno agli ordinari la giurisdizione sulle case dell’Istituto, ma non danno loro il potere di nominare i superiori, essendo questa una questione di disciplina interna; inoltre parlano di ordinari al plurale, perché ciascuna casa era sottomessa alla giurisdizione del proprio ordinario diocesano. Secondo quanto osserva acutamente P. Francesco Saverio Zanon, la Congregazione aveva allora un’altra casa, quella di Lendinara, situata nella diocesi di Adria, che ovviamente non sottostava alla giurisdizione dell’ordinario veneziano ma all’ordinario di Adria, sulla quale quindi il Patriarca Mutti, vescovo di Venezia, non aveva potere. Sembra dunque poco probabile che egli avesse il diritto di nominare i superiori provinciali o generali (il preposito provinciale, nel nostro caso) di una congregazione religiosa di diritto pontificio anche nel 1852, cioè prima del Codice dei Diritto Canonico del 1917.

2. L’epoca di P. Sebastiano Casara, il “secondo fondatore” nella Congregazione e nel mondo

2.1 La prima serie di mandati di P. Sebastiano Casara (1852-1863)

Dato che questa opera è stata scritta nella sua prima redazione a Kinshasa, da un religioso Cavanis impegnato nella vita pastorale nella Repubblica democratica del Congo, ricorderò in primo luogo che Padre Sebastiano Casara dà il suo nome al nostro noviziato Cavanis a Kinshasa. È uno dei nostri «antenati» spirituali più importanti, senza dubbio il più colto; dopo i nostri fondatori è certamente il più tipico dei religiosi Cavanis, e, secondo chi scrive, uno dei più santi fra noi. Non la pensa così solo chi scrive quest’opera. Il venerabile P. Basilio Martinellidefinisce P. Casara, nei suoi Pensieri: l’uomo «tutto proteso verso la volontà di Dio». Qualche mese prima di morire, P. Basilio diceva a P. Aldo Servini, più tardi postulatore della causa di beatificazione dei fondatori: «Non ho mai conosciuto nella mia vita qualcuno più santo di P. Casara».

Per una conoscenza più approfondita di P. Sebastiano Casara, rinvio alla lettura della sua biografia nel libro coordinato da P. Diego Beggiao, come pure alle due altre parti del libro, sulla sua attività e produzione filosofica e sulla sua partecipazione attiva alla vita della chiesa che è in Venezia e nel Veneto; e ancora alla sua biografia nella Positio dei fondatori dove essa è molto più breve e sintetica.

Sebastiano nasce a Venezia il 15 maggio 1811, a S. Samuele nella parrocchia di S. Stefano, e fu battezzato nella chiesa di S. Vidal, prossima a quella di S. Stefano. Era figlio di Francesco Casara e di Vittoria Franchini, originari di Malo in Provincia di Vicenza. Suo padre era un commerciante d’alimentari, quindi un biadaiolo, con vari negozi; era stato ricco una volta, ma si era ridotto quasi in povertà successivamente. Aveva un altro figlio, fratello maggiore di Sebastiano, che lo aiutava nel commercio, ma era morto. La coppia Casara sopportò la disgrazia con molto coraggio e fede. Era una famiglia davvero cristiana e avevano una grande stima dei padri Cavanis. La famiglia aveva sofferto diverse prove in molte circostanze e in modi differenti.

Sebastiano, con il nome completo di Sebastian [sic] Domenico Antonio, fu battezzato nella chiesa parrocchiale di S. Stefano il 18 maggio 1811, quattro giorni dopo la nascita, dal vicario della chiesa vicariale di S. Vitale (S. Vidal). Ricevette in famiglia la prima formazione cristiana.

Nell’anno scolastico 1816-17 Sebastiano accede alla scuola elementare gratuita dei Cavanis, a cinque anni, assieme al fratello, e dimostra grande intelligenza e una discreta propensione allo studio. Deve però interrompere gli studi a 11 anni, quindi probabilmente nel settembre 1822 e alla fine delle scuole elementari o della prima ginnasio, e fino agli ultimi mesi del 1828, perché soffriva di una malattia agli occhi e, secondo il parere dei medici dell’epoca, gli studi gli avrebbero causato la cecità definitiva. Per alcuni anni, passa dunque a lavorare nell’impresa paterna, cioè nel negozio di biadaiolo, a S. Barnaba, essendo dunque biadaiolo egli stesso. In questi anni viene cresimato, il 6 agosto 1820, nella sua parrocchia di S. Stefano .

Ma Sebastian non poteva allontanarsi dal “suo” Istituto: l’8 settembre (festa della natività di Maria) 1828, con un gesto improvviso, entra come postulante nella comunità dell’Istituto Cavanis, che viveva già nella «casetta» da 8 anni, e riprende i suoi studi ginnasiali a 17 anni, probabilmente dalla seconda alla sesta ginnasiale, frequentando cioè prima la seconda, terza e quarta classe di Grammatica, poi la prima e seconda di Umanità, con risultati variabili.

Nella sua cartella, nella posizione archivistica suddetta, è conservato l’Attestato finale del suo corso ginnasiale rilasciato dal Ginnasio Patriarcale in Venezia il 1° settembre 1831, valido per l’ammissione al Liceo.

La tabella che consta nell’attestato comprende i seguenti anni, classi e materie, e Sebastiano vi aveva riportato le seguenti classificazioni:

Anno

 

Nei costumi e nella disciplina scolastica

Nella Istruzione Religiosa

Nella Lingua Latina e nello Stile

Nella Storia e Geografia

Nella Arit-metica

Nella Mate

matica

Nella Lingua greca

Osservazioni

 

Nella 1.ª- classe di Grammatica

Semestre primo

cl. =

cl. =

cl. =

cl. =

cl. =

 

cl. =

Non esistono classificazioni della Iª

Studiò nelle scuole di Carità presso i Sacerdoti Cavanis

Dall’anno 1822 all’anno 1828 non studiò per malattia.

Privatista

Semestre secondo

cl. =

cl. =

cl. =

cl. =

cl. =

 

cl. =

1820-21

Nella 2.ª- classe di Grammatica

Semestre primo

cl. Em.

cl. Em.

cl. Pma

cl. Em.

cl. Em.

 

cl.

Semestre secondo

cl. Em.

cl. Em.

cl. Em.

cl. Em.

cl. Em.

 

cl.

1821-22

Nella 3.ª- classe di Grammatica

Semestre primo

cl. Em.

cl. Em.

cl. Em.

cl. Em.

cl. 2da

 

cl. P.ma

Semestre secondo

cl. Em.

cl. Em.

cl. Em.

cl. Em.

cl. 2da

 

cl. Em.

1828-29

Nella 4.ª- classe di Grammatica

Semestre primo

cl. =

cl. Em.

cl. Acc

cl. Acc.

cl. Em.

 

cl. Pma.

Semestre secondo

cl. =

cl. Em.

cl. Acc

cl. Em.

cl. Em.

 

cl. Acc.

1829-30

Nella 1.ª- classe di Umanità

Semestre primo

cl. =

cl. Em.

cl. 2da

cl. 1ma

 

cl. Pma

cl. 2da.

Semestre secondo

cl. =

cl. Em.

cl. 2da

cl. 2da

 

cl. Acc.

cl. Pma.

1830-31

Nella 2.ª- classe di Umanità

Semestre primo

cl. =

cl. Em.

cl. Acc

cl. Acc.

 

cl. Em.

cl. Acc.

Semestre secondo

cl. =

cl. Em.

cl. Em.

cl. Acc.

 

cl. Em.

cl. Acc.

L’ultima colonna dell’attestato mette in risalto che era privatista. Non è chiaro se avesse frequentato i corsi da privatista, cioè senza essere seminarista diocesano e senza risiedere in seminario ma in Istituto, o se, come sembra più probabile, abbia frequentato il corso ginnasiale nelle Scuole di Carità – come dice l’attestato nella colonna di destra – e abbia sostenuto da privatista gli esami in seminario alla fine di ogni anno.

Non si parla del liceo. Per gli ecclesiastici il liceo doveva in pratica essere sostituito dal corso di filosofia. Infatti, dopo l’ultimo anno scolastico di ginnasio (Umanità) nel 1830-1831 Casara (come pure gli altri religiosi e preti suoi colleghi) passò direttamente al biennio filosofico e poi al quadriennio teologico. Il Liceo tuttavia esisteva per i laici.

Mise l’abito ecclesiastico l’8 dicembre 1829, all’inizio della prima classe ginnasiale di Umanità, e nel corso del II anno di Umanità ricevette la tonsura dal Patriarca Monico l’8 dicembre 1830, a Venezia, ambedue le volte nell’oratorio della comunità; ricevette inoltre gli ordini minori dell’ostiariato, lettorato ed esorcistato il 22 settembre 1832dal cardinal patriarca Monico, nel corso di un pontificale in S. Marco; analogamente ricevette l’ordine minore dell’accolitato nelle Tempora autunnali, dal Patriarca a S. Marco, il 21 settembre 1833.

Nel 1833 Casara riceve anche, in altro campo, l’abilitazione all’insegnamento nella scuola elementare.

Fra il 1831 e il 1837 frequenta il corso biennale di filosofia (1831-32 e 1932-33) e il corso quadriennale di teologia (dal 1833 al 1837) nel seminario patriarcale, concludendo con lode, anzi più esattamente con “eminenza” in tutte le materie.

Documenti ritrovati nell’AICV ci permettono ora di entrare più nel dettaglio. Nella sua cartella, più volte citata, in AICV, esiste infatti un originale di “Assolutorio degli Studi Filosofici” del 15 settembre 1833, a stampa, con gli spazi punteggiati compilati a penna, in cui nella colonna “Diligenza” si trova scritto “molto diligente” in tutte le righe e spazi relativi alle materie in tutti e due i semestri di tutti e due gli anni scolastici 1831-32 e 1832-33; e nella colonna “Progresso” si trova sempre, analogamente, “Eminenza”. Quanto all’item “La di lui condotta morale fu conforme alle Leggi accademiche” le caselle corrispondenti a semestri e anni riporta la dicitura “Eminentemente conforme”. Il formulario sembra essere un modulo dello stato, non della Chiesa. Infatti, nelle prime righe riporta la frase “presso l’I.R.[Imperial Regio] …….” dove I.R. è cancellato e lo spazio punteggiato è completato con “Seminario Patr.le”. Anche il bollo lineare è del Seminario Patriarcale di Venezia, anche se poco leggibile.

Le materie sono nel primo anno: Religione, Storia Universale, Filosofia, Matematica Pura Elementare, Filologia Latina; nel secondo anno sono: Religione, Storia Universale, Filosofia, Fisica, Filologia Latina. Vi si parla di “Facoltà Filosofica”.

Nella stessa cartella, esistono anche due copie originali dell’“assolutorio”, del corso teologico quadriennale, ambedue intestate al “Regno Lombardo-Veneto. Governo di Venezia”, in cui “’I[mperial] R[egio] Direttore dello Studio Teologico presso il ……..” [Spazio riempito con la dicitura a penna “Seminario Patriarcale”]. A chiunque dichiara che il Sig. Casara Sebastiano figlio del Sig. Francesco nativo di Venezia ha regolarmente compiuto in quest’anno 1837 il corso quadriennale dello Studio Teologico riportando ne’ pubblici Esami le seguenti classificazioni”.

Nel primo anno (1833-34) sono riportate le seguente materie obbligatorie (ed esami corrispondenti):

  1. Storia Ecclesiastica con riflessioni sopra la Patrologia, e Storia Letteraria Teologica;
  2. Lingua ebraica;
  3. Archeologia Biblica;

Esegesi;

  1. Introduzione ai Libri del vecchio Testamento.

Nel secondo anno (1834-35) le materie obbligatorie sono le seguenti:

  1. Lingua Greca;

Esegesi;

  1. Ermeneutica biblica;
  2. Introduzione ai Libri del nuovo Testamento,
  3. Diritto Ecclesiastico;
  4. Pedagogia in ambedue semestri

Nel terzo anno (1835-36) le materie obbligatorie sono le seguenti:

  1. Teologia Dogmatica;
  2. Teologia Morale.

Nel quarto anno (1836-37) le materie obbligatorie sono le seguenti:

  1. Teologia Pastorale;

Catechetica;

  1. Metodica.
  1. Nella colonna a destra, per le classificazioni, a tutte le materie di tutti i quattro anni si trova la nota “Eminenza”.

Il documento si conclude con la frase, stampata, fuorché la classificazione o giudizio che è a penna e qui indicata tra virgolette, “La condotta del mentovato alunno fu “eminentemente” conforme alle Leggi academiche. In fede di che gli ho rilasciato il presente Assolutorio da me sottoscritto e munito del Sigillo della Direzione dello Studio Teologico. Venezia, il 5 del mese di Settembre 1837”. Il bollo lineare è lo stesso che nell’Assolutorio di Filosofia e parimenti quasi illeggibile, ma comunque del seminario Patriarcale. Le due copie dell’Assolutorio o pagella hanno date differenti, essendo state richieste probabilmente in date differenti dall’interessato, per motivi differenti: La prima copia è del 29 agosto 1837; la seconda del 5 settembre 1937.

Anche se è difficile oggi stabilire a quale tipo di studi corrispondessero esattamente quelli compiuti dal Casara e dai suoi colleghi del Seminario Patriarcale di Venezia in quegli anni, pare certo che si tratta di studi non solo seminaristici, cioè volti a preparare i candidati a ricevere gli ordini sacri e a permettere loro di esservi ammessi e di riceverli; risulta che si tratta di studi accademici (il termine ritorna frequentemente) di una Studio rispettivamente Filosofico e teologico; il documento Assolutorio degli studi teologici è poi dato in formulario fornito dal Regno Lombardo-Veneto e quindi riconosciuto dallo stato.

Nello stesso anno 1837 inoltre il giovane Casara in data 10 agosto 1837 ricevette un certificato dall’“Imperiale Regio Ispettorato Generale delle Scuole Elementari Venete” che dichiara aver il Casara frequentato il corso di catechetica (contenuto e metodo) ed aver sostenuto il 4 agosto 1837 l’esame davanti al Patriarca [Jacopo Monico] e l’I.R. Consigliere ed Ispettore Generale delle Scuole Elementari nelle Venete Provincie [D. Giorgio Pancia], che firma il certificato o diploma che sia], e che “ha meritato per la Catechetica il grado di Prima Classe con Eminenza e per la Metodica il grado di Prima Classe con Eminenza”.

Per comprendere ciò che Casara pensava di se stesso e dei suoi studi, come fervido rosminiano, e sul fatto che si riteneva tuttavia un tomista di formazione e di pensiero, è importante riferire su questo periodo di studi due commenti che egli stesso scriverà, pochi anni prima della morte: “attesi con grande amore alle lezioni pei quattro anni dei Corsi teologici” e: “Studiai io Dogmatica sotto un dottissimo Domenicano, tomista vero all’antica per istituzion ricevuta, e per lungo studio fatto da se con amor grande e forte intelligenza (…).

Divenni quindi io pure tomista, né tanto per la molta stima che meritava il Lettore, quanto perchè mi persuadevano i suoi insegnamenti, me ne sentivo appagato l’animo dalle dimostrazioni, e consolata la fede dalla bella luce che riflettevano sulle infallibili verità apprese dal Catechismo”.

Casara, dopo i suoi studi seminaristici di filosofia e di teologia, frequentati come si diceva presso il seminario patriarcale di Venezia, non compì altri studi di livello universitario. Lo fa capire egli stesso in un articolo del 1894, dicendo non essere “Dottor laureato”. Per la verità, questo articolo uscì anonimo, ma non c’è dubbio che l’autore ne sia P. Casara. Egli continua nello stesso articolo: “Potrei dire di non aver interrotto mai per quanto potevo, uno studio sopra ogni altro a me caro nei quasi sessanta miei anni di sacerdozio”.

Tale assenza di studi accademici, oltre a quelli strettamente necessari per accedere agli ordini sacri, che forse conducevano al grado di Baccalaureato, forse a quello di Licenza, forse a nessun grado accademico formale, si deve spiegare con la necessità di personale insegnante per le proprie scuole dell’Istituto Cavanis. Casara dovette così cominciare ad insegnare già da seminarista alle scuole elementari dell’Istituto, dal 1833 almeno, ancora chierico di ordini minori, e non interruppe mai l’insegnamento nei livelli gradualmente superiori delle Scuole di Carità.

Si noti che a quel tempo non era possibile compiere studi universitari a Venezia, non essendoci un’università fino al secolo XX, e non era possibile neanche frequentare corsi all’università di Padova, che era la più vicina, e contemporaneamente insegnare a Venezia, data la difficoltà dei viaggi a quei tempi. Andare a Padova, prima in barca fino a Mestre o a Fusina, poi con le carrozze a Padova, richiedeva una giornata completa ogni volta. Deve essere stata una sofferenza e una grande rinuncia per lui, così appassionato degli studi. Sostenne tuttavia almeno 4 esami presso l’Università di Padova nel 1840, come si dirà più sotto.

Casara, ancora seminarista, il 29 novembre 1832 dovette conoscere personalmente con ogni probabilità, dato che abitava in comunità a Venezia e operava nelle scuole, il sacerdote e filosofo Antonio Rosmini-Serbati, fondatore della Congregazione della Carità, detta dei Rosminiani, e di recente dichiarato beato (18 novembre, 2007), quando costui visitò l’Istituto Cavanis a Venezia con il benefattore dell’Istituto Cavanis, il conte Giacomo Mellerio di Milano. L’abate Rosmini durante la sua visita forse lasciò in dono all’Istituto una serie delle sue pubblicazioni. Le Memorie della Congregazione, scritte dal P. Marco, descrivono così la visita di Rosmini e del Mellerio:

“29 detto — Fu visitato in questa mattina l’Istituto da S.E. il Co.  Giacomo Mellerio milanese nostro antico benefattore, il qual venuto in compagnia del Co. Ab. Antonio Rosmini fondatore di un pio Istituto in Trento ci raddoppiò l’allegrezza, ed avendo esaminato con molta benignità ambedue gli Stabilimenti se n’è dimostrato soddisfattissimo.

In tale incontro ci riuscì pure assai caro il sentire da detto Co. Mellerio esser egli stato educato dai Padri delle Scuole Pie, scoprendo così un nuovo titolo per cui possiamo prometterci il di lui cordiale interesse a favore di un Istituto, quale si è il nostro, posto sotto gli auspicj del Santo Fondatore delle medesime Scuole Pie. Dall’Ab. Rosmini poi abbiamo avuto la sorpresa graditissima di sentirsi annunciare un recente Decreto sovrano favorevole alle Congregazioni ecclesiastiche sul proposito degli studj, del qual Decreto ha promesso pur di mandarcene la versione italiana, aggiungendo la gentil espressione del desiderio che si mantenga scambievole la corrispondenza fra noi.”

È molto interessante riprodurre qui integralmente anche la lettera che il Rosmini scrisse al P. Marco, un paio di mesi più tardi, commentando la sua recente visita e fornendo copia e traduzione di un documento sulle scuole richiesto dai padri:

“Carissimo e venerat.mo Sig.r Don Marc’Antonio.

La conoscenza per me fatta di lor Signori nella mia ultima gita a Venezia, e la visita de’ loro stabilimenti, mi ha cagionato e lasciato nell’animo dolce consolazione. Ne ho ringraziato Iddio di cuore, che ispirò loro sì utili pensieri, pregandolo di benedirne la bella impresa sino alla fine. Avendo la Provvidenza fatto che mi ritrovi anch’io aver alle mani la formazione di qualche casa religiosa e di qualche collegio, non è maraviglia se senta per essi non solo stima, ma una speciale propensione di affetto. E però mi permettano di considerarli come miei fratelli nel Signore, ed abbiano la carità di considerare e trattare anche me come un loro fratello e compagno. E mi è caro di aver occasione di scriver loro anche per dirgli queste cose.

Vedrà qui il decreto sovrano che ho promesso mandarle: desidero che possa esserle utile; la traduzione è cattiva, ma però fedele: mi scusi se qui non ho un traduttore migliore. Aggiungo qui due monete, pregandola di celebrare una messa secondo la mia intenzione; e la prego di avermi presente sempre d’innanzi a Dio.

I miei rispetti e saluti più affettuosi a don Anton’Angelo; e le bacio le mani.

Domodossola 21 dell’a. 1833

Ps. — La prego di salutarmi i suoi compagni, e raccomandarmi alle loro orazioni.

Suo Umiliss. Obbl.mo e Affez.mo Antonio Rosmini Serbati P.

Casara fu ordinato suddiacono il 24 settembre 1836 dal patriarca Jacopo Monico sull’altare maggiore della basilica patriarcale e cattedrale di S. Marco, nelle tempora di settembre; diacono il 25 marzo 1837, dal patriarca Monico, nella sua cappella del palazzo patriarcale; il 23 settembre 1837 è ordinato prete come membro dell’Istituto Cavanis.

Già da seminarista aveva collaborato con l’educazione degli allievi delle scuole dell’Istituto; da prete poi vi si dedicò in pieno, fino alla morte.

Indossò l’abito religioso specifico dell’Istituto, la talare (che come ecclesiastico portava già), la fascia, la pazienza e il bavero, assieme con il P. Marco Cavanis e vari confratelli il 15 luglio 1838, il giorno prima dell’erezione canonica dell’Istituto; professò i voti semplici lo stesso giorno.

Questi due avvenimenti corrispondono al momento molto importante dell’erezione canonica della congregazione e della vestizione e professione religiosa dei due stessi fondatori. Come religioso di questa Congregazione, ora di diritto pontificio, Sebastiano fece parte dunque del gruppo dei primi compagni dei fondatori, anche se più giovane rispetto a loro.

Nel 1838 ci fu per P. Casara un grande avvenimento: compì un viaggio a Milano con P. Marco, con una lunga permanenza fuori Venezia di quasi due mesi, e varie tappe ricche di avvenimenti e incontri all’andata e al ritorno.

Scopo principale del viaggio era stato quello di richiedere e ottenere, come accadde difatti, un’udienza con il viceré del Lombardo-Veneto, il Principe Ranieri Giuseppe d’Asburgo-Lorena, arciduca d’Austria, per domandargli di accettare la dedica del volumetto “Notizie intorno alla Fondazione ecc.”, e poi per presentarglielo stampato e rilegato in omaggio. P. Marco portava con sé il suo amatissimo discepolo (e poi successore) don Casara anche per presentarlo al viceré e all’ambiente del vice-regno, come aveva fatto portando con sé analogamente a Vienna, per visitare l’Imperatore, don Giuseppe Marchiori, un paio di mesi prima; il fondatore voleva preparare i giovani sacerdoti dell’Istituto a continuare la sua opera di relazioni pubbliche e al tempo stesso farli conoscere dalle autorità.

La relazione del lungo viaggio, con le sue numerose tappe e le molte visite e attività, questa volta è completamente di mano del giovane sacerdote che accompagnava P. Marco, appunto il Casara. Vi si descrivono in dettaglio tutti gli avvenimenti e le visite. Tra queste visite ce n’è una che pone al lettore una questione intrigante, se si legge in testo non nel documento originale, ma nella trascrizione, più comoda, nel volume V dell’Epistolario, alle pagine 327-341. L’Istituto Cavanis aveva ricevuto una visita cordialissima dell’abate Antonio Rosmini a Venezia nel 1832, e P. Marco aveva mantenuto poi una certa corrispondenza con lui. Era abbastanza naturale dunque che i due religiosi recandosi a Milano lo visitassero, e ci si aspetterebbe che a desiderare di visitarlo fosse soprattutto il nostro filosofo in erba. Qui riportiamo il breve testo che si riferisce all’incontro con Rosmini del P. Marco Cavanis, chiamato qui come in quasi tutta la relazione “il Superiore”:

“4 giugno [1838], lunedì – Si visitò Monsignor Turri, e al dopo pranzo il Superiore si recò a visitare il degnissimo Abate Rosmini e ad intendersi col Libraio editore per la spedizione a Venezia delle opere di esso Rosmini.”

Questo testo – letto nell’Epistolario – purtroppo assai laconico, contraddirebbe ciò che si è spesso detto, ossia che il P. Casara si incontrò con l’abate Antonio Rosmini a Milano nella primavera del 1838; in realtà sembrerebbe proprio che non fosse così.

La relazione del viaggio a Milano scritta personalmente dal Casara, si può dividere – sull’esempio dei diari di viaggio contenuti negli Atti degli Apostoli – si parva licet comparare magnis – in due sotto-generi letterari: qui, nello scritto di Casara, si distinguono chiaramente le porzioni di relazione-essi (ossia in terza persona plurale, oppure con la forma impersonale: “Si visitò”, per esempio, come sopra) e le porzioni di relazione-egli (ossia in terza persona singolare, cioè con riferimento al “Superiore”, P. Marco). Sembrerebbe proprio, in questo contesto, che 1) P. Marco dopo aver visitato al mattino, insieme al giovane Sebastiano, Mons.r Turri (III persona plurale, rappresentata dall’impersonale), al pomeriggio andò da solo (III persona singolare) a visitare l’abate Rosmini: sia perché si scrive nella relazione “il Superiore si recò a visitare il degnissimo Abate Rosmini”; sia perché P. Casara non scrive nessun dettaglio sull’incontro tra i due santi ecclesiastici. Inoltre 2) Si deduce che Rosmini dette in dono a P. Marco una serie delle sue opere scritte fino a quell’anno, e che dovevano essere parecchie, perché P. Marco le inviò a Venezia per posta, tramite l’editore Pirola.

È più probabile che questa sia la prima volta che l’abate Rosmini abbia fatto dono ai padri di sue pubblicazioni, anziché nel novembre 1832, in occasione della sua visita all’Istituto Cavanis a Venezia, come si è detto a volte senza apparente fondamento.

Seguendo il testo come trascritto nell’Epistolario, sembrerebbe senza dubbio strano che il nostro filosofo, giunto a Milano e per così dire a portata di mano, lui che, a detta di P. Zanon, “avea il Rosmini, come si dice, in succo e in sangue”, non avesse partecipato assieme al P. Marco all’incontro con il Roveretano, che doveva essere, secondo alcuni, già allora il suo mentore spirituale e intellettuale, pur da lontano.

In realtà, Casara vide il Rosmini assieme al P. Marco, il sabato 2 giugno 1838, e quest’ultimo lo vide due volte, il sabato 2 giugno e il lunedì 4 giugno 1838; e l’impressione sbagliata di cui sopra dipende da un errore del copista, raro nell’Epistolario prodotto da P. Aldo Servini, che è stato di abitudine molto accurato. Dove si vede l’importanza di esaminare i testi sempre nell’originale, quando disponibile, come nel caso. Si tratta di un caso evidente di lacuna per omeoteleuto (o homeoteleuton), ben conosciuta da chi si occupa di critica del testo.

Casara non ebbe altre occasioni di incontrarsi con il suo Maestro, il Roveretano: lo scrive lui stesso molto più tardi, probabilmente nel 1864. Infatti, nelle bozze della voce “Rosmini Serbati Abb. Antonio”, da lui preparata per l’Enciclopedia Ecclesiastica in otto volumi, in preparazione a Venezia (1854-1864), voce che venne totalmente censurata ed esclusa dal patriarca Angelo Luigi Trevisanato, e quindi non pubblicata, scrive del Rosmini: “Non lo vidi io che due volte, e per brevi momenti”. Si tratta senza dubbio della visita del Rosmini a Venezia il 29 novembre 1832 e dell’incontro a Milano il 2 giugno 1838.

È possibile che il suo interesse per Rosmini si sia rinforzato nella lettura delle opere da questi donate, e anche dal fatto che P. Casara, in questi anni, stava diventando in qualche modo un professionista della filosofia.

Nel mese di ottobre 1839, durante le vacanze scolastiche autunnali, troviamo P. Bastian in villeggiatura a Malo in provincia di Vicenza, senza dubbio presso parenti (i suoi genitori erano infatti di Malo, come si è detto); è assieme al seminarista Giuseppe Rovigo, certamente per ottemperare alla costituzione 5, e nota 1, del capitolo VI delle costituzioni del 1837 recentemente approvate e messe in vigore. Nell’occasione, Casara fa una scappatella un po’ seria: forse approfittando di un’occasione, da Malo, probabilmente scavalcando i Monti Lessini per il passo del Pian delle Fugazze e via Rovereto, raggiunge Trento, senza avvisarne i superiori, salvo dopo compiuto il fatto; ne viene rimproverato, sia pure dolcemente, da P. Marco, e ne riceve il titolo di baroncello, un titolo scherzoso ma non tale da aggiungere al curriculum vitae!

Nel 1840 Casara riceve l’abilitazione per insegnare nel ginnasio, dopo aver superato non meno di quattro esami presso l’antica Università di Padova, una delle prime e delle più illustri università dell’occidente. Nell’anno scolastico 1843-44 e/o 1844-45 insegna Umanità nel ginnasio, che prende il nome di “Ginnasio della Congr.ne delle Scuole di Carità”. Da notare che il Prefetto [delle scuole] di detto ginnasio è il P. Marco.

Dal 1840, a 29 anni, è già professore di filosofia dei seminaristi Cavanis, e nel 1841 è coordinatore del corso stesso, prova della stima dei fondatori nei suoi confronti. In seguito divenne anche professore di teologia e mantenne questa cattedra di teologia per i chierici Cavanis per più di quarant’anni; fu anche professore di matematica e di fisica nello stesso seminario Cavanis. Nel 1841 si informò presso l’amico don Bernardo Fusari su quali testi usassero i religiosi rosminiani nell’insegnamento della filosofia; “onde adottarli egli stesso per i propri chierici; ed espresse in quell’occasione profonda stima per il ‘grand’Uomo’ e desiderio di divulgarne la dottrina.”

In seguito, per diversi anni, abbiamo poche sue notizie. Rimane comunque vincolato alla casa di Venezia, soprattutto perché professore nello Studio Filosofico e Teologico Cavanis. Il 4 aprile 1840 era, nel corso di filosofia, professore di Religione, Logica, Metafisica ed Etica: ne era insomma l’insegnante principale, anche se uno dei suoi colleghi, un laico, il prof. Bartolomeo Bizio aveva il dottorato nell’Università di Padova. Il 28 aprile 1840 P. Marco chiede alla santa Sede, tramite Don Carlo Augustinis, la licenza di leggere libri proibiti per il P. Casara che, come professore di filosofia e teologia, ne aveva certo bisogno, di quei tempi.

Nell’autunno 1841 troviamo Casara, con il P. Marchiori e il seminarista Da Col, “villeggianti” a Lendinara. Ma non era solo uomo da vacanze. Nel novembre dello stesso anno, lo troviamo impegnatissimo nelle scuole, nello studio Cavanis filosofico e teologico, nella burocrazia e nelle relazioni pubbliche, ormai chiaramente uomo di governo, in assenza di P. Marco che si trova a Vienna e con P. Antonio ormai ammalato.

Si può anche notare che, a partire più o meno da quest’anno, P. Marco scriveva di solito a P. Casara – che ancora non aveva nessuna carica ufficiale – sia sugli affari delle nostre scuole di Venezia, della studio filosofico e teologico, e della Congregazione, quando era in viaggio. Era il suo uomo di fiducia.

Durante il 1845 e fino al 1848 accadde però una certa svolta: a questa non è estraneo il fatto che il 19 dicembre 1844 era entrato in Congregazione il P. Vittorio Frigiolini, sacerdote proveniente dalla diocesi di Novara e più esattamente da Varallo. Già il 16 aprile 1846 P. Antonio, preposito, scrive al patriarca Monico proponendo per l’anno scolastico 1846-1847 i nomi dei quattro professori di teologia dello studio teologico Cavanis che la commissione aulica degli studi dello stato richiedeva, anziché i tre che fino allora l’Istituto aveva potuto provvedere. Il quarto era il Frigiolini.

La proposta comprende i seguenti:

  1. P. Giovanni Paoli Studi biblici e lingue ebraica e greca pel primo e secondo anno;

P. Vittorio Frigiolini Storia ecclesiastica e Diritto Canonico;

  1. P. Sebastiano Casara Teologia Dommatica e Morale;
  1. P. Pietro Spernich Teologia Pastorale, Catechetica, Metodica e Pedagogia.

Gradualmente P. Frigiolini passerà ad essere l’uomo di maggior fiducia per i fondatori, e soprattutto per il preposito P. Antonio, finché nel 1848 stileranno il documento di nomina segreta a successore di quest’ultimo, come si è detto sopra. Una prova può esserne un fatto numerico: nel volume VI dell’Epistolario (anni 1841-45), a partire dalla pag. 504, che corrisponde al primo contatto di P. Marco con il Frigiolini, nelle pagine dunque che corrispondono al periodo 16 ottobre 1844 alla fine del 1845, viene citato P. Casara 13 volte (41,9%), P. Vittorio Frigiolini 18 volte (50%); il secondo già supera il primo, ma non eccessivamente. Ma nel VII volume intero (1846-1850) la situazione cambia: P. Casara è citato 15 volte (27,27%), P. Frigiolini 40 (72,72%). La cosa è significativa. Bisogna notare però che in realtà molte lettere sono inviate all’indirizzo di Casara o di Frigiolini, ma sono dirette a P. Antonio Cavanis, che era cieco e non poteva leggerle personalmente.

P. Casara è stato presentato fin qui piuttosto come l’intellettuale della Congregazione. È bene però sottolineare qui altre caratteristiche della sua personalità: il suo carattere semplice, entusiasta, un po’ ingenuo – il patriarca Giuseppe Sarto nell’elogio funebre gli attribuiva “la semplicità del fanciullo innocente” –, pieno di sentimento, di fede, di gioia, come ci può indicare la sua seguente letterina a P. Marco, che a Vienna aveva ottenuto un grande successo a proposito degli studi filosofici e teologici dei seminaristi Cavanis a domicilio, anziché nel seminario patriarcale. La risoluzione sovrana favorevole all’Istituto era poi retroattiva, rendendo validi gli studi che i seminaristi avevano compiuto in antecedenza in ambiente “domestico”, obbedendo ai superiori e “in spe contra spem”. Ecco la letterina, aggregata a varie altre:

“Evviva! Evviva! Evviva! Me la sentiva sì io che la dovea riuscir bella; ma tanto bella, così compita, sì lieta non già. Siane benedetto Iddio, la Mamma, l’Imperatore, la Imperatrice, i Principi, e il P. Marco! Sì il P. Marco benedetto! che ne ha un merito incalcolabile, e a cui la Congregazione sarà eternamente obbligata. Che giubilo! che esultanza! che tripudio! che ne facemmo noi e gli altri amorevoli ai quali la abbiamo comunicata. Un miracolo, un prodigio, un portento tutti lo dicono e lo confessano, ma bello, bello, bellissimo, stupendissimo. Oh benedetta la bontà del Signore!

Chiudo perché il tempo ristretto vuole così. Ella imagini molte altre cose di questo tenore, che tante altre ne vorrei dire. Mi saluti il mio Beppi e mi creda il suo amorosissimo

P. Bastian.”

È interessante, di passaggio, il seguente prospetto completo dei responsabili e insegnanti delle scuole Cavanis ginnasiali e elementari del 1849-1850. Si noti che alcuni degli insegnanti, come il Maderò e il Bonlini, ecclesiastici, sono amati e stimati collaboratori volontari e membri della comunità, ma non sono religiosi Cavanis; don Pietro Maderò però viveva in comunità, nella “casetta” con i religiosi; il Signor Tommaso Castellani invece è un laico stipendiato. Alcuni sono prestanomi: particolarmente P. Anton’Angelo, che per la situazione di salute senza dubbio non poteva più occuparsi personalmente della scuola. Anche P. Marco, con i suoi impegni e viaggi, faceva senza dubbio ciò che poteva.

PROSPETTO DELLE SCUOLE CAVANIS 1849-1850

Scuole Ginnasiali pubbliche

Prefetto P. Marcantonio Cavanis

Catechista D. Pietro Maderò

Classe II Umanità N.U. Ab. D. Federico Bonlini

Classe I Umanità P. Giovanni Pauli

Classe IV Grammatica P. Sebastiano Casara

Classe III Grammatica P Giuseppe Da Col

Classe II Grammatica P. Giuseppe Rovigo

Classe I Grammatica Ch.o Paolo Chiozzotto

Scuole Elementari Minori pubbliche

Direttore P. Anton’Angelo Cavanis

Catechista P. Marcantonio Cavanis

Classe II e Sez.e

Superiore Sig.r Tommaso Castellani

della I Classe

Classe I Sez.e inferiore Ch.o Antonio Fontana

Venezia 19 aprile 1850

P. Marcantonio Cavanis.

Ritornando ai rapporti del Casara con il suo maestro “a distanza”, la sua prima lettera all’abate Antonio Rosmini è del 1847. In questa lettera, come nella precedente inviata ad un rosminiano esprime amore, stima, venerazione, affetto verso Rosmini e una grande convinzione a riguardo delle sue teorie e del suo metodo. Nel complesso, il carteggio Casara-Rosminicomprende le seguenti lettere:

  1. Casara a Rosmini, da Venezia, il 2 giugno 1847 (minuta conservata in AICV, Fondo Casara, busta 4, corrispondenza filosofica, cartella del carteggio Casara-Rosmini e Casara-Civiltà Cattolica);
  2. Casara a Rosmini, da Venezia, il 21 ottobre 1853 (conservata in ASIC, A.1, XXVIII-I, fogli 169-170);
  3. Rosmini a Casara, da Stresa, il 27 ottobre 1853 (conservata in AICV, Fondo Casara, busta 4, corrispondenza filosofica, cartella del carteggio Casara-Rosmini e Casara-Civiltà Cattolica);
  4. Casara a Rosmini, da Venezia, l’8 dicembre 1854 (conservata in ASIC, A.1, XXX-I, foglio 592);
  5. Rosmini a Casara, da Stresa, il 22 gennaio 1855 (AICV, Fondo Casara, come sopra);

L’anno 1852 è di grande cambiamento nella sua vita. Padre Vittorio Frigiolini diventa preposito generale (6 luglio 1852-21 ottobre 1852) e muore prematuramente. Padre Casara è allora nominato preposito generale dal Patriarca di Venezia l’ 8 novembre 1852, dopo una consultazione dei confratelli e dei fondatori, che erano molto vecchi e malati. P. Marco era anzi quasi in fin di vita. P. Sebastiano aveva allora quarantun anni.

Era molto stimato e amato dai confratelli, e egli contraccambiava cordialmente questi sentimenti, come si può vedere da innumerevoli lettere, biglietti e post-scripta cordiali, divertenti, scherzosi, seri, in italiano e a volte in dialetto, ma sempre tutti molto fraterni. Se padre Anton’Angelo non avesse fatto il nome di P. Vittorio Frigiolini come secondo superiore generale, i confratelli forse avrebbero scelto P. Casara; morto P. Frigiolini, il suo nome era chiaramente nei cuori dei confratelli però egli era angosciato perché era umile e avrebbe preferito occuparsi dell’insegnamento, dell’educazione e della ricerca ilosofica piuttosto che del governo dell’Istituto.

Padre Casara ricopre il ruolo di preposito generale per diversi mandati, dal 1852 al 1863, e questa fu la prima fase del suo governo della congregazione. Come già scritto sopra, fu nominato preposito generale dal patriarca Pietro Aurelio Mutti, l’8 novembre 1852, con una lettera a P. Marco, seguendo una procedura irregolare, perché il patriarca non aveva il diritto di nominare il superiore di una congregazione di diritto pontificio, diversamente da ciò che scrive nella sua propria lettera, ma lo fa dopo aver consultato i religiosi (che si esprimono positivamente sulla scelta di P. Casara), almeno quelli della casa di Venezia. Bisogna ricordare a questo proposito che le costituzioni approvate dalla Santa Sede non contenevano ancora la seconda parte, quella sul governo e sulla struttura della congregazione.

Questa seconda parte delle costituzioni sarà redatta (in buona parte dallo stesso P. Sebastiano nel cosiddetto MR5) e approvata dalla Santa Sede solo nel 1891. I religiosi e gli stessi fondatori accettarono di buon grado la sua nomina, senza alcun problema o protesta. Più che religiosi, essi si sentivano ancora dei preti secolari appartenenti a quella che oggi si chiamerebbe una società di vita apostolica, secondo l’intuizione e la volontà originaria dei fondatori, e quindi si riconoscevano sottomessi alla volontà del loro ordinario.

P. Sebastiano dimostrò subito di essere un buon preposito generale: intelligente, caritatevole, rapido nel prendere decisioni, disponibile verso tutti e, pur essendo un pensatore, godeva di senso pratico ed era inoltre molto capace nei rapporti con i confratelli e nelle relazioni pubbliche con le autorità ecclesiastiche e civili. Aveva anche una straordinaria capacità di lavoro. D’altro canto, la direzione della congregazione non era difficile a quei tempi, quando c’erano solo due case (Venezia e Lendinara), alle quali si aggiungerà quella di Possagno, e una dozzina di padri, più qualche fratello e seminarista.

La situazione nella comunità di Venezia tuttavia non era facile; c’erano diversi malati, tra i quali P. Marco, molto debole, quasi cieco e prossimo alla morte; e P. Antonio, in età estrema, malato e con dei periodi di debolezza mentale propria della senilità. Questa situazione provocò molte sofferenze a P. Casara, e allo stesso tempo ai fondatori, che non comprendevano più che il governo era ora passato ad altra persona. Ci sono delle pagine molto commoventi su questo tema nel diario della congregazione.

P. Casara era allo stesso tempo preposito generale, rettore della casa di Venezia, preside delle scuole, rettore e professore nel seminario filosofico e teologico interno dell’Istituto; si occupava di trovare i fondi per mantenere i due Istituti maschile e femminile, seguiva il cantiere di ricostruzione della chiesa di S. Agnese, si occupava delle relazioni pubbliche dell’Istituto e, scriveva innumerevoli lettere e quando poteva, di notte, continuava a studiare e a svolgere le sue ricerche di filosofia, ma anche di pedagogia e di didattica.

Scriveva con straordinaria puntualità, con la sua grafia minuta e non sempre facile da leggere, il diario della congregazione, dapprima come un libro di protocollo della corrispondenza (con annotazioni e spiegazioni) e successivamente come un vero e proprio diario. Cominciò a scrivere personalmente dal 28 dicembre 1852 e continuò sino alla fine del suo mandato nel settembre 1885. Aveva anche trascritto di sua mano le pagine del diario del periodo compreso tra il 21 gennaio 1851 e il 21 dicembre 1852, ricopiando le pagine dettate da P. Marco, che era cieco, a P. Vittorio Frigiolini e poi scritte da P. Vittorio personalmente.

Nel 1853 l’avvenimento principale per la piccola comunità fu il pio transito del P. Marcantonio Cavanis.

Nel 1853 e nel 1854 ritroviamo altre due lettere di P. Casara all’abate Rosmini, relative a questioni filosofiche.

Il 15 agosto 1854, festa dell’Assunzione della Vergine Maria, l’Istituto celebra l’inaugurazione e nuova dedicazione solenne della chiesa di S. Agnese, che era stata acquistata dal demanio statale dai fondatori, che ne avevano realizzato in gran parte anche un generale restauro e in parte rifacimento. Il celebrante della dedicazione fu il patriarca Giovanni-Pietro-Aurelio Mutti; P. Casara aveva concluso infatti i lavori e l’acquisto del mobilio e degli oggetti liturgici necessari. Questa nuova inaugurazione e dedicazione avvennero dunque 44 anni dopo che la chiesa era stata confiscata dal governo napoleonico nel 1810, quando la parrocchia di S. Agnese, come più della metà delle parrocchie di Venezia, era stata soppressa.

P. Anton’Angelo, oramai un venerabile vegliardo, partecipò con grande gioia alla celebrazione e dedicazione, ad edificazione dei presenti.

Nel 1854 un avvenimento ecclesiale apre un periodo di sollievo e di pace per P. Sebastiano e per i suoi amici e colleghi rosminiani, così come per l’Istituto di Carità: la Santa Sede pubblicò in effetti il decreto Dimittantur opera omnia Antonii Rosmini Serbati, nel quale le opere del Rosmini sono assolte dall’accusa di eresia e in particolare d’ontologismo. P. Casara, come l’abate Rosmini e tutti i rosminiani (sia i religiosi che i filosofi) si tranquillizzarono e continuarono i loro studi filosofici secondo il metodo dell’intellettuale.

Casara si rassicurò anche perché essendo superiore generale, era preoccupato degli effetti negativi che una condanna di Rosmini o sua avrebbe comportato per la tanto amata congregazione. P. Sebastiano ricevette i rallegramenti da parte di numerosi amici e ammiratori, come si trattasse della vittoria del suo sistema filosofico; il che informa, come fa osservare acutamente Maria Leonardi, che, almeno a Venezia, Casara era conosciuto come rosminiano, e aveva cominciato anche a tessere una rete di corrispondenti rosminiani; rete che diventerà via via sempre più ampia, soprattutto a partire dalla data della morte del Maestro, avvenuta il 1° luglio 1855. Qui non si ha tuttavia l’intenzione di descrivere in dettaglio i suoi contatti con i rosminiani e la sua corrispondenza filosofica. Rimandiamo allora alla tesi della Leonardi, qui più volte citata, che ha come tema appunto gli scritti e i dibattiti nel campo rosminiano (e anche in quello anti-rosminiano) dal 1857 al 1876.

Riportiamo soltanto una lista dei suoi principali amici e corrispondenti abituali rosminiani:

  1. don Antonio Missiaglia (1811-1883), prete veronese, coetaneo di Casara, con cui il nostro mantenne una amicizia epistolare di tutta la vita;
  2. don Alessandro Pestalozza (1807-1871), prete milanese che fu amico personale di Rosmini ed era da questi considerato il suo più fedele interprete; fu dimesso nel 1850 dal seminario di Milano per le sue idee rosminiane e passò a vivere nel paese di Arluno (Milano);
  3. Carlo Pagano Paganini (1818-1889), laico, professore di filosofia razionale per trent’anni all’Università di Pisa;
  4. don Leopoldo Palatini (1813-1899), prete udinese biblista, relegato in campagna per i suoi trascorsi liberali;
  5. don Andrea Strosio (1812-1882), di Torcegno (Trento) arciprete di Rovereto, presidente per qualche tempo dell’Accademia degli Agiati della stessa città;
  6. monsignor Pietro Maria Ferrè (1815-1886), di Verdello, Bergamo, vescovo di Crema (dal 1857), di Pavia (dal 1859) e infine di Casale (dal 1867 alla morte);
  7. don Vincenzo Papa, prete nato a Desenzano (Brescia, ma diocesi di Verona), fondatore e direttore del periodico “La Sapienza”;

p. Luigi da Salò, cappuccino;

  1. p. Bernardino da Portogruaro, dei Minori riformati, che fu guardiano generale dell’ordine;
  2. don Andrea Finco, prete della diocesi di Adria, in seguito religioso rosminiano. Poi cappuccino con il nome religioso di Fra’ Agostino da Anguillara, tra l’altro missionario in India;
  3. don Francesco Angeleri (1821-1892), prete veronese, poi religioso nell’Istituto di don Nicola Mazza, da cui si ritirò per motivo del suo pensiero rosminiano, con altri preti. Fu in seguito professore di filosofia nel seminario di Rovigo, poi di filosofia e storia al liceo di Verona, poi in quello di Rovigo. “Caposcuola dei rosminiani a Verona (Gallio, Profilo, p. 275)”, “diverrà, a partire dal ’58, l’amico più stimato di Casara, il revisore cordiale ed esigente di parecchi suoi scritti”;

don Luigi Fabris (1812-1879), prefetto ginnasiale nel seminario di Udine;

  1. don Francesco Turchetti, professore di storia ecclesiastica nel seminario di Udine;
  2. don Tomaso Turchetti, “ridotto a far l’economo” dello stesso seminario di Udine, perché “timido sostenitore di teorie rosminiane”;
  3. don Antonio Cicuto (1817- 1895) fu professore nel seminario di Udine nel periodo in cui questo – con i professori Pujatti, Bortolussi, Colauzzi e Zannier – poteva definirsi un fervente centro rosminiano. Allontanatone dal governo austriaco per motivi politici, divenne parroco di un villaggio, in campagna, presso Portogruaro (Venezia), senza perdere contatto con il Casara e con la congiuntura politica, ecclesiale e culturale;
  4. don Domenico Pujatti, professore e rettore del seminario di Portogruaro, nella diocesi di Concordia;

don Odorico Parissenti, probabilmente di Portogruaro;

  1. P. Luigi Puecher Passavalli (1821-1897) di Calliano (presso Rovereto, Trento), cappuccino, per dodici anni (dal 1859) predicatore del Palazzo apostolico presso la Santa Sede, poi nominato arcivescovo titolare di Iconio e vicario della basilica di S. Pietro; dopo quattro anni dovette ritirarsi a vita privata per aver perso il favore pontificio per le suo idee “liberali” sull’infallibilità pontificia;

don Giuseppe Prada, prete milanese;

don Zanchi, prete veronese;

  1. monsignor Lorenzo Gastaldi (18151883) prete torinese, religioso nell’Istituto della Carità, ma ne uscì per motivi di salute, divenendo sacerdote secolare. Fu nominato vescovo di Saluzzo nel 1867 e poi arcivescovo di Torino nel 1871;
  2. monsignor Luigi Cesare de Pavissich, dalmata di origine e sloveno di etnia, ispettore scolastico in Dalmazia e Carinzia, poi a Trieste e infine nuovamente in Dalmazia; vissuto poi a Gorizia dal 1887 fino alla morte nel 1905. Si prodigò per la diffusione della lingua italiana nei paesi austroungarici. Uomo di grande cultura, scrisse molte opere letterarie, storiche e filosofiche. Alcuni suoi lavori vertono su Rosmini;
  3. un corrispondente, probabilmente il P. Fabrizio da Montebugnoli, minore riformato, vissuto lungamente a Pistoia, poi relegato fino alla morte in un convento della Romagna dal S. Uffizio, per aver professata e difesa la dottrina rosminiana.

C’erano poi alcuni religiosi rosminiani, corrispondenti abituali di P. Casara:

  1. P. Vincenzo De Vit (1811-1892), di Mestrino, Padova, professore nel seminario di Padova e canonico di Rovigo, poi religioso rosminiano dal 1849;
  2. P. Pier Luigi Bertetti (1814-1874), di Castelnuovo Scrivia (Alessandria), già professore del seminario di Tortona (Alessandria), superiore generale dei Rosminiani dal 1861;
  3. P. Francesco Paoli (1808-1891), da Pergine (Trento), sacerdote, segretario di Rosmini finché visse, poi suo primo biografo, esperto di pedagogia e metodica; fu anche presidente dell’Accademia degli Agiati di Rovereto.

 

Nel 1855, alla fine del primo triennio (mandato) del suo governo, P. Casara convocò il capitolo generale, un evento degno di nota perché si trattava del primo nella Congregazione, dato che le elezioni del secondo e terzo preposito generale (P. Frigiolini e P. Casara stesso) si erano realizzate in fondo per decreto. P. Casara presentò il rapporto del suo triennio di governo e poi si inginocchiò al centro della sala capitolare e chiese perdono alla comunità per le sue colpe; dopo di ché, con edificazione dei confratelli, uscì dal posto centrale della presidenza del capitolo e raggiunse il posto riservatogli dall’ordine di precedenza. I capitolari lodarono molto la sua amministrazione. Fu rieletto preposito generale all’unanimità, dal primo capitolo elettivo (lo si chiamava ancora capitolo provinciale a quel tempo, nonostante fosse in realtà generale).

Il 1o luglio 1855 moriva l’abate Rosmini a Stresa, poco prima della convocazione del capitolo generale dell’Istituto Cavanis. Il beato abate non ebbe così a sopportare che le sue opere fossero condannate, come accadde nel 1888 e come si dirà più giù. Dopo la morte del suo “maestro”, Casara comincia a tessere una rete più ampia di contatti, corrispondenze, scambi d’idee e di pubblicazioni con un gran numero di discepoli, difensori, amici e simpatizzanti di Rosmini.

Nel 1857 si apre la terza casa della Congregazione nel paese di Possagno (diocesi di Treviso; sarà il Collegio Canova) e si accetta con molta difficoltà e parecchie resistenze, come si dirà, la parrocchia di Possagno, arrivando quasi alla rottura degli accordi con il vescovo di Treviso, monsignor Farina. Tale impresa ebbe tuttavia la benedizione di P. Antonio, il fondatore più anziano, ancora in vita. P. Casara era interessato all’apertura di questa casa soprattutto per la possibilità d’organizzare una casa di Esercizi spirituali, in base al secondo scopo apostolico della Congregazione, e anche secondo l’intenzione del nobile Filippo Canal, che era l’esecutore testamentario dello scultore Antonio Canova. Il Canal voleva una scuola, un convitto e una casa di Esercizi spirituali nel villaggio natale di Canova e ancora il miglioramento pastorale e del culto nella parrocchia di Possagno.

L’apertura della casa di Possagno, tuttavia, segnò un momento di difficoltà nella gestione di P. Casara: si criticarono sia l’accettazione della parrocchia sia l’esigenza di inviare dei religiosi al paese di Canova, spostandoli dalle altre due case, diminuendo così le forze attive nelle scuole a Venezia e a Lendinara. P. Casara cominciò a sentirsi stanco d’essere preposito e chiese di non essere rieletto nel capitolo provinciale del 1858. Fu tuttavia rieletto ancora una volta. Particolarmente bello il suo rapporto al capitolo, in cui traccia le linee della figura ideale del preposito, e non si accorge che calza a pennello con il ritratto di se stesso.

Lo stesso anno, nel 1857, fu pubblicata la prima opera filosofica di P. Casara: «La luce dell’occhio corporeo e quella dell’intelletto. Parallelo ecc.», pubblicata sotto lo pseudonimo di F. P.V. (Filalete prete veneziano).

Le pubblicazioni di P. Casara sono in generale dei libricini, con un titolo molto lungo, come si usava in quel secolo e con un contenuto piuttosto difficile, non solo per chi non era filosofo, ma anche per i filosofi di professione. Le pubblicazioni di P. Casara sono abbastanza numerose; ecco una lista delle principali pubblicazioni edite:

  1. « La luce dell’occhio corporeo e quella dell’intelletto. — Parallelo osservato da F.P.V. e illustrato con dottrine del S. Dottore Aquinate conformi in tutto quelle dell’illustre Ab Antonio Rosmini.” Giuseppe Grimaldo, Tipografia Calc. Edit., Venezia, 1857. 108 p.
  1. Esposizione del Principio Filosofico di Antonio Rosmini e sua armonia colla Dottrina Cattolica con un’appendice sull’ordinamento dello studio teologico, Lettere, Verona, Tip. Antonio Frizierio, 1859.
  1. Ragione e modo d’insegnar a leggere e scrivere cominciando dalle intere parole, in «L’Istitutore», anno XV, Torino, 1867.
  1. I sei discorsi tenuti da don Sebastiano Casara nella chiesa parochiale dei SS. Gervasio e Protasio in Venezia per la missione contro gli evangelici bandita dall’eminente Card. Patriarca con Pastorale del XXIX maggio MDCCCLXVIII e cominciata il dì 1 giugno, Venezia 1868.
  1. Sulla unità dello spazio e conseguentemente sugli Angeli come principio corporeo e sulla unità dell’Universo. Cenni di P. Sebastiano Casara delle Scuole di Carità in Venezia. “Il Campo dei Filosofi Italiani”, 8 (1871), tomo VII: 417-448. Estratto di p. 32.
  1. Il sistema filosofico rosminiano dimostrato vero nel suo principio fondamentale con lo studio e sviluppo di un solo articolo della Somma Teologica di San Tommaso D’Aquino, per Sebastiano Casara delle Scuole di Carità in Venezia, Venezia, nella Tipografia Gaspari, 1874. 88 p.
  1. Sul carattere battesimale studio di Sebastiano Casara delle Scuole di Carità di Venezia dedicato All’Eccellenza Reverendissima di M. Lorenzo Gastaldi arcivescovo di Torino, Treviso, Premiata Tipografia Litografia Istituto Turazza, 1876. 64 p.
  1. La Verità per la Carità, memoria del Prof. E. Fontana esaminata dal Rev. P. Sebastiano Casara, Lettera all’amico P…., Tipografia Arcivescovile Ditta Giacomo Agnelli, Milano, 1878.
  1. La questione «De cognitionis humanae suprema ratione» del serafico dottore S. Bonaventura tradotta ed annotata per Sebastiano Casara delle Scuole di Carità, Tipi di G. T. Vincenzi e nipoti, Modena, 1883.
  1. « Saggio di ricerca. Se, secondo l’Angelico, nell’intelletto umano v’abbia nulla di “innato” che sia “diverso” da esso intelletto, e possa e deva dirsi “divino”», La Sapienza, 5(1883), VIII, p. 41-48, 257-273. Torino, 1883. Estratto (1884), 69 p.
  1. 11.Alle quaranta rosminiane proposizioni col decreto Post Obitum condannate e note a tre articoli dell’Osservatore Romano, Seconda Edizione, Estratto dal Periodico “Il Rosmini”, Milano, Tipografia L. F. Cogliati, 1889. (anonimo, con sigla F.G. alla fine dell’introduzione e alla fine del libretto)
  1. Il peccato originale secondo la dottrina cattolica. Tipografia Editrice del “Popolo Pistoiese”, Pistoia, 1892. 107 p. (anonimo)
  1. La “Scuola Cattolica” di Milano e un teologo rosminiano di Venezia. Polemica. La rassegna Nazionale, 16(1894), LXXVIII, pp. 419-426.

A parte queste pubblicazioni, ci sono diversi articoli in giornali e riviste, parecchi scritti anonimi o con uno pseudonimo e diversi scritti inediti, i cui testi manoscritti originali sono conservati nell’archivio storico della Congregazione. Nel complesso si tratta di quarantun saggi o articoli di carattere filosofico e/o teologico e cinque altri lavori. Una serie di tutto rispetto, tenuto conto anche del pochissimo tempo che Casara aveva a sua disposizione, preso com’era da mille altre occupazioni, cui lo chiamava il suo impegno di religioso, quasi sempre di superiore generale, e insieme il suo lavoro pastorale quotidiano nella scuola e fuori.

Al 2° capitolo provinciale ordinario del 14-16 settembre 1858 P. Casara riceve critiche anche per la sua attività di filosofo. Dopo il capitolo comincia a preparare una seconda pubblicazione che uscirà nel 1859.

La prima pubblicazione di P. Casara, La luce dell’occhio corporeo e quella dell’intelletto, ricevette, oltre all’incoraggiamento e all’attenta revisione da parte del Missiaglia e oltre a numerose lettere di appoggio e di apprezzamento di amici, colleghi e stimatori, una recensione abbastanza moderata (ma non senza un po’ di veleno nella corrispondenza successiva da parte dei nemici del Rosminianesimo) di P. Matteo Liberatore SJ nell’importante rivista “La Civiltà Cattolica” di Roma, in due articoli successivi, a proposito e contro la pubblicazione suddetta di P. Casara. Liberatore all’inizio loda la finezza dell’autore F.P.V. e il suo amore per la verità, ma ne rifiuta le idee con fermezza. Afferma che l’autore sconosciuto è libero di pensare ciò che vuole, ma non può dire che la dottrina rosminiana relativa all’identità tra la luce della ragione e l’idea Innata è la stessa di quella di S. Tommaso d’Aquino. Casara è accusato d’ontologismo.

P. Casara scrive una lettera alla rivista e a P. Liberatore, ringraziandolo delle critiche e rivelando il senso del suo «pseudonimo artistico» F. P. V.; in questa lettera tenta – invece di polemizzare davanti al pubblico di intellettuali e ricercatori – di allacciare un dialogo personale con la rivista e con P. Liberatore, ma con scarsi risultati; ne riceve una risposta che possiamo definire agrodolce. Vi si avverte una completa incomunicabilità tra le due persone e le due posizioni. “Colpiscono, anche, da un lato la disarmante, quasi incredibile ingenuità di Casara, e dall’altro – nella lettera di Liberatore –un certo atteggiamento tipico di chi si sente il solo possessore della verità, unito ad una sottile perfidia che giunge ad augurare all’interlocutore – sia pure a fin di bene – che la sua stessa preghiera gli si rivolti contro».

“Sembra opportuno però ricordare le parole di chiusura dell’articolo, che costituiscono – a quanto ci risulta – l’unico giudizio mai espresso da “La Civiltà Cattolica” sulla persona di Casara: ‘L’aver poi noi per ben due volte fatto parola di questo lavoro di piccola mole è manifesto argomento che non ne riputiamo piccolo il merito; anzi queste poche pagine rivelano abbastanza il forte ingegno del loro Autore ed i gravi studii a cui dev’essere educato’ ”.

Anche altri articoli e libricini prodotti da P. Casara nel primo periodo della sua intensa attività editoriale (1857-1859), in vista del concilio delle chiese venete, ricevettero un commento, piuttosto critico, da “La Civiltà Cattolica”. A questo intenso periodo segue un lungo tempo di silenzio del nostro nel campo delle pubblicazioni filosofiche, che si estende fino al 1870, forse in vista del nessun risultato ottenuto al suddetto concilio, per quanto riguarda l’accettazione da parte dei vescovi conciliari del sistema rosminiano come modello di metodo e di contenuti per l’insegnamento della filosofia e della teologia nei seminari del Veneto; ma certamente, a partire dal 1867, dalla soppressione della Congregazione delle Scuole di Carità – e di tutti gli altri istituti religiosi – e dall’incameramento dei loro beni da parte del Regno d’Italia, cui il Veneto era stato annesso nel 1866: Casara aveva ben altre preoccupazioni, più concrete della filosofia rosminiana!

Di quest’ultimo motivo del silenzio del nostro è testimone una sua lettera del 1863 al prete francese L. Morisier dove scrive: “Son così occupato nelle cose della Congregazione che non mi avanza tempo per altro, e sono ignaro affatto della stato della filosofia, e delle questioni del giorno, agitate pur con tutto il calore.

Non leggo neppur periodico alcuno”. Analogamente scrive il Casara nella lettera del 22 novembre 1871 al P. Bonaventura Blessich (probabilmente un cappuccino, operante tra Milano e Genova, omileta e scrittore di filosofia e di ecclesiologia): “Occupatissimo io da molti anni, e specialmente in questi ultimi cinque, in cose di ministero e di Congregazione, non trovo tempo per applicarmi a cose di studio, se non a ritagli: ed è per questo ch’io non leggo periodici, non veggo opere nuove, non conosco questioni e polemiche, e mi vorrebbe troppo per potermi assicurare di averne bene inteso qualcuna, e molto più ancora per giudicarne”. Casara però in questi anni aveva abbozzato vari lavori, che in parte furono pubblicati più tardi, quando ebbe un po’ di respiro.

Un altro motivo che impediva al nostro di pubblicare i suoi lavori, era la mancanza di numerario, cronica (fino ad oggi) nell’Istituto Cavanis, con le sue scuole gratuite, ma più grave in quegli anni difficili a causa dell’incameramento dei beni.

P. Casara doveva anche ricordarsi, e lo faceva spesso, che era religioso e per di più preposito della sua Congregazione; sentiva tutta la responsabilità di non creare problemi alla stessa, particolarmente essendo (dal 7 april1862 al 28 april1877) patriarca di Venezia Giuseppe Luigi card. Trevisanato, un vescovo integralista che dell’abate Rosmini non voleva ascoltare non soltanto le dottrine, ma neanche che se ne pronunciasse il nome: Casara ne fu avvertito in anticipo dall’amico udinese Luigi Fabris, ma ebbe motivo di dolersi di aver preparato (probabilmente nel 1864) una voce sul Roveretano per l’Enciclopedia Ecclesiastica, in preparazione a Venezia, voce che venne totalmente censurata ed esclusa dal patriarca. Era quello un tempo in cui “la depressione culturale veneziana e veneta toccava il più basso e avvilente livello.”

L’anno 1858 è caratterizzato da diversi avvenimenti: la morte santa di padre Anton’Angelo Cavanis, la riorganizzazione della Congregazione Mariana a Venezia da parte di P. Casara, un capitolo provinciale. Ancora del 1858 (9 gennaio) è una lettera diretta a P. Casara dall’Ispettore generale in capo delle scuole elementari delle provincie venete, in cui gli comunica che “Poiché Ella è stato riconosciuto abile all’ufficio di Direttore di una scuola elementare maggiore, per l’autorizzazione dell’eccellentissima imperial regia Luogotenenza col riverito Dispaccio 24 Dicembre prossimo passato n. 41615 viene col presente Decreto nominato Direttore della pia Scuola elementare Magg. dei reverendi padri conti Cavanis. (…).”

Durante quest’anno e nel seguente, del 1861, Casara fu rieletto ancora una volta preposito, stavolta con qualche difficoltà sempre nel quadro delle critiche sulla situazione creata dall’apertura della casa di Possagno.

Il 1859 fu un anno speciale per il nostro: una “stagione ricca di speranze”. “Fu l’anno del concilio provinciale delle chiese che sono a Venezia e nel Veneto, che si celebrò a Venezia dal 18 ottobre al 4 novembre, in ritardo rispetto alla programmazione, a causa della guerra intercorsa fra il Piemonte-Sardegna (con la Francia come alleata) e l’impero d’Austria nei mesi da aprile a luglio dello stesso anno.

Tale concilio deve essere situato nel quadro delle analoghe assemblee episcopali celebrate in molte regioni nel decennio 1849-1859, che suscitarono in Italia un ampio e valido dibattito. “Al nostro non sfuggì l’importanza di questa assise che avrebbe influenzato la vita pastorale veneta di tutta la seconda metà dell’’800; nel concilio egli vide, soprattutto, l’occasione decisiva per quella riforma degli studi filosofici e teologici nei seminari di cui coglieva, con sensibilità tutta rosminiana, l’estrema urgenza. ‘Guai se quegli Angeli della Chiesa – scriveva Palatini a Casara nella primavera del ’59, in una delle numerose lettere scambiate con lui su tale problema – non intendessero bene l’importanza di questi supremi momenti, che possono decidere della sorte di chi sa quante generazioni’ ”.

Casara ne è un importante organizzatore e consigliere e comincia a partecipare ai lavori dal mese di marzo, come membro della commissione per gli studi preparatori, nel campo dei problemi della fede, e poi come teologo durante le sessioni del concilio. Risulta essere un uomo di chiesa molto stimato in questa attività, influente e capace. Partecipa al concilio in qualità di teologo del patriarca di Venezia Angelo Ramazzotti, rivestendo un ruolo importante soprattutto nelle prime tre sessioni, sul tema della fede.

Maria Leonardi rende noto come, nella fase di preparazione del Concilio, Casara partecipò anche in modo di influire in anticipo i dibattiti e le conclusione dell’assise ecclesiale, con la pubblicazione di un opuscolo a suo nome come curatore: “Esposizione del principio filosofico di Antonio Rosmini e sua armonia colla dottrina cattolica, con un’appendice sull’ordinamento dello studio teologico. Lettere”.

Il libretto conteneva varie lettere di suoi corrispondenti, con un commento, e particolarmente una di P. Francesco Paoli. Casara inviò di sua iniziativa e a sue spese l’opuscolo a tutti i vescovi del Veneto, suggerendo loro di farlo esaminare da esperti, e sperando che detto opuscolo servisse di base per i lavori del concilio. Il che sembra non essere avvenuto. Del resto, si trattava di una vana speranza, perché già prima della solenne adunanza generale, la commissione suprema aveva deciso di ripristinare in tutti i seminari della regione il tomismo puro e il metodo scolastico, e di ignorare o sopprimere il metodo e l’ordinamento proposti dal Rosmini. Casara, in tale suo proposito, aveva fallito.

In questo Concilio triveneto P. Casara fu nominato dal patriarca Angelo Ramazzotti anche confessore dei partecipanti di questo concilio o sinodo, con una lettera datata dell’11 ottobre 1959, firmata dal patriarca (+ Angelus Patriarcha) e controfirmata dal cancelliere patriarcale, il solito Canonico monsignor Giovanni Battista Ghega. Casara è il sesto (su sei) confessore indicato nella lista contenuta nella lettera suddetta. Era senza dubbio una carica prestigiosa e di grande fiducia, finora, credo, non segnalata. Il patriarca nella lettera dà ai suddetti sei confessori, diciamo così, sinodali, il potere di assolvere i peccati riservati.

Al Concilio partecipò, come secondo rappresentante della Congregazione, anche il P. Giambattista Traiber, rettore a quel tempo della casa di Lendinara, su nomina del preposito Casara, comunicata debitamente alla Curia Patriarcale di Venezia.

P. Casara ricoprì anche altri incarichi nella chiesa che è a Venezia: fu esaminatore sinodale per il sinodo diocesano di Venezia del 1965, censore ecclesiastico, esaminatore in vari concorsi per prebende ecclesiastiche; nominato “membro della Consulta, che [il Patriarca] ricostituisce, sul ministero della sacra predicazione”. Neppure il patriarca Domenico Agostini, notoriamente intransigente, “poté sottrarsi alla stima per le virtù di un tal uomo, sebbene si dolesse del suo rosminianismo, come si vedrà.

Casara collaborò con la chiesa che è in Venezia e pure altrove nel Veneto anche in altri modi: fu stimato confessore di vari conventi e monasteri di suore e monache, predicò ritiri ed esercizi spirituali per conventi maschili e femminili e per seminari di varie diocesi. Fu direttore e consigliere spirituale di molti, laici, religiosi e preti. Ricordiamo il particolare questa sua opera in favore di alcune persone più distinte, ricordate nella Positio: la direttrice dell’Istituto Solesin, Teresa Tagliapietra; don Giovanni Maria Berengo, poi vescovo di Adria e di Mantova, e in seguito arcivescovo di Udine; la beata Gaetana Sterni, fondatrice della Congregazione delle Suore della divina Volontà a Bassano (Vicenza); collaborò con il parroco della parrocchia della Madonna del Rosario, vulgo dei Gesuati, don Giuseppe Solesin, nella fondazione dell’Istituto omonimo per le ragazze povere e abbandonate della parrocchia.

Come nota Maria Leonardi, la cerchia dei suoi amici e corrispondenti, soprattutto nel campo rosminiano e anche tra gli stessi religiosi rosminiani, ma poi in genere tra molte persone colte, divenne sempre più ampia; più numerose erano via via le persone che gli scrivevano, o che a Venezia lo visitavano e lo consultavano, o gli sottoponevano scritti da pubblicare chiedendo la sua revisione o il suo consiglio. Tutti lo amavano per la sua disponibilità e per l’amabilità nella conversazione. Tali lunghe conversazioni, frequenti visite, la fitta corrispondenza, gli toglievano molto tempo, non si sa veramente come riuscisse a combinare le sue attività di superiore generale, la scuola impartita sia ai chierici filosofi e teologi Cavanis, sia ai ragazzi delle scuole con queste attività esterne; e senza dubbio questo insieme di attività diciamo extra-curricolari, ossia non previste dai suoi compiti di religioso, davano fastidio ad alcuni suoi confratelli meno caritatevoli e/o meno portati alla cultura; come si vedrà in seguito.

Il fatto è che il Casara aveva un’idea più larga e più generosa di costoro sull’essere religioso e sull’essere Cavanis: il suo spirito e la sua prassi ben corrispondevano, in anticipo, all’articolo 51 delle Costituzioni del 2008 della Congregazione delle Scuole di Carità che recita: “L’azione educativa è potenziata dal carisma dell’Ordine sacro. I congregati sacerdoti sono consacrati testimoni e portatori della Parola di Dio anche in ogni forma di ricerca e di trasmissione della cultura. Inoltre, per titolo speciale di paternità, sono i confidenti discreti e pazienti, gli animatori ottimisti, il segno della speranza anche quando è difficile sperare.”

Questo articolo delle costituzioni dunque “afferma che c’è spazio per i religiosi Cavanis “anche in ogni forma di ricerca e di trasmissione della cultura”. Si tratta non solo della “trasmissione della cultura”, cioè dell’insegnamento, ma anche della produzione del sapere, cioè della ricerca. È bene ricordare che vi è una nobile tradizione nella nostra Congregazione nella produzione della cultura in molti campi, soprattutto in quelli filosofici e scientifici, ma anche letterari e artistici; vi è anche una tradizione di produzione da parte dei Cavanis di libri di testo, manuali, dizionari, antologie e altri diversi libri per la gioventù e per l’insegnamento, dal tempo dei nostri Fondatori e fino a tempi abbastanza recenti. ” . Casara è stato senza dubbio un esempio chiarissimo di questo principio e di questa prassi.

Altre sue caratteristiche, anche nel campo della sua attività filosofica, erano quelle della carità e della ricerca pura della verità. Citeremo qui Maria Leonardi:

“Se una nota può essere indicata a caratterizzare lo stile del nostro autore in tutti i suoi interventi – talvolta anche polemici – in favore della causa rosminiana, non vi è dubbio che essa è la carità; e a un atteggiamento moderato e rispettoso di tutti, anche degli avversari, Casara richiamò costantemente chiunque fosse con lui in relazione, sostenendo che “il risentito, il pungente, l’ironico”, oltre a risultare controproducente, “non è bene in se stesso, perché la vera sapienza è dell’indole stessa della carità”.

Non meno vivo fu in lui l’assoluto rigore nella ricerca della verità: dote che egli stesso si riconosceva, attribuendola alla propria formazione rosminiana.

Proprio in questo stile di apertura, di libertà (che gli costerà cara) e di verità, P. Casara, tra l’altro, mantenne contatto per almeno due decenni con il P. Matteo Liberatore: il 5 gennaio 1880 gli invia due suoi opuscoli filosofici. Farà lo stesso con il papa e a dieci cardinali, il 9 gennaio successivo.

Nel 1859 si apre anche il primo noviziato formale dell’Istituto Cavanis a Possagno. La sede era molto più adeguata rispetto a Venezia.

Al capitolo provinciale del 1861, tra le altre cose si è discusso della possibilità di eliminare le sopraggiunte della veste, per ritornare alla semplicità originaria auspicata dai fondatori. P. Sebastiano era chiaramente propenso a rimettere la veste semplice, quella degli inizi dell’Istituto, senza la “pazienza” e il “bavero”. Ma veste non subirà modifiche. Casara chiese di non essere più eletto preposito, ma fu rieletto nuovamente.

Nel 1862, dopo una settimana di ritiro in solitudine in campagna, Casara annuncia le sue dimissioni che voleva dare ufficialmente alla fine dell’anno scolastico 1862-63, non si sa con certezza il perché. Sfortunatamente (e un po’ misteriosamente) la frequente corrispondenza sul tema con i confratelli di Lendinara è andata perduta. Probabilmente i motivi delle sue dimissioni erano legati alla questione di Possagno e alle critiche per i suoi studi di filosofia rosminiana da parte di alcuni confratelli.

Il 2 giugno 1863 Casara provvede all’unione della sezione femminile dell’Istituto con le suore canossiane. Il peso economico dell’Istituto femminile era difficile da sostenere per la sezione maschile e per il preposito. Inoltre durante i suoi 55 anni di vita il ramo femminile non aveva raggiunto né un’autonomia né un’indipendenza proprie e dipendeva in toto dai padri sotto tutti gli aspetti. Dopo la lettura del decreto del card. patriarca Angelo Trevisanato, l’unione diventa effettiva e le religiose Cavanis indossano la veste delle Canossiane. Anche il bellissimo complesso di edifici, conventuali delle “Romite”, con i tre chiostri e la bella chiesetta passano alle Canossiane.

Questo decreto del patriarca Trevisanato fu citato molto più tardi dal P. Giovanni Chiereghin nel Diario di Congregazione, il 22 settembre 1902, con questa importante nota:

“Lunedì /22/ Finalmente! Sopra le porte dell’Istituto Canossiano a S. Trovaso fu posta l’iscrizione: Istituto delle figlie della carità – dette Canossiane – fondato – Dai R.R. P.P. Conti Cavanis – È un principio di riparazione alla dimenticanza totale del Decreto di Sua Em. Trevisanato, il quale quando avvenne la fusione del nostro Istituto femminile colle Canossiane avea ordinato che quell’Istituto dovesse chiamarsi in perpetuo = Istituto Cavanis = Quando verrà eletta la Superiora Generale delle Canossiane, dalla parte nostra si farà tutto il possibile perché il Decreto del Trevisanato abbia in questa parte tutta la sua forza.” Purtroppo, a memoria di chi scrive, da almeno 60 anni l’iscrizione di cui sopra è scomparsa, e non c’è nessun riferimento ai Cavanis negli ambienti esterni e interni dell’Istituto canossiano, nonostante i rapporti tra i due istituti siano sempre stati ottimi, e nonostante i PP. Cavanis abbiano continuato fino almeno al 2005 a servire di S. Messa e delle confessioni e altri servizi liturgici e spirituali quell’istituto di suore.

Nel 1863 si è obbligati a celebrare un capitolo straordinario a Venezia all’inizio di settembre, date le dimissioni del preposito. In effetti, P. Casara rinuncia alla rielezione per umiltà, forse anche per dedicarsi all’insegnamento e allo studio in tranquillità, ma senza dubbio anche per le difficoltà richiamate sopra. Il padre Giambattista Traiber è eletto all’unanimità preposito generale (1863-1866).

Nei tre anni seguenti questi funge dunque da preposito generale. P. Sebastiano è eletto primo consigliere generale (si chiamava allora “definitore” il consigliere generale e “definitorio” il consiglio generale sino al 1971), e vicario. Accetta con difficoltà e rinuncerà alle cariche di definitore e vicario l’anno successivo, 1864.

In effetti, P. Casara aveva delle difficoltà a concordare con la politica del nuovo preposto, P. Traiber: questi era sempre contrario alla nuova casa di Possagno, aveva trasferito due religiosi da quella casa a Lendinara; l’esecutore testamentario che era il nobile Filippo Canal, protestava fermamente per la diminuzione del personale per la casa in cui lui e i suoi collaboratori avevano tanto investito (con i fondi dell’eredità Canova) per la costruzione di scuole, cappella, noviziato e biblioteca e vedendo adesso affievolirsi l’opera e quasi chiudere a causa della scarsità di religiosi.

Nel 1866 un avvenimento disastroso, di carattere in parte naturale ma provocato da attività antropica, quasi prodromo del “terremoto” politico che stava per scuotere dalle fondamenta la Congregazione e le sue case, come pure tutti gli altri istituti religiosi del Veneto, causò seri problemi all’Istituto e quindi anche al P. Casara che ne era superiore.

La fuoriuscita di un getto d’acqua, sabbia, fango e gas durante la trivellazione di un pozzo artesiano per uso di una birreria situata a fianco all’Istituto, in campo Sant’Agnese, e molto vicina al muro portante laterale destro della chiesa omonima, di proprietà dell’Istituto, causò seri problemi alla statica della chiesa stessa, il cui muro perimetrale sud, verso il campo S. Agnese, soffrì di ampi squarci. L’eruzione rese pericolanti anche molte altre case attorno al campo stesso. Era l’11 aprile 1866. Questa sventura si abbatté solo dodici anni dopo la riapertura della chiesa da parte dell’Istituto; la fuoriuscita durò sette ore e il getto arrivò all’altezza di quaranta metri. La chiesa, la cui stabilità strutturale era stata adesso compromessa, soprattutto nell’abside e nel muro esterno della navata destra verso il Campo S. Agnese, fu chiusa ancora una volta.

P. Servini nella Positio commenta così l’evento. “Nel timore di un crollo, da taluni si pensava fosse opportuno asportare dal loro sepolcro le salme dei due Servi di Dio. Ma il p. Casara invitò tutti ad aver fede: «Lasciatevi pure — egli disse — i nostri due padri, che ne facciano la sentinella». Il fatto sta che la chiesa rimase in piedi, sebbene vetusta, ma si dovette chiuderla al culto. Tra il popolo corse voce che la cessazione dell’emissione gassosa si dovesse all’intercessione dei due padri fondatori: così almeno deposero nel processo diocesano la teste Luigia Balestrini vedova Benvenuti (sessione XV, 8 aprile 1920), e la teste Giovannina Sonzogno vedova Fontanella (sess. XXI, 10 giugno 1920)”.

Maturavano intanto eventi ben più dolorosi. Nel capitolo locale della casa di Venezia, celebrato irregolarmente come se fosse un capitolo provinciale elettivo, il 1o settembre 1866, subito dopo la guerra, P. Giovanni Battista Traiber non volle saperne di essere rieletto, né di attendere almeno che passassero gli eventi del dopoguerra. Era molto stanco del governare, e probabilmente subodorava e temeva ciò che stava per accadere.

2.2 La seconda serie di mandati di P. Sebastiano Casara (1866-1885)

In questa riunione locale elettiva del 1o settembre 1866, Casara è eletto di nuovo preposito, dopo il mandato triennale piuttosto debole del suo predecessore Traiber, e sarà poi rieletto diverse volte e a lungo (1866-1884), sempre contro il suo volere, che egli esprimeva ogni volta, cioè quello di restare un semplice religioso obbediente. Le ragioni che l’avevano spinto a presentare le dimissioni tre anni prima si erano nel frattempo indebolite, ma soprattutto i tempi stavano cambiando e prendendo una direzione pericolosa, con lo scoppio e il risultato della guerra in Italia.

Si sentiva l’esigenza di un superiore generale piuttosto deciso e dinamico. P. Sebastiano accettò a fatica l’elezione che considerava (a ragione) irregolare, dato che erano assenti, come conseguenza della guerra da poco conclusa, i delegati delle case di Lendinara e di Possagno. Non si trattava dunque di un capitolo provinciale, che avesse il diritto di accettare le dimissioni di Traiber, e meno ancora il diritto di eleggere un superiore provinciale, neanche con il pretesto dell’emergenza. Casara accettò solo perché obbligato dai confratelli che ne lo imploravano e a condizione che la sua elezione fosse ratificata o meglio ripetuta dal capitolo regolare successivo. Su sua richiesta esso doveva aver luogo non appena la situazione critica dell’immediato dopoguerra fosse finita e si realizzasse l’apertura dei passi, e dunque delle comunicazioni fra l’isola di Venezia e la terraferma. In verità, questo capitolo di conferma o ratifica non ebbe mai luogo. Era imminente una nuova tragedia.

A conclusione della guerra tra l’Austria e la Prussia alleata con l’Italia, il Veneto veniva annesso felicemente al regno d’Italia, ma essendo questo regno notevolmente anticlericale, ben presto venne applicato il regio decreto 3036 del 7 luglio 1866 di soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose (in esecuzione della Legge del 28 giugno 1866, n° 2987), e la legge n° 3036 del 7 luglio 1866 per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico. Nello stile linguistico italiano dell’ottocento queste leggi del Regno d’Italia furono chiamate “leggi eversive”, dalla radice latina evertĕre, che significa abbattere, rovesciare, sopprimere.

Venivano dunque soppressi tutti gli istituti religiosi, ordini o congregazioni, maschili e femminili che fossero, e inoltre altre corporazioni religiose, ed erano incamerati i loro beni come pure altri beni ecclesiastici. Per esempio, a Venezia, anche il capitale della mensa patriarcale passò al demanio statale e il patriarca Giuseppe Luigi Trevisanato si trovò ridotto all’indigenza. Il cardinale dovette abbandonare il patriarchio e ritirarsi nel seminario diocesano fino al 1869. Maturava quindi anche per l’Istituto Cavanis una situazione molto grave.

Il p. Casara si impegnò a fondo per salvare l’Istituto, adducendo la ragione che esso era composto di sacerdoti secolari, come era espresso anche nel suo titolo: “Congregazione dei chierici secolari delle Scuole di Carità”. Invano. Infatti, nonostante il nome, l’Istituto Cavanis era, se si legge lo statuto cioè le regole o costituzioni, una Congregazione religiosa di voti semplici, a tutti gli effetti. Il 12 maggio 1867 si riceveva comunicazione dalla prefettura di Venezia che il consiglio d’amministrazione del demanio aveva deciso l’applicazione della legge anche all’Istituto Cavanis. Il decreto era stato firmato proprio il 2 maggio, nel 65° anniversario dell’inizio dell’opera dei due fondatori! Questa coincidenza, se da un lato poteva sembrare una beffa crudele della sorte, poteva essere anche, per i credenti, un motivo di speranza per il futuro.

Anche dopo i ricorsi per tutti i canali reperibili, la Congregazione delle Scuole di Carità fu dunque soppressa e perse tutti i beni mobili, immobili e semoventi a Venezia, a Lendinara e a Possagno. Inoltre, perse di nuovo – e per sempre – la proprietà della chiesa di S. Agnese, nella quale nel frattempo erano cominciati dei lavori provvisori e preliminari di rinforzo delle strutture murarie.

La data infausta è il 24 settembre 1867: è la data dell’applicazione delle leggi “eversive” per il nostro Istituto, e in particolare per la casa di Venezia, con la presa di possesso dei beni da parte del demanio. La legge era già stata applicata alla casa di Possagno il 20 maggio; e sarà applicata alla casa di Lendinara il 30 novembre 1867. Per la casa di Venezia, si scriveva nel diario: ” In questo giorno consacrato alla Vergine sotto il titolo della Mercede, fu applicata la legge di soppressione del nostro Istituto. Quanto successo avvenne in un giorno che faceva ben sperare nella protezione efficace della Vergine sotto i cui auspici nacque e crebbe il nostro Istituto.

1868 – Un mese dopo la presa di possesso da parte del demanio dei beni della Congregazione, P. Sebastiano aveva già presentato la sua domanda d’acquisto degli edifici di Venezia all’asta, cominciando dalle scuole: scelta molto significativa. Scrive sul diario: «Con la benedizione di Dio, e con l’aiuto della Vergine Maria, si comincia a ricuperare i beni confiscati dallo stato italiano». Recuperare questi beni non sarebbe stato facile, la politica del nuovo governo era fondamentalmente anticlericale e la difficoltà di recuperare i propri beni risentiva pure del fatto che gli intestatari delle cariche pubbliche erano cambiati e gli amici dei Cavanis ne erano stati estromessi: le cariche erano occupate adesso da nemici della chiesa. Bisogna aggiungere che l’Istituto (come al solito) non disponeva per il momento del denaro sufficiente per recuperare i propri beni all’asta, dove si faceva guerra all’Istituto. Rimettere assieme i beni fu un’attività in cui P. Casara mostrò tutta la sua abilità diplomatica e il suo impegno. Dimostrò anche una grande capacità di chiedere e ottenere offerte sufficienti per gli acquisti con grandi campagne di propaganda a favore dell’Istituto. Nel dicembre 1870 la casa di Venezia fu riacquistata.

Attraverso un lavoro faticoso e straordinario, dopo quasi quattro anni, tutti gli edifici di Venezia furono riscattati, esclusa la chiesa di S. Agnese. Si perse, invece, definitivamente la proprietà delle scuole, della cappella e della casa della comunità di Possagno che, nel lotto di terra originario della donazione canoviana, restano ancora oggi di proprietà del comune di Possagno che le ha ricevute a suo tempo dal demanio e le ha concesse più tardi in uso all’Istituto attraverso l’affitto simbolico di un euro all’anno.

A Lendinara, la situazione è stata anche più dolorosa, come si è visto, ed è stato necessario lasciare gli immobili originari e cambiare di casa, ricevendone in prestito provvisorio e poi acquistandone altre, e cambiando anche di quartiere e di parrocchia. In quest’ultima città, la lotta dei nemici della chiesa (e dell’Istituto in particolare) continuò sino alla fine della presenza dei padri.

In ogni casa, oltre al riacquisto degli edifici all’asta, fu necessario acquistare ancora una volta il mobilio, i libri e il materiale didattico e liturgico; anche se parte dei beni mobili fu salvata dall’esproprio dichiarando i religiosi ai funzionari della confisca che una certa parte del mobilio e un certo numero di libri e oggetti liturgici, che i religiosi su suggerimento di P. Casara avevano sistemato appositamente nelle camere di ciascuno, appartenevano personalmente ai singoli religiosi e non alla congregazione; ed essi vennero in genere rispettati.

P. Casara ebbe anche la soddisfazione, assieme ai suoi confratelli, che nessuno dei religiosi Cavanis lasciasse l’Istituto a seguito della soppressione e dell’incameramento dei beni; a differenza di quanto era accaduto in tanti altri istituti maschili e femminili del Veneto. Si continuò, come se niente fosse accaduto, a consacrarsi alla santificazione personale e all’educazione della gioventù, soprattutto più carente. Lo si fece anche a Lendinara, dove la lotta fu più dura, fino a quando nel 1896 si dovette chiudere la casa; ma fu una ritirata protratta nel tempo, programmata e ordinata, senza perdita di personale religioso.

In quegli stessi anni, molti altri naturalmente erano nella stessa difficile situazione. Il sacerdote diocesano don Luigi Caburlotto, ex-allievo delle Scuole di Carità a Venezia, e direttamente dei due Fondatori, anni più tardi scriveva così su quella congiuntura:

“Meglio austriaci o italiani? Ho sempre pensato che meglio di tutto è essere cristiani e poter vivere da cristiani nella propria terra. Avevo sangue veneziano che parlava di libertà. Valutavo gli aspetti positivi del governo austriaco: organizzazione, attenzione educativa e sociale, ma anche controllo eccessivo perfino sul pensiero, strumentalizzazione della chiesa …

Italia? Sì, Italia per tutti gli italiani, ma l’Italia arrivava nel Veneto prima che i veneti esprimessero la loro volontà di aderire al Regno. E le leggi applicate per prime non erano buone: confisca dei conventi e di parte dei beni delle parrocchie. Era così: arrivava un funzionario italiano per dire che, poiché le leggi del Regno d’Italia non riconoscevano gli Istituti religiosi, allora lo Stato si prendeva tutti i beni. Per cinque anni ho dovuto correre, lottare, trovare vie per recuperare a Ceneda e a Venezia quelle case che non avevamo nemmeno finito di pagare. Adesso lo ricordo come un temporale passato, ma quanta grandine e quanti fulmini!”

Lo stato italiano aveva concesso a ogni religioso (di tutti gli istituti religiosi, maschili e femminili del Veneto) una pensione vitalizia, con aliquote diverse secondo la situazione di ogni religioso (sacerdote o laico, professo o seminarista ecc.), in sostituzione ai beni confiscati; il denaro di tali pensioni, centralizzato e depositato nella cassa di comunità, aveva contribuito al riacquisto degli edifici e degli altri beni; ciò spiega anche la rapidità con cui parecchi furono recuperati.

Il 7 settembre 1871 P. Casara ottiene di nuovo la chiesa di S. Agnese indemaniata, non in proprietà questa volta, ma in «comodato perpetuo», per i buoni servigi del patriarca di Venezia Giuseppe Luigi Trevisanato, che la ricevette dal demanio soltanto in uso e la passò contestualmente all’Istituto Cavanis; Casara la fece restaurare ancora una volta, e poi benedire solennemente dal patriarca il 20 gennaio 1872, il giorno prima della festa di S. Agnese, quando fu aperta di nuovo al culto, dopo tante vicende e contrasti.

“Il discorso d’occasione – riferisce Aldo Servini nella Positio – fu tenuto dal canonico Giovanni Ferrari e pubblicato a cura di un gruppo di sacerdoti ex allievi delle scuole di carità. In memoria di questi fatti il giornale di Venezia II Veneto Cattolico si fece promotore dell’erezione nella chiesa stessa di una lapide che ricordasse «ai posteri i meriti e le virtù dei padri Cavanis, veri amici del popolo, perché il loro amore attinsero alla verace virtù di Gesù Cristo»8. L’inaugurazione della lapide però non avvenne se non nel 1875, perché il Casara volle attendere l’esito di un processo intentato dal municipio di Venezia, che si era proposto di togliere a ogni costo all’Istituto femminile lo stabile in uso alle Eremite. La causa, portata in appello, fu vinta dall’Istituto, e fu così più completa la gioia dell’inaugurazione della lapide. La cerimonia si svolse il 22 aprile alla presenza del patriarca card. Trevisanato; e insieme con la lapide in onore dei Servi di Dio, se ne scoprì una seconda, che ricordasse le vicende più salienti del vecchio edificio. Il discorso commemorativo fu letto da un altro ex allievo dei due Cavanis, monsignor Giuseppe Epis.”

Alle spese della consolidazione strutturale delle pareti meridionali e dell’abside periclitanti, del restauro completo, del mobilio e del materiale liturgico collaborarono molti tra i “buoni”, come erano chiamati a quel tempo i collaboratori delle opere di chiesa, e lo fecero tanto più per evitare che quell’ambiente sacro, molto caro ai veneziani, fosse convertito in un ambiente profano, più esattamente, come era in programma, in una palestra di ginnastica statale o comunale.

Nell’occasione, furono affisse, scoperte e inaugurate due lapidi di marmo, poste in origine simmetricamente sulle pareti che chiudono a ponente le due navate laterali della chiesa (sulla superficie della controfacciata), più tardi, nel 1921, esse furono riunite sulla parete di fondo della navata di destra, sempre a ponente, dovendosi nell’altra navata aprire la nuova porta che dà accesso diretto alla cappella del Crocifisso e collocare sopra detta porta la lapide del primo centenario dell’Istituto. La prima lapide, sulla destra, in onore dei fondatori, del loro impegno per la chiesa di S. Agnese e più in generale della loro vita, dice così:

A VOI

O VENERATI SACERDOTI CONTI FRATELLI

ANTONANGELO E MARCANTONIO DE CAVANIS

CHE FIAMMANTI DELLA CARITÀ DI DIO

NOBILTÀ CENSO ONORI SPREZZATI

ALLA GIOVENTÙ D’AMBO I SESSI

POVERA SPECIALMENTE

INGEGNO STUDI FATICHE TUTTO

SACRANDO

PER ESSA DUE NUOVI INSTITUTI FONDASTE

A VOI O BENEDETTI

IN QUESTA CHIESA

A VOSTRO MERITO PER LA SECONDA VOLTA

IL XX DEL MDCCCLXXII

NON SENZA PRODIGIO RIAPERTA

FIGLI ALLIEVI AMMIRATORI

QUESTA PERENNE MEMORIA VOLLERO POSTA

La seconda lapide, sulla sinistra, fa memoria invece delle più salienti vicende della chiesa ed è così concepita:

VETVSTISSIMAM – S. AGNETIS – V – M AEDEM

INCENDIO – ABSVMPTAM – POPVLVS – INSTAVRAVIT

TRES – EPISCOPI – AN – MCCCXXI – DEDICARVNT

———-

TEMPORUM – EVENTORVMQ – INIVRIA – CORRUPTAM

PIENTVM – STIPE – A – PROFANIS – VSIBVS

SVB – MEDIO – XIX – SAECVLO

VINDICARVNT – SACRISQ – RESTITVERVNT

FRATRES – DE – CAVANIS – SCH – CHAR – AVCTORES

———-

INOPINA – SVBTERRANEI – AERIS – ERVPTIONE – FATISCENTEM

COLLATITIA – ITEM – PECVNIA – REFECTAM – EXPOLITAM

IOS – ALOYS – CARD – TREVISANATO – PATR.

SOLEMNI – RITV – DENUO – CONSECRAVIT

XV – KAL – SEPT – ANNI – MDCCCLXXlI

AD – DOM – V – POST – PASCHA – DIE – ANNIVERSARIA

STATVTA

Tuttavia dispiaceva, naturalmente, che la proprietà della chiesa, il cui restauro e la messa in funzione erano costate tanto da un punto di vista di denaro, lavoro e preoccupazioni ai fondatori e all’Istituto, e più tardi di nuovo ai tempi del Casara, fosse stata persa dall’Istituto, come si è detto sopra, il 24 settembre 1867.

Bisogna ricordare qui che Casara, prima di queste cose, era riuscito a convincere le autorità statali che non conveniva mettere all’asta la chiesa dato che essa aveva subito dei danni ingenti per la fuoriuscita di gas, acqua e sabbia (accaduta nel 1866 come si è detto sopra) e che aveva perso quasi del tutto il suo valore venale. Riuscì a ottenere così la concessione della chiesa al patriarca da parte dello stato nonostante le pessime condizioni strutturali; questi la ripassò all’Istituto. Il Diario della Congregazione riporta in questa data: «Oggi, giorno prima della Natività di Maria, fu sottoscritto l’atto di cessione della chiesa di S. Agnese che era stata confiscata dallo stato italiano all’Em.mo cardinale patriarca. Il decreto era arrivato da Firenze la sera prima dell’Assunzione».

Un privilegio ottenuto da Papa Pio IX, dal 13 luglio1871, permetteva all’Istituto di cominciare a festeggiare il secondo giovedì di luglio la festa pro pueris di S. Giuseppe Calasanzio per gli studenti.

La chiesa di S. Agnese era stata inaugurata e benedetta; restava da celebrare solo la dedicazione. La si fece il 18 agosto 1872, giorno in cui il cardinal patriarca Trevisanato la consacrò ancora una volta.

Il diario dell’Istituto riporta l’8 maggio 1873: «Con la benedizione di Dio e la protezione della Vergine, di S. Michele e dei nostri avvocati, recuperiamo all’asta il palazzo delle scuole a Venezia», cioè il palazzo da Mosto.

P. Casara era riuscito a riscattare solo i beni perduti, ma già pensava a dotare la comunità religiosa di Venezia di una nuova abitazione, perché non si poteva più vivere in quella piccola, umida e malsana “casetta” in cui era vissuta dall’inizio nel 1820 e continuava a vivere la comunità veneziana. I religiosi e anche P. Sebastiano, si rendevano conto che avevano perduto tanti giovani confratelli, seminaristi e preti, morti a causa di malattie cagionate anche dall’ambiente umido e troppo povero in cui abitava la comunità, e che questo aspetto avrebbe potuto allontanare dei giovani desiderosi di entrare nell’Istituto.

Egli stesso aveva dichiarato in un capitolo di comunità tenuto a Venezia il primo dicembre 1856, a proposito dell’apertura della casa di Possagno, augurandosi che la comunità potesse trovare in quel ridente paese ai piedi delle Prealpi anche un ambiente climatico più propizio per i religiosi e soprattutto per una casa di formazione: “Finché resteremo qui [a Venezia, nella “casetta”] con questa Casa angusta, bassa, melanconica, giudicata per insalubre, sussisterà un fortissimo ostacolo anche per l’avvenire all’aumento degli operaj. Ricordavo già jeri stesso un nuovo caso di chi, sentendosi inclinato ad unirsi con noi, ne fu distolto per questo motivo, e ne dimise il pensiero. E di questi casi ne conosciamo ben varii, e chi sa quanti ne avvennero, senza che nulla mai ne sapessimo. Non ci esponiamo dunque a pericolo di tentar Dio, pretendendo una grazia, che fino ad ora non piaquegli di accordarci, aspettando una specie di miracolo, di cui non veggo necessità”.

Bisogna anche dire che dagli inizi della vita della comunità Cavanis a Venezia nel 1820 erano trascorsi 57 anni e che tempi e tradizioni stavano cambiando. Il seguente commento è datato 20 gennaio 1877, festa di S. Sebastiano e giorno della posa della pietra di fondazione della nuova casa: «Il nostro voto ardente si compie. Benediciamo e posiamo la prima pietra della nuova casa dell’Istituto a Venezia. Centuplicata la nostra gioia da un autografo prezioso dell’immortale Pio IX, che benedice qui la Congregazione e il preposito tanto degno di meriti ».

Costruire richiedeva naturalmente molto denaro, e altro era necessario per mantenere le scuole gratuite; il salasso economico dovuto al riacquisto nelle varie aste dei beni delle tre comunità aveva realmente dissanguato la Congregazione. Una delle attività costanti di P. Casara, come era stata di P. Marco, era la richiesta di elemosine, nei modi più vari. Colpisce per esempio che chiedesse denaro anche a Londra, non a veneziani residenti laggiù, come faceva P. Marco, ma a nobili inglesi: per esempio, il 10 settembre 1879 scrive tre istanze per elemosine al duca di Norfolk, al marchese Bipon (?) e al marchese Bute, conosciuti (ma non da lui personalmente) benefattori, raccomandatigli da un tale P. Lanzoni, come pure a un’infanta di Spagna. Riceverà risposte negative, come era probabile. In particolare, il marchese Bute risponde che riceveva fino a 300 ricorsi per quattrini al giorno, e che non poteva soccorrere tutti. P. Casara riceverà tuttavia qualche sia pur modesta elemosina da altre persone a Londra, tra cui dai padri Scolopi.

In occasione del XIX anniversario della morte del venerabile P. Anton’Angelo, il 12 marzo 1877, si presenta una supplica al patriarca affinché apra il primo processo sulla virtù e sulla reputazione di santità dei nostri due fondatori. Questa supplica dell’8 marzo 1877 era firmata da tutti i religiosi preti della comunità di Venezia che ce ne hanno così lasciato l’elenco completo.

Lo stesso anno 1877, P. Sebastiano intraprese un grande viaggio e visitò un notevole numero di città della Lombardia e del Piemonte, soffermandosi in particolare a Milano e a Stresa, casa centrale dei religiosi dell’Istituto della Carità (i religiosi Rosminiani), dove visita, pieno di commozione, la tomba del suo maestro. S’incontra sia con i religiosi rosminiani che con vari sostenitori del Roveretano. Il viaggio fu un trionfo per il nostro preposito, accolto con entusiasmo ovunque; egli ne parlava sempre con nostalgia. Lo scopo principale del viaggio era tuttavia quello di sollecitare delle offerte per l’Istituto e soprattutto per la costruzione della nuova casa di abitazione della comunità a Venezia: vedi nel capitolo su quella casa.

Nella seconda metà degli anni Settanta e ancor più dal 1880 si riaccende per iniziativa dei gesuiti e dei domenicani una nuova e più grave fase di lotta contro Rosmini e i rosminiani, di cui Casara è tra i principali esponenti in Italia. Un nuovo periodo di sofferenza prende il via anche per il nostro. La sua lettera a Papa Leone XIII su questa tematica non riceve risposta; così la maggior parte almeno delle sue lettere e l’invio sistematico dei suoi opuscoli a cardinali, a vescovi e superiori religiosi.

Casara prevedeva una nuova condanna del Rosmini e dei rosminiani e ne era preoccupato. Così scrive nel diario il sabato 11 febbraio 1882: “Saputo dal Prada, che nella C[ongregazione] del S. Uffizio, di cui Prefetto è il Papa, è (sic) Vice-Prefetto è il Card. Lorenzo Nina, scrivo anche a lui per l’oggetto stesso che ai due Card. Bilio e Bartolini (nn. 58, 59) – E il fo anche in seguito a lettera ricevuta oggi dall’amico Paoli da Torino, al quale interessa assai che si avverta al senso troppo penoso e pericoloso che farebbe nei laici studiosi e credenti la condanna che si va prenunziando. Tocco perciò questo punto nella lettera al Cardinale”.

Il nostro dedica tutto il suo tempo libero – e anche di più – alle sue pubblicazioni filosofiche, pedagogiche e didattiche. Si può rendersene conto scorrendo le pagine del Diario di Congregazione da lui scrupolosamente compilato, osservando che sono molto più numerose le righe in cui tratta della sua corrispondenza “filosofica” che quelle in cui parla di cose della Congregazione, soprattutto al passaggio tra gli anni ’70 e ’80, nella parte iniziale del volume quinto del diario.

Le polemiche contro i rosminiani diventano sempre più aspre; a Venezia il patriarca Domenico Agostini è intransigente in merito alla filosofia di Rosmini e controlla silenziosamente il P. Casara. Quest’ultimo diviene tuttavia sempre di più “strenuo campione (…) del rosminianesimo”, con il pericolo di essere dichiarato ontologista e panteista, ed inoltre, chissà, di far passare qualcuna delle sue pubblicazioni “quale parto di giansenismo, bajanesimo, quesnellianismo e poco meno che volterianismo”. In proposito, P. Casara scrive nel diario che l’Osservatore cattolico di Milano “nel suo n. 51 dei 4-5 del corrente mese di marzo 1880 publicò una vera o supposta Corrispondenza in cui mi mette a fianco di Voltaire”. C’era senza dubbio di che sentirsi onorati – non so se il Casara si sentisse tale – ma a quei tempi e in quelle circostanze c’era di che preoccuparsi davvero!

Dal 25 febbraio all’11 marzo 1880, P. Casara intraprende un altro viaggio a Firenze dove incontra il famoso naturalista, paleontologo, geologo, alpinista, patriota e sostenitore di Rosmini l’abate Antonio Stoppani, e a Roma (in compagnia di Stoppani), dove partecipa al simposio tomista e ad un’udienza in Vaticano da Papa Pio IX, concessa ai partecipanti al simposio. Negli anni ’80 la corrispondenza del Casara con Stoppani è piuttosto frequente e sistematica, sempre molto cordiale, segno di vera amicizia e stima reciproca e sempre registrata nel Diario della Congregazione.

Il Diario di Congregazione riporta memoria di varie lettere inviate da P. Casara al Papa Pio IX, con una certa famigliarità e un grande senso di “preoccupazione per tutte le chiese”. Merita di essere citato il seguente brano: “Ho spedito oggi al S. Padre lettera confidenziale, in cui da figlio gli significo in cenno la vita di strapazzo che conduce il santo nostro Patriarca; acciocché lo sappia, e proveda, per conservarne la salute e la vita”.

La polemica anti-rosminiana intanto continuava e tra l’altro il giornalista Davide Albertario scrisse un articolo veemente “con frasi sature di sarcasmo” contro il nostro preposito il 28 febbraio 1880 nel giornale milanese da lui diretto, “L’Osservatore Cattolico”.

Dopo anni di desideri e speranze, la comunità di Venezia trasloca finalmente nella nuova abitazione: l’inaugurazione ufficiale avvenne il 20 gennaio 1881, ancora una volta in occasione della festa di S. Sebastiano, con la benedizione fatta dal patriarca.

La tempesta delle leggi “eversive” era passata e la comunità era rimasta fedele e stabile, anzi era aumentata di numero. In effetti, fra i 14 istituti maschili (ordini e congregazioni) che erano presenti a Venezia nel 1866, la maggior parte soffrì perdite notevoli di personale; nel complesso il numero di religiosi a Venezia si era ridotto da 431 nel 1866 a 261 nel 1879: secondo i dati del 1879, un Istituto risultava chiuso in città, altri dieci avevano diminuito i numeri al loro interno (più grave la situazione per gli ordini più antichi che per le congregazioni), due avevano mantenuto il numero di religiosi e solo i Cavanis erano passati da 17 membri a 21. La situazione degli istituti religiosi femminili, più numerosi in città (22 nel 1866, 20 nel 1879), è analoga; solo gli istituti votati all’educazione, tra i quali le canossiane, si sono sviluppati.

Nel 1883 comincia un lungo periodo di problemi interni nella comunità, dovuti soprattutto ma non esclusivamente ai dibattiti e diatribe a volte amare sulla seconda parte delle costituzioni, che si stavano redigendo, soprattutto da parte di Casara. I giovani padri, Giuseppe Miorelli (che restò a lungo in Congregazione, ma ne uscì più tardi), Michele Marini (che uscì dalla Congregazione nel 1887) e un altro (P. Giovanni Battista Larese, che moderò le sue pretese e continuò a lavorare con passione e amore nella Congregazione diventando un importante religioso), come conseguenza della situazione difficile di P. Casara in quanto filosofo rosminiano, ma anche per via del dibattito sulla seconda parte delle costituzioni, crearono un doloroso gruppo di fronda e di maldicenze.

Lo stesso anno 1883, il 30 e 31 agosto, si celebra il capitolo provinciale e P. Casara fu tuttavia rieletto ancora una volta per un ulteriore mandato di preposito, un chiaro segno di stima della maggior parte dei confratelli.

Nel settembre dello stesso anno, i rapporti con il patriarca card. Domenico Agostini con P. Casara, essendo un rosminiano, e a causa anche di altri problemi, soprattutto le maldicenze dei religiosi della «fronda», diventarono sempre più difficili e perdurarono tali per diversi mesi. Per padre Casara, fu un periodo di grandi sofferenze. Ci fu un incontro del patriarca con la comunità, di cui si dirà più sotto, una dichiarazione scritta e letta al patriarca da padri sostenitori di P. Casara, ma la situazione continuava a essere pesante. P. Casara pensava che dopo la tempesta, cioè dopo il capitolo provinciale, l’aria si fosse rarefatta, ma non fu così.

La posizione anti-rosminiana del patriarca porta conseguenze sgradevoli per l’Istituto per quanto riguarda gli studi dei seminaristi, probabilmente teologi: nell’ottobre 1883 P. Casara scrive nel diario: “La sera stessa di venerdì, dopo scritta e chiusa la mia al patriarca (…). Ricevetti lettera sua del 31 8bre, nella quale mi significa essere sua intenzione e vivo desiderio che i nostri chierici concorrano alle scuole del Seminario – Per la gravità della cosa, che non posso fare da me, e molto più per la ragione, che non dice, ma io devo credere vera causa della sua determinazione, gli rispondo assai di proposito – Prima di parlarne coi Confratelli voglio un documento gravissimo a mio riguardo, ecc.”. Il sabato successivo, 10 novembre, “Il Patriarca mi risponde (…) con lettera che mantiene ferma la sua intenzione (…) , e parla di proposito sul sistema rosminiano. A questa parte dovrò io replicare, con tutto il rispetto ma apertamente. All’altra parte risponderà la Congregazione”.

“Intanto – scrive Casara l’11 novembre -, in ossequio al desiderio del Patriarca, scrivo oggi all’amico di Vincenzo Papa avvertendolo che sospenda la continuazione del mio lavoro in corso di stampa nella Sapienza, né potrò continuare l’associazione al Periodico per me e pel p. Larese”. È interessante registrare qui che sembra che P. Larese condividesse le idee di P. Casara, anche a differenza di altri confratelli.

Nel 1884 P. Casara registra con un bel testo la santa morte a novantadue anni dell’abate Daniele Canal “venerando amico dei nostri Padre (sic), amorevolissimo nostro, fondatore di due grandi Istitutori, e indefesso in ogni opera privata e pubblica di zelo e di carità, benemerentissimo della patria”.

Continua ad attendere vanamente un incontro con il Patriarca Agostini, e scrive nel diario il 22 marzo 1884: “Scrivo di nuovo al Patriarca, dimandando la udienza che aspetto da mesi”. E, due giorni dopo, registra: “Mi risponde il Patriarca, pregandomi di aver ancora pazienza, e assicurandomi del suo affetto”.

Finalmente l’incontro con il Patriarca accadrà, purtroppo anche a seguito di una serie di visite fatte al prelato veneziano da P. Giuseppe Miorelli, persona sempre turbata e alquanto rissosa, che probabilmente era andato anche a parlar male del P. Casara e a prospettare litigi nella comunità. Così scrive nel diario quest’ultimo il 14 giugno 1884: “Il p. Miorelli che era stato mercordì, col mio consenso, dal Patriarca a manifestargli ciò che molto lo disturbava, ieri si sconcertò nuovamente, e sta mattina vi ritornò molto turbato. Lo calmò il Patriarca, e ritornò con letterina del medesimo che lo accompagnava, e insieme mi avvertiva che sarebbe venuto a visitarci lunedì dopo pranzo in forma amichevole e privata.”. E il 16 giugno 1884: “Ed oggi infatti è venuto con grande bontà ed amorevolezza, ed affrettandosi a dichiararmi che veniva proprio come amico, ma amico antico e di nuovo. Credeva di trovar qualche torbido, e per interporsi a cessarlo, e fu sorpreso assai e consolatissimo trovando tutto invece pienamente tranquillo. In seguito però a quanto erasi riferito dal P. Miorelli del suo colloquio col Patriarca, i pp. Bassi, Rovigo, Sapori e Giovanni Chiereghin aveano preparato una relativa Memoria da presentare al Patriarca, che gli avrebbero mandata, se non fosse venuto. Dissi dunque io a lui, che alcuni dei miei confratelli desideravano di presentarglisi e parlargli prima di me. Ed egli a me: Quand’ella è contento, vengano pure che io volentieri li ascolto. Gli si presentarono, gli lessero la Memoria, vi discorsero sopra alla lunga, ed egli ne fu contentissimo, e trattò e parlò con tanta esuberanza di affetto, che tutti e quattro ne rimasero entusiasmati. – Dopo essi andai io, e liberamente gli esposi e dissi quanto credetti necessario ed opportuno, ed egli mi corrispose sempre con tutta amorevolezza e cordialità. – Gli si presentò infine tutta la Comunità, che egli accolse con festa, e si trattenne con essa alla lunga, e finì col promettere di venir a celebrare il secondo giovedì di luglio, in che facciamo la festa di S. Giuseppe Calasanzio per gli scolari. Partì, lasciando tutti contenti”.

Il diario, il 20 giugno registra: “L’amico d.[on] Giuseppe Marchiori si affretta a comunicarci, le seguenti parole, dette a lui oggi dal Patriarca: “Vedi che aria di santità spira nell’Istituto Cavanis! L’altro giorno sono partito veramente edificato. Già ho deliberato di mandare a quei buoni Padri una lettera”. A cui il Marchiori: “Eminenza, la terranno preziosa”. E soggiunse nel suo biglietto: Il Patriarca fu commosso nell’udire dal P. Casara le proteste del suo affetto verso tutti i suoi soggetti e della carità con cui scusò lo sbaglio del p. Marini e del p. Miorelli. – Tanto a conforto di tutta la Congregazione”.

Un aspetto notevole di questi anni, è il grande numero di aspiranti di cui si parla nel DC, provenienti principalmente dal “Tirolo”, ma anche da altre regioni, specialmente dal Veneto, tra loro anche di un sacerdote anziano di 60 anni, come pure due ragazzi delle scuole Cavanis di Venezia, che vogliono entrare in Istituto. C’è una grande attenzione alla pastorale vocazionale, con l’appoggio e i suggerimenti di vari parroci; in genere però la cosa non porterà a nessun risultato, per tutta una serie di motivi, in genere per mancanza di attitudini da parte dei candidati. Impressiona il bassissimo numero di vestizioni, professioni e ordinazioni in tutto questo periodo degli anni ’70 ai ’90. Nel 1888 per esempio c’è soltanto un novizio, il candidato a fratello laico Clemente Dal Castagné, entrato in Congregazione il 29 gennaio 1886. Non si parla più da tempo quasi mai di ordinazioni presbiterali: dal 1866 al 1895 (29 anni!) in Congregazione ci furono soltanto sette sacerdoti novelli, e di questi , tre usciranno in seguito di Congregazione, e soltanto quattro rimarranno perseveranti.

Riprende in quest’anno 1885, dopo un lungo silenzio, il dibattito sulla riforma delle regole della Congregazione, e principalmente sulla risposta da dare alla Sacra Congregazione di Vescovi e Regolari riguardo alle cinque osservazioni che questa aveva presentato. Ci sono nel diario del 1885 molte registrazioni di lettere tra P. Casara e i padri anziani al riguardo, ma senza che si giunga a un risultato. Ci si rimette al lavoro da compiersi su questo tema nell’imminente capitolo ordinario provinciale.

Nel 1885, in conseguenza all’aggravarsi della situazione, ormai stanco anche per l’età avanzata, e dopo un breve periodo di riflessione che passò a Lendinara per rimanere più libero e tranquillo, P. Casara rinunciò nuovamente (e definitivamente) all’incarico di preposito. I motivi erano chiaramente espressi in una lettera indirizzata ai quattro definitori o consiglieri, residenti a Venezia e a Lendinara, che evidenziava i problemi della comunità. La rinuncia all’incarico fu formalizzata il 19 luglio 1885, poco prima che ci si riunisse per il capitolo provinciale straordinario del 10 settembre 1885, e P. Casara, aspettando il capitolo ed il suo risultato, si trasferì di nuovo provvisoriamente nella casa di Lendinara.

Il suo successore, eletto durante il suddetto capitolo straordinario del 10 settembre 1885, è padre Domenico Sapori. Il nuovo preposito invita padre Casara “ad essere Vicario, direttore delle Scuole presso le autorità civili; Preside delle conferenze di Morale, Compilatore delle Regole; ed accettare libera la corrispondenza epistolare”. C’è una lettera molto bella di P. Casara al nuovo preposito P. Sapori, del resto un suo caro amico, dopo la sua elezione: «Per ora basti che mi dichiari che voglio essere qual devo: sottomesso, rispettoso, obediente, tale da poter essere di aiuto e conforto al mio superiore, e di esempio ai confratelli. Guai a me se nol fossi! Guai a me, se non dessi sempre l’esempio di quello che raccomandai agli altri nella chiusa dello scritto lasciato da leggersi nel principiar del Capitolo! Iddio nol permetta! Piuttosto morire, che essere di pena, di danno, di scandalo nella Congregazione! ». E concludeva la lettera: « Padre mio! voglio essere, e spero che sarò in fatto, amorosissimo obedientissimo figlio Casara ». Padre Sebastiano aveva allora 74 anni.

Casara, dopo la fine di una lunga fase della sua vita come superiore generale, continuò a vivere a Venezia, in comunità, ora da semplice religioso, dal 1885 fino alla sua morte nel 1898, in umiltà e obbedienza come aveva promesso e praticando un’estrema povertà. Rimase sino alla fine consigliere (definitore) provinciale e poi consigliere generale, dal 1891, quando, dopo l’approvazione delle nuove costituzioni, stavolta anche con la seconda parte, preparata principalmente da lui stesso, si cominciò a chiamare preposito generale il superiore di tutta la Congregazione, e generali i capitoli, i definitori e le altre cariche della curia generalizia.

Continuò a occuparsi attivamente dell’educazione, dello studio e della ricerca, delle pubblicazioni che continuò a produrre, della vita comunitaria, dell’aiuto spirituale alle comunità di suore, della ricerca di denaro per aiutare i «suoi» poveri. Come i suoi maestri fondatori, si era fatto lui stesso mendicante per aiutare i più deboli. Ripeteva spesso: «Carità, carità, carità!». Diventava sempre più magro, curvo, debole.

Una delle cose che decadde con l’interruzione della sua prepositura, fu la qualità del diario ufficiale della Congregazione: i suoi successori immediati nel corso dell’ultimo quarto del XIX secolo scrissero meno di lui e il loro diario non è che un’immagine debole e opaca per poter servire alla storia della Congregazione. Di conseguenza, la ricostruzione della storia dell’Istituto, a partire da questo punto, risulta più difficile.

Nel 1887, nel mese di ottobre, P. Sebastiano festeggiò il giubileo dei cinquant’anni di vita presbiteriale, circondato dall’amore dei religiosi, amici, ex-alunni e dalla stima di ricercatori e ammiratori. Sebastiano Casara infatti era stato ordinato prete il 23 settembre 1837 come membro dell’Istituto Cavanis. Come narra molto ampiamente il diario di Congregazione in una pagina e mezza, la celebrazione di questo giubileo era stata preceduta da un triduo, durante il quale si erano suonate le campane tre volte al giorno; la solennità stessa fu celebrata con grande festa, alla presenza di molti invitati, della scolaresca, del clero inclusi i canonici; con musica e canti, con un discorso gratulatorio tenuto dal P. Giovanni Chiereghin. Seguì un pranzo solenne. Non mancò un messaggio del Papa, un telegramma del Patriarca, e numerosi telegrammi e lettere gratulatorie di vescovi, preti, religiosi amici all’illustre festeggiato, che per la verità aveva chiesto e insistito che non si desse nessuna solennità alla data.

Ci voleva del resto una festa di questo tipo e di tanta gioia e serenità; perché l’orizzonte era greve di nubi di tempesta.

Un duro colpo, infatti, si abbatteva sul P. Casara: “In un contesto ecclesiale lacerato dalle polemiche tra le diverse scuole teologiche”, un grave avvenimento turbò la santa vita di questo venerando padre nei suoi ultimi anni: il decreto « Post obitum » del S. Uffizio (oggi Congregazione per la difesa della fede): quaranta proposizioni di Rosmini, già morto da 33 anni, venivano condannate. Si trattava di proposizioni tratte da opere postume. Il decreto è datato 14 dicembre 1887, ma P. Casara ne venne a conoscenza solo il 22 marzo del 1888

Scrisse subito una lettera al patriarca Agostini, con la quale manifestava la sua totale e umile sottomissione alla chiesa, in particolare al papa che aveva firmato il documento. Chiedeva solo di far conoscere ai fedeli la sua obbedienza e sottomissione e in particolare chiedeva al patriarca di mandarne copia al papa Leone XIII. La lettera fu portata al card. Agostini dal nostro preposito generale che era allora P. Giuseppe Da Col, e il cardinale, molto soddisfatto dalla lettera e dalla sottomissione, acconsentì, ovviamente, ad ambedue le richieste di Casara.

P. Da Col, preposito, così commenta il fatto e la situazione nel diario: “Oggi presentai all’Eminentiss.mo Patriarca la lettera a Lui diretta dal nostro amatissimo P. Casara Vicario, nella quale dichiara e professa co’ sentimenti i più edificanti la sua piena Sottomissione al recente venerato Decreto del S. Ufficio, che condanna 40 proposizioni tratte dall’Opere dell’Ab. Antonio Rosmini – L’Eminentissimo aprì e lesse la lettera alla mia presenza; m’incaricò di recarne al P. Casara l’attestazione del più vivo gradimento con altre espressioni di stima e di affetto pel caro Padre, e quella sera si degnò di venire in persona a ripetergli i medesimi sentimenti, ed a crescere la gioia di tutta la nostra famiglia”. È interessante sottolineare che il preposito non aggiunge, qui o altrove, parole di preoccupazione, tristezza o rimprovero per il P. Casara; al contrario, parole di affetto, stima e amore. Lo appoggiava totalmente, anche se senza dubbio la condanna implicita al P. Casara da parte della S. Sede doveva creare dei problemi a tutta la comunità Cavanis.

Il giorno seguente, 24 marzo, P. Da Col scrive: “Oggi l’Eminentissimo Patriarca soddisfece il desiderio del M.R.P. Casara che la sua lettera allo stesso Eminentissimo fosse pubblicata, e comparve nel periodico La Difesa preceduta da una lettera del Patriarca al direttore del Periodico di gran lode ed onore al carissimo nostro Padre. Siamo stati anche assicurati che oggi stesso S. Eminenza partecipava al S. Padre Leone XIII il Documento del P. Casara”.

Ci si può immaginare però quali sofferenze patirono P. Sebastiano Casara e di conseguenza la comunità. Ricevette per altro lato una quantità di lettere di stima da amici, ammiratori, discepoli e vescovi, tra cui monsignor Giuseppe Sarto, che all’epoca era vescovo di Mantova, e fu poi patriarca di Venezia e poi papa Pio X; ricevette lettere di lodi anche da qualche suo avversario.

Così scrive in proposito P. Da Col: “In questi giorni da Prelati, e da altri distinti ammiratori del nostro P. Casara gli sono dirette dimostrazioni di stima e congratulazioni per l’atto da lui compiuto e i documenti relativi e da lui ceduti alle istanze della Comunità si raccolgono per conservarle nell’Archivio sotto il n° 96, mese corr.e”.

E il 10 aprile Da Col scrive: “L’Eminentissimo Patriarca oggi si compiacque di spedirci copia autentica della Sua lettera al S. Padre nella quale dette relazione a Sua Santità dell’atto di adesione pubblicato dal P. Casara alla condanna delle 40 proposizioni rosminiane e insieme la consolante risposta che ricevette dall’Eminente Card Rampolla, Segretario di Stato – L’Emo. Patriarca accompagna il prezioso Documento con Lettera al P. Casara, ripetendogli le usate espressioni di grande stima e benevolenza”.

Tuttavia da altri Sebastiano Casara fu accusato di aver fatto solo un atto di sottomissione formale ed esteriore (qualcuno lo definì addirittura ipocrita, qualcuno debole) e non interiore ed intellettuale..

La sua sofferenza è ben illustrata dal suo amico (e amico dell’Istituto, almeno fino a quel giorno) il conte Luigi Sernagiotto, che ricordava, circa 10 anni dopo: “Egli venne in quel giorno colla faccia stravolta e molto agitato a trovarmi, e leggendomi il testo della condanna, esclamò, visibilmente afflitto: ‘Dio mio, hanno osato condannare il Rosmini dopo il Dimittantur. Quanto male ciò porterà alla Chiesa!’ ”.

Uno di quelli che dichiararono P. Casara un debole, nel suo atto di sottomissione, fu proprio il conte Luigi Sernagiotto, nella sua breve nota pubblicata nella “Rassegna Nazionale”.

Da notare che l’Istituto Cavanis non era rimasto molto soddisfatto da questa spontanea iniziativa di Sernagiotto di scrivere una biografia del Casara senza consultare i padri. Il Diario di Congregazione così riporta: “Il P. Giovanni Chiereghin nostro Vicario, letto l’opuscolo pubblicato dal Conte Sernagiotto sul benedetto P. Casara, che ci fu favorito da persona amica (non già dall’Autore), non poté trattenersi dallo scrivere e spedire al Conte col consenso del Preposito la lettera, che unita al detto opuscolo si conserva sotto il n° 28. Rispose il Conte con parole rispettose alla persona del P. Giovanni Chiereghin, com’era da aspettarsi, ribadendo, in modo ugualmente, se non più accentuato, i concetti del suo opuscolo contro gli avversari ecc., ripetendo pur lodi alla memoria del compianto defunto, e non accennando punto a qualche particolare e giustissima osservazione fattagli dal d.o P. Vicario”.

Ecco di seguito il testo completo di questa lettera del P. Giovanni Chiereghin, vicario generale della Congregazione, recentemente ritrovata, e finora inedita:

“Lettera al Conte Sernagiotto a proposito dell’articolo da lui stampato nella Rassegna Nazionale sul P. Casara.                                                                 N.28

Egregio Sig.r Conte

Venezia, 8 6.98

Lessi il suo articolo sul P. Casara, e apertamente Le dico che mi dispiacque assai assai. Educato alla scuola del benedetto Padre [Casara] appresi essere dovere della scrittore evitare sempre, massime nelle dispute che sorgono da diversità di opinioni delle scuole, i modi aspri e pungenti, che non si combinano punto colla carità raccomandata da S. Agostino, in omnibus caritas. E ciò tanto più quando si parli di Autorità e di Corporazioni rispettabilissime. Disapprovo quindi altamente quelle insinuazioni poco rispettuse (sic), per non dire ingiuriose, contro la Congregazione dell’Indice, e la Compagnia di Gesù.

Il classificare poi come atto di debolezza la sommissione del Padre Casara al Decreto Post obitum, è lo stesso che mostrare di non conoscere di che tempra fosse il desideratissimo Padre. Quando parlava, e quando scriveva specialmente per dare alle stampe, egli nulla diceva che non corrispondesse pienamente a ciò che sentiva nell’animo, né sapea mai e poi mai fingere sentimenti da cui non fosse veramente mosso. Non fu dunque debolezza, ma atto umile di figliuolo devoto alla Chiesa, come dichiarò nel suo atto di sommissione, fu cosa bellissima, e spontanea, non imposta da altri come Ella mostra di credere.

Lo scritto poi a cui Ella accenna, stampato tre mesi dopo il Decreto = Post Obitum = per me, e per tutti quelli che conobbero intimamente il p. Casara e non si lasciano guidare dallo spirito di parte, è non già un atto superbo di protesta, ma frutto di una semplicità di cuore veramente singolare. Compie il suo dovere col sottomettersi, ma nel tempo stesso, non trattandosi di Decreto irreformabile, non può resistere a una voce imperiosa interna che gli va ripetendo scrivi, e scrive. Ma scrive umile. Rispettoso, non già alzando il vessillo della ribellione, scrive secretamente a chi potea apprezzare la rettitudine delle sue intenzioni, non già pubblicamente, perché nessuno potesse fraintenderlo, e prendere ansa dal suo scritto a continuare nella opposizione, anzi per togliere ogni ombra di scandalo si asconde sotto il velo delle iniziali G.F. E perché Ella sig. Conte, tolse questo velo? Crede di aver fatto con ciò onore al P. Casara, un bene all’Istituto? (1)

Mi perdoni la libertà. Non ho scritto per iniziare una polemica: io non sono filosofo; spesa la mia vita tra le aridezze grammaticali sono talpa nel campo della Scienza. Ma nell’intima persuasione che al P. Casara non piacerebbe questo scritto, credetti mio dovere manifestarle il mio sentimento. Egli vivo mi onorò della sua confidenza. A Lui morto credo dovuto questo tributo.

Con tutta osservanza mi professo.

                                       Della SV.

Devotissimo servitore

P. Giovanni Chiereghin

vicario dell’Istituto Cavanis

  1. Noi educati dalla sua parola, e più dai suoi esempi, non faremo mai un’azione, non diremo mai una parola, che possa in qualunque modo suonare poco rispetto alle autorità legittimamente costituite, massime alle Congregazioni della Curia Romana.”

P. Casara rispose formalmente a chi gli aveva scritto, con delle lettere molto belle indirizzate dapprima, il 3 ottobre 1888 al vescovo di Concordia monsignor Domenico Pio Rossi, domenicano, che lo accusava, in secondo luogo al patriarca di Venezia e anche al S. Uffizio, dichiarando che la sua sottomissione non era solo esteriore e di disciplina ecclesiastica, ancor meno opportunistica; era una sottomissione interiore nel profondo, autentica, simbolo di una umile e totale obbedienza e devozione al Papa; ma affermava pure che egli non riconosceva il decreto come un atto di magistero infallibile, né come un atto pontificio formale ex cathedra, perché non si trattava di questioni di fede bensì “di filosofia e di scienze”. Aveva dunque dichiarato obbedienza e sottomissione, ma non adesione di fede a un vero atto pontificio infallibile.

P. Sebastiano mantenne insomma la sua lodevole libertà di spirito e continuò le sue ricerche producendo ancora le sue ultime pubblicazioni filosofiche (spesso anonime, secondo la possibilità concessa dallo stile letterario del tempo, per non nuocere alla sua amata congregazione). Era, infatti, del tutto convinto che le quaranta proposizioni condannate fossero state stralciate dal contesto, e soprattutto dall’insieme del sistema rosminiano, della sua terminologia, della sua sensibilità, del suo spirito. Egli giudicava che, così com’erano state scelte e pubblicate nel decreto, esse “non rispechiassero l’autentico pensiero del Rosmini.

Sembra che il caso delle quaranta proposizioni del Roveretano fosse strettamente analogo a quello che accadde 74 anni più tardi, il 30 giugno 1962, a proposito delle opere del grande paleontologo dei vertebrati, paleo-antropologo, pensatore, filosofo e teologo Pierre Teilhard de Chardin S.J. (1881-1955), quando un brevissimo Monitum anche in questo caso postumo della “Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio”, presieduto allora dal cardinale Alfredo Ottaviani, emesso sette anni dopo la morte del Teilhard de Chardin, se pure non arrivava a metterne le opere all’Indice dei libri proibiti, esortava gli Ordinari, i superiori degli istituti religiosi, i rettori dei seminari, e delle università ecclesiastiche, di salvaguardare le anime, soprattutto dei giovani, dalle opere Teilhard de Chardin e dei suoi discepoli. In pratica, in genere esse furono ritirate dall’accesso nelle biblioteche delle suddette istituzioni, e dalla vendita nelle librerie cattoliche. Nel documento si può leggere come i testi del gesuita «racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi che offendono la dottrina cattolica».

Anche qui le luminose idee e le proposizioni del brillante e pio gesuita che venivano condannate, erano state con ogni evidenza estratte o meglio avulse dal contesto del sistema teilhardiano, dalla sua personale sensibilità filosofica, biblica, teologica e soprattutto molto “francese”, dal caratteristico stile letterario al limite a volte tra la prosa e la poesia, dalla terminologia propria, dal metodo proprio, dal proprio mondo della scienza, ed erano giudicate alla luce del metodo, della terminologia e dalla sensibilità alquanto arida e senza dubbio superata della scolastica.

La storia di rapporti tra l’Istituto Cavanis e la questione rosminiana non era ancora terminata. Ormai l’Istituto era chiaramente sospettato di rosminianismo in blocco, a quanto pare dal seguente testo registrato nel diario da P. Da Col il 21 dicembre 1888 su un evento, fonte nella Chiesa di una preoccupazione che oggi sembra del tutto ridicola: “Oggi scrisse al Preposito l’Emo. Patriarca riguardo al monumento che in Milano si vuole innalzato ad Antonio Rosmini, ed oggi stesso rispose il Preposito assicurando Sua Eminenza che tutti di questa Comunità sono dello stesso sentimento di Lui in questo argomento e che niuno certo comparirà con verun atto aderente all’ideata dimostrazione”.

Ritornando al Nostro, P. Bastian era insomma davvero un’anima bella. Tra l’altro, in quel contesto lacerante di cui si diceva, e pur dopo la promulgazione della Post obitum, che lo colpiva anche personalmente, la comunità ecclesiale lo vide “intervenire ogniqualvolta sembrasse possibile un dialogo e un chiarimento, e al tempo stesso lo vide farsi difensore appassionato e autorevole di quei rosminiani che a causa delle loro idee subirono censure e persecuzioni.”

Come costruttore di dialogo e di pace, “È noto ad esempio, che Casara fu uno dei rosminiani con cui il vescovo Geremia Bonomelli “mantenne rapporti abbastanza frequenti e sereni”. Casara gli indirizzò parecchie lettere esponendogli e chiarendogli le dottrine di Rosmini: anche monsignor G.B. Scalabrini fu in corrispondenza con Casara.”

Come difensore coraggioso e intrepido di chi soffriva ingiustizie, M. Leonardi  ricorda in primo luogo che: “Nel 1878 Casara pubblicò a Milano l’opuscolo La verità per la carità in difesa dell’Istituto Villoresi di Monza per i chierici poveri e [in difesa pure] della qualità dell’insegnamento filosofico in esso impartito; rispondendo così alle accuse pubblicate da E. Fontana, prefetto agli studi del seminario arcivescovile di Milano. Nell’ottobre 1881 il Nostro fu coinvolto nel “caso” del prof. Pietro De Nardi, direttore della Scuola Normale maschile del Canton Ticino e docente di pedagogia e metodica a Locarno e Pollegio, che venne congedato dall’insegnamento perché rosminiano. “Il dovere”, giornale dei liberali ticinesi, pubblicò in tale occasione una lettera nella quale Casara – tre mesi prima che il fatto avvenisse – aveva scritto al prof. De Nardi che l’eventualità di una sua destituzione gli sembrava “un assurdo manifestissimo”, “una mostruosità (…) orribile”, “un’enorme ingiustizia”. Nel 1886 – in risposta a una lettera pastorale del vescovo di Concordia Domenico Pio Rossi, che aveva censurato in modo grave uno scritto dell’amico Cicuto – Casara inviò all’Accademia degli Agiati di Rovereto una comunicazione intitolata Di una pastorale vescovile contro il Rosmini. In essa egli ribatte punto per punto le argomentazioni di monsignor Rossi, accusandolo di essere vittima di “pregiudizii” e di non aver visto “neppur le coperte delle Opere rosminiane”.

Per una documentazione più completa sull’evento della promulgazione del Post obitum e sul difficile periodo che ne seguì, per il Nostro e per i rosminiani in genere (e per la Chiesa) si possono leggere le pagine 59-67 del libro di P. Beggiao, spesso citato, e la tesi di M. Leonardi.

P. Casara intanto continuava nella sua attività in Congregazione, anche come vicario della stessa e della casa di Venezia. A volte si trova notizia nel Diario della Congregazione, ancora negli anni 1896 e 1897, di suoi viaggi a Possagno, naturalmente accompagnato da un confratello. Nonostante qualche periodo di malattia, anche grave, e gli inevitabili acciacchi della vecchiaia, soprattutto la cecità quasi completa a partire dal gennaio 1892, P. Casara riuscì a festeggiare il giubileo dei sessant’anni di sacerdozio il 23 settembre 1897, e fu anche questa una grande festa. La sua vita giungeva al termine.

Ne troviamo le prime avvisaglie nel Diario di Congregazione l’8 dicembre 1897: mentre stava per iniziare in S. Agnese la celebrazione della prima professione dei giovani Enrico Calza e Giovanni Rizzardo, e la comunità era in festa, “Il venerando nostro P. Vicario, per sofferenze cagionate dall’età, fu obbligato a trattenersi nella sua stanza. Avrebbe voluto celebrare nell’Oratorio domestico la S. Messa, tuttavia, fatti pochi passi, per la grande prostrazione di forze dovette ritornare alla sua sedia, e poi porsi a letto. Si degni la cara Madre Maria di esaudire le tante e fervide preci, colle quali s’implora la grazia di averlo, se a Dio piace, sufficientemente ristabilito”. Ma non fu così e dalle pagine successive si constata che P. Sebastiano continuò la sua vita tra letto e lettuccio, o piuttosto quasi sempre a letto. “Il Padre Vicario (…) pur troppo continua nello stato di abbattimento di forze, per il che, e per cattive giornate di questa stagione, il medico differisce a permettergli di alzarsi un poco da letto finché si abbia un bel Sole, ed una più mite e asciutta temperatura. Il benedetto infermo si adatta docile ad aspettare; ed è animato da viva fede di ottenere il frutto di tante orazioni, che si fanno per lui.

Si prega da noi, e nella S. Messa si recita anche la Colletta pro infirmo. Altrettanto si farà dai Confratelli di Possagno. Si prega continuamente da tutte le anime pie, che nutrono speciali sentimenti di venerazione e gratitudine verso il venerato Padre. – Egli, che non conosce pienamente il suo stato, desidera e spera di poter celebrare entro il corr.[ente] mese la S. Messa, e se il Signore gliene farà la grazia, si è obbligato a celebrarne trenta secondo l’intenzione del Sommo Pontefice, secondo la Circolare dell’Eminentissimo Patriarca”. “Il 27 Gennaio il P. Vicario ebbe la visita carissima dell’Emo. Card. Sarto nostro Patriarca, che si trattenne alquanto assai amichevolmente al letto di lui, e dopo avergli dato la Pastorale Benedizione, passò in altra stanza colla Comunità, confortandoci nella speranza di rivedere in Patriarcato il caro Padre a restituirgli in persona la visita”. P. Casara ricevette il viatico l’11 marzo successivo e l’estrema unzione il 5 aprile, sempre perfettamente cosciente e con edificazione dei confratelli. Il 7 aprile troviamo nel diario: “L’Eminentissimo Patriarca, che pochi giorni fa si recò per la seconda volta a visitare il suo carissimo P. Casara, e dopo averlo affettuosamente baciato partì commosso al lasciarlo in istato ben più grave che in addietro; essendo stato oggi da noi informato della condizione attuale dell’infermo vieppiù pur troppo minacciosa, scrisse a Roma un telegramma, implorandogli l’Apostolica Benedizione, che dopo poche ore venne impartita”. E il giorno seguente, venerdì santo: “Questa mattina ricordai al Padre il santo giorno presente. Egli mi corrispose con sentimenti edificanti di pietà, e piena rassegnazione alla Volontà divina, e accompagnò con perfetta lucidezza di mente il rito della Benedizione Papale in articulo mortis”.

Dieci anni dopo la questione del decreto Post obitum, e quattordici anni dopo la sua rinuncia alla carica di preposito, arrivò per lui, come per tutti, «sora nostra morte corporale», dopo una malattia abbastanza lunga e sofferta. Era il 9 aprile 1898, un sabato santo.

Così registra la sua morte, o meglio il suo felice passaggio, P. Da Col, preposito generale, nel diario di Congregazione:

“Sabato Santo – Transito beato del benedetto P. Casara.

Le ore di ieri e della notte seguente furono ore, nelle quali il Caro Padre ebbe a soffrir molto fisicamente, ma nello spirito sempre tranquillo, e sostenuto dalla sua abituale e piena rassegnazione alla Volontà del Signore, da lui espressa assai spesso colle parole, e poi coi cenni, in perfetta lucidezza di mente, quando gli venne meno la voce. – Con dimostrazioni di grande affetto quella mattina benedisse le buone suore Giuseppine, delle quali era l’ordinario Confessore, e le Madri Cappuccine agli Ognissanti, che spesso in addietro ebbe ad assistere spiritualmente, e con le quali mantenne sempre religiosa relazione. – L’ultima, e più affettuosa benedizione la diede alla nostra Comunità, ed in particolare a me, che ne lo pregai, più di tutti bisognoso. – Dopo di aver celebrato la S. Messa ritornai a lui, che non parlava più, ma mostrava di intendere, e di accompagnare le divote giaculatorie, che gli venivo a quando a quando suggerendo. Così proseguì la sua ultima agonia, finché alle ore 10 a[ntimeridiane del 10 aprile] la santa sua anima esalava in seno a Dio”.

P. Da Col continua nel diario del giorno 11 aprile: “Per alcune ore si lasciò esposta nel nostro Oratorio maggiore, e pubblico la salma benedetta per soddisfare alla devozione delle pie persone che concorsero a benedirla. Sulla sera fu chiusa in cassa di zinco ed esternamente di legno, dopo che da tutti i presenti, e da noi col più vivo affetto fu impresso l’ultimo bacio sulla paterna sua mano, continuandosi poi la privata uffiziatura di regola fino alla mattina seguente, nella quale si celebrarono più Messe fino all’ora, in cui si doveva trasferirsi nella pubblica nostra Chiesa. Prima di chiudere la cassa, vi si depose un vasetto colla memoria relativa”.

E il 12 aprile: “Trasporto della Salma a S. Agnese e Solenne Funerale.

(…) Nel lungo funebre corteo dal nostro pubblico Oratorio, donde fu levata la Salma, fino alla Chiesa di S Agnese, passando per le vie principali vicine, secondo il desiderio del Paroco [dei Gesuati], alternandosi il suono delle campane nostre e di quelle della Parochia, fu ammirato il grande concorso di popolo spettatore devoto; ma specialmente, durante tutta la funzione, nella Chiesa piena stipata, era edificantissimo il generale contegno di fede, pietà e venerazione. – Si nota che nell’avviso pubblicato pel Funerale la Congregazione pregò i benevoli a non voler onorare né con torcie né con corone. – Fatta l’assoluzione del feretro dall’Eminentissimo Patriarca [Sarto], dopo ch’ebbe recitata una funebre orazione, che ritrasse il compianto Padre, in modo da tutti ammirato, e commoventissimo, si avviò la processione colla Salma alla riva accompagnata dal Clero numeroso, dai nostri dell’Istituto, dei quali il P. [Giuseppe] Bassi fece le veci del Preposito [P. Da Col], che dopo di aver cantata la Messa e ascoltata l’Orazione funebre, rimase in Sagrestia, accompagnando col cuore commosso l’ultimo addio al venerato Padre”.

Al funerale avevano partecipato (tramite una rappresentanza) anche il sindaco, il famoso conte Grimani, e mons. Francesco Mion, arcidiacono dell’insigne capitolo della basilica di S. Marco, che P. Da Col ringraziò distintamente per lettera il 13 aprile; mentre fu personalmente a ringraziare il Patriarca il 14 aprile: “Presentai in persona i sentimenti della nostra vivissima riconoscenza all’Eminentissimo Card. Patriarca per quanto fece spontaneo e di gran cuore ad onore del benedetto defunto padre, ed a nostro indicibile conforto. Pregai di nuovo l’Eminentissimo a concederci [il testo de] il funebre elogio da Lui recitato con ammirazione e lode di tutti che lo ascoltarono; Egli si rifiutava per la Sua rara modestia; ma speriamo che non lascierà deluse le nostre umili istanze”.

I contemporanei stimavano Casara come un santo. Ne fa prova anche l’elogio funebre, che i padri non avevano potuto ottenere nel testo originale. Dopo la messa funebre, celebrata dal preposito generale P. Giuseppe Da Col, il patriarca di Venezia card. Giuseppe Sarto, più tardi Papa Pio X e santo, aveva pronunciato coraggiosamente un discorso molto bello, che si può considerare quasi un vero panegirico, chiamandolo “Padre mio” e “Vir simplex ac timens Deum”. Non evitò di affrontare neppure il tema spinoso del rosminianismo del nostro padre, come un’umana prudenza avrebbe potuto suggerire. Non acconsentì tuttavia di cedere il testo del suo discorso completo né ai padri, né ai giornalisti, e ne distribuì soltanto uno schema. Erano tempi pericolosi, e un testo del genere, stampato in un opuscolo dai padri, o, peggio, pubblicato dalla stampa, avrebbe provocato senza dubbio dei problemi e delle critiche al caro Patriarca Sarto. Il testo del discorso del cardinale tuttavia fu ricuperato molto più tardi e può essere letto più sotto.

Un’altra eucaristia funebre fu celebrata a S. Agnese per la scolaresca il 19 aprile successivo, presieduta dal P. Giovanni Chiereghin, ora Vicario della comunità di Venezia e della Congregazione, e prefetto delle scuole. Egli “lesse l’elogio del lacrimato defunto, tutto appropriato alla Scolaresca, lumeggiando lo zelo per la cristiana gioventù, che il P. Casara ardente di amore per essa ebbe sempre manifestato nei lunghi anni, ne’ quali sostenne l’uffizio di maestro in varie scuole del nostro Istituto, oltre all’insegnamento domestico delle Scienze pei nostri giovani studenti (chierici o seminaristi maggiori); quantunque indefessamente applicato ad altri ministeri di carità interni e esterni a gloria di Dio, ed a bene del prossimo. Accennò pure colla dovuta e ben meritata lode agli scritti per direttorio di spirito pei nostri congregati, e per l’insegnamento nelle Scuole anche infime, oltre agli scritti ed opuscoli diversi editi, ed inediti, frutto del suo straordinario corredo di scientifiche cognizioni”.

La morte del P. Sebastiano Casara privava l’Istituto anche di un definitore e vicario. Come si è visto, a vicario fu nominato dal preposito, sentiti i definitori, P. Giovanni Chiereghin; come nuovo definitore, fu eletto P. Giovanni Fanton.

Per concludere questa breve biografia, segue qualche testimonianza sul nostro venerando «secondo o terzo fondatore», giudicato da molti un santo:

L’immaginetta-ricordo redatta dall’Istituto diceva:

M. R. P. SEBASTIANO CASARA

DELLA CONGREGAZIONE

DELLE SCUOLE DI CARITÀ CAVANIS

  • ESAMINATORE SINODALE

CENSORE

ECCLESIASTICO

N.                M.

8 Maggio 1811      9 Aprile 1898

LE CARE SEMBIANZE

DEL

M. R. P. SEBASTIANO CASARA

DOPO I VENERANDI FONDATORI

GLORIA ILLUSTRE

DELLA CONGREGAZIONE

DELLE SCUOLE DI CARITÀ CAVANIS

RICORDANDO FEDELI

IL DOTTO MAESTRO – L’ACUTO FILOSOFO

IL TEOLOGO AMMIRATO

IL SACERDOTE SANTO

INSPIRINO PERENNE

LA FERVIDA PRECE

DELL’AMICIZIA – DELL’AMMIRAZIONE

DELLA RICONOSCENZA

  • Il patriarca di Venezia card. Giuseppe Sarto, in udienza con il Papa Leone XIII, interrogato sulla fedeltà di P. Casara alla chiesa, avrebbe risposto: «Santo Padre, scambierei me stesso e la mia propria anima per l’anima di P. Casara!».

P. Da Col non parlava della morte ma del «passaggio felice del benedetto P. Casara» o del suo “beato transito”.

  • Lo stesso Da Col scriveva: «Era copia fedele e vero ritratto» dei due fondatori.
  • P. Giovanni Chiereghin annotava: «P. Sebastiano Casara, lustro e decoro della città intera, nonché del nostro Istituto” e più avanti: “un’immagine viva, parlante dei fondatori” e ancora: “Con ragione dunque noi l’ammiravamo, l’amavamo come il nostro consigliere, il nostro conforto, la nostra gloria, ed il nostro decoro”.
  • P. Antonio Dalla Venezia scriveva di lui: “Io lo conobbi appena entrato in Congregazione (11 novembre 1877) quando avevo sedici anni, e mi parve un santo.”

Le persone a Venezia in occasione della sua morte dicevano: «È morto un santo!».

  • Sulla testimonianza del venerabile P. Basilio Martinelli, si è detto all’inizio.
  • Monsignor Giuseppe Ambrosi scriveva di lui in un poema: “Santo e dotto Superior Casara / la figura per noi sempre ammiranda”.
  • Sulla morte di P. Casara, si suggerisce di leggere in appendice al libro di P. Beggiao, spesso citato, l’excursus «Ultime parole di P. Casara».

Le ossa del P. Casara il 9 giugno 1916, furono riesumate dal campo dei sacerdoti nel cimitero civico di S. Michele in isola, già il 25 maggio precedente raccolte nella cella mortuaria, vennero ora sistemate in una “piccola cassa”, come scrive P. Tormene nel Diario di Congregazione, trasportata da quattro dei religiosi nella cappella di S. Cristoforo e dopo benedette, furono messe in un loculo concesso dall’Arciconfraternita di S. Cristoforo e della Misericordia. Fu celebrata la S. Messa presieduta da P. Tormene, preposito. Sulla cassa fu scritto con colore a olio: “P. Sebastiano Casara delle Scuole di Carità – Morto 9 aprile 1898”. Il loculo fu murato con una pietra sulla quale era inciso: “P. Sebastiano Casara dei Cavanis”.

Ma è bene, per chi volesse conoscere più dettagli, riportare per intero la narrazione del P. Tormene al 25 maggio 1916:

“25 maggio – Giovedì – Stamattina alle 9½, in seguito ad accordi presi col Cav. Turolla Ispettore del Cimitero, e colle Autorità Municipali, si procedette all’esumazione dei resti mortali del venerato e amatissimo nostro Padre Sebastiano Casara (+, in margine al testo), defunto il 9 Aprile 1898.

Erano presenti: il P. Preposito [Augusto Tormene], il P. Vincenzo Rossi, il R. Dn. GBatt. Vianello, Parroco a S. M. Formosa (uno dei membri dell’antico comitato formatosi per le onoranze funebri di trigesimo nel 1898), il Cav. Turolla, Il Sig.r GBatt. Duse (altro membro di quel Comitato) e il Capo dei Vigili del Cimitero. Scoperta la prima cassa di legno, si passò con diligenzaalla scoperchiatura della seconda cassa di zinco. Si rivide allora il caro defunto ben conservato, ma ischeletrito. Il teschio conservava ancora la pelle e tutti i suoi capelli: le occhiaie erano ancora completamente infossate: la mandibola inferiore ancora ricoperta di corti peli di barba: la spina dorsale e le coste ancora unite: il resto del corpo ridotto alle ossa meglio asciutte della spina dorsale e coste. – Con diligenza raccolti questi resti benedetti in una piccola cassetta di legno, dove vi fu incluso anche il vasetto di vetro ancora ermeticamente chiuso da ceralacca come era stato deposto nella cassa di zinco nel 1898, e chiusa la cassetta con sopra scrittovi il nome e la data dell’esumazione, si fece subito il trasporto nella Chiesetta di S. Cristoforo.

Deposta e ricoperta di drappo funebre la piccola bara in mezzo alla Chiesetta, il P. Preposito celebrò la S. Messa di Requiem, e diede poi l’Assoluzione. Presenti i sopra nominati, più il P. Arturo Zanon venuto a tempo della Messa. Quindi fu fatto il trasporto provvisorio alla Cella Mortuaria del Cimitero, in attesa del definitivo collocamento in un loculo perpetuo. – Passati quindi tutti nell’Ufficio del gentilissimo e pio cavalier Turolla (amico del P. Casara e dell’Istituto) si formulò la domanda al Municipio pel loculo e si stabilì di far il definitivo trasporto il 9 giugno con solenne esequie presente tutta la Comunità.

…..

9 giugno – Venerdì —— Preannunziata dalla “Difesa” di jersera con un affettuoso articolo d’invito del M. R. Dn. Giov. B. Vianello Parroco a S. M. Formosa, si fece stamattina alle 9 la funzione funebre a suffragio del benedetto e veneratissimo nostro P. Sebastiano Casara. Intervenne tutta la Comunità, una rappresentanza dell’Istituto Solesin di cui P. Casara fu cofondatore, parecchi vecchi amici Sacerdoti e laici, il Reverendissimo monsignor Giovanni Jeremich per sé e pel Seminario, e parecchi alunni attuali dell’Istituto venuti spontaneamente. Nella Cappella di S. Cristoforo, cortesemente concessa dal cavalier Spadari, Presidente di quella Arciconfraternita, ci raccogliemmo tutti alle 9.

Trasportata dalla cella mortuaria alla Cappella la piccola Cassa ove il 25 maggio scorso furono raccolte le ossa del def.° Padre, il Preposito uscì per la Messa solenne assistito dai PP. Arturo Zanon ed Enrico Perazzolli. Cantarono i nostri giovani Chierici ed Aspiranti del Noviziato. Finita la messa e data l’Assoluzione alla bara, la Cassa portata da quattro dei nostri fu processionalmente trasportata al loculo destinato. Benedetto il quale, e scrittovi a color nero ad olio sul coperchio dela Cassetta “P. Sebastiano Casara delle Scuole di Carità – M. 9 aprile 1898” si compì la tumulazione e vi fu murata la pietra sulla quale è inciso: “P. Sebastiano Casara dei Cavanis”. Il loculo è:

Le spese del loculo perpetuo (£ 150) e delle due funebri funzioni del 25 maggio e 9 giugno furono interamente coperte col civanzo delle offerte raccolte dal Comitato nel 1898 per le onoranze di trigesimo al compianto P. Casara: anzi rimase ancora qualche cosa per fargli celebrare delle SS. Messe (30).-

Il buon Padre vegli dal Cielo, dove lo speriamo già Beato, sulla sua diletta Congregazione e conservi in essa lo spirito di Ven.mi PP. fondatori dei quali Egli ricopiava le virtù, la pietà, lo spirito di carità e di sacrifizio. E questi estremi onori resi oggi ai suoi benedetti resti mortali siano a Lui di gradimento, come attestazione della nostra religiosa pietà, e in noi e nei nostri giovani, eccitamento a sempre maggior fervore nella nostra S. Vocazione! – Volesse poi il Signore che un altro giorno potessero quelle ossa benedette essere trasportate a S. Agnese, presso le Salme venerate dei Fondatori, e ai nostri posteri fosse riservata la gioia immensa di celebrare, per giudizio della S. Chiesa, la loro glorificazione!”

Più tardi ancora, le ossa di P. Casara furono riunite, alla fine di aprile 1942, a quelle dei suoi confratelli che erano sepolti nel settore degli ecclesiastici e dei religiosi e sistemate in modo molto conveniente nella nuova cappella mortuaria per i religiosi defunti della comunità Cavanis, nella propria absidiola della chiesa di S. Cristoforo nel cimitero comunale di S. Michele. L’inaugurazione di tale cappella mortuaria dei Cavanis avvenne il 3 maggio dello stesso anno.

A proposito dell’antico dibattito e della polemica attorno alle idee di P. Casara, nel contesto del sistema rosminiano e ancora di più sull’atteggiamento spirituale di quest’anima obbediente e libera che era Casara, la Chiesa – in ritardo – diede ragione al suo maestro, l’abate Rosmini. Infatti, la condanna delle quaranta famose proposizioni è stata revocata nel 2001 da Giovanni Paolo II, e Benedetto XVI lo ha proclamato beato il 18 novembre 2007. Non si tratta di certo di un’approvazione del sistema filosofico, ma della santità della sua vita. Penso talvolta alla gioia che P. Sebastiano può provare quando trascorre il “tempo” con il suo maestro in Paradiso, cosa che fece raramente in terra; e a tutte le cose molto interessanti che avranno l’occasione di dirsi!

Sono interessanti le ultime parole che P. Casara avrebbe detto prima di morire: «Muoio con la convinzione che Antonio Rosmini sarà dichiarato santo e dottore della chiesa: haec est fides mea reposita in sinu meu ». Ci siamo vicini.

Senza essere io un filosofo e neanche un buon conoscitore della materia, mi permetto qui un umile e tenue giudizio sul pensiero e sulle opere di Casara: era un filosofo acuto e originale di tutto rispetto, senza essere eccelso; fu un grande e appassionato divulgatore della filosofia rosminiana; un importante leader del gruppo dei discepoli e sostenitori di Rosmini in tempi molto difficili.

Un aspetto del pensiero che, con tutta la buona volontà, non si può accettare, è quello che la dottrina, il metodo, il sistema rosminiani siano conformi a quelli dell’Aquinate, come sosteneva il Casara stesso. Si possono avanzare qui tre ipotesi, non necessariamente alternative ed esclusive una dell’altra:

  1. Casara realmente e sinceramente credeva che seguire il pensiero e il sistema filosofico del Rosmini volesse dire seguire il pensiero dell’Aquinate, sia pure con parole più moderne e con uno spirito e una terminologia più adatta ai tempi e ai problemi contemporanei: ciò mi sembra possibile ma piuttosto improbabile, salvo a dichiarare il Venerato P. Casara, ingenuo – cosa del resto non rara nell’Ottocento – e incapace di comprendere realmente il pensiero di ambedue i grandi filosofi, San Tommaso d’Aquino e il beato Antonio Rosmini.
  1. Casara dichiarava che la dottrina, il metodo, il sistema rosminiani erano conformi a quelli dell’Aquinate per motivo tattico e strategico, per facilitare l’adesione alle dottrine rosminiane nei seminari e in genere nella chiesa; e quindi, a suo parere “contrastare il processo di scristianizzazione in atto”.
  1. Casara dichiarava che la dottrina, il metodo, il sistema rosminiani erano conformi a quelli dell’Aquinate anche con l’intenzione pratica di evitare, come si suggeriva, di essere condannato come eretico e, ancora più, per il timore di danneggiare la sua cara Congregazione.

Non ho poi dubbi che P. Casara abbia letto integralmente almeno la Somma Teologica di S. Tommaso, da un lato, le opere del Rosmini per altro lato; rifiutando quindi il dubbio che sembra proporre su questo punto M. Leonardi. La biblioteca della comunità dei Cavanis a Venezia è sempre stata ampia e ricca, oggi e certamente al tempo di Casara, e che essa fosse ricca di libri era una delle principali e tipiche preoccupazioni dei fondatori dell’Istituto. Non poteva mancare delle opere dell’Aquinate. Poi perché – come ricordo dal tempo dei miei studi filosofici e teologici – in un tipo di vita in cui non esisteva ancora – almeno nel nostro Istituto fino al 1960 circa) la televisione, anche la radio fino a circa il 1962 nell’ambiente di formazione; in cui la biblioteca di comunità comprendeva abbondanza di letteratura teologica e devozionale, oltre ai classici latini e greci e a libri di testo, manuali, enciclopedie, dizionari per uso soprattutto della scuola, e in cui mancava quasi totalmente, come ancora oggi qui a Venezia, la narrativa, si leggevano da chierici le grandi opere teologiche in molti volumi e personalmente ricordo di aver letto la pars prima e la pars secundae complete della Somma teologica, per puro gusto personale; e di aver letto storie della chiesa in 12 o 14 volumi, con oltre 10.000 pagine nell’insieme (il Fliche-Martin negli anni Sessanta, il Mayeur, J.-M. et alii nell’ultimo decennio.

È vero piuttosto che P. Casara sembrava non occuparsi con intensità del pensiero politico e di riforma della chiesa del suo Maestro, temi sui quali mi risulta che non si soffermi, il che francamente dispiace; limitandosi a occuparsi degli aspetti strettamente filosofici e, in parte teologici.

Con ogni probabilità, Casara, nell’assimilare Tommaso e Rosmini nei loro rispettivi sistemi, seguiva il suo Maestro, il Rosmini stesso, che, forse per convinzione – il che mi sembra dubbio – sia più probabilmente per timore di essere chiamato eretico, come in pratica purtroppo avvenne, e per lungo tempo, voleva lasciar chiaro ad extra che egli rispettava e venerava le persone e il pensiero dei più grandi filosofi ufficiali del cristianesimo occidentale, S. Agostino e S. Tommaso d’Aquino, particolarmente quest’ultimo. Un’altra incongruenza, che risulta chiara dal testo citato qui sotto, consiste nel fatto che Rosmini afferma di seguire le orme appunto di ambedue i grandi pensatori della Chiesa, S. Agostino e S. Tommaso; sebbene sia evidente che il loro pensiero e il loro sistema filosofico siano chiaramente differenti.

Ecco come si esprime il Rosmini:

“Né egli sarà difficile che il leggitore scorga per questi Saggi le membra sparse del corpo di una filosofia dall’autore seguita costantemente. Che se si chiede di che genere ella sia, parmi che si possa descrivere non già nelle sue parti singole, ma nel suo spirito, con pochi cenni, dicendo ch’essa, in sull’orme di sant’Agostino e di san Tommaso, tutte le sue meditazioni rivolge al gran fine di far tornare indietro lo spirito umano da quella falsa strada, nella quale col peccato si mise, e per la quale, allontanandosi da Dio, centro di tutte le cose e unità fondamentale onde tutto riceve ordine e perfezione, si divagò nella molteplicità delle sostanze disordinate, quasi brani di un universo crollato, privi del glutine che tutti univa in un’opera sola meravigliosa.

Ma chi volesse avere anche fermato con alcune parole lo stesso spirito e la forma di una simile filosofia, basterà ch’egli ritenga due vocaboli, i quali disegnano i suoi due generali caratteri, atti a farla conoscere e contraddistinguere, e questi sono unità e totalità.

Nessuna filosofia può giammai pienamente conseguire l’uno di questi due caratteri senza l’altro; ché la piena unità delle cose non si può vedere se non da chi risale al loro gran tutto; né si abbraccia giammai il tutto, se non si sono concepiti ancora i più intimi cioè gli spirituali legami delle cose, che dall’immenso loro numero ne fanno riuscire mirabilmente una sola”.

Più debole era Casara quando toccava, nel corso delle sue riflessioni filosofiche, temi connessi in qualche modo con le scienze matematiche, fisiche e naturali – di cui era appassionato ma incompetente – e quando faceva riferimento agli studi contemporanei in questi campi. Correttamente, credo, Maria Leonardi scrive su questo punto, a proposito per esempio del concetto di spazio espresso dal nostro: “… le soluzioni che egli offre a problemi tipicamente “moderni” come – tra gli altri – quello della natura dello spazio, lasciano sconcertati per una impostazione che, nonostante i numerosi richiami alle più recenti acquisizioni delle scienze fisiche e chimiche, oseremmo quasi definire ‘medioevale’ ”. Ciò del resto avviene nella Chiesa di Dio non raramente ancora oggi.

Essendo io stesso biblista, mi sembra di poter dire poi con piena coscienza che Casara fosse piuttosto conservatore in campo teologico e senza dubbio debole soprattutto nel campo dell’interpretazione della Sacra Scrittura, anche per i suoi tempi. Mi sembra pure che a volte si esprimesse con idee peregrine, del tutto al di fuori della teologia (e tanto più dell’esegesi biblica) anche del suo stesso tempo. Si veda per esempio quando propone che la creazione del mondo, nelle sue varie parti (i giorni di Gen 1,1-24a) sia stata realizzata per mezzo di cause seconde, e suggerisce che queste cause seconde sarebbero gli angeli, ai quali Dio dava l’ordine di chiamare all’esistenza le varie creature ad eccezione dell’uomo.

Il suo contributo teologico fu tuttavia stimato nell’ambiente ecclesiastico di Venezia – che non era per niente avanzato – e particolarmente nel concilio delle chiese delle Tre Venezie. Era inoltre un buon pastore, un grande educatore, un maestro di spirito e un predicatore molto stimato in questo campo anche a livello di diocesi di Venezia e delle altre diocesi del Veneto. Era poi estremamente originale e innovatore nella pedagogia e nella didattica.

Sfortunatamente i suoi scritti, sia in quest’ultimo campo, sia in quello filosofico-teologico, sia editi che inediti, non sono stati finora sufficientemente studiati e valorizzati; “smentendo così la profezia di Luigi Cesare de Pavissich, che, a un mese dalla morte di Casara scrisse, a proposito dei suoi lavori filosofico-teologici: ‘Verrà giorno, tra breve, che se ne farà inchiesta e studio diligente’ ”.

Al contrario, nel 1973, G. De Rosa notava che “Sulla figura di Sebastiano Casara siamo fermi ancora allo studio biografico di L. Sernagiotto”.

Nel 1980-1981, Maria Leonardi osservava nella sua tesi che fino a quell’anno le uniche pubblicazioni che parlassero del Casara erano, oltre alla brevissima biografia a mano di Luigi Sernagiotto, che ha dei pregi, nonostante alcune inesattezze, e la breve biografia a mano di L. C. Pavissich, avevano trattato di Casara e della sua opera Silvio Tramontin, di passaggio, scrivendo che bisognava dare “maggiore considerazione” a questa “eminente figura” di rosminiano; A. Gambasin Bruno Bertoli e Gianni Bernardi (1998) commentano l’attività di Casara come membro della commissione preparatoria del primo concilio provinciale veneto (1859); Aldo Servini nella Positio da lui compilata per la causa di beatificazione e canonizzazione dei fondatori dell’Istituto presentava una breve biografia del nostro e trascriveva poi la lunga serie di documenti (soprattutto excerpta dal Diario della Congregazione di mano del Casara stesso) e la testimonianza personale di lui sulla vita e sulle virtù dei fratelli Cavanis; per la verità, ne aveva trattato, con una breve biografia che metteva in risalto più che l’aspetto di filosofo quello dell’educatore e del religioso, già nel 1909, anche il P. Giovanni Chiereghin.

Negli ultimi decenni le cose sono migliorate. Nel 1980-1981 Maria Leonardi ha difeso presso l’università di Padova una tesi dal titolo: “Sebastiano Casara e il Rosminianesimo – scritti e dibattiti dal 1857 al 1876”, nella quale definisce, nell’introduzione, Casara come “figura non secondaria ma trascurata del rosminianesimo veneto”; tesi poi parzialmente pubblicata nell’ottavo volume della serie “Contributi alla storia della Chiesa veneziana”, pubblicata dallo Studium Cattolico Veneziano; Marco Chizzali nel 1996-1997 difese, pure all’università di Padova, una tesi dal titolo “Introduzione alla pedagogia di Sebastiano Casara, secondo fondatore dell’Istituto Cavanis”.

In occasione del centenario della morte del nostro, nel 1998, P. Diego Beggiao, allora archivista generale e storiografo dell’Istituto Cavanis, ha organizzato un prezioso volume su P. Casara, diviso in tre parti: la prima è una biografia del Casara a firma dell’organizzatore stesso; la seconda è di Luciano Malusa e verte sul tema “La fedeltà al Lume della verità”, discorrendo quindi sull’attività filosofica del Casara; la terza è di don Gianni Bernardi e si occupa di “Il concilio provinciale veneto: da una chiesa sottomessa a una chiesa libera” .

Sono più recenti due tesi di laurea di Natascia Poloni, la prima (2003-2004) sulla pedagogia dell’Instituto Cavanis e in particolare di P. Casara; la seconda (2009-2010) sull’influsso del Rosmini sulla formazione filosofica di Sabastiano Casara. Vi si aggiunge un altro studio della stessa autrice (2014).

Anche in internet, in Google per esempio, sono poche le pagine che riportano riferimenti al nostro filosofo veneziano, quattro o cinque, e sono in genere riferimenti molto deboli. Manca una sua biografia in Wikipedia e nelle pagine web della Treccani.

C’è dunque ancora molto lavoro da compiere sulla figura del P. Casara, sulla sua immensa corrispondenza e sulla sua attività di ricerca, di studio e di pubblicazioni; molte delle sue opere edite anticamente devono essere studiate e illustrate; altre, ancora inedite, devono essere trascritte, pubblicate, commentate. Alcuni ricercatori sono al lavoro in quest’opera.

Ci si ricorderà che il cardinal patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto, aveva coraggiosamente accettato di tenere il discorso funebre per i funerali di P. Casara, facendone il panegirico, ma che aveva rifiutato, certamente per prudenza e riservatezza, dati i tempi, di consegnarne una copia dei testo a un giornalista e ai padri dell’istituto.

Essendo un testo inedito, vale la pena di riprodurlo integralmente in queste pagine, di leggerlo e di farlo conoscere.

PER IL REV.MO PADRE CASARA IN DIE OBITUS

Discorso funebre tenuto dal Cardinale Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto

È sempre penoso il parlare davanti ad un feretro, perché il cuore vorrebbe lacrime e non parole, perché sembra di turbare la pace di chi dorme nel Signore e profanare quasi il sacro silenzio della morte, che torna eloquente più di ogni eloquente parola.

Penosissimo poi riesce a me dover parlare davanti a questo feretro che racchiude l’esanimi spoglie del venerando Padre Sebastiano Casara, che appresi fin da fanciullo a venerare maestro, che per sua bontà volle tenessi con lui amorevole corrispondenza e abbassandosi alla mia pochezza mi trattò sempre come fratello ed amico.

D’altronde Pastore di questa Chiesa veneziana, testimone del gran bene che egli ha fatto alla città e alla Diocesi come Preposito ed esecutore fedele della pia istituzione dei venerandi Fratelli Cavanis, a dimostrare come posso, per quanto meschinamente, la mia gratitudine anche a voi, o cari padri, del bene immenso che avete fatto e fate alla città e alla Diocesi nella cristiana educazione di tanti giovani alle vostre cure amorose affidati, crederei mancare ad un sacro dovere, se in questo momento non dicessi una parola in nome mio, in nome di Venezia, delle mille e mille famiglie beneficate, degli amici e di tutti quelli che lo hanno conosciuto circondandolo della loro stima e del loro rispetto: tributo questo nobilmente conquistato dalla sua bontà, dal suo ingegno, dai suoi studi e dai suoi dotti lavori.

A far questo non mi perdo in esordii, ma colto come di volo l’elogio che fa lo Spirito Santo di Giobbe, mi pare che si possa giustamente attribuire al nostro padre Casara: erat ille vir simplex et rectus ac timens Deum. Era quell’uomo semplice e retto e timorato di Dio: semplicità di costumi, rettitudine d’animo, timor santo di Dio, ecco il suo carattere e la sua vita.

Non vi annoierò intrattenendovi della sua fanciullezza che corse suppergiù come quella di tutti gli altri, salvo un certo contegno serio e dignitoso, e una cotal aria di amabilità, che gli divenne poi sempre abituale e che attirava rispettosamente i suoi compagni verso di lui, che se per una parte si potrebbe dire non essere stato mai fanciullo, siccome il vecchio batte la medesima strada, che ha imparata da giovane, voi che l’avete conosciuto negli anni della virilità e della vecchiaia, voi potete dire d’aver sempre in lui ravvisata la semplicità del fanciullo innocente.

Erat vir simplex. Semplice io dico quell’uomo, che nemico d’ogni falsa apparenza, qual è di fatto, tale senza velo si manifesta agli occhi di tutti. Che se fu detto: nel viso scintillare la luce dell’intelletto e fiammeggiare la vampa del cuore, chi al solo vederlo non avrebbe detto il nostro Casara un’anima di candore ingenuo? Il suo aspetto, il suo andamento, il vestito dimesso, il tratto cortese ma alla buona, la fronte ilare sempre e serena, l’occhio modestamente vivace, la parola incisiva, ma pacata ed amabile, la bassa opinion di se stesso, per cui ai suoi occhi era un nulla tutto ch’egli operava di bene, quella compiacenza nel mettere in mostra non le molte cognizioni di cui era fornita la sua mente, ma quelle che gli mancavano, rivelavano nella calma profonda di quell’anima semplice che mai si turbava, che non conosceva parole di rimprovero, la sincerità la schiettezza, caratteristiche della sua vita, che lo rendevano a tutti amabile e caro?

Ardua se altra mai è la parte del buon educatore, cui spetta curare l’amorosa osservanza della disciplina, promuovere gli esercizi di pietà, lo studio, la gentilezza dei modi, aiutare efficacemente ogni buon germe, drizzare ogni storta inclinazione, col timido adoperare lo stimolo, correggere l’andare col freno, distribuire a tempo e con misura la lode e il rimprovero, il castigo e il premio. E si dà da fare con giovanetti diversi per indole, per capacità, per età, per educazione domestica, che scattano come molla al minimo urto, che confondono nella loro inesperienza il bene ed il male, l’utile e il danno, pronti magari a gridare crudele chi li protegge e li salva da maggiori pericoli. Eppure in così difficile compito il Casara nella sua semplicità riuscì a cattivarsi l’affetto degli alunni, i quali ormai, capitani nell’esercito o nel mare, giudici o promotori nei tribunali, prefetti o consiglieri nei pubblici uffici, maestri nelle cattedre e sacerdoti anche in dignità costituiti non hanno dimenticato, né si dimenticheranno mai nella sua semplicità la sua sempre cara immagine paterna – probi negozianti, laboriosi artieri operai.

È proprio della semplicità il credere a tutti e mai giudicare sinistramente di alcuno e il Casara fu semplice al punto di restar tante volte vittima della troppa sua bonarietà sfruttata facilmente. Della massima di Gesù Cristo estote prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae, si atteneva più alla seconda parte che alla prima, ed era proprio di quelli che piacevano a S. Francesco di Sales, e che avrebbero lasciati cento serpenti per una sola colomba. E me lo conferma il non parlare mai male di nessuno, perché di nessuno male pensava, il sapersi adattare alla varietà dei caratteri e il compatire il temperamento di tutti, quella facile condiscendenza agli altrui pareri, ben intesi, salva sempre la coscienza, perché allora verificavasi il frangar non flectar, insomma un tesoro nascosto, perchè la semplicità quand’è virtù, è mansuetudine, docilità, purezza, verità, umiltà.

Che se il Divin Redentore invitandoci a modellare il cuor nostro sul suo, esemplare perfettissimo, non ci disse già che fosse il suo cuore fragrante di purezza, invitto ad ogni prova, inaccessibile ad ogni paura, ardente dello zelo più eroico, dell’amore di Dio più sublime, della più profusa carità verso degli uomini, ma solamente umile e mansueto: discite a me quia mitis sum et humilis corde, poteva forse a quest’anima semplice mancare l’umiltà? Ditelo voi, venerandi padri, che l’avete conosciuto da vicino, quale importanza egli dava alle corrispondenze degli ingegni più eletti, quale sussiego all’autorità di Preposito: ufficio che esercitò per tanti anni, portandone bensì il peso, ma sempre nemico di privilegi ed esenzioni, tenendosi come l’ultimo di casa e rifiutando persino quelle attenzioni, quei riguardi e quei piccoli servizi, che il dovere, la stima, l’affetto suggerivano ai suoi figli.

Il Casara era umile perché era semplice, di quella semplicità che ci deve rendere come fanciulli se vogliamo entrare nel regno dei cieli, di quella semplicità che formava il carattere della stessa Sapienza increata, della quale sta scritto, che avrebbe conversato coi semplici, di quella semplicità che nel nostro caro Padre non saprei se fosse causa o effetto della rettitudine che informava tutta la sua vita: erat vir simplex et rectus.

Leggo nel libro dell’Ecclesiaste che Deus fecit hominem rectum, e la rettitudine mi avverte l’Angelico, è cotal dote per cui la ragione serve come ancella a Dio, alla ragione sono sottomesse le forze inferiori, e all’anima è soggetto il corpo: Erat rectitudo secundum hoc quod ratio subdebatur Deo et rationi inferiores vires et animae corpus. Or chi potrà dire che il Padre Casara non fosse vir rectus, quando solo a tracciarne i lineamenti si riscontra in lui una immagine dell’uomo innocente? E a testimoniare il primo carattere della sua rettitudine, quod ratio subdebatur Deo, mi si presenta splendente la viva fede di lui, quella fede che fin dagli anni più teneri gli formò lo spirito, gli temprò il cuore e lo guidò sulle ardue vie dell’onestà e della innocenza. Per essa dedicandosi allo stato ecclesiastico ed entrando in questa Congregazione, il solo servizio di Dio fu il gran motivo, la norma ed il fine di ogni pensiero, di ogni affetto della sua vita. Per essa, per la pietà, per lo zelo fu sempre lucido specchio, modello compiuto a tutti i ministri del Santuario.

Poteva bene rimaner sepolto fra le ombre della stanza il quotidiano costume di consacrare al Signore tante ore nella preghiera, ma splendeva agli occhi di tutti la luce della sua fede nella frequenza alla Chiesa per adorarvi Gesù in Sacramento; splendeva sul volto, come su quello d’un comprensore nella celebrazione della S. Messa, in quel tenero trasporto per le cose sante, in quella rassegnazione con cui in ogni evento adorava i consigli divini, in quell’ardore magnanimo con cui dimostrava la verità della fede e la difendeva contro gli assalti dei suoi nemici.

Perché non crediate, o dilettissimi, che il Casara semplice e pio fosse ricco soltanto di quella semplicità che è derisa dal mondo e di una pietà superficiale che ha sede soltanto nel cuore; la semplicità e pietà di lui hanno per fondamento la fede ragionevole, la piena convinzione sorretta dalla scienza, perché egli è dotto e sapiente.

Se fu necessario in ogni tempo che le labbra del sacerdote custodissero la scienza, perché esso ha da essere la luce del mondo e il sale della terra, ciò è specialmente necessario in questi nostri tempi, nei quali una scienza superba e procace, invece di farsi ancella e aiutatrice della Rivelazione, s’impanca a maestra e tiranna in nome della libertà, e tutto quello che non intende o nega dommatizzando, o sogghignando dileggia. Povera umanità caduta nel più sciocco e servile razionalismo.

Quale sarà pertanto il compito di quanti, sacerdoti o laici, hanno cuore che sente e rimpiange tanto dannosa cecità delle menti? Combattere ad armi uguali l’audacia degli avversari: vincere la scienza fatua e mentitrice colla scienza soda e verace. E il Casara che assai per tempo aveva compreso questa sublime missione, lanciossi con amore indomabile allo studio delle divine Scritture, dei Padri, dei filosofi antichi e moderni, dalle cui opere egli era riuscito a spillare quelle ben sistemate verità, di cui si è servito a tacer d’altro per difendere il Vangelo e la Chiesa nell’ora nefasta in cui vennero i Novatori a piantare le loro tende a Venezia.

Ma qual era il sistema da lui propugnato? Quale la sua filosofia? Lo sapete, o Signori, ed è superfluo che io ve lo dica, vi inviterò invece a fare alcune osservazioni. Non crediate da prima che l’autos epha dei Pitagorici fosse per lui un dogma rivelato. L’ha detto egli, dunque è vero, è un entimema che non ha forza logica per il Casara: la verità per la verità, non la verità per le persone, questa era la sua impresa e quell’effato era per lui nulla più che uno stimolo: la tale dottrina è insegnata da tale uomo? Dunque non bisogna dispregiarla, si deve esaminare, vagliare, discutere per veder se si abbia da accogliere o da rigettare. Poi ponete un uomo che con tanto apparato di studi si è formato un convincimento profondo e inconcusso, non sarebbe egli stato un ipocrita codardo, se nel campo delle libere discussioni l’avesse rinnegato? Aggiungete che in quel sistema egli vedeva, o gli pareva di vedere, la catena più tenace con cui stringere fra ceppi i moderni errori che si chiamano: materialismo, razionalismo, ontologismo, panteismo e vedeva la sola arma affilata ed acuta per conquidere nemici così pericolosi; or chi senza vigliaccheria e senza ribellione alla coscienza avrebbe spezzato quella catena, gittata quell’arma? Finalmente la sua indiscutibile buona fede lo assicura da qualunque attacco: buona fede che si manifesta nel modo delle sue discussioni, senza ira, senza passione, temperate e caritatevoli; si manifesta nella venerazione di tutte e singole le verità contenute nel deposito della fede; si manifesta luminosamente nel suo contegno dopo il Decreto Post obitum. Parla la Chiesa, che condanna e riprova le quaranta proposizioni, or che fa egli? È risaputo da tutti quello che ha fatto. Quel Decreto non lo mette né in pensieri né in lotte, ma trionfatore di se medesimo, pronto ad immolare le sue convinzioni, come Abramo il figliolo, in omaggio alla obbedienza si leva sereno e quasi sorridente esclama: “È finito, si abbassi la fronte, si taccia e si ubbidisca, perché la Chiesa ha parlato”. E da quel giorno né dalle labbra né dalla penna gli cadde più parola intorno a quelle che fino ad allora erano state questioni. La notizia di tale atto, senza far sorpresa corre come baleno per la città e per tutti i luoghi dov’era conosciuto il Casara, come prova evidente della più perfetta rettitudine e intemerata buona fede: erat vir rectus.

E ben prima e in tutta la sua vita aveva dato prova della più pura ortodossia. Vissuto in tempi gravi e procellosi, quando il turbine rivoluzionario travolge uomini e cose, opinioni, intelletti, coscienze, istituzioni, allora come sempre appare in tutta la sua grandezza lo sviscerato amore ch’ei portava alla sposa di Cristo, la Chiesa, allora, come sempre, quella sua riverenza piena, illimitata, profonda al Romano Pontefice; riverenza ed amore che come di questa Veneranda Congregazione così fu la stella polare della sua vita: riverenza ed amore che confermò quel giorno in cui morente ricevendo la Benedizione dell’augusto Vicario di Gesù Cristo si commosse fino alle lacrime.

E ben giustamente avevano fatto omaggio alla dottrina di lui, così come alla perfetta rettitudine delle sue intenzioni i Superiori ecclesiastici che con fiducia illimitata a lui affidarono gli affari più importanti e delicati come quello di Esaminatore Sinodale, di Censore Ecclesiastico, di Esaminatore dei Predicatori, persuasi di trovare in lui un valido appoggio. Nelle questioni più astruse a lui ricorreranno i sacerdoti che riguardandolo come onore e decoro del Veneto Clero erano sicuri di trovare un consigliere prudente e illuminato ed ecco spiegato lo spettacolo sorprendente di persone d’ogni classe, che ricorrono a lui per depositare nel suo cuore i loro più intimi segreti, i loro dubbi e i loro affanni, i loro dolori, sicuri di riportarne aiuti, lume, consiglio, direzione e i conforti di quella carità ch’egli estendeva a tutti senza accettazione di persone, ma con maggior sollecitudine pei poveretti. Non andava a diporto tutte le volte che lo incontravate a camminare lesto per le calli della nostra città, ma saliva le scale degli uffici per raccomandare il povero impiegato, il giovane studente, la ragazza pericolante, la famiglia diseredata. Forse alcuna volta andava elemosinando per sovvenire a poveri Istituti, per coltivare la vocazione di novelli leviti, per trovare un asilo a novelle spose di Cristo, per far custodita la pericolante innocenza, per raccogliere le gemme fra le macerie e guardarle da nuovi ladri insidiosi.

E questo fu il lavoro costante e assiduo di tutta la vita e specialmente negli ultimi anni senza prendersi mai una giornata di ricreazione o di sollievo. Egli fu proprio l’evangelico operaio della prima ora e non lasciò il lavoro che all’ultimo crepuscolo della lunga giornata cessando allora soltanto che il celeste Padrone lo chiamò per retribuirlo con la ben meritata mercede. Ma nel dimostravi la ragione del Casara gradita a Dio mediante la fede, ve l’ho presentata regina in atto d’imperare a ogni bassa passione e di farlo ricco di tutte le virtù ch’egli coltivò in tante opere di carità e di religione e fuori e dentro le mura di questo Istituto, che furono al suo cuore ciò che per la passera è il luogo del riposo dopo i suoi voli, per la tortora il nido, per il pellegrino l’asilo di pace, dove compì la sua piena consacrazione a Dio: erat vir simplex et rectus ac timens Deum.

Non è da fare le meraviglie, che un santo timore s’impossessi delle anime anche più illibate. Anziché un neo che le offuschi è questo istesso timore il sigillo del loro eroismo. Chi mai più innocente, chi all’eterno Padre più accetto dell’Incarnato suo Figlio? Eppure per il Profeta ci ha fatto sapere di lui che lo avrebbe riempito lo spirito del suo timore: replebit eum spiritus timoris Domini (Isaia 11,3). Ed è in questo che tutta si manifesta l’anima bella del Padre Sébastiano Casara, che teme il Signore, ma non di quel timore servile che teme la pena, ma per quel timor puro delle anime amanti, per cui trepida all’ombra sola di colpa, ma trepida per nobile affetto, qual conviene ad amatissimo figlio. Vi piacerebbe accertarvene alla prova non dubbia della sua illibata coscienza?

Creati per vivere nell’immortalità guardiamo la morte come un nemico che viene in un silenzio muto, che agghiaccia per assalire ed abbattere il più vivo, il più nobile, il più forte dei nostri sentimenti, il sentimento della vita; e spaventa maggiormente il pensiero di questo passaggio il terribile pensiero di dover comparire al tribunale di chi giudica le istesse giustizie. Ma il venerando padre nostro guardava la morte con quella calma, con cui il navigante guarda il porto. E a me che mesi addietro gli diceva di congratularmi con lui, che nella grave sua età era ancora sano e robusto, rispondeva con una calma tranquilla: sono nelle mani del Signore. Egli mi chiamerà ed io risponderò nella cara speranza che all’opera delle sue mani egli stenda la destra. Vocabis me et ego respondebo tibi, operi manuum tuarum porriges dexteram. E questa calma scevra da ogni timore compare in lui tranquillo tra le angustie del male che lo aggrava. All’annuncio del Santo Viatico: o questa, egli esclama, è la grazia più bella che possa farmi il Signore, il desiderio più ardente della mia anima. Quando nelle angustie crescenti del male e al mancar delle forze lo si dispone al Sacramento degli infermi, allarga le braccia, e mostra dipinta quel volto la pace e il sorriso del giusto. Si recitano le preghiere dei moribondi e tra le lacrime dei cari suoi figli, che gli prodigarono tante cure e facendo genuflessi corona al povero suo letto, presentono l’imminente suo passaggio, all’intonare il tremendo Proficiscere, tranquillo come uomo, che s’addormenta sulle spighe dal suo braccio mietute maturo alla palma, ritorna al Signore per unirsi agli Angeli proprio in quell’ora in cui si preparavano a rispondere al solenne Alleluia della Chiesa di quaggiù, inneggiante al Redentore che è resurrezione ai morti, che passata la vita nella semplicità, nella rettitudine e nel timor santo di Dio vanno a vivere eternamente con lui.

Non piangete, o venerandi Padri, la perdita del caro vostro Casara: il navigante ha già trovato il porto, il virtuoso campione di Cristo è al possesso della sua corona, il Padre vostro non è morto, ma vive di una vita più bella e gloriosa e vi ha solo preceduti di un giorno nella patria donde vi invita a calcar quella via sulla quale egli ha lasciato vestigia di virtù così luminose per raggiungerlo domani. O cari Padri, onore e sostegno di questa santa Chiesa veneziana, voi che amaste il buon Padre come la pupilla degli occhi vostri, voi che con pietà filiale e con immenso affetto lo guardaste specialmente in questi ultimi anni, serbatene perpetua nel vostro seno con quella dei venerandi Cavanis la cara immagine, e vi sarà stimolo efficace a seguire con piè sicuro le grandi sue orme. Egli vi ha posto in luogo di pascolo abbondante: in loco pascuae ibi vos collocavit, vi ha condotti a un’acqua che riconforta: super aquam refectionis educavit vos, vi ha insegnato a camminare nei sentieri della giustizia: deduxit vos super semitas justitiae. Fate tesoro di tutte queste grazie acciochè si rinnovellino per voi, gli ottimi cittadini, gli operosi ministri, i petti apostolici; e con la gratitudine dei beneficati la divina misericordia vi seguirà per tutti i giorni della vostra vita: misericordia Domini subsequetur vos omnibus diebus vitae vestrae, affinché poi insieme con lui abitiate nella casa del Signore per tutta la eternità: ut inhabitetis in domo Domini in longitudinem dierum.

Card. Giuseppe Sarto

Box: la Seconda Guerra d’Indipendenza d’Italia (1859) e l’inizio del Regno d’Italia (1861)

Il regno di Sardegna (che comprendeva il Piemonte, l’isola della Sardegna, la Savoia e la Liguria, con la capitale a Torino) aveva in programma di unificare l’Italia, costituita a quel tempo da numerosi stati sotto l’egemonia più o meno larvata dell’impero austriaco. Tuttavia questo piccolo stato (il Piemonte) era troppo debole, da solo, per realizzare questo sogno e soprattutto per opporsi all’Austria, come si era potuto constatare nel 1848-1849. L’idea della guerra di liberazione era sostenuta dal re, Vittorio-Emanuele II figlio di Carlo Alberto che aveva abdicato dopo la sconfitta di Custoza, dal suo primo ministro, Camillo Benso conte di Cavour, ed era appoggiata da parecchi intellettuali liberali d’Italia. C’è un famoso discorso del re del 10 gennaio 1859: «Noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante regioni si alza verso di noi!».

Servivano degli alleati. Cavour si appoggia alla Francia e all’Inghilterra. Invia in guerra, con questo proposito, 15.000 soldati in Crimea (1854-56), a fianco della Francia, della Gran-Bretagna e della Turchia, contro la Russia. La partecipazione alla guerra gli permise di partecipare al congresso di Parigi (1856) e d’entrare in contatto personale con l’imperatore francese Napoleone III (1848-1870).

Nel luglio 1858, a Plombières, Cavour e Napoleone III firmarono un trattato segreto con il quale il secondo si impegnò a intervenire a fianco del regno di Sardegna in caso d’attacco austriaco. In caso d’annessione al Piemonte della Lombardia, del Veneto e di Bologna, la Savoia (culla dell’antica dinastia dei Savoia, di cui Vittorio-Emanuele era il rappresentante incoronato all’epoca) e la città di Nizza sarebbero state cedute alla Francia.

Il governo piemontese provoca di proposito delle controversie con l’impero austriaco, fra le altre cose accogliendo di ritorno i rivoluzionari Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi e organizzando, sotto il comando di quest’ultimo un corpo di volontari, i “Cacciatori delle Alpi”, in parte provenienti dalla Lombardia e dal Veneto, territori che appartenevano all’Austria.

Gli austriaci decidono di sferrare il primo attacco. Il 26 aprile 1859, l’Austria dichiara guerra al regno di Sardegna: la Francia decide di tener fede al trattato. Il 29 aprile l’armata austriaca varca la frontiera, invade il Piemonte orientale, occupa Novara e Vercelli. La guerra sembrava quasi vinta. Fortunatamente per l’Italia, Vienna invia l’ordine di condurre le operazioni più a est al comandante dell’armata, verso il fiume Mincio. Il comandante obbedisce e si ritira. Ciò dà del tempo ai Piemontesi.

Napoleone III intanto sbarca il 12 maggio a Genova e prende il comando dell’armata franco-piemontese. L’armata austriaca è bloccata a Montebello (20-21 maggio). Il 22 maggio, i Cacciatori delle Alpi passano in Lombardia per sostenere l’offensiva dal lato delle Prealpi. Difendono Varese, battono gli austriaci e occupano Como. Il 31 maggio, i piemontesi riportano una vittoria a Palestro.

Parallelamente i francesi passano il 2 giugno il fiume Ticino battendo gli austriaci a Magenta. Il 5 giugno, l’armata austriaca evacua Milano. L’8 giugno i Cacciatori delle Alpi sono a Bergamo, il 13 giugno a Brescia. Il 9 giugno la città di Milano vota l’annessione della Lombardia al regno di Vittorio-Emanuele II.

Nel frattempo gli austriaci sono sconfitti nella battaglia di Melegnano. Il grosso dell’armata austriaca continua a marciare e arriva a Verona. I franco-piemontesi riprendono la marcia il 12 giugno e arrivano là dove gli austriaci li attendevano, nei pressi del “quadrilatero”, con le sue quattro città-fortezza, Peschiera, Verona, Legnago e Mantova, situate alla frontiera tra la Lombardia e il Veneto, a sud-est del Lago di Garda.

Il 24 giugno i franco-piemontesi vincono due grandi battaglie a Solferino e a San Martino. Nei combattimenti gli austriaci sono rispediti aldilà del fiume Mincio, ma si appoggiano sul «Quadrilatero», cioè sulle quattro grandi città-fortezza, e ottengono rinforzi notevoli. Napoleone III decide allora di negoziare la pace e prende contatti separati con l’imperatore d’Austria Francesco-Giuseppe, senza consultare gli italiani. L’ 8 luglio, le ostilità sono sospese.

Il 12 luglio viene firmato l’armistizio di Villafranca. Il trattato di Zurigo è firmato l’ 11 novembre 1859: gli austriaci cedono la Lombardia alla Francia (e ciò apparve un chiaro insulto agli italiani) che la cede al regno di Sardegna e l’Austria conserva il Veneto. I sovrani di Modena, Parma e Toscana che erano fuggiti in questo periodo di guerra e d’insurrezione popolare, avrebbero dovuto reintegrare i loro stati. Tutti gli stati italiani, compreso il Veneto di dominazione austriaca, avrebbero dovuto unirsi in una confederazione di stati presieduta dal papa.

Il trattato non risponde però agli obiettivi dei Savoia e degli italiani perché la confederazione italiana non serviva alla causa nazionale e avrebbe garantito ancora l’egemonia austriaca in Italia. Le vittorie del Piemonte si dimostrarono inferiori alle previsioni fatte a Plombières, cosi esso non è più tenuto a cedere alla Francia Nizza e la Savoia. D’altro canto, Napoleone ha bisogno di queste annessioni territoriali per giustificare davanti ai suoi sudditi la guerra che si era appena svolta.

Nei mesi successivi, il Piemonte non annette solo la Lombardia, ma anche gli stati di Parma, Modena, l’Emilia-Romagna (regione che apparteneva agli stati del papa) e la Toscana. A questo punto, il Piemonte parzialmente soddisfatto, accetta di firmare il trattato di Torino nel 1860, e cede la Savoia e Nizza alla Francia.

Il 6 maggio 1860, un migliaio di patrioti, i famosi “Mille”, venuti da tutta Italia, sotto il comando di Giuseppe Garibaldi e appoggiati segretamente dal Piemonte, s’imbarcano nel piccolo porto di Quarto, vicino a Genova, per prendere possesso del Regno delle Due Sicilie e sbarcano a Marsala in Sicilia. Le truppe garibaldine ingaggiarono diverse battaglie, e conquistata la Sicilia, sbarcarono in Calabria e risalirono l’Italia fino a Napoli. Il re del regno delle Due Sicilie, Francesco II, abbandona la capitale, Napoli, dove Garibaldi fa il suo ingresso il 7 settembre.

L’epopea dei «Mille» (che ormi erano più numerosi) si conclude con l’incontro a Teano, piccola borgata a nord-ovest di Napoli, fra Garibaldi e Vittorio-Emanuele II, che riceve i frutti delle vittorie di Garibaldi ma dissolve le truppe garibaldine il 26 ottobre. Garibaldi obbedisce e va in esilio. Nel frattempo le truppe piemontesi avevano occupato l’Umbria e le Marche che appartenevano alla Santa Sede e invadono il regno delle Due Sicilie.

Le truppe piemontesi prendono posizione di fronte alla fortezza di Gaeta sulla costa campana dove Francesco II, già re delle Due Sicilie, anche senza l’aiuto delle potenze europee, resiste. Si completa l’assedio con l’appoggio della flotta piemontese, così si poté conquistare la fortezza.

Con queste operazioni termina la prima fase positiva della lunga lotta per l’unità d’Italia: sole Roma e il Lazio, possedimenti del papa, e il Veneto (più Trento e Trieste), nelle mani degli austriaci, restano separati dal regno di Sardegna. Il 17 marzo 1861, Vittorio-Emanuele II prende il titolo di Re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della nazione”. L’Italia ha celebrato, nel 2011, l’anniversario dei 150 anni dell’inizio dell’unità d’Italia.

Bisogna notare che il movimento (o piuttosto i movimenti) per l’unità d’Italia è stato fondato, condotto e dominato da un lato da gruppi d’intellettuali, spesso ma non sempre lontani dalla chiesa; d’altro canto dal regno del Piemonte, nella persona del re, Vittorio-Emanuele II e del suo primo ministro Camillo Benso di Cavour. Il popolo italiano non aveva ancora coscienza della sua italianità.

Come conseguenza della conclusione prematura della guerra, il Veneto resta sotto la dominazione austriaca. Il nostro istituto e le sue tre case di Venezia, Lendinara e Possagno restano dunque, per il momento, nella «colonia» austriaca del Veneto, e non cambia nulla per loro.

2.3 Il mandato di Padre Giovanni Battista Traiber (1863-1866)

P. Giovanni Battista Traiber (P. Tita, diminutivo veneziano di Battista, come era chiamato in comunità e dai suoi amici) era nato a Forno, il villaggio più importante e centrale della bella Valle di Zoldo, nelle Dolomiti, tra il monte Civetta e il Pelmo; valle di Zoldo che oggi si trova nella provincia e diocesi di Belluno, Veneto. La nascita avvevve il 27 gennaio 1803. Da ragazzino povero, arrivò a Venezia dal suo padrino che lo accettò per carità dato che era anche lui povero: P. Marcantonio parla di miseria più che di povertà nel Diario della Congregazione. Era stato raccomandato come alunno alle Scuole di Carità da ex-allievi e più avanti chiese di entrare nella comunità Cavanis. Fu accettato con difficoltà perché non potevano provvedere al suo corredo e mobilio né lui né il suo padrino né la sua famiglia e non possedeva alcun patrimonio. Entrò ufficialmente in Istituto il 13 giugno 1824, quasi quattro anni dopo l’inizio della comunità della casetta, e deve quindi essere considerato uno dei primi compagni dei Fondatori, dopo P. Pietro Spernich. Fece la vestizione il 27 agosto seguente, festa di S. Giuseppe Calasanzio, assieme a Giovanni Luigi Paoli, durante e come conseguenza, in qualche modo, del primo anno mariano. In effetti, i seminaristi Cavanis già presenti nella casetta proposero, come mortificazione per l’anno mariano, di condividere il loro pasto con il giovane Traiber; e il suo padrino riuscì a comprargli un letto e dei vestiti.

Ricevette la tonsura il 21 dicembre 1824 a Malamocco dal vescovo di Chioggia monsignor Giuseppe Manfrin Provvedi; e dallo stesso vescovo ricevette i quattro ordini minori a Chioggia il 24 settembre dell’anno seguente, 1825.

Incaricato fin dall’inizio d’insegnare, lo fece per tre anni nell’Istituto di Venezia e solo dopo poté dedicarsi con più libertà agli studi di filosofia e teologia frequentando il seminario patriarcale di Venezia assieme ad altri confratelli più anziani dell’Istituto.

Fu ordinato diacono a Venezia, nel sabato sitientes, il 4 aprile 1835 e prete il 13 giugno dello stesso anno. P. Marco fa riferimento alla sua ordinazione in una lettera da Roma, dove si trovava per ottenere l’approvazione dell’istituto e delle costituzioni l’11 giugno 1835.

Giovanni Battista che in gioventù aveva un carattere allegro, in seguito non si dimostrò di facile temperamento, come si può intuire tra l’altro leggendo la risposta di P. Marco a P. Matteo Voltolini del 8 luglio 1838, poco prima dell’erezione canonica dell’Istituto: il giovane P. Giovanni Battista aveva espresso numerose critiche a P. Marco sulla data e le circostanze programmate per tale celebrazione imminente e sulla pubblicazione del suo libro di notizie sull’origine della Congregazione; P. Marco, scrivendo al rettore del P. Traiber, della casa di Lendinara, risponde punto per punto con una certa durezza. P. Giovanni Chiereghin scrive sul suo carattere che « è sempre gioioso tranne qualche leggero sbalzo d’umore prodotto dalla delicatezza del suo spirito, si ammirava in lui il felice ma difficile il connubio tra autorità e benevolenza».

Da notare che P. Traiber emise la sua professione dei voti religiosi (voti locali a quel tempo), con gli altri religiosi di Lendinara, che non avevano potuto essere presenti a Venezia nella data dell’erezione canonica, il 29 ottobre 1838, durante le vacanze scolastiche autunnali successive. Come molti altri dei religiosi più antichi della Congregazione, non ebbe la possibilità di emettere i voti perpetui: infatti, ai suoi tempi la professione perpetua non era prevista nelle regole dell’Istituto e lo sarà solo circa 20 anni dopo la sua morte, con le regole del 1891, in pratica dopo il 1894.

Fu membro della comunità di Lendinara dal 1837, quando fu inviato con P. Pietro Spernich, per insegnare collaborando con P. Matteo Voltolini, ne fu nominato rettore della stessa casa dall’inizio dell’anno scolastico 1840-41 e rimase rettore sino al 1863; era lì in qualità di rettore nel 1848-49, durante la Prima Guerra d’Indipendenza italiana, e in questa occasione scrive qualche lettera ai fondatori nel 1848 sulla questione della scuola militare che si voleva aprire in quella città, nel clima di guerra e di entusiasmo popolare e sull’intenzione di organizzare un referendum per riunire Veneto e Piemonte. Restò rettore di Lendinara sino all’anno scolastico 1862-1863, alla fine fu eletto preposito e passò a Venezia. Per lui essere rettore era un incarico piuttosto pesante nella sua tipica umiltà (e forse anche per il suo carattere). Compiva questo incarico con «prudenza, carità, zelo e fermezza»; era anche «l’uomo della Regola”, in effetti senza leggere le costituzioni, bastava seguire il suo esempio».

Aveva già ricevuto qualche voto (3 per lui; 3 per Casara e 7 per Frigiolini) durante la consultazione dei religiosi organizzata dal patriarca nel 1852, per la nomina del nuovo preposito, il primo successore di P. Anton’Angelo.

Ammirava P. Casara, già prima della sua nomina a preposito. Era in generale, ma non sempre, contrario ad accettare le parrocchie in particolare quella di Possagno. In realtà più che combattere l’idea che fosse accettata una parrocchia, a causa del nostro carisma proprio, temeva nel caso dell’apertura della casa di Possagno (con l’obbligo aggiuntivo di accettare anche la cura delle anime della parrocchia del villaggio) che il numero dei membri della comunità e la disponibilità dei religiosi potessero diminuire per le due scuole di Lendinara (soprattutto) e di Venezia.

Nel 1863, con le dimissioni di P. Casara, fu eletto preposito all’unanimità di voti. Ebbe come vicario e primo consigliere P. Casara. Questi restò però nel Consiglio soltanto un anno e poi presentò le dimissioni anche perché non era d’accordo con la “politica” e lo stile di P. Traiber.

Durante il mandato di Traiber, 1863-1866, la questione Lendinara/Possagno divenne seria e grave: ridusse il numero dei religiosi (-2) a Possagno e li aumentò a Lendinara; venne criticato a Possagno dagli esecutori testamentari del Canova, soprattutto dal signor Filippo Canal, che gli presentò un ultimatum.

La controversia (interna ed esterna) sulla questione di Possagno caratterizzò tutto il triennio Traiber, periodo che fu in tutti i casi piuttosto debole e “grigio”. La tensione aumentò tra P. Casara e P. Traiber, ma sempre con toni di carità fraterna. Ciò è palpabile dalla lettura di quelle poche pagine del diario dell’Istituto, di cui continuò a occuparsi P. Casara, durante il triennio Traiber. A un certo punto P. Casara vi asserisce con tono piuttosto amaro che stava scrivendo nel diario solo gli eventi di cui era informato o nei quali aveva avuto partecipazione.

P. Traiber decise di non accettare una nuova elezione e fu incrollabile nella decisione. P. Giovanni Chiereghin notache per lui questi tre anni di mandato erano stati troppo lunghi e faticosi; e che tempi nuovi si annunciavano (senza dubbio, tra l’altro, la III Guerra d’Indipendenza e la prospettiva dell’unificazione di Venezia e del Veneto al regno d’Italia) così come «delle circostanze davvero straordinarie», «gli resero il peso del governo sempre più insostenibile da sopportare. Dopo aver concluso il suo triennio, decise di dimettersi: le preghiere e gli appelli dei confratelli non portarono a nulla: volle tornare a essere un semplice soggetto e lo fece. Per la sua indole delicata soffrì molto e rimase molto indebolito nell’anima e nel corpo, cominciò a tormentarsi preso dagli scrupoli fino al punto di non riuscire più a lavorare, soffrendo di continuo». Convocò allora il capitolo.

Questo, alla fine del suo mandato, celebrato il 1° settembre 1866, si svolgeva in tempi di guerra (la III guerra d’Indipendenza italiana: l’Italia alleata alla Prussia lottò contro l’impero austriaco) e fu celebrato come un “unicum” per la sua irregolarità, in quei tempi e in quella situazione, senza la partecipazione dei delegati di Lendinara e di Possagno, che non potevano raggiungere Venezia durante la guerra e dopo la stessa, e con le comunicazioni interrotte fra l’isola e la terraferma; dunque il capitolo si svolse irregolarmente, cosa che padre Casara criticò espressamente.

Il successore di P. Traiber fu di nuovo P. Casara, che accettò comunque l’elezione, anche se riteneva fosse irregolare (come lo era in effetti), solo perché costretto dalle insistenze e preghiere dei confratelli capitolari e a patto che la sua elezione fosse ratificata o meglio rifatta in un capitolo successivo. Ma, come dicono i romani, “ogni lassata è persa”, e la ratifica non si fece mai.

Dopo la conclusione del suo breve mandato di preposito, P. Traiber fu trasferito alla casa di Possagno, dove andò e dove si dedicò all’insegnamento di tutto cuore, secondo la sua vocazione, ma, scrive P. Giovanni Chiereghin, non si poté lasciarvelo e allora fu trasferito ancora a Venezia, dove poteva trovare una situazione più conveniente al suo carattere e ai suoi problemi “per dedicarsi a qualcosa con dolcezza”. Continua Giovanni Chiereghin dicendo che negli ultimi anni di vita – aveva 63 anni alla fine del suo mandato di preposito e morì circa 6 anni più tardi a 69 anni – aveva guidato, consolato e confortato molte anime con la sua direzione spirituale, in cui era specializzato e per cui era stimato e amato; aveva guidato numerosi giovani lungo il cammino della vocazione sacerdotale e/o religiosa, ma il povero padre non sapeva guidare se stesso, soffriva di scrupoli, incertezze, dubbi; e ne soffriva amaramente.

Verso la fine del 1871 si ammalò. Il P. Giovanni Chiereghin non dice di quale malattia, ma la attribuisce alla sua indole, così non se ne conosce la diagnosi. La malattia divenne sempre più grave sino a non permettergli più l’uso della parola e la capacità di farsi comprendere. Continuò a vivere tuttavia con pazienza, uniformandosi alla volontà di Dio, avendo solo paura di arrecargli offesa, il che era tipico della sua spiritualità scrupolosa, sino all’estremo della malattia, come si evince dalla breve biografia delineata da P. Giovanni Chiereghin.

Morì serenamente il 24 febbraio 1872, lasciando ai confratelli la sensazione che moriva «con la intenzione di tutto ricevere dalla mano di Dio, e tutto patire in unione a Gesù Cristo, e tutto offrire coi meriti infiniti di Gesù Cristo e con quelli di Maria SS. e di tutti i Santi alla gloria di Dio e ad ogni fine di carità sì universale come in particolare, specialmente in bene della sua dilettissima Congregazione. Alla quale è da tenere per certo che gioverà in paradiso, ed assai più, che non le abbia giovato coll’opera e coll’esempio qui in terra”. Un’epigrafe significativa, redatta probabilmente senza malizia.

Box: la Terza Guerra d’Indipendenza (1866)

L’assenza dall’Italia della città di Venezia e della sua regione (il Veneto) e, ancora, l’assenza di Roma come capitale dell’Italia unitanon soddisfacevano i liberali italiani. Non condividevano la linea del governo italiano che aveva rinunciato a questi territori e città per evitare di complicare le relazioni con le altre potenze europee.

Nel 1862, Giuseppe Garibaldi partì dall’isola di Caprera per la Sicilia, visitò Palermo e Marsala e qui, proprio in questa città simbolica, da cui era cominciata la campagna del 1860 detta dei “Mille”, vista la situazione favorevole, decise di ripercorrere lo stesso cammino di due anni prima e di tentare di liberare Roma, confidando nella neutralità o addirittura sulla collaborazione del re d’Italia, che era sempre Vittorio Emanuele II, e delle sue forze armate. Accompagnato questa volta da circa duemila volontari, s’imbarcò a Catania per sbarcare tra Melito e Capo dell’Armi, in Calabria, il 24 agosto e fu costretto, dalla reazione dell’esercito e dalla marina italiani, a raggiungere il massiccio montagnoso dell’Aspromonte. Il generale Enrico Cialdini dell’armata italiana inviò nel frattempo una divisione sotto il comando del colonnello Emilio Pallavicini di Priola, detto anche semplicemente Pallavicino, per fermare l’armata dei volontari. Durante la battaglia, Giuseppe Garibaldi fu ferito al malleolo e all’anca (esiste anche un’antica canzoncina scherzosa a riguardo, con varie versioni, che si canta a volte ancora oggi: “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda i suoi soldà”) e venne fatto prigioniero con i suoi uomini. Una volta guarito, dopo essere stato trasportato per via navale a Pisa e poi essere stato operato e curato, gli si diede l’opportunità di tornare alla sua dimora a Caprera. L’impresa era fallita.

La Terza Guerra d’Indipendenza (20 giugno-12 agosto 1866) permise finalmente all’armata regolare italiana di battersi per la liberazione almeno di qualcuno degli ultimi territori italiani ancora sotto il dominio austriaco. L’Austria entrò in guerra dopo che il governo italiano, sotto la guida del generale La Marmora, fece un’alleanza militare con la Prussia del barone e generale Otto von Bismarck.

Le due nazioni (Italia e Prussia), che consideravano l’Austria come un ostacolo al loro progetto di unificazione nazionale, avevano un obiettivo in comune. Secondo i piani prussiani, l’Italia doveva tenere occupate alcune armate dell’Austria sul fronte sud tentando di dirigersi verso Vienna. E così fece, anche se con poco successo. Allo stesso tempo, forte della sua superiorità navale, la Prussia doveva minacciare le coste della Dalmazia, distraendo parte delle forze austriache dal teatro principale di scontro in Europa centrale.

Nei fatti, la situazione militare italiana era molto più deficitaria di quanto si potesse pensare, e di quanto pensassero Vittorio Emanuele e i suoi generali e ammiragli, per i seguenti fattori:

  • La mancanza di coesione, tra il nucleo costituito dall’armata sarda originale e le truppe reali venute dai territori annessi di recente, dovuta alle diverse tradizioni e ai differenti metodi, ma anche alla forte resistenza riscontrata durante l’assedio di Gaeta. L’unione di queste forze armate si era sgretolata per la durezza eccessiva dei combattimenti in fase finale.
  • la grande rivalità fra le flotte riunite sotto la Regia Marina (marina nazionale italiana): le marine militari genovese e napoletana, in particolare, non erano disposte a prendere ordini da nessuno.
  • Il problema irrisolto del comando supremo, già motivo di conflitto tra il re e il conte di Cavour nel 1859, poi aggravatosi per la mancanza di un successore del conte che fosse uomo di polso. Il re, il cui coraggio non è in discussione, non era comunque adatto per il comando supremo che egli voleva però esercitare a tutti i costi e che di fatto assunse.

In questa situazione, le sconfitte sul fronte terrestre e marittimo erano inevitabili. Le sconfitte italiane di Custoza (battaglia sul continente, svolta a Custoza, frazione di Sommacampagna, in provincia di Verona, al centro del «Quadrilatero»; 24 giugno 1866) e Lissa (battaglia navale al largo dell’isola di Lis, in Dalmazia, oggi Croazia; 20 luglio 1866) segnarono profondamente questo periodo estremamente negativo, aldilà della gravità degli eventi.

I soli successi militari (battaglia di Bezzecca, frazione di Ledro in Trentino, combattimento di Primolano, in Valsugana, provincia di Vicenza; la scaramuccia vittoriosa di Versa in provincia di Gorizia ecc.) furono ottenuti su fronti secondari o da truppe di volontari comandate da Garibaldi, che volevano conquistare la Venezia tridentina (corrispondente all’attuale provincia autonoma di Trento) e il Friuli.

Nonostante le sconfitte, l’armata italiana riuscì a mantenere occupate le truppe austriache sul fronte alpino, come aveva promesso, permettendo così alla forte armata prussiana di vincere delle importanti battaglie sul fronte settentrionale e soprattutto in Boemia. La vittoria di Sadowa nella Boemia orientale, il 3 luglio 1866, opera del generale von Moltke, si rivelò determinante.

In sole sei settimane, l’Austria capitolò dato che l’armata prussiana era giunta a 60 km da Vienna. Sul fronte italiano, la guerra proseguiva solo per le iniziative di Garibaldi in Trentino, però mancando ormai il sostegno essenziale della Prussia, lo stato maggiore italiano ordinò a Garibaldi di interrompere l’offensiva. Garibaldi rispose a quest’ordine con il laconico e famoso telegramma: «Obbedisco» (9 agosto 1866).

Essendo alleata militarmente della Prussia, l’Italia fu considerata fra i vincitori del conflitto. I trattati di pace seguenti, cioè l’armistizio di Cormons in Friuli il 12 agosto 1866 e la pace firmata a Vienna il 3 ottobre 1866, imposero all’Austria di cedere il Veneto all’alleanza franco-prussiana (il territorio comprendente le attuali regioni italiane del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia, senza la provincia di Trieste), che fu subito ceduta al regno d’Italia, con l’annessione ancora della fortezza e della provincia di Mantova in Lombardia.

Per unificare tutta la penisola italiana, restavano ancora da conquistare la provincia di Trento e la città con il porto di Trieste e il suo territorio; ciò sarà lo scopo e il risultato della cosiddetta IV Guerra d’Indipendenza d’Italia, ossia la sanguinosa partecipazione dell’Italia alla Prima Guerra Mondiale.

La politica del regno d’Italia, che aveva raggiunto la sua unità nel 1861 e che, in questa occasione, aveva cambiato il suo nome da regno di Sardegna a regno d’Italia, era purtroppo di stampo anticlericale. La soppressione degli istituti religiosi e la confisca dei loro beni, che furono applicate ai nuovi territori conquistati, avevano chiaramente, come avviene in questi casi, anche lo scopo non dichiarato ma evidente di rimpinguare le casse del giovane stato, cronicamente vuote e impoverite, tra le altre cose, dall’ultima guerra. Questo tipo di politica colpirà duramente anche la Congregazione delle Scuole di Carità.

* * *

Per comprendere bene P. Sebastiano Casara, è importante conoscere almeno superficialmente la vita, la figura e l’opera del suo “Maestro”, come lo chiamava lui, cioè l’abate Antonio Rosmini-Serbati. Ne diamo qui una breve biografia.

Box: il beato Antonio Rosmini Serbati, prete e filosofo (25 marzo 1797-1 luglio 1855)

Nato a Rovereto, cittadina tradizionalmente ricca di cultura e di arte, oggi in provincia di Trento, che a quel tempo era una “colonia” dell’impero austriaco, cioè la provincia del Tirolo meridionale o italiano, apparteneva ad una famiglia nobile e ricca. Decise di farsi prete in età precoce. Dopo gli studi a Pavia e a Padova, fu ordinato prete nel 1821 dal vescovo di Chioggia. Si fece già notare nel 1823, per gli accenni favorevoli all’unità d’Italia che si trovano nel suo discorso funebre in onore di Papa Pio VII che era appena deceduto.

Il patriarca di Venezia, il cardinale Ladislao Pyrcher, lo condusse a Roma. Lì, introdotto dal monaco Mauro Cappellari, bellunese, allora abate a S. Gregorio al Celio, della Congregazione camaldolese dell’Ordine di San Benedetto, il futuro Papa Gregorio XVI, si incontrò due volte con il Papa Pio VIII, che ne fu benevolmente e positivamente impressionato e diede un consiglio al prete-filosofo: «Si ricordi che deve occuparsi di scrivere dei libri e non di affari della vita attiva. Possiede la logica piuttosto bene e noi abbiamo bisogno di scrittori che sappiano farsi rispettare».

Nel 1828, aveva fondato con sede a Domodossola una nuova comunità religiosa, l’Istituto di Carità, conosciuto generalmente sotto il nome dei «Rosminiani ». I membri avrebbero potuto essere preti o laici, tutti protesi verso la preghiera, l’educazione dei giovani e le opere di carità. Nello stesso anno si era incontrato a Torino con il celebre Lamennais. Tre anni dopo fondò anche il ramo femminile del suo Istituto, le Suore della Provvidenza.

Il 2 febbraio 1831, il cardinale Cappellari, amico di Rosmini (e dei Cavanis), diventò Papa Gregorio XVI, e il 20 settembre 1839, l’Istituto di Carità che Rosmini aveva fondato ricevette l’approvazione pontificia. Durante gli anni ’30 del suo secolo scrisse opere di filosofia sociale e morale, in particolare nel 1838 un’ “Antropologia morale”; nel 1839 un “Trattato della coscienza”, che contrasta il probabilismo dei Gesuiti e suscita una polemica, smorzata e messa a tacere dal Papa Gregorio XVI. Fu sostenuto, nei primi anni dopo l’accessione al solio, anche da papa Pio IX (1846).

Nel 1848, con un mandato del re del Piemonte-Sardegna, Carlo Alberto di Savoia, Rosmini tornò a Roma in missione diplomatica, allo scopo di persuadere il Papa Pio IX a mettersi a capo di una confederazione di stati italiani. Ma quando il governo piemontese pretese che il Papa si unisse in guerra contro l’Austria, l’abate Rosmini decise di dimettersi dal posto diplomatico che ricopriva. Pio IX tuttavia gli ordinò di restare a Roma. Fu annunciato come futuro segretario di Stato e cardinale.

Il 1848 è un anno cruciale per l’Europa, per l’Italia e anche per il Rosmini. Pubblica durante quest’anno, con tono da riformatore, un libro che aveva scritto già nel 1832, dal titolo: “Le Cinque Piaghe della Santa Chiesa. Trattato dedicato al Clero Cattolico”. È un libro nel quale l’abate deplora quelle che giudica “le cinque piaghe della Chiesa” con un tono spesso di carattere profetico; un libro che la Chiesa ha compreso e accettato come tale solo molto più tardi e che al nostro abate causò molti problemi: in cambio, la mancata accettazione tempestiva del libro profetico e della sua dottrina causò invece molti problemi alla Chiesa, che avrebbero potuto essere evitati a tempo.

Secondo Rosmini, la prima delle cinque piaghe della Chiesa (quella della mano sinistra) era la separazione del clero e del popolo cattolico a causa della mancanza di istruzione religiosa dei laici e dell’uso della lingua latina nella liturgia. Quella della mano destra è causata dall’assenza di formazione dl clero. La piaga del costato è la disunione dei vescovi. La piaga del piede destro è la loro nomina da parte del potere civile. Quella del piede sinistro è la schiavitù rappresentata dai beni ecclesiastici. Tra di essi, evidentemente si trovava il maggiore dei beni materiali, lo stato pontificio.

Quando la rivoluzione romana costrinse il papa a lasciare Roma e invitò Rosmini a collaborare con il governo provvisorio, il nostro si rifiutò di dirigere un governo rivoluzionario che aveva privato il Papa della sua libertà. Il 1848 era l’anno delle grandi e numerose rivoluzioni in tutta Europa e in particolare in Italia. Il 24 novembre 1848, Pio IX fuggì a Gaeta. Rosmini all’inizio l’aveva seguito. Ma cadde subito in disgrazia opponendosi alla linea politica del cardinale Giacomo Antonelli, che voleva sfruttare le armate straniere in appoggio al Papa. Nel 1849, l’abate Rosmini lasciò Pio IX e passò a Napoli.

Durante il suo viaggio di ritorno in Italia del nord, in cammino verso Stresa (Piemonte, sul lago Maggiore), gli arrivavano notizie dolorose riguardo alle sue pubblicazioni: «Le Cinque Piaghe della Santa Chiesa», nella quale denuncia i pericoli che minacciavano la santità della chiesa e della sua libertà e sottolinea i modi per rimediarle; e «La costituzione civile in funzione della giustizia sociale» erano stati messi all’Indice dei libri proibiti. L’abate si sottomise immediatamente.

Attaccato dai gesuiti e dai domenicani (molto particolarmente dai primi), ma confortato dalle visite e dall’appoggio di amici, tra cui il celebre scrittore, romanziere e poeta cattolico milanese Alessandro Manzoni, l’abate Rosmini, avendo dichiarato la sua sottomissione a papa Pio IX, passò i suoi ultimi anni in ritiro a Stresa, dove si occupava soprattutto di dirigere le due congregazioni che aveva fondato e di scrivere altre opere, fra le quali ricordiamo una “Logica” e il lavoro più pregiato, la “Teosofia”, pubblicata dopo la sua morte.

Prima della sua morte (Stresa, 1° luglio 1855), apprese con gioia che i suoi lavori messi all’indice nel ‘48 erano stati liberati da censura dalla Congregazione dell’Indice (1854) con il decreto Dimittantur, e che il papa Pio IX lo aveva difeso strenuamente, ricordando che aveva voluto nominarlo cardinale e ricordando “la sua eccellente e singolare intelligenza”.

I suoi avversari tuttavia non demordevano. Vent’anni dopo alla sua morte, il decreto Dimittantur a riguardo della liberazione dei suoi libri che erano stati prima registrati nella lista dei libri proibiti, divenne oggetto di controversie; certi sostenevano che equivalesse ad un’approvazione diretta, altri che fosse un testo puramente negativo e che non volesse dire che i libri erano esenti da errori. La controversia continuò sino alla fine del 1887, quando Leone XIII condannò con il decreto Post obitum 40 proposizioni del Roveretano (la maggior parte estratte da pubblicazioni postume) e proibì che venissero insegnate (14 dicembre 1887). Si accusava di nuovo Rosmini di essere stato ontologista, panteista e ora anche (!) giansenista.

I Rosminiani, cioè i membri dell’Istituto della Carità da lui fondato, si sottomisero immediatamente. Così, come abbiamo visto, fece anche P. Sebastiano Casara, con le opportune distinzioni.

Non si tratterà qui del sistema filosofico rosminiano, perché sarebbe fuori luogo e perché ci dichiariamo incompetenti.

La revoca della condanna delle quaranta proposizioni da parte della Chiesa avvenne nel 2001 con Papa Giovanni Paolo II. Il 26 giugno 2006 Papa Benedetto XVI – un teologo molto preparato in filosofia – firmò il decreto dell’eroicità delle sue virtù e dichiarò Rosmini Venerabile. Il 3 giugno 2007, lo stesso Papa Benedetto XVI autorizzò la promulgazione di un decreto che approvava la beatificazione di Rosmini. Il 18 novembre 2007, fu beatificato, o meglio, dichiarato beato, a Novara, Italia.

Ancora purtroppo poco conosciuto fuori d’Italia, Rosmini è e rimane tuttavia una delle menti più potenti del suo tempo. E un santo prete.

Tematiche affrontate nell’opera Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa

L’opera è suddivisa in cinque capitoli (corrispondenti ciascuna ad una piaga, paragonata alle piaghe di Cristo). In ogni capitolo la struttura è la medesima:

-un quadro ottimistico della Chiesa antica

-segue un fatto nuovo che cambia la situazione generale (invasioni barbariche, nascita di una società cristiana, ingresso dei vescovi nella politica)

-la piaga

-i rimedi.

Prima piaga. È la divisione del popolo dal clero nel culto pubblico. Nell’antichità il culto era un mezzo di catechesi e formazione e il popolo partecipava al culto. Poi, le invasioni barbariche, la scomparsa del latino, la scarsa istruzione del popolo, la tendenza del clero a formare una casta eressero un muro di divisione tra il popolo e i ministri di Dio. Rimedi proposti: insegnamento del latino, spiegazione delle cerimonie liturgiche, uso di messali in lingua volgare.

Seconda piaga. Insufficiente educazione del clero. Se un tempo, i preti erano educati dai vescovi, ora ci sono i seminari con “piccoli libri” e “piccoli maestri”: dura critica alla scolastica, ma soprattutto ai catechismi. Rimedio: necessità di unire scienza e pietà.

Terza piaga. Disunione tra i vescovi. Critica serrata ai vescovi dell’ancien régime: occupazioni politiche estranee al ministero sacerdotale, ambizione, servilismo verso il governo, preoccupazione di difendere ad ogni costo i beni ecclesiastici, vescovi “schiavi di uomini mollemente vestiti anziché apostoli liberi di un Cristo ignudo”. Rimedi: riserve sulla difesa del patrimonio ecclesiastico, accenni espliciti di consenso alle tesi del L’Avénir sulla rinunzia alle ricchezze e allo stipendio statale per riavere la libertà.

Quarta piaga. La nomina dei vescovi veniva lasciata al potere temporale. Rosmini compie un’approfondita analisi storica sull’evoluzione del problema e critica i concordati moderni con cui la S. Sede ha ceduto la nomina al potere statale (e anche, accenna prudentemente, per avere compensi economici). Rimedi: non è molto chiaro, forse propone un ritorno all’elezione dei fedeli.

Quinta piaga. La servitù dei beni ecclesiastici. Rosmini sostiene la necessità di offerte libere, non imposte d’autorità con l’appoggio dello Stato, rileva i danni del sistema beneficiale, propone la rinuncia ai privilegi e la pubblicazione dei bilanci.

Opere

Sono numerosissimi gli scritti del Beato Antonio Rosmini, certamente il più importante a livello ascetico e spirituale sono le Massime di Perfezione Cristiana, su cui anche papa Giovanni XXIII fece delle riflessioni prima di morire. Costarono al Rosmini la messa all’Indice dei libri proibiti le opere “Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa” e “Dalla Costituzione secondo la giustizia sociale”, senza contare la condanna postuma. In ambito filosofico meritano di essere ricordati:

Nuovo saggio sull’origine delle idee 1830

Principii della scienza morale 1831

Filosofia della morale 1837

Antropologia in servigio della scienza morale 1838

Filosofia della politica 1839

Trattato della coscienza morale (1839)

Filosofia del diritto 1841-1845

Teodicea 1845

Sull’unità d’Italia 1848

Il comunismo e il socialismo 1849

Introduzione alla filosofia 1850.

Massime di perfezione cristiana

Le Massime di perfezione cristiana furono scritte da Rosmini per definire il fondamento spirituale sul quale tutti i cristiani potessero avere un cammino nella perfezione.

Nel Vangelo stesso è scritto: “Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt 5,48)

1ª Massima: Desiderare unicamente e infinitamente di piacere a Dio, cioè di essere giusto.

2ª Massima: Orientare tutti i propri pensieri e le azioni all’incremento e alla gloria della Chiesa di Cristo.

3ª Massima: Rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Cristo, lavorando per essa secondo la chiamata di Dio.

4ª Massima: Abbandonare se stesso nella Provvidenza di Dio.

5ª Massima: Riconoscere intimamente il proprio nulla.

6ª Massima: Disporre tutte le occupazioni della propria vita con uno spirito di intelligenza.

2.4 Una possibilità di fusione tra la Congregazione delle Scuole di Carità-Istituto Cavanis e un’altra?

Nel 1876, un tale monsignor Scotton scrisse a padre Casara, consigliandogli di fondere la Congregazione con una più piccola; padre Casara gli rispose con una lunga lettera nella quale diceva fra l’altro: « … anche se lo scopo sembra essere lo stesso, lo spirito e la vita dei nostri fondatori sono molto diverse dalle altre congregazioni o ordini. Noi non professiamo dei voti solenni ma osserviamo una vera povertà e abbiamo tutto in comune, ciò non è uguale agli altri; siamo formati in questo modo e non vogliamo cambiare niente. Amiamo molto i nostri fondatori e non potremmo mai perdere i loro nomi; noi siamo poveri, poco numerosi, poco conosciuti, ma siamo figli dei padri Cavanis e ciò è sufficiente per sostenerci ai tempi di magra e di sconforto. Noi siamo figli dei padri Cavanis ed essi ci sostengono con la loro protezione paterna». (Venezia, 20 settembre 1876).

3. La casa di Possagno

3.1 La prima fase (1856-1869)

Nel 1856 erano passati cinquantaquattro anni dall’inizio dell’opera delle Scuole di Carità (2 maggio 1802) e 28 dall’erezione canonica (16 luglio 1838) e la nostra Congregazione possedeva soltanto due case. La prima, la casa madre di Venezia, dopo le esperienze iniziali della Congregazione mariana e della scuola domestica, era stata fondata, come si diceva sopra, come scuola formale nel 1804, poi più stabilmente nel 1806 nel palazzo Da Mosto, dove si trova ancora oggi; e come casa religiosa soltanto il 27 agosto 1820 con l’apertura della comunità della “Casetta”. La seconda casa, quella di Lendinara, era stata aperta, sia come casa religiosa sia come opera di educazione, il 6 marzo 1834.

Si sentiva il desiderio e la necessità di espandersi e molte volte i fondatori ne avevano avuto anche l’occasione, o almeno ne avevamo ricevuto l’invito: il problema però era sempre la mancanza di personale, ossia di religiosi Cavanis eccedenti.

Passati i primi anni, il sistema tradizionale Cavanis nella conduzione delle scuole consisteva, infatti, nell’affidare quasi tutte le classi, le materie e anche i compiti di appoggio didattico e logistico a religiosi o almeno a seminaristi dell’Istituto, con poche eccezioni, fino a tempi relativamente recenti; sia con lo scopo di incidere direttamente sull’educazione dei ragazzi, sia per poter mantenere la gratuità delle scuole e delle altre attività educative, secondo il carisma della Congregazione.

Questo fatto ha sempre limitato grandemente l’espansione dell’Istituto, anche se non si vuole esprimere qui un giudizio negativo su questa politica. Chi scrive ricorda ancora le grandi comunità di Venezia e Possagno, costituite da una ventina o più di religiosi professi perpetui e di molti seminaristi, e quelle di Roma e della Toscana, più ridotte, ma sempre molto grandi, rispetto alla realtà odierna, costituite da una decina o dozzina di religiosi professi perpetui e, a Roma, anche da numerosi seminaristi dal 1968.

Come risultato, non si disponeva mai (o piuttosto non s’intendeva disporre) di religiosi per nuove aperture e la frase “la nostra scarsezza” si trova disseminata nei nostri diari.

Nel 1856 si parlava di accettare l’invito ad aprire una casa a Riva del Garda, in Trentino, ma poi non se ne farà nulla, anche perché l’attenzione si volse piuttosto verso il villaggio di Possagno, situato nella pedemontana trevigiana, alle falde del massiccio del monte Grappa.

Anche l’origine della nostra terza casa, quella di Possagno in diocesi di Treviso, non si deve cercare in un’iniziativa dell’Istituto, ma piuttosto in quella di altri. Fu, infatti, il parroco di S. Luca a Venezia, Monsignor Giuseppe Lazzari, a prendere l’iniziativa di parlare dell’Istituto Cavanis al vescovo titolare di Mindo, monsignor Giovanni Battista Sartori, di 82 anni allora, e in seguito con monsignor Rizzi, Decano nella diocesi di Treviso, e con monsignor Giovanni Antonio Farina, vescovo allora di Treviso, e di suggerire che a questo Istituto fosse affidato il progettato collegio.

Alla morte di Antonio Canova, Giovanni Battista Sartori, suo fratello per parte di madre (fratello uterino), allora ancora semplice “abate”, cioè prete, era divenuto suo erede universale ed esecutore testamentario, attraverso un testamento nuncupativo, il 13 ottobre 1822, data della morte del Canova, cioè un testamento dichiarato oralmente dal morente davanti a tre testimoni. Esso era stato in seguito dichiarato davanti al notaio Agostin Angeri di Venezia sia dall’abate Giobatta Sartori, sia dai tre testimoni, sotto giuramento, e dal notaio trascritto e reso pubblico. Questo testamento mutava sostanzialmente un precedente testamento espresso per iscritto e in forma notarile dal Canova a Roma circa sette anni prima (11 agosto 1815), pur facendovi riferimento lasciava tutto il suo patrimonio molto rilevante al fratello, perché ne disponesse per il bene del paese e del popolo di Possagno e dei suoi dintorni e soprattutto perché desse continuità e conclusione alla costruzione del Tempio canoviano.

Canova, infatti, era rimasto sempre profondamente legato affettivamente al suo paese natio, che visitava con una certa frequenza; anche se probabilmente aveva scelto di evitare di parlare e di far parlare e scrivere sulle condizioni modestissime della sua infanzia e adolescenza, e sull’origine della sua persona e della sua arte dall’ambiente dei tagliapietre veneti, per evitare di essere disprezzato negli ambienti dell’alta e altissima società che frequentava e dove era praticamente venerato.

Compiendo le intenzioni del Canova esposte nel suo testamento, monsignor Sartori si servì degli ingenti capitali, dei mobili e degli immobili lasciatigli dal fratello in buona parte a beneficio del paese natio dello scultore, cioè Possagno, ma anche di Crespano, suo paese natale, e in genere della Pedemontana trevigiana, da Bassano (Provincia di Vicenza, a ovest) a Pederobba (Provincia di Treviso, a est).

A Possagno, principalmente, monsignor Sartori si impegnò a fondo: curò il completamento della fabbrica dell’imponente Tempio neo-classico, di cui Antonio Canova aveva sbozzato il progetto e messo la prima pietra (11 luglio 1819) e di cui aveva finanziato la costruzione, e arrivò a concluderla nel 1830, ad inaugurarla e a consacrarla il 7 maggio 1832. Il Tempio veniva a sostituire come chiesa parrocchiale quella precedente, molto più piccola, sita allora dove ora si trova l’edificio antico del Collegio Canova, e dedicata ai santi Teonisto, vescovo di Filippi, e ai diaconi Tabra e Tabrata, martirizzati dai barbari ariani e patroni della diocesi di Treviso.

Canova era stato invitato più volte “dai compaesani di Possagno a contribuire alle spese per le riparazioni della vetusta chiesa parrocchiale”, ma aveva preso invece “la risoluzione di farne edificare una nuova, a mie [sue] spese…”. Aveva l’idea di eseguire un tempio circolare con pronao come il Pantheon di Roma, ma con questo pronao a colonne doriche come quelle del Partenone di Atene. Fece eseguire da alcuni architetti dei progetti dettagliati, sulla base di suoi disegni, e li sottopose all’esame dei colleghi dell’Accademia di S. Luca”.

Monsignor Sartori istituì ancora una Gipsoteca nella casa natale del Canova, nella quale trasferì da Roma tutto il materiale documentario e scultoreo (gessi principalmente), già proprietà del Canova. Inoltre provvide con lungimiranza all’educazione dell’infanzia e della gioventù possagnese, tramite una fondazione, che è chiamata Collegio Canova o Istituto Cavanis Canova. Questa istituzione, nelle intenzioni iniziali di monsignor Sartori Canova, doveva realizzare varie attività: una scuola gratuita; una casa di esercizi spirituali; una casa di riposo per sacerdoti anziani e ammalati; una conveniente officiatura liturgica nel Tempio; e la cura d’anime nella parrocchia di Possagno.

Bisogna ricordare qui che, prima di morire il 18 luglio 1858, monsignor Giovanni Battista Sartori aveva compilato un testamento, con l’aggiunta di una serie di codicilli segreti, cioè da non pubblicare (28 febbraio 1858), lasciando tutto il suo patrimonio, che comprendeva quasi esclusivamente il vistoso residuo dell’eredità del Canova, in un lascito che fu chiamato “Lascito Canova”, a beneficio del popolo dei comuni vicini di Possagno e di Crespano. In tale documento dispone che “la sostanza in lui unicamente derivata dal lascito del Marchese A. Canova, suo amatissimo fratello, d’illustre e carissima ricordanza, per quella testimonianza della cordiale fiducia con cui lo ha reso libero esecutore de’ suoi pii e generosi voleri abbia ad essere disposta tutta a beneficio altrui. (…) A seconda delle circostanze che si troveranno più opportune siano istituite una o più istituzioni di pubblica utilità e beneficenza a vantaggio, possibilmente, delle due Comune di Possagno e di Crespano, o più estesamente, se così fosse reputato opportuno all’uopo …”.

Tra l’altro, il vescovo di Mindo, che aveva già istituito il Collegio Canova, affidandolo ai padri Cavanis nel 1857, disponeva che “È mia volontà che più presto possibile, se io stesso in vita non l’avessi fatto, i miei Esecutori testamentari colla mia facoltà formino un patrimonio di lire sessantamila (60.000) o con fondi stabili o con capitali fruttiferi, come troverano più opportuno, assegnandolo in dotazione alla Congregazione dei Reverendi Padri dell’Istituto residenti in Possagno …”.

Nel suo testamento segreto, stilato in varie date, tra cui esplicite quelle “Venezia li 9 Marzo 1858” e quella conclusiva “Venezia li 19 marzo 1858”, e firmato dal Sartori-Canova in vari punti, di cui esiste una copia manoscritta dal notaio Dr. Luigi Celzemin di Asolo, il testatore tra l’altro lascia ai padri Cavanis della comunità di Possagno tutti i suoi libri “non altrimenti disposti”; “onde sieno provveduti quei benemeriti Padri di un corredo opportuno a sussidio delle Scuole”. Inoltre stabilisce che gli esecutori testamentari possano adattare alle situazioni future concrete anche ciò che riguarda “…la Famiglia dei R.di Padri delle Scuole di Carità, residenti in Possagno, e applicare il reddito annuo di detta dotazione a qualche sovvenimento opportuno a prò della Congregazione …”.

Nei due testamenti, pubblico e segreto rispettivamente, non si parla ovviamente della fondazione e apertura del Collegio Canova, perché questo era già stato aperto e inaugurato da monsignor Giovanni Battista Sartori-Canova, ancora vivente, prima della stesura dei due testamenti e prima della sua morte, intervenuta a Possagno, il 18 luglio 1858.

Per l’aspetto esecutivo e amministrativo riguardante questa fondazione, tra le altre attività, l’anziano vescovo di Mindo si era giovato da lungo tempo della collaborazione del nobile Filippo Canal, marito di sua nipote Antonietta Bianchi Stecchini Canal. Questi fu poi nominato dal Vescovo Sartori-Canova, nel testamento sopra citato, esecutore testamentario, unitamente ad altri due personaggi.

A sua volta, molto più tardi, dopo aver curato lungamente l’esecuzione del testamento, tra l’altro seguendo da vicino il Collegio Canova dei Padri Cavanis, aperto e funzionante, il Canal, a quel tempo unico superstite degli eredi universali fiduciari ed esecutori testamentari, offrì al Comune di Crespano Veneto la parte ancora esistente del patrimonio del fu monsignor Sartori-Canova. Tale patrimonio, accettato dal Comune di Crespano Veneto, a ciò autorizzato a seguito del decreto regio del 19 aprile 1876, fu poi eretto in Ente morale con decreto n° 197 della Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno. Il 19 agosto 1876 un Regio Decreto aveva autorizzato d’altra parte il Comune di Possagno ad accettare le collezioni artistiche, la Casa di Canova, gli stabili, i beni immobili, e l’atto di consegna porta la data del 18 luglio 1881. È poi del 16 aprile 1896 il primo Statuto del Lascito Fondazione Canova.

Rimane da risolvere la questione della proprietà dello stabile e annessi del Collegio Canova. Sembra al momento probabile che la proprietà fosse attribuita all’Istituto Cavanis, altrimenti non potrebbero esservi state applicate, dopo il 1866, le leggi “eversive” di incameramento dei beni degli istituti religiosi, se la proprietà fosse ancora intestata in quella data a un privato, e cioè al nob. Filippo Canal o alla Fondazione Canova.

Vale la pena a questo punto di spendere qualche parola sul paese di Possagno.

Possagno

Possagno è un ridente paese situato nella parte nord occidentale della Provincia di Treviso, nella fascia pedemontana delle Prealpi; più esattamente è situato ai piedi del massiccio del monte Grappa, in una conca tra le sue falde, con il M. Palon, il colle di S. Antonio e il Coldraga o Col Dragaverso nord, ricchi di castagneti, e le colline argillose e marnose, coperte da arenarie al tetto, del “Pareton” verso sud. La conca di Possagno sale verso ovest in direzione di Fietta del Grappa, Paderno e Crespano, e scende a est verso Cavaso e Pederobba. Questa serie di vallette e conche prende il nome di Val Cavasia. L’abitato di Possagno si trova a 270-300 m di altezza sul livello del mare, ha una popolazione di 2.206 e il territorio del comune ha una superficie di circa 12 km².

Il panorama del paese di Possagno è dominato dall’imponente Tempio canoviano con il suo ampio piazzale e lo stradone monumentale.

L’occupazione antropica di questa località è molto antica e risale almeno al neolitico o all’eneolitico. Sede di un castelliere preistorico, l’area era probabilmente abitata in epoca romana, ma la prima citazione documentaria del nome dell’abitato è del 1076.

L’attività principale consiste nell’estrazione delle argille e nella produzione artigianale e poi industriale di tegole, coppi, tavelle, mattoni e altri laterizi. C’è anche l’agricoltura e l’attività turistica, legata principalmente al Tempio canoviano e alla Gipsoteca. Il Collegio Canova dell’Istituto Cavanis dà un notevole prestigio al paese e ha contribuito largamente per lungo tempo all’ascesa culturale e sociale della popolazione e di quella di tutta la Pedemontana trevigiana.

Al tempo della seconda prepositura di P. Casara e dell’istituzione della casa di Possagno, questo paese era un centro modestissimo di agricoltori e lavoratori dell’argilla e del cotto (i fornaciai), di bassissimo livello di alfabetizzazione e di cultura, come in tutti i paesi italiani (e non solo italiani) dell’epoca. La fama del Canova tuttavia si rifletteva, prima e dopo la sua morte, sul suo paese natio, di cui P. Sebastiano Casara poteva scrivere nel 1856 che uno dei motivi per accettare la proposta di fondazione era: “…lo aver una Casa in luogo oggimai così celebre come è Possagno; …”.

Il paese, oltre al centro, dominato dal suo maestoso tempio canoviano, comprende numerose frazioni, dette localmente “colmelli”, ciascuna con la sua cappella; si possono ricordare inoltre le chiesette di S. Giustina al Bosco in una valletta a sud del paese e quella di S. Rocco sul colle omonimo.

3.1.1 Le trattative (1856-1857)

P. Francesco Saverio Zanon nota che una chiesa così maestosa richiedeva il servizio di un numero rilevante di preti e che la soluzione migliore, una ventina d’anni dopo la dedicazione del Tempio, sembrava quella di invitare una comunità religiosa che potesse risiedervi e operarvi in modo dignitoso, decoroso e permanente. Ricorda anche che nel 1853 era sorta a Treviso una “Congregazione” di sacerdoti diocesani oblati, con lo scopo di fornire a quella diocesi l’attività pastorale degli esercizi spirituali. Tra monsignor Farina, vescovo di Treviso, e monsignor Sartori-Canova si giunse a pensare che la cosa migliore era di mettere insieme le due cose, e quindi di affidare la cura d’anime della parrocchia di Possagno, arricchita recentemente della chiesa arcipretale, ossia del Tempio, e insieme il ministero gratuito degli esercizi spirituali alla suddetta Congregazione di oblati; essi avrebbero dovuto inoltre ospitare sacerdoti diocesani anziani, infermi e poveri. Il vescovo titolare di Mindo, che aveva già provvisto per il Tempio una ricca dotazione per il culto, offrì generosamente al vescovo di Treviso il fabbricato sorto nell’area dell’antica chiesa parrocchiale per sede di questa Congregazione e di queste attività pastorali e assistenziali; ma il progetto non andò in porto, “forse per mancanza di preti che si offerissero ad attuarlo”, scrive Zanon.

Fu allora che monsignor Giuseppe Lazzari, parroco di S. Luca a Venezia, cui si accennava sopra, parlò “con molto calore” dell’Istituto Cavanis di Venezia a monsignor Sartori-Canova e lo consigliò di offrire a quei religiosi la casa degli esercizi spirituali con l’aggiunta del dovere della parrocchialità. Con l’assenso di quel vescovo, ne parlò poi al P. Sebastiano Casara, preposito dell’Istituto Cavanis, che fin dal principio vide la difficoltà abituale della “nostra scarsezza” e in più quella dell’obbligo di accettare la parrocchia, ma al tempo stesso colse la straordinaria opportunità che si presentava alla Congregazione. Comincia a pregare e fa pregare tutte le comunità, maschile e femminile.

Il 20 novembre successivo, da Verona dove si trovava e dove aveva saputo che l’idea della fondazione a Riva del Garda era svanita, passò a Treviso per parlare della faccenda di Possagno con monsignor Rizzi e con il vescovo Farina. Nel diario, in questa data, commenta che “Riguardo a questa [la casa proposta a Possagno] avvi un titolo particolare che assai mi alletta ed interessa. La Casa da fondarsi ivi, giusta la prima idea dal monsignor Rizzi concepitane, dovrebbe essere Casa per esercizj [spirituali]; ed essendo ciò la seconda parte dello scopo della nostra Congregazione, mi piacerebbe assai non perdere questa occasione, per indurla effettivamente in atto: cosa che non si è potuta far ancora in Venezia”.


Costituzione n° 3, paragrafo 3: “gli esercizi spirituali”

È bene ricordare di passaggio che contrariamente alla tradizione di altri paesi, oggi in Italia, e a Venezia al tempo dei nostri Fondatori, il termine “Esercizi spirituali” o “Ritiro degli Esercizi spirituali” non era e non è solamente applicato al mese ignaziano. Si applica questo termine “Esercizi spirituali” a ogni ritiro piuttosto lungo, (ad esempio di cinque o sette giorni; sembra che il numero di dieci giorni di ritiro fosse considerato come adatto dai Fondatori), lasciando il termine “ritiro” per un incontro di preghiera e spiritualità di un giorno o di un week-end oppure di tre giorni.

In questo terzo punto della costituzione 3, non si tratta dunque, di esercizi spirituali nel senso in cui questo termine viene definito in diversi paesi (vale a dire il mese Ignaziano), ma soprattutto dei ritiri religiosi in genere.

Storicamente, il primo ritiro per i giovani è stato celebrato dai nostri Fondatori in data 20 ottobre 1805; ce ne sono stati altri; l’acquisto del Palazzo da Mosto per le scuole (16.7.1806) è stato effettuato pensando a una sede adatta per le scuole, ma anche per continuare questo ministero degli Esercizi; nel Piano per il ramo femminile si parla degli esercizi spirituali due volte l’anno nell’Istituto femminile per le donne; la casa di Possagno (Treviso, Italia) è stata aperta nel 1857, quando i Fondatori erano ancora vivi, da P. Casara, pensando prima di tutto di farne una casa di ritiro, anche per il clero; e, molto più tardi, negli anni Trenta del XX secolo, una casa di ritiro è stata realmente costruita a Possagno in località Coldraga fino ad oggi ed è aperta ai giovani e adulti.

Oggi, quasi in ogni parte territoriale abbiamo una casa per questo nostro apostolato specifico, talvolta anche due. Nella nostra delegazione del Congo, apriamo gratuitamente la MAC, come sappiamo, ai bambini, giovani e anche adulti per questa attività, durante le vacanze e nei fine settimana. Così abbiamo iniziato dunque a obbedire noi stessi a questa Costituzione su questo punto, quasi naturalmente e senza essere stati costretti.

Si è discusso molto in Congregazione sul livello d’importanza dell’apostolato degli Esercizi spirituali rispetto al livello d’importanza dell’educazione della gioventù; ancora ne discutiamo. Ci sono due generi differenti di giudizi: 

1. Educazione e Esercizi spirituali hanno lo stesso livello di importanza, si tratta dei due fini apostolici della Congregazione.

2. Il fine apostolico principale della Congregazione è l’educazione della gioventù, e quello degli Esercizi spirituali è secondario. 

Tale questione non è mai stata risolta ufficialmente, per quanto ne sappia; personalmente ritengo che gli Esercizi spirituali abbiano un ruolo secondario rispetto all’educazione: per motivi storici (nella vita dei Fondatori e pure nella storia della Congregazione), per motivi quantitativi (il numero di case e dei religiosi che si dedicano rispettivamente ai due ministeri), e anche se esaminiamo le nostre Costituzioni e Norme noteremo facilmente che il capitolo sugli Esercizi spirituali è sempre stato molto più breve rispetto alla parte in cui si parla dell’educazione della gioventù. 

Inoltre, in questa costituzione, il munus, “compito”, degli Esercizi spirituali addirittura si trova al terzo posto nell’elenco dei compiti dei religiosi Cavanis. Tuttavia, sappiamo che l’elenco ha un carattere un po’ artificioso e di carattere dottrinale, e la posizione non è forse determinante.

Infine, nella costituzione 3 al § 6 del VIII capitolo (1837), la quale tratta anche degli esercizi spirituali, troviamo un “etiam” (= anche) che mi sembra significativamente in favore dell’opzione 2; ecco il testo: « Noverit tandem Congregatio nostra hoc etiam sui muneris esse, ut quam saepius fieri possit, in Domo recipiat cujuscumque conditionis juvenes ac viros per aliquot dies ad exercitia spiritualia peragenda (…) » (“Sappia infine la nostra Congregazione che è anche suo compito ricevere nella nostra Casa, quanto più spesso sia possibile, dei giovani e degli uomini adulti per alcuni giorni per compiere gli esercizi spirituali (…)).

Ma bisogna sottolineare anche che questo punto della Costituzione 3 (attuale) viene direttamente dai fondatori: si trova, in forma più dettagliata, nell’elenco dei tre fini della Congregazione, nel prologo delle Costituzioni del 1837. Bisogna mettere in evidenza anche il numero di volte in cui i fondatori parlano di questa opera degli esercizi: nei loro scritti riprodotti nel libro “Spirito e Finalità”, la troviamo citata almeno 25 volte; inoltre l’indice analitico del volume VIII dell’Epistolario porta 52 citazioni. Poche volte, se vogliamo, rispetto al numero di volte in cui scrivono sull’educazione della gioventù; tuttavia, il numero è notevole e indica l’importanza che attribuivano a questa attività apostolica. Leggendo i loro scritti, l’impressione è che desideravano molto raggiungere questo fine della Congregazione, ma che non hanno (quasi) mai avuto la possibilità di acquistare e di organizzare una casa specialmente assegnata a un tale fine. 

Va inoltre ricordato che P. Casara, (nel 1856), disse degli Esercizi spirituali: “ È cosa nostra principalissima”.

Le Costituzioni del 1837 hanno una sola costituzione sugli esercizi spirituali date agli esterni, tranne la Costituzione 3 §3 e il riferimento passando agli esercizi spirituali nella costituzione sui mezzi educativi. Tuttavia, le Costituzioni del 1891-1970 sono arricchite, nella seconda parte, da una Costituzione sul tema. Questo tema trova più spazio a partire del 1970, con quattro costituzioni e cinque norme. Le Costituzioni del 1981 hanno diminuito questa sezione, dedicandolo solo due costituzioni e due norme. Le Costituzioni attuali (2007) hanno sul tema tre costituzioni e due norme.

Nell’attuale cost. 57 si conferma che il compito di dare gli Esercizi Spirituali è un compito apostolico istituzionale, ossia ufficiale, della nostra Congregazione e dei suoi membri. Questo ministero ha due aspetti:

1. Predicazione degli esercizi spirituali, ritiri, incontri e simili attività pastorali da parte dei congregati.
2. Organizzazione e direzione di nostre case di ritiri ed esercizi spirituali, con tutto il supporto logistico per la predicazione di ritiri.

È evidente che le due componenti non sono necessariamente alternative, ma possono utilmente sommarsi l’una all’altra: questo caso si realizza quando uno dei nostri religiosi predica ritiri o esercizi spirituali in una delle nostre case di esercizi spirituali.

Nelle costituzioni e norme attuali (2008) si parla di ogni categoria di persone, tra l’altro senza distinguere il sesso: infatti, la costituzione 3 § 3 dice semplicemente di dare gli Esercizi Spirituali ai giovani e agli adulti. Nelle costituzioni del 1837 si parlava di giovani e adulti del sesso maschile, perché alle ragazze e donne avrebbe provvisto e provvedeva il ramo femminile dell’Istituto Cavanis; dopo la fine del ramo femminile con la sua fusione con le suore canossiane, si dettero per lungo tempo esercizi e ritiri soltanto a ragazzi ed uomini. Dopo il concilio Vaticano 2° si cominciò ad aprire le nostre case di esercizi spirituali ad ambedue i sessi prima timidamente e poi in modo più sistematico.

Monsignor Rizzi, alla difficoltà sollevata per quanto riguarda la parrocchialità, suggerisce che la comunità Cavanis potrebbe accettare la parrocchia come principio; ma di fatto affidarla, per la cura d’anime, a due preti non appartenenti alla Congregazione, stipendiandoli.

Segue un carteggio tra P. Casara e la comunità di Lendinara, per discutere la cosa. In quella città, infatti, risiedevano, oltre ad altri membri della comunità, due degli “anziani”, che erano per di più definitori. P. Casara proclama anche un triduo di preghiere. A Venezia si tiene una riunione informale preparatoria il 27 dicembre, nella quale P. Casara propone una lista delle difficoltà e dei vantaggi.

Difficoltà: 1) “scarsezza di soggetti”; 2) la parrocchialità, difficoltà moderata dal fatto che “…la Comunità vi abbia ad avere la Parrocchialità, ma non già l’esercizio di essa, pel quale dovrà essere destinato un sacerdote semplice secolare, che avrà altro sacerdote in aiuto qual cappellano”; 3) la prevista possibile difficoltà di convivenza con i due sacerdoti non appartenenti alla comunità, che potremmo definire “alieni”. Ragioni a favore: 1) “attuare la seconda parte dello scopo della Congregazione”; 2) “lo avere una Casa in luogo oggimai così celebre, com’è Possagno; 3) la possibilità di trovare a Possagno e dintorni delle vocazioni all’Istituto; 5) il previsto aumento di stima per la Congregazione; 5) la speranza che monsignor Sartori-Canova, impressionato dalla buona performance dell’Istituto a Possagno, si inclini a aiutare finanziariamente anche l’opera di Venezia.

Il 30 novembre arriva a Venezia monsignor Lazzari accompagnato dal nobile Filippo Canal, che sarà poi un protagonista importante della fondazione e successive attività dell’Istituto a Possagno. Lo accompagna anche un fratello sacerdote del Canal, l’abate Lorenzo. Essi insistono con il P. Casara in favore dell’apertura, anche a consolazione di monsignor Sartori-Canova, che, ottantaduenne, desidera molto veder i Cavanis a Possagno. In realtà li vedrà, e ne avrà la consolazione, pochi mesi prima di morire.

A questo punto comincia la lunga e alquanto penosa fase di decisione da parte della comunità. Ci sembra utile diffondersi su questo punto, forse più del dovuto, perché un’analisi accurata dei testi ci fa capire bene il clima, la mentalità e anche le procedure del tempo.

A Venezia, nella comunità, regnava a questo punto un notevole pessimismo sulla possibilità e convenienza di accettare la proposta. P. Casara, però, rimane ottimista e favorevole all’impresa, con una visione da un lato rivolta a compiere soltanto la volontà di Dio e anche a seguire le forme, ma dall’altro con una visione pragmatica e abbastanza elastica. Scrive: “Io nelle difficoltà non vedevo tanta gravezza, o almeno vedevo peso molto maggiore negli argomenti favorevoli all’accettazione.” Sarà appunto questo stato d’animo a guidare le sue azioni in proposito.

Il 30 novembre si tiene un altro capitolo a Venezia, in cui dopo aver discusso sulla procedura da seguire, si decide di rinviare la decisione fino a quando arrivi la lettera da Lendinara con i voti degli anziani e vocali di là.

Il primo dicembre arriva, in ritardo, la lettera di P. Traiber, con la risposta e il voto formale dei due anziani di Lendinara, che in prima istanza viene considerata dal Casara come una risposta negativa e lo è di fatto, in modo assolutamente evidente. In effetti, la lettera dice che tutti e quattro i preti religiosi di Lendinara, cioè i due anziani (Traiber e Spernich) e i due preti giovani (Basso e Brizzi), sono per il no. La sera del primo dicembre si riunisce allora il capitolo di comunità di Venezia, costituito dai sacerdoti professi (sette, compreso il Casara, rettore e preposito). Si legge la lettera di Lendinara e in seguito P. Casara presenta un suo testo di commento sulla situazione e in proposito alla lettera ricevuta da Lendinara; nota tra l’altro che le difficoltà sono state piuttosto esagerate nel giudizio dei due padri lendinaresi, assenti nel Capitolo, ma presenti con la loro lettera. Si passa rapidamente alla votazione, con un solo scrutinio a voti segreti.

I risultati non sono del tutto chiari su questo punto nel testo del Diario, che contiene delle contraddizioni interne. Tuttavia, sostanzialmente il testo, come conferma il verbale della riunione, dice che dal “ballottaggio” si sono avuti cinque voti in favore dell’apertura della casa di Possagno, e quattro contro; compresi nell’insieme i due voti ottenuti per iscritto da Lendinara. I sacerdoti professi elettori erano dunque nove, per le due case. Di questi poi, due erano i due anziani di Lendinara, Traiber e Spernich (ambedue con diciotto anni di professione); a Venezia l’amatissimo P. Anton’Angelo, infermo e incapace, non era presente in aula capitolare e non votò; votavano gli altri sette religiosi sacerdoti, cioè i padri Casara (preposito), Giovanni Paoli, Giuseppe Marchiori (tutti con 18 anni di professione), Giuseppe Rovigo (12 anni), Giuseppe Da Col (13), Giovanni Francesco Mihator (circa 10 o 12) e Antonio Fontana (13).

Il verbale del precedente capitolo di famiglia di Venezia del 30 novembre 1856, in cui per la seconda volta fu discussa in capitolo la fondazione di Possagno, è particolarmente interessante perché spiega la procedura seguita a quell’epoca, allora ancora non scritta: che cioè ai capitoli d’interesse di tutta la Congregazione: “non vi potevano per diritto aver parte che i sacerdoti, almen da dieci anni nella Congregazione, come ricercasi perché uno possa aver voce nel Capitolo provinciale; si propose innanzi tutto dal P. Preposito ai soli Anziani se in via di eccezione si volevano ammettere anche i due Sacerdoti P. Gianfrancesco Mihator, e P. Antonio Fontana chiamati il dì 27 alla Conferenza solo preparatoria e consultiva; e furono a maggioranza di voti accettati ed ammessi.”

Continua lo stesso verbale “…sarebbesi voluto (…) venire a voti dai presenti, quantunque non arrivati ancora i voti de’ Padri di Lendinara, che jeri pur s’aspettavano. Ma considerando che, essere bensì vero che, secondo le Costituzioni, ove consti essere stati ritamente invitati quelli che vi hanno diritto, se poi ne mancano alcuni possono i soli presenti deliberare e conchiudere validamente; ma che l’affare molto importante, ed un riguardo ben conveniente ai due Padri di Lendinara anziani della Comunità, ed insieme Definitori, erano giusti argomenti di sospensione, si differì al giorno seguente appresso il Capitolo…”. Purtroppo la procedura, anche in questo secondo punto, non risulta affatto chiara, perché le Costituzioni del 1837 non parlano di elezioni, di votazioni e di capitoli. Probabilmente si tratta qui piuttosto di un riferimento a tradizioni orali, e/o alla seconda parte delle Costituzioni, che P. Casara stava preparando e che erano chiamate “Costituzioni o regole (mano)scritte, in opposizione o complemento a quelle stampate del 1837.

Vale la pena qui di trascrivere integralmente i fogli delle riflessioni che P. Casara mise in iscritto tra la sera del 30 novembre e la mattina del 1° dicembre 1856, come pure il verbale del capitolo decisivo tenuto la sera del 1° dicembre stesso.

J.M.J.

La sera del dì 30 novembre dell’anno 1856

Sciolta l’adunanza, questa stessa sera tenuta, senza nulla conchiudere quanto all’accettazione della fondazion‹e› si caldamente proposta per Possagno, e ciò per la ragione giustissima di dover conoscere prima il voto o almeno il parere dei due Sacerdoti anziani e definitori, che trovansi in Lendinara, la cui lettera, che senza fallo aspettavasi, non si è veduta; mi son sentito al vivo assai stimolato di esporre in iscritto, sopra il proposito, alcune osservazioni, per poterla con più precisione sottoporre al giudizio dei Confratelli.

Dei quali nessuno omai può ignorare la mia propensione, che ingenuamente manifestai, con quella libertà medesima che negli altri desidero, e con vero gusto che gli altri manifestassero ciascuno la loro propria pendenza ed opinione. La difficoltà che inclinano fortemente alcuni al contrario partito son vere e di peso, e fa onore al lor criterio del pari che alla coscienza loro il valutarle per quello che sono. Io nullameno, riconoscendone con essi la realtà e la gravezza, troverei dall’altra parte un contrapeso in favore che sapeva, a mio vedere, la gravità degli argomenti in contrario.

Espongo le cose in fretta, senz’ordine, e senza studio, secondo che mi sovverr‹an›no.

E primamente ricordo il quasi comune contento di accettare la fondazione di Riva di Trento, per la quale, non meno che per Possagno, sarebbesi opposta l’attuale nostra scarsezza di soggetti. Ora per quella sono svanite omai le speranze, e forse per causa dello smarrimento avvenuto della lettera scritta in Luglio del R[everen]do De Santi a quell’Arciprete; il quale non avendo avuta nessuna notizia a nostro riguardo, avrà, e giustamente, pensato che non volessimo o non potessimo più applicarvi. Potrebbe essere stata questa una traccia di Provvidenza?

Un altro filo di Provvidenza potrebbe essere stato pur quello, che il R[everendissi]mo M[onsigno]re Lazzari si avesse a trovare in Possagno in compagnia di due Sacerdoti, un tempo scolari nella Congreg[azio]ne, ad ambedue nostri amicissimi; i quali, se non furono essi i primi a porre gli occhi sopra di noi, furono certo entrambi tosto caldissimi nel favorirne la idea, ed eccitarne più vivamente la persuasione e il desiderio nel M[onsigno]re, che con tanto calore ce ne parlò, e con tanta impazienza aspetta la nostra dichiarazione.

La persuasione di due Vescovi e il lor desiderio mi fu da alcuno notato come indizio assai calcolabile della volontà del Signore; ed io confesso che non trovo […?] nè debole la osservazione‹.›

Quanto a mezzi economici, la Congreg[azio]ne avvantaggerebbe di assai. Il che se sarebbe illecito al sommo e riprovevole estremamente come fin principale di nostre mire, a motivo prevalente della nostra determinazione; è giusto invece, santo, e doveroso, se si considera come offertoci dalla Provvidenza a conforto della Congregazione, quale mezzo di prosperare e crescere a gloria di S.D.M. I vicini PP. Somaschi hanno novizj ed aspiranti in buon numero, perché se ne possono assumere il gratuito mantenimento, perché possono caricarsene anche anni prima di poterli effettivamente ammettere all’abito e al noviziato. E noi non ne abbiamo pur tante prove? E se potrem‹mo› più francamente ancor rinnovarle, non prospererà probabilissimamente la nostra Congregazione?E se affezionandosi a noi la pietà generosa del M[onsigno]re Canova, ci desse egli il modo (che non è punto improbabile) di cominciare almeno la fabbrica della nuova abitazione in Venezia; non sarebbe egli questo un bene d’inestimabile preziosità? Io lo confesso candidamente, che non vorrei entrar col mio voto ad impedirlo.

La Casa pure degli Esercizj mi sta molto a cuore. É cosa nostra principalissima, perché vorremo respingerne, chi sa mai ad epoca quanto remota, la effettuazione?

E così vorrebbe conosciuta, anche rotto questo aspetto, la nostra Congregazione, e potrebbe ciò essere una nuova porta apertaci dalla Provvidenza, per potervi ricevere dei buoni soggetti.

Ma questa Casa in Possagno, in situazione cioè contornata da paesi dov’è gioventù di buon’indole e bell’ingegno, potrebbe darci dei giovani preziosi per la Congregazione, e ce li darà certamente. Certamente poi non gli avremo, se non ne accettiamo la fondazione.

La qual fondazione non accettata porrebbeci nella necessità di deporre per molto tempo il pensiero di qualunque altra, anche vantaggiosissima, che ci venisse proposta. Una negativa data a due Vescovi e ad altre persone rispettabilissime, diventerebbe una ingiuria se fosse seguita da non lontana accettazione in altra parte‹.›

Ci costerebbe, sì, uno sforzo la fondazione che tanto mi alletta, ma uno sforzo, e non lieve, ci costò pur anche quella in Lendinara, nè ci chiamiamo pentiti di averlo fatto. Vi abbiamo già tre Patrimonj: siamo sull’atto di costituirne un quarto, e ne abbiamo all’uopo pronti altri due. Simili ed anche maggiori vantaggi dobbiam riprometterci da Possagno: quello principalmente di buoni soggetti per la Congregazione. E non dovremo noi dunque farci coraggio?

Se Iddio ci chiama, Egli ci ajuterà. Ma il concorso di questi indizj e la prospettiva, di tanti beni, che noi miriamo sotto l’aspetto unico della gloria di Dio, non può bastarci ad argomentarne con fondamento il suo beneplacito?

La mattina del dì 1.° xmbre 1856 [1856, dic. 1]

Sospesa jer sera la mia scrittura, per non avere più tempo, ero questa mattina sul ripigliarla, quando mi è giunta la lettera aspettata da Lendinara. In essa il P. Traiber, che fa da Rettore di quella famiglia, dice anche a nome degli altri la fondazione proposta per varii aspetti esser tale «che ci alletta a maraviglia, e pel Campo fertile da raccogliere un bel numero di giovanetti e per noi e per la Diocesi, e per li generosi provvedimenti di rendite e di fabbriche, e per la bellissima localit໋.› Ma poi soggiunge alcune difficoltà, che io riporterò fedelmente, contrapponendovi le osservazioni che mi parranno giuste e valide in contrario.

È dunque la prima esposta così: «Non troviamo che la Congreg[azio]ne possa mandare, ad aprire quella Casa, due Sacerdoti atti a sostenerne gli uffizj, senza o distruggere il Ginnasio costì, oppure questa Casa»‹.› Ed osservo, che sussisterebbe e la Casa di Lendinara, anche con 4 Sacerdoti, e il Ginnasio di Venezia, solo che si trovassero (e questo il tengo sicuro) due idonei e buoni giovani Sacerdoti qui per Maestri. I quali due Sacerdoti, e forse anche tre, provveduti che fossero con uno stipendio migliore che non si potea pel passato, si potrebbe tenerli impegnati con più certezza nella continuazione della loro assistenza. Di anno in anno diverrebbero intanto più addottrinati e più esperti, e potrebbero contribuir all’onore dello stesso Ginnasio. Non lascerò poi di osservare, non essere necessario mandar in Possagno due Sacerdoti anziani, ma uno potrebbe anch’essere giovane, e continuar ivi a studiare.

La seconda difficoltà è: «la responsabilità della Parrocchia, perché avverrà di sovente che i nostri Sacerdoti dovranno sostenerne il peso, avendo appunto la facoltà di eleggere il Parroco e il Cappellano»‹.› Non posso ammettere la probabilità della frequente ripetizione del caso qui preveduto. Potrebbe sì alcuna volta avvenire che mancasse per qualche tempo uno o l’altro dei due Sacerdoti diocesani, destinati alla cura; e non nego la possibilità ad avvenire che mancassero al tempo stesso ambedue. Ma tutti converran meco, questo secondo supposto, se non al tutto è impossibile, certo essere improbabilissimo, e non poter far ostacolo da calcolarsi. Il primo è meno improbabile, ma, a mio vedere, non genera grave difficoltà. Fino che resta un Sacerdote per la cura esterna in una Parrocchia di mille anime circa, non estesa a lunghe distanze, e detta formata di villici e di paesani, non è da aspettarne gran peso e nè tampoco grave incomodo per la Congregazione. Che se volesse pensarsi alla occupazione che i nostri vi potessero avere in Confessionale, nè solamente per quei di Possagno, ma anche per altri che concorressero dai convicini paesi; onde ne potessero anche venire serii pensieri ed imbarazzi pei Confessori; risponderei che il caso stesso potrebbe avvenire in ogni altro luogo dove la Congreg[azio]ne avesse pubblica Chiesa (come sarebbe stato in Riva di Trento) e in essa confessassero i Nostri, godendo stima e fiducia presso i Secolari. I Nostri assisteranno al Confessionale quanto potranno e vorranno, senza stretto obbligo per i Possagnesi medesimi, e molto meno per quelli di altri paesi.

Veniamo alla terza ed ultima difficoltà proposta dai Padri di Lendinara, che dice così: «La convivenza del Parroco e del Cappellano coi nostri farà che non duri la pace, nè si conservi a lungo lo spirito religioso, secondo le nostre Regole; e questo tanto più sparirà, se si accettasse anche il ritiro dei Parrocchi e Preti impotenti»‹.› Questa difficoltà ha due parti, la seconda delle quali svanisce a nostro volere. Se noi dichiariamo di non poter assumere l’impegno dell’Ospizio, ne sarà pur dal Vescovo di Treviso abbandonato il pensiero. Anche la prima parte potrebbe dipendere egualmente da noi. Potremmo esigere, io credo, che il Curato faciente da Parroco, ed il Cappellano abitassero separati da noi; e sarebbe tutto finito. Ma, siccome io credo insieme importantissimo il poter conoscere positivamente e con certezza l’abituale condotta dei due Preti datici ed accettati per la Cura, così pur trovo opportuno, se non vogliamo dir necessario, che vivano in Casa nostra. Questo però non dee far perderci tanto probabilmente la pace, per più ragioni: 1.° Nè la Congreg[azio]ne gli accetterà; nè eglino stessi verranno, quando non siano tali da poter convivere con iscambievole contentezza; 2.° Se non si troveranno essi, o la Congreg[azio]ne non potrà poi trovarsene soddisfatta, sono entrambe le parti libere di mutare; 3.° Non è necessario esiger da essi il rigore di disciplina, che deesi sostenere tra i nostri; e trattati con discrezione vi si potranno più facilmente trovare contenti. I nostri poi sapranno sempre che i due Preti non sono di Congreg[azio]ne, che non possono quindi e non sono obbligati ad avere il nostro spirito particolare; e non potranno quindi mai ricevere scandalo da ciò che in loro vedessero proprio del Prete semplice diocesano, e quindi diverso dalle nostre regole e costumanze. Ripeto anche in iscritto la similitudine addotta in voce, non fosse appien decorosa, ma molto significante. Da servitori che la Congreg[azio]ne avesse per assistenza della Comunità, non si potrebbe pretendere ciò tutto egualmente che dai nostri Fratelli laici; nè per questo sarebbe a temerne nei nostri Laici scandalo o scapito nello spirito. Lo stesso è il caso di due Preti, dipendenti della Congreg[azio]ne e non membri di essa.

Or, se le osservazioni, da me contrapposte alle difficoltà surriferite, hanno verità e valore; la conseguenza pure ne verrà contraria a quella che necessariamente è espressa nel seguito della lettera: si dovrà, cioè, conchiudere per la accettazione, invece che pel rifiuto.

Si verrà dunque allo squittinio per voti secreti, e si deciderà. Avverto solo, che dei Sacerdoti formanti or la famiglia di Lendinara, due soli voti si possono calcolare. Gli altri due, in nome dei quali pure mi scrive il Traiber, e che per mia volontà furono consultati, non possono aver che voto meramente consultivo, come già tutti sappiamo.

Osservo inoltre, e propongo, se possano calcolarsi pur come due in senso negativo il voto del Traiber e quello del P. Spernich. Essi non odono le osservazioni e le ragioni che al loro voto si contrappongono. Potrebbero non crederle preponderanti alle difficoltà, ma potrebbero anche ambedue persuadersene, e mutar opinione, se fossero qui presenti. Fatta ragione della probabilità da una parte e dall’altra, opinerei che i due voti si dividessero, per calcolarli uno in favore, ed uno contro. Sottoporremo dunque prima questo a partito.

Prima di chiuder la lettera, soggiunge il Traiber queste parole: «Iddio ci benedirà: quando ci vorrà far fiorire, ci manderà degli operaj»‹.› È questa pur la speranza fermissima, come il desiderio ardente, del cuore mio e di tutti. Non dimentichiamo però che la condotta ordinaria della Provvidenza è di ottener i fini con i mezzi pur ordinarii, e col concorso delle cause seconde. Finchè resteremo qui con questa Casa angusta, bassa, melanconica, giudicata per insalubre, sussisterà un fortissimo ostacolo anche per l’avvenire all’aumento degli operaj. Ricordavo già jeri stesso un nuovo caso di chi, sentendosi inclinato ad unirsi con noi, ne fu distolto per questo motivo, e ne dimise il pensiero. E di questi casi ne conosciamo ben varii, e chi sa quanti ne avvennero, senza che nulla mai ne sapessimo. Non ci esponiamo dunque a pericolo di tentar Dio, pretendendo una grazia, che fino ad ora non piaquegli di accordarci, aspettando una specie di miracolo, di cui non veggo necessità‹.›

La nuova Casa in Possagno ci può giovare con la allettante sua fama per sè medesima; ed il trovarci noi in Possagno, ed esser noi che daremo al piissimo M[onsignor]e Canova la santa o sospirata consolazione di veder assistita con sicurezza e con frutto la gioventù, può esser il mezzo, come già prima dicevo, offertoci dalla Provvidenza, per dar principio almeno alla nuova abitazione di qui. E quanto non importerebbe e non gioverebbe anche il solo principiar della fabbrica!

Che se vogliam far onore alla divina Bontà, con atto di fiducia che voglia omai farci fiorire, speriamo il suo ajuto per la propostaci fondazione. Nè ci accresciamo oltre il giusto le sussistenti difficoltà. L’achille di esse è la responsabilità e il debito di sorveglianza che ci resterebbe per i due Preti di cura. Ma alla fine, che sarà dessa mai? Suppostili, come dobbiamo, due Preti buoni ed idonei, ricordato, che il debito vero primo od immediato è loro, non nostro; considerato il numero e la qualità della popolazione; quali casi gravi e terrebili vogliamo mai idearci?

E quanto alla popolazione, oltre che mi viene assicurata buona generalmente, non vorrà essa col tempo ognora già migliorando per le cure nostre sollecite, e vogliamo sperare da Dio benedette, nella educazione della gioventù?

Conchiudendo pertanto: o noi allarghiamo il cuore a fiducia, per accettare con umile e grato animo dalla Provvidenza la offertaci fondazione; o noi dovremo chiuderlo indefinitivamente a speranze, vuoi di dilatazione, vuoi di notabile prosperità nelle due Case finora uniche della Congregazione; almeno se non vogliamo imaginarci miracolati di inaspettato e imprevisibile rifiorimento.

Per accettare la fondazione in Possagno militano favorevolmente le ragioni qui sopra variamente toccate, ed altre diverse, notate dall’uno o dall’altro nelle precedenti due Conferenze. In contrario sussistono delle difficoltà, ma non tali, a mio credere, per le cose già sopra dette, che debbano preponderare ai vantaggi che tutti vediamo.

E se, per finirla, potesse aver qualche peso, nel bilanciar gli opposti argomenti, potesse, dicevo, aver qualche peso la persuasione di chi, ultimo tra tutti in meriti ed in virtù, ma per uffizio e per posto è il primo tra essi, ed a cui pur tutti credono che dica il vero, protestando di non mirare ad altro che a Dio ed alla sua gloria, senz’alcun fine di onore, di comodo, o d’interesse nemmeno per la Congregazione; io non dubiterò di por termine riconfermando con espressa ed apposita dichiarazione ciò che ricordavo fin dal principio, ed apparisce da tutta la mia scrittura; che io sono, cioè, persuasissimo di non dover perdere questa occasione, la quale ci viene offerta, parmi, da Dio‹.›

Il che ho creduto dover dichiarare a piena tranquillità di aver fatto la parte mia, non mai però per imporre la mia opinione agli altri; i quali intendo e desidero sien liberissimi nella lor votazione.

Maria SS.a Immacolata, che oggi otto festeggeremo, e voglio almen nominata nel mio discorso, c’illumini Ella la mente, e ci diriga la mano nel rilevantissimo atto che stiam per compire.

(fin qui il testo delle considerazioni che P. Casara scrisse e presentò al Capitolo. Segue il testo della lettera del P. Traiber al P. Casara sulla decisione riguardante la fondazione a Possagno).

Lendinara li 29. 9bre 1856 [1856, nov. 29]

Amorossissimo P. Preposito

La proposizione che le venne fatta della Fondazione dell’Istituto in Possagno è degna di esser ponderata assai bene, se venga dalla volontà del Signore, come Ella stesso ci scriveva nell’annunziar la cosa. Per questo abbiamo tutti d’accordo premesso il Triduo, che ci prescrisse. Indi considerato l’affare sotto gli aspetti che ci ebbe a porre in vista, egli è tale che ci alletta a maraviglia e pel Campo fertile di raccogliere un bel numero di giovanotti e per noi e per la Diocesi, e per li generosi provvedimenti di rendite, e di Fabbriche, e per la bellissima località. In mezzo però a sì belle speranze di vedere a fiorire la Congregazione troviamo con massima amarezza le seguenti difficoltà.

1.° Non troviamo che la Congreg[azio]ne possa mandare ad aprire quella casa due sacerdoti atti a sostenere gli uffizii senza o distruggere il Ginnasio costì, oppure questa Casa.

2.° La responsabilità della Parrocchia, perchè avverrà di sovente che i nostri Sacerdoti dovranno sostenere il peso, avendo appunto la facoltà di eleggerci il Parroco ed il Cappellano.

3.° La convivenza del Parroco e del Cappellano coi nostri farà che non duri la pace, nè si conservi a lungo lo spirito religioso secondo le nostre Regole; e questo tanto più sparirà, se si accettasse anche il ritiro di Parrocchi e Preti impotenti.

Sussistendo adunque queste cose crediamo tutti quattro di pieno consenso che non si possa accettare questa Fondazione. Vedo bene che dispiace farne il rifiuto, ma è meno male farlo prima, che doverlo far dopo per causa di non poter sostenerne gli ufficii con quella soddisfazione che si aspetta il Fondatore. Iddio ci benedirà quando ci vorrà far fiorire, ci manderà degli operaii. Questo è il nostro parere anche dopo aver domandato al Signore i lumi in proposito. I saluti di tutti a tutti ed a Lei in particolare. Mi creda che sono:

Il Suo Traiber

(Segue il verbale del Capitolo del 1° dicembre 1856).

N. 112/3 del 1856

J.M.J.

Congregazione delle Scuole di Carità in Venezia

Processo verbale

del Capitolo tenuto il 1. Dicembre 1856.

Ricevuta in questo giorno dal P. Preposito la lettera da’ Padri di Lendinara esponente il loro voto sulla Fondazione di una Casa in Possagno, si convocarono i Padri Vocali co’ due ammessi a questo Capitolo nella precedente seduta per la definitiva risoluzione da farsi a voti segreti. Si convenne in prima da tutti di non calcolare come votanti i due giovani Sacerdoti Professi della Casa di Lendinara P. Giuseppe Bassi, e P. Vincenzo Brizzi, quantunque dalla lettera ricevuta abbiasi riconosciuto ch’essi pure risolvono insieme a’ due Padri Definitori P. Pietro Spernich, e P. Gio:[vanni] Batt[ist]a Traiber dimoranti in quella casa medesima non doversi ammettere il progetto della offerta Fondazione per le ragioni nella medesima lettera dal P. Traiber a nome di tutti esposte. Quindi il P. Preposito dopo aver interrogati i presenti se qualche cosa ancora volesse alcuno osservare in proposito, e sopra le osservazioni scritte da’ Padri stessi di Lendinara, prima di dare il voto segreto e non avendo altri quasi nulla soggiunto oltre a ciò di cui si era parlato nelle precedenti sessioni, manifestò lo stesso P. Preposito il suo sentimento esposto in uno scritto (che quì in copia si unisce colla lettera di Lendinara come Allegato di questo Processo) più chiaramente che non avea fatto a voce in addietro, compiendo col protestare di non voler con ciò imporre ad alcuno la sua opinione, ma anzi intendere e desiderare che ognuno voti liberamente secondo la sua persuasione. Siccome però lo stesso P. Preposito nelle sue osservazioni non convenne co’ Padri di Lendinara, anzi derivò da esse la conseguenza dell’accettazione della proposta, contraria cioè a quella del rifiuto espressa nella lor lettera, propose quindi a decidersi se possano calcolarsi pur come due in senso negativo il voto del P. Traiber, e quello del P. Spernich. Questi non udivano, diss’egli, le osservazioni e le ragioni che al loro voto si contrapponevano. Avrebbero potuto non crederle preponderanti alle difficoltà, ma anche ambedue persuadersene, e mutar opinione, se fossero stati presenti. Fatta ragione della probabilità da una parte e dall’altra, disse lo stesso P. Preposito, essere sua opinione che i due voti si dividessero, per calcolarli uno in favore, ed uno contro. Quindi nello scrutinio fatto a tal fine si ebbero 5. voti (sopra 7.), che decisero doversi i due voti l’uno del P. Traiber, l’altro del P. Spernich riputare l’uno affermativo, l’altro negativo.

Si fece poscia lo scrutinio per l’accettazione o pel rifiuto della Fondazione, e ne risultò con 5. sopra 9. voti accettata. Finalmente propose il P. Preposito se debbasi anco accettare l’impegno dell’Ospizio nella Casa stessa in Possagno pe’ Sacerdoti impotenti, e fatto lo scrutinio segreto si ebbero tutti i voti contrarii.

P. Sebastiano Casara, preposito

P. Giovanni Paoli Definitore

P. Giuseppe Marchiori Defin[itor]e

P. Giuseppe Rovigo

P. Gianfrancesco Mihator

P. Antonio Fontana

P. Giuseppe Da Col pel Segretario impedito.

Il Diario commenta che i membri veneziani del capitolo del 1° dicembre accettarono le tesi del P. Casara, e quindi 1) accettarono che, anche se P. Traiber nella sua lettera parlava di quattro voti contrari (cioè tutti i quattro sacerdoti professi presenti colà), due soli dovevano essere considerati validi, e cioè quelli dei padri anziani Traiber e Spernich, perché gli altri due, Bassi e Brizzi erano professi soltanto da tre anni, non erano dunque anziani) e 2) dettero per buono che i voti dei vocali lendinaresi dovevano essere considerati uno negativo (probabilmente il voto del P. Traiber), e uno a favore dell’apertura (probabilmente quello del P. Spernich); contro quello che si legge nello stesso diario nella prima parte del testo relativo al 1° dicembre.

P. Casara aveva osservato, prima della votazione, in modo a mio parere discutibile, ma accettato dal capitolo, che “Siccome però lo stesso P. Preposito nelle sue osservazioni non convenne co’ Padri di Lendinara, anzi derivò da esse la conseguenza del rifiuto espresso nella lor lettera, propose quindi a decidersi se possano calcolarsi pur come due in senso negativo il voto del P. Traiber, e quello del P. Spernich. Questi non udivano, diss’egli, le osservazioni e le ragioni che al loro voto si contrapponevano. Avrebbero potuto non crederle preponderanti alle difficoltà, ma anche ambedue persuadersene, e mutar opinione, se fossero stati presenti [al capitolo che si teneva a Venezia in loro assenza, si intende]. Fatta ragione della probabilità da una parte e dall’altra, disse lo stesso P. Preposito, essere sua opinione che i due voti si dividessero, per calcolarli uno in favore, ed uno contro”.

Si era dunque deciso di aprire la casa di Possagno. P. Casara nota con soddisfazione nel diario che il suo scritto, prodotto durante il ritardo della lettera che si attendeva da Lendinara, e la sua lettura in capitolo erano stati decisivi per ottenere questo risultato.

Nessun commento a riguardo di questa votazione si trova nel diario di Lendinara, che del resto è purtroppo sempre troppo laconico e molte volte muto anche su avvenimenti importanti. La reazione da parte del P. Spernich al risultato della votazione non ci è conosciuta, perché egli non lasciò scritto nulla al riguardo ed era del resto un uomo molto umile, semplice e obbediente; P. Traiber accettò il risultato piuttosto tranquillamente, tramite una lettera, sia pure riservandosi il giudizio dopo aver conosciuto i dettagli. Il Casara sintetizza così la sua risposta: “Avuta oggi lettera del P. Traiber, che mi comunica la sincera e viva allegrezza da lui provata e comunicata ai compagni in Lendinara, alla notizia dell’accettazione della Fondazione in Possagno. Benchè non possa aver mutato opinione, non conoscendo le ragioni che indussero noi ad accettare; tuttavia ne ebbe a sentire subita e grande consolazione. Io riconosco anche in ciò un nuovo segno che sia la volontà del Signore l’accettazione già da noi fatta.”

In realtà, più tardi P. Traiber si dimostrò sempre piuttosto contrario al progetto di Possagno, e durante la sua prepositura (1863-66), come si è visto, trasferì due religiosi dalla casa di Possagno a quella di Lendinara, impoverendo così il personale della nuova casa e creando dei gravi problemi con l’esecutore testamentario principale, Filippo Canal. P. Traiber era molto probabilmente sincero nella sua lettera, parlando di “allegrezza” e di “subita e grande consolazione”, e in seguito, dopo la fine del suo mandato di preposito, accettò con spirito di obbedienza di essere trasferito proprio alla casa di Possagno e di impegnarvisi (fine 1866-maggio 1867). Ma non vi rimase a lungo, tutt’altro.

Accade infatti di accettare con gioia e consolazione le decisioni dei superiori, in momenti di slancio e in spirito di fede e di preghiera, anche con il desiderio di dare buon esempio ai confratelli; di continuare tuttavia a sentire nel proprio cuore e anche a livello razionale e “strategico”, consciamente o inconsciamente, la tesi contraria.

È più difficile e interessante cercare di capire completamente la posizione e il modo di agire di quel sant’uomo del preposito, P. Sebastiano Casara. Evidentemente egli era molto interessato ad accettare l’offerta di fondare la casa di Possagno, sia come casa di educazione della gioventù, sia ancor più come casa di esercizi spirituali. Voleva anche ampliare l’attività e la presenza del piccolo istituto sul territorio. Vedeva un’opportunità perfetta per raggiungere tutti questi sogni. Era un filosofo metafisico e un uomo di fede, ma era anche intelligente e pragmatico.

Essendo, come scriveva il venerabile P. Basilio Martinelli nei suoi pensieri, l’uomo “tutto volontà di Dio” , cercava per prima cosa quale fosse la volontà del Signore nel caso specifico, e lo faceva sia con molta preghiera, sia studiando a fondo la questione, sia ancora agendo con energia da superiore della comunità. Nella sezione del diario che parla di questa prima fase delle trattative, si trova quattro volte riferimento alla “volontà del Signore” in cinque pagine.

Si ha tuttavia l’impressione che P. Casara abbia un po’ (un po’ parecchio) forzato la mano dei confratelli nella votazione, aiutato in questo, lo ammette anche lui, da circostanze varie, come il mal tempo verificatosi il 1° dicembre e il ritardo della posta, cose che evidentemente egli attribuiva alla Provvidenza divina e alla protezione della Madonna e che interpretava come segni della volontà del Signore) e particolarmente rimane il dubbio sulla sua interpretazione fifty fifty dei due voti di Lendinara, procurando così proprio il voto che mancava alla maggioranza dei “sì”. Si aggiunge che la votazione, anche così, è stata molto difficile, con il risultato che la decisione di accettare l’offerta e la proposta di Mons. Sartori Canova è stata presa con la stretta maggioranza assoluta e con evidente poco entusiasmo.

Viste le cose con il senno di poi, ne dobbiamo ringraziare il Signore e P. Casara. La casa di Possagno, pur tra mille difficoltà e due lunghe interruzioni, è sempre stata, infatti, uno dei pilastri della Congregazione e lo è ancora oggi, soprattutto nell’area dell’educazione e in quella degli esercizi spirituali, nella Casa del S. Cuore, che è nata storicamente come un’estensione del Collegio Canova. Le dolorose incertezze degli “anziani” della Congregazione primitiva ad accettare la parrocchia di Possagno devono però essere tenute in conto ogni volta che si decide di accettare la cura di una parrocchia, o di troppe parrocchie, come è avvenuto in qualche caso negli ultimi due o tre decenni.

Il P. Casara si sentiva, pare, la coscienza a posto, anche se sussisteva in lui qualche ragionevole dubbio: infatti, da un lato scrive nel diario, a proposito del documento che aveva scritto e che aveva poi letto in capitolo, e sulla sua interpretazione dei voti degli anziani di Lendinara: “… spero di aver scritto cose vere, secondo la volontà del Signore.”; Lo sperava, ma non ne era certo. Dall’altro lato, dopo il capitolo e la decisione, scrive a Lendinara “Ne ho scritto (…) succintamente a Lendinara, assicurandoli che ogni cosa si è fatta in buona regola, e riservandomi a farne loro conoscere i particolari in altra occasione.”

Per comprendere lo stato d’animo e la spiritualità del nostro in questa situazione e anche in genere la sua personalità e il suo tipo di governo, in cui la fede si univa all’energia, alla creatività, alle iniziative umane, vale la pena di registrare un passaggio delle sue riflessioni esposte ai confratelli nel suddetto capitolo: “Prima di chiudere la lettera, soggiunge il Traiber queste parole: “Iddio ci benedirà: quando ci vorrà far fiorire, ci manderà gli operaj”. È questa pur la speranza fermissima, come il desiderio ardente, del cuore mio e di tutti. Non dimentichiamo però che la condotta ordinaria della Provvidenza è di ottener i fini con i mezzi pur ordinarii, e col concorso delle cause seconde. Finché sosteremo qui con questa Casa angusta, bassa, melanconica, giudicata insalubre, sussisterà un fortissimo ostacolo anche per l’avvenire all’aumento degli operaj. Ricordavo già ieri stesso un nuovo caso di chi, sentendosi inclinato ad unirsi con noi, ne fu distolto per questo motivo, e ne dimise il pensiero. E di questi casi ne conosciamo ben varii, e chi sa quanti ne avvennero, senza che nulla mai ne sapessimo. Non ci esponiamo dunque a pericolo di tentar Dio, pretendendo una grazia, che fino ad ora non piacquegli di accordarci, aspettando una specie di miracolo, di cui non veggo necessità.” P. Sebastiano era profondamente credente ma non fideista e neppure fatalista.

Per concludere ciò che riguarda il capitolo del 1° dicembre 1856, come ultimo atto si votò all’unanimità di non accettare la proposta iniziale di svolgere a Possagno anche l’ufficio di ospitare sacerdoti anziani e infermi.

Un’ultima osservazione sulla procedura. Nei processi verbali dei capitoli della fine del 1856, si trova una varietà di tipi di capitoli e altre riunioni, senza che si possa comprendere per ora il motivo di queste scelte differenti. Per esempio, il capitolo del 27 novembre 1856 con sette vocali della casa di Venezia in cui si discute preliminarmente sulla fondazione di Possagno, viene chiamata “Conferenza”; il successivo del 30 novembre dello stesso anno, anch’esso preliminare e con i soli sette vocali di Venezia si chiama soltanto “Capitolo”; così pure si chiama solo “Capitolo” quello di grande importanza del 1° dicembre seguente, in cui si vota per l’accettazione della fondazione di Possagno, con la firma dei 7 vocali di Venezia, ma con il voto inviato tramite lettera dei due vocali di Possagno; il 16 dicembre si tiene un “Capitolo” per questioni amministrative, con i sette vocali di Venezia; il 26 dicembre segue un più solenne “Capitolo provinciale straordinario”, in cui si elegge un nuovo definitore e un esaminatore [dei novizi?] in luogo del defunto P. Marchiori e si ammette un novizio laico alla professione e ha sette vocali, cioè solo tutti i sacerdoti professi di Venezia; non risulta che per questa importante questione siano stati consultati e fatti votare i vocali di Lendinara; segue il 27 dicembre una “Seduta del Definitorio”, cioè una riunione del preposito con il suo consiglio, dunque con cinque vocali più il segretario P. Da Col, per l’elezione del vicario provinciale, dopo la morte del P. Marchiori che era stato tale. Infine, il 28 dicembre 1856 si tiene un “Capitolo locale” soltanto con i sette vocali di Venezia, per l’elezione del procuratore (della casa di Venezia o della Congregazione?), del “custode della terza chiave” e per l’ammissione a pre-novizio di Francesco Bolech. Si nota che i capitoli in questo breve periodo di 30 giorni sono molto numerosi e di vari generi e livelli.

Alla relazione del capitolo e del suo risultato, segue la notizia di una lettera inviata a monsignor Lazzari, “…lasciando a lui la consolazione e pregando di comunicarla a chi si conviene ecc.” e pregandolo di chiedere al sig. Filippo Canal una pianta dell’edificio che si offriva alla comunità e i dati necessari per organizzare il piano dell’uso degli ambienti.

Come annunciato il 3 seguente da monsignor Lazzari, monsignor Farina, vescovo di Treviso, doveva andare a Venezia, e ci andò il 5 seguente. Padre Casara si trovava ammalato a letto, e il vescovo ebbe la bontà di visitarlo in casa, anziché nella parrocchia di S. Luca, come era previsto. Il Diario riporta: “Ci siamo intesi perfettamente. Noi assumeremo la Casa di Possagno come Casa di Esercizj e per Educazione”. Si abbandona volentieri l’idea dell’ospizio per preti anziani e malati.

Seguono alcune lettere di minore importanza tra P. Casara e monsignor Rizzi, e la prima e unica lettera del 1856 esistente nel nostro archivio, di mano di Filippo Canal, a monsignor Rizzi, che ovviamente la passò a P. Casara: lettera che comunica la sua gioia per la decisione presa nel capitolo del 1° dicembre 1856.

Il 1857 comincia con una visita di Filippo Canal a Venezia al P. Casara, il 3 gennaio 1857, che porta con sé la pianta dell’edificio proposto come sede dell’Istituto a Possagno; il giorno 6 gennaio partono insieme per Treviso, dove il Casara visita monsignor Rizzi, decano, e il giorno seguente – 7 gennaio – con il Canal segue per Crespano e visita monsignor Sartori, pranza con lui e poi tutti assieme, incluso il segretario del vescovo di Mindo, don Agostino Capovilla, vanno a Possagno, per la prima volta per il nostro preposito, dove vedono il Tempio e la casa, nucleo antico del Collegio Canova. La casa risulta molto bella ma un po’ piccola, e il sig. Filippo promette di ingrandirla secondo la necessità e prende l’impegno di costruire una cappella annessa alla fabbrica del collegio, quella che poi fu realmente costruita e che esiste a tutt’oggi. P. Casara viene a conoscere anche il maestro elementare locale e il cappellano parrocchiale don Giuseppe Colle, del Cadore, ex-allievo dell’Istituto Cavanis di Venezia. Assieme a questi, P. Casara continuò il suo viaggio a Treviso, dove visitò e rassicurò monsignor Farina. Era l’8 gennaio, e in serata P. Casara rientrò a Venezia, La “Gita a Possagno” era durata in tutto tre giorni; uno soltanto, il 7, era stato passato in parte a Possagno.

P. Casara inviò lettera al Canal, con dettagliate istruzioni sui mobili e suppellettili in generale e chiese assicurazioni scritte sul mantenimento dei religiosi della futura comunità di Possagno. Canal risponderà positivamente sul mantenimento della comunità. Tra Casara e Canal del resto la corrispondenza e gli incontri saranno frequenti in tutto il periodo. Canal visitò a Venezia P. Casara, e tra l’altro gli portò una lista degli affittuari e una dei “livellari” che pagavano al beneficio del Tempio per i campi che appartenevano a detto beneficio.

Nel frattempo ci s’informava da giuristi e superiori religiosi sulla possibilità di accettare la parrocchia, che il rettore della comunità fosse anche parroco, e sulla possibilità di accettare la parrocchia in principio, ma di fatto affidarla a un parroco sacerdote secolare.

Il Diario riporta che Casara scrisse il 20 marzo 1857 una lunga lettera a monsignor Farina, promessa nella recente visita a Treviso. L’originale della minuta di questa lettera è conservato tra gli atti di curia ed è riprodotto integralmente nella storia documentata sui Fondatori del Zanon, sicché qui si può accontentarsi di riassumerla. Essa presenta le condizioni poste dall’Istituto per accettare la proposta di fondazione. Dichiara che la Congregazione “accetta tal fondazione a) col peso della Parrocchialità; b) come Casa di educazione, e c) come Casa pur di Esercizj [spirituali].” Dà in seguito i dettagli. Quanto alla parrocchialità, “la Congregazione riceverà una volta per sempre la investitura della Cura e del Benefizio; a condizione però di aver in sua assistenza due sacerdoti (…) uno con facoltà di parroco, e potrà dirsi il Curato, l’altro con l’uffizio e col nome di Cappellano”. Seguono vari dettagli giuridici e pratici su questo punto. Quanto all’educazione, la Congregazione si assumerà la scuola elementare e afferma la disponibilità, per ora, dato che invierà all’inizio solo due padri, ad assumere l’insegnamento ginnasiale “per quei giovani principalmente che aspirassero allo stato Ecclesiastico”. Non esclude di assumere in seguito un impegno più ampio. Quanto agli Esercizi spirituali, per il momento si accetta la vice-direzione di questa opera diocesana e l’impegno di dare uno o due corsi all’anno, nella casa di Possagno, per ecclesiastici o anche per laici, quando ci saranno a suo tempo le condizioni ambientali, giacché ciò “sarà premura e delizia della Congregazione, perocchè cosa tutta conforme al suo spirito e al suo desiderio”; e di accogliere anche sacerdoti “di specchiata ed esemplare condotta” che volessero compiere gli esercizi da soli.

Il 27 seguente il vescovo Farina accetta tutte le condizioni proposte dalla Congregazione, ma non quella sulla parrocchialità: “Vorrebbe un Parroco di Congregazione e due Cappellani di diocesi”. Il 4 aprile P. Casara risponde essere ciò impossibile per vari motivi, ma il vescovo, in lettera successiva si mostra su questo punto irremovibile. Anche una riunione del capitolo della diocesi di Treviso, riunito dal vescovo per averne consiglio, con la presenza anche del P. preposito dell’Istituto, confermò il vescovo nella sua posizione. Ci furono vari tentativi di intermediazione da parte di monsignor Lazzari e di monsignor Rizzi, sempre disponibili e cordiali, ma senza alcun successo. Monsignor Rizzi anzi dovette comunicare al P. Casara che il vescovo di Treviso pensava di rivolgersi ai Padri della Missione. Altre lettere, contatti, una ulteriore visita personale del Casara al vescovo di Treviso a Istrana e un’altra a Crespano per vedere monsignor Sartori-Canova e il sig. Filippo Canal, tutto risultò inutile.

E così siamo daccapo! Si voleva la casa a Possagno, si diceva di accettare la parrocchia – con estrema difficoltà – ma non la si voleva in pratica. Nel frattempo, il P. Casara aveva ricominciato a consultare i definitori. Ricevuta il 20 maggio una risposta di assoluto rifiuto alla fondazione a Possagno a queste condizioni dai due definitori lendinaresi, Traiber e Spernich, convoca il giorno stesso i definitori di Venezia, i padri Giovanni Paoli e Giuseppe Rovigo, con Da Col come segretario; all’unanimità, tutti i definitori e anche il Preposito, a queste condizioni, votano per il rifiuto. P. Casara, nel diario in questa stessa data scrive: ”Se il monsignor Farina dunque non cede, la Fondazione è abbandonata”.

Il 28 maggio P. Casara decide di fare un ulteriore tentativo. Da Possagno, per Bassano, Padova e Rovigo raggiunge Lendinara e convoca il 29 una riunione preparatoria d’informazione (definita privata) con i soliti due definitori locali. Il 31 maggio, solennità di pentecoste, P. Casara convoca il capitolo definitoriale (parziale) a Lendinara, con i definitori P. Traiber e P. Spernich, avendo come segretario il giovane P. Giuseppe Bassi. Il lungo verbale della “Seduta semi-definitoriale” (sic!) del 31 maggio ricorda che il preposito fece un’introduzione, spiegando le nuove condizioni stabilite dal vescovo di Treviso, e cioè che la comunità doveva assumere la parrocchia non solo in modo virtuale, ma anche nella pratica; e che questa era ormai divenuta l’unica possibilità se si voleva accettare la nuova fondazione. La deliberazione consisteva in questo: “Se convenga accettare, a condizione che il Sommo Pontefice ne sia contento, ed accordi che il Superiore pro tempore in quella Casa abbia ad essere insieme il Parroco in quel Paese, assistito nella Cura da due Preti, e nel mentre si degnasse accompagnare e munire con la Apostolica sua Benedizione tal Fondazione, volesse anche con un Decreto Apostolico da noi invocato proibire per sempre alla Congregazione di trattarne altre che avessero unito un simile impegno, acciocchè il caso non passi in esempio, e sia sicuramente così guarentita alla Congregazione stessa la conservazione del particolare suo spirito, che le deve stare, e le sta sommamente a cuore.” Si voleva realmente troppo! Venuti alla votazione, se ne ebbe un voto favorevole e uno contrario. Il Preposito non votò, perché avrebbe votato a Venezia.

Il 3 giugno seguente, ritornato a Venezia e dopo avervi trovato una lettera da monsignor Farina che chiedeva di affrettare la decisione, il preposito convocò prima una riunione di tutta la comunità alla quale presentò una relazione dettagliata del suo viaggio e di tutta la nuova situazione; in seguito, in giornata, tenne una “Seduta Definitoriale” con i soli definitori, i padri Giovanni Paoli e Giuseppe Rovigo, fungendo da segretario il P. Da Col. Ripetè la stessa spiegazione e fornì lo stesso testo di base della deliberazione, dopo aver riferito il parere di un giurista e di Mons. Vincenzo Moro, amico dell’Istituto e Vicario capitolare del Patriarcato di Venezia (in sede vacante, essendo morto il Patriarca Aurelio Mutti il 9 aprile 1857), e letto il verbale della riunione di Lendinara, la votazione dei Definitori di Venezia assieme al preposito, che qui votò, dette il risultato di due voti a favore della formula di deliberazione sopra registrata e uno contro. Nell’insieme, allora, il risultato generale fu di tre voti a favore di detta formula e due contrari. “…la Fondazione quindi resta accettata, alle condizioni espresse nella proposta”. Casara scrisse in giornata a Filippo Canal, e il giorno dopo al rettore di Lendinara e al vescovo Farina. La partita era vinta.

Nei giorni seguenti, il diario di Possagno registra le felicitazioni di tutti gli interessati, da Treviso, Possagno e Crespano. Nel frattempo, si ricercano i preti che potranno collaborare con la comunità Cavanis come cappellani della parrocchia di Possagno. In particolare, il diacono Simone Leonardelli “tirolese”, cioè trentino, fu raccomandato, visita la comunità di Venezia il 1° agosto e piace. Analogamente, sembra si sia contattato il diacono don Giovanni Santolini di Treviso, che sarebbe ordinato sacerdote in settembre.

Il 16 settembre 1857 si tiene una seduta definitoriale, continuata poi in seconda sessione il 23 seguente, per decidere i membri della nuova comunità da inviare a Possagno, e si pubblica l’atto il 21 seguente. Dal verbale, scritto da P. Pietro Spernich, risulta che P. Rovigo, definitore, era assente per motivi di famiglia, e che approvava tutto ciò che sarebbe stato deciso dagli altri. Con qualche difficoltà, venne eletto parroco a Possagno il P. Giuseppe Da Col, con 4 voti su 5; il P. Vincenzo Brizzi era stato proposto come membro della comunità, ma non essendo tutti d’accordo, si differì la decisione, e il 23 si decise invece, dopo varie difficoltà, per il P. Domenico Sapori. Furono invece approvati a pieni voti il fratello laico Giovanni Battista Giacomelli e l’aspirante Simon Dallantonio. Si decide anche di assumere la scuola elementare, ma di limitarsi, nel ginnasio, a ricevere per ora soltanto i candidati allo stato ecclesiastico, rifiutando per ora i “privatisti”, che avrebbero dovuto sostenere poi un esame esterno. Quest’ultima decisione fu molto discussa, soprattutto dal P. Casara che aveva idea contraria. In complesso questo fu senza dubbio un capitolo molto tempestoso, come risulta anche dalla lista verticale delle firme in calce al verbale: il preposito si firma, e aggiunge poi “protestando di non poter convenire nella determinazione di respingere la Fondazione per causa dei privatisti, e ciò pei molti e gravi motivi, che ognun sa e immagina assai facilmente”. P. Casara a questo punto doveva essere del tutto esausto e amareggiato.

Nell’opinione di chi scrive, questo complesso di trattative in corso ormai da circa un anno, cioè dall’ottobre 1856 all’ottovre 1857, dà l’impressione chiara di una congregazione del tutto incapace di governarsi, per i motivi tante volte espressi; e che questo comportamento collettivo può dar conto della difficoltà, fin dal principio, della sua scarsissima espansione.

Il 4 ottobre, P. Casara e il futuro rettore e parroco a Possagno, partirono insieme per Possagno. Fecero tappa a Treviso, presso un antico e caro confratello a quel tempo parroco a Treviso, don Angelo Miani, uscito di congregazione nel 1835, e poi visitano il Vescovo. Questi insiste, come si farà anche a Crespano e Possagno, perché la presenza dei Cavanis cominci da subito; ma i padri ebbero la prudenza di attendere l’autorizzazione e la benedizione della Santa Sede, anche ad evitare nuovi conflitti interni. Con l’onnibus si recano a Cavaso, dove li attende la carrozza di monsignor Sartori-Canova, e passano alla vicinissima Possagno dove si incontrano con Filippo Canal. Celebrano al Tempio privatamente, visitano la nuova casa della comunità e della scuola, e poi passano alla “Gherla” a Crespano, dove rimangono ospiti del Canal.

Il diario confessa “Ieri e oggi furono per noi due giorni di molta pena”. Infatti, da un lato erano incantati a vedere tante cose belle, ma la pena consisteva dal dover resistere alle insistenze da parte di tutti ad aprire già la casa. Alla fine P. Da Col convinse P. Casara a cominciare a organizzare un piccolo convitto, limitato per il momento a convittori poveri, destinati alla vita ecclesiastica. Ciò anche perché il Filippo Canal si sentiva mortificato che tanti ambienti preparati con amore e con abbondanza di mezzi (e di spesa), con i mobili e tutto il materiale necessario rimanessero inutilizzati.

A Treviso, di passaggio per ritornare a Venezia, videro ancora il vescovo Farina che suggerì loro di aprire per il momento la scuola, attendendo per assumere la parrocchia l’autorizzazione personale del Papa. Si rispose che si sarebbero consultati i confratelli.

A Venezia si sentirono, direttamente o tramite lettera, i definitori e si giunse a confermare l’idea di cominciare con la scuola, in attesa del rescritto pontificio. Detto fatto, si inviarono a Possagno tre religiosi per riposo ma anche per preparare l’ambiente; il giorno 18 ottobre P. Casara stese un testo di regole per il convitto; e il 19 ottobre il Preposito parte da Venezia per Possagno assieme ai due padri Giuseppe Da Col e Domenico Sapori, che dovevano rimanere a Possagno. La fase delle lunghe e penose trattative, interne ed esterne, era finito, cominciava la vita della comunità di Possagno, ancora ben viva oggi dopo 163 anni (2020).

3.1.2 Vita della comunità di Possagno e del Collegio Canova (1857-1869)

I tre religiosi Cavanis P. Giuseppe Bassi, Gianfrancesco Mihator e il chierico Giovanni Chiereghin, che vi erano andati “per villeggiare” e il fratel Facchinelli che doveva rimanerci accolsero festosamente a Possagno i padri Casara, Giuseppe Da Col e Domenico Sapori. Questi sei religiosi Cavanis rimasero insieme nella nuova casa per qualche giorno, ricevettero la visita di monsignor Sartori, della nipote e di suo marito. Il vescovo di Mindo aveva già benedetto la casa giorni prima, il 16 ottobre 1857, e ora benedì la cappella, sistemata provvisoriamente nella prima stanza a pianterreno, entrando dal portone a sinistra, oggi stanza di visite o “parlatorio” del vecchio nucleo primitivo. Il 22 ottobre i padri conobbero il clima piovoso di Possagno, assistendo a una straordinaria tempesta in montagna e sul paese. Il 23 ottobre finalmente P. Casara partì per Venezia con gli altri religiosi lasciando i tre membri della nuova comunità: i padri Da Col e Sapori e fratel Facchinelli. Il Diario commenta: “ci accompagnarono fino a Cavaso, dove con vivo dispiacere ci siamo separati.” Termina qui la parte iniziale del Diario di Possagno, scritta da P. Casara, e prosegue puntualmente, quasi giorno per giorno, ora con la scrittura ben diversa del P. Da Col, rettore della nuova piccola comunità.

La vita comunitaria iniziò tranquillamente tra visite e contatti. Arrivò il giovane prete diocesano di Trento Simone Leonardelli, che passò ad abitare con i padri come cappellano della parrocchia e P. Casara ritornò a Possagno e tenne al Tempio un discorso molto lodato nell’occasione del centenario della nascita di Antonio Canova, che ricorreva il primo novembre di quell’anno. Fu la prima “manifestazione” del nostro Istituto nella piccola borgata.

Il 13 novembre iniziò la nuova scuola elementare Cavanis, ma il maestro rimaneva lo stesso della precedente scuola elementare, sotto la direzione e con la collaborazione dei padri. I bambini possagnesi di questa prima scuola erano circa 90, e furono divisi in due classi, l’inferiore a cura di don Simone Leonardelli, e la superiore a cura del maestro comunale. Il diario, in questa data, spiega dettagliatamente la parte di formazione religiosa e di preghiera: messa alla mattina e varie preghiere, oltre a un quarto d’ora di insegnamento catechistico; poi le lezioni. Seguiva l’intervallo per il pranzo, quando i bambini in gruppi guidati da un ragazzo più grande raggiungevano le famiglie nel vari “colmelli”. Si riprendeva la scuola al pomeriggio fino alle ore 16. C‘era una campana che chiamava alla scuola i bambini. La domenica tutti i bambini partecipavano alla s. Messa nel Tempio.

Dal 16 novembre si cominciò a organizzare l’apertura del convitto per giovani di condizione modesta, aspiranti che dimostravano “qualche disposizione” allo stato ecclesiastico, e il sabato 21 dello stesso mese, festa della Madonna della Salute, si aprì il convitto. Il diario dà la lista dei primi convittori interni, e anche di giovani esterni, come pure parla della retta, del menu delle refezioni e dà altri interessanti dettagli. La scuola per i giovani cominciò il 23, con 11 studenti ginnasiali, di cui quattro più giovani avevano come insegnante P. Sapori, e gli altri sette P. Da Col.

Particolarmente interessante una lettera del 29 novembre 1857 di Da Col a Casara, la prima di una lunga serie, in cui il primo dà al suo superiore dettagliata descrizione della vita della comunità e soprattutto della scuola. Parla di circa cento alunni delle elementari, divisi in due classi e di sei convittori, giovani orientati alla vita ecclesiastica.

Nella solennità dell’Immacolata, P. Da Col riceve da tutti molte congratulazioni, soprattutto per l’arrivo del sospirato rescritto pontificio, e quindi della possibilità di divenire parroco di Possagno. Era anche un grande segno di gradimento da parte dei possagnesi, e si fece un grande “campanò”. Il 10 dicembre p. Da Col sostiene felicemente l’esame di parroco a Treviso, con ottimo risultato. Da Treviso, si recò a Venezia a visitare la comunità, e qui avviene il suo famoso incontro con il P. Anton’Angelo, che tanto ha significato non solo per P. Da Col, ma per la comunità di Possagno e per la Congregazione.

Così racconta P. Da Col nel diario: “Venerdì 11 c. . Questa mattina quasi appena alzato di letto m’ebbi per grazia divina una consolazione per la quale anche sola mi chiamerei beato di essermi portato a Venezia. Il venerato nostro Fondatore vivente era già stato informato ed avea chiaramente inteso perché io era partito da Possagno, e qual carico la Provvidenza divina mi ha destinato. Avea una mattina tranquillissima, e la mente appieno serena, cosa pur troppo rara al presente nelle circostanze della sua gravissima età. M’inginocchiai al suo letto implorandone la paterna benedizione. Mi benedisse Egli con grande espansione di affetto, e con me benedisse espressamente e spontaneamente a tutti quelli che avrò sotto di me. Poi, quando credevo che fosse tutto finito, e ne sarei stato appieno contento, uscì improvvisamente in alcuni slanci d’affetto e in documenti con espressioni della S. Scrittura, che profondamente mi commossero e confortarono, parlando sempre in lingua latina francamente e con precisione in guisa da far dimenticare l’ordinarie sue sofferenze, e da doverlo credere, nonché un santo pe’ sentimenti, ma un giovane anche di mente robusta per l’espressione de’ suoi sentimenti medesimi. Mi scrissi tosto quanto potei ricordarmi di quelle parole del mio veneratissimo Padre, e faccia il Signore che mi restino sempre scolpite nella mente e nel cuore.”

Purtroppo, a questo punto, nel diario della casa di Possagno mancano due pagine che sono state tagliate, sembra in epoca antica. Si salta così dall’11 al 21 dicembre.

In questa lacuna bisogna collocare una lettera del Vicario generale della diocesi di Treviso, del 14 dicembre 1957, probabilmente a P. Casara, che tratta di varie particolarità della condizione del Da Col come parroco religioso di Possagno, comparando la prassi di Treviso e del patriarcato di Venezia con aspetti del rescritto pontificio; e una lettera del Casara al pro-vicario della diocesi di Treviso del 15 dicembre 1857, pure su dettagli giuridici dell’investitura a parroco.

Il 23 dicembre per la prima volta P. Da Col fa la premiazione dei bambini delle elementari più meritevoli, due diplomi per classe.

Il 1858 comincia con eccezionali nevicate che impedirono le comunicazioni. Intanto si cercava ancora un secondo sacerdote diocesano, in varie diocesi, che potesse aiutare i padri nella cura d’anime nella parrocchia, nonostante molte lettere e grandi ricerche. Il sig. Filippo Canal cominciò a versare in rate trimestrali i contributi previsti per il sostentamento della casa, nella misura di 250 lire austriache al mese.

Il 4 gennaio 1858 il vescovo di Treviso firmò il decreto di cessione della parrocchia di Possagno alla Congregazione, che fu ricevuto a Venezia l’11 gennaio1858. È del 15 gennaio 1858 la lettera ufficiale, in bel latino, di P. Casara al vescovo Farina di Treviso, di accettazione della parrocchia di Possagno.

Il 26 gennaio, avuta notizia dell’agonia del P. Anton’Angelo, P. Da Col si affrettò a raggiungere Venezia, tra molte difficoltà, ma giuntovi, trovò che il Padre si era ripreso. “Andai al letto dell’amatissimo Padre – scrive da Col -, e mi parve di ritrovarlo quasi nello stato medesimo in cui lo lasciai l’ultima volta partendo da Venezia: mi riconobbe, mi parlò relativamente all’Istituto di Possagno con mente serena, e colla solita espansione d’affetto mi diede la sua paterna benedizione”.

Si svolgono nel frattempo le pratiche burocratiche sia ecclesiastiche sia civili, piuttosto lunghe e noiose, per arrivare alla presa di possesso del P. Da Col come responsabile pastorale della parrocchia di Possagno, che si realizzò solennemente il 14 febbraio. Per il momento tuttavia egli aveva il titolo provvisorio di Vicario parrocchiale. Anche il trasferimento del beneficio della parrocchia al nuovo parroco Cavanis fu una faccenda un po’ lunga e complessa.

Intanto, giunse a Possagno la notizia della morte del P. Anton’Angelo, ormai attesa, ma pur sempre dolorosa: P. Da Col nel Diario la definisce “tristissima notizia”. P. Da Col fu a Venezia per participare ai gloriosi funerali, che poi, al suo ritorno, si ripeterono anche a Possagno. Era un’epoca che si chiudeva.

Era ritornato a Possagno da Venezia anche monsignor Sartori, che vi era rimasto per motivi di salute. Fu accolto trionfalmente dai possagnesi e dai nostri padri, e il diario racconta lungamente le accoglienze grate e affettuose del popolo tanto beneficato. In seguito, il diario di Possagno si occupa di faccende di ordinaria amministrazione della parrocchia e del collegio, nel quale il ginnasio continua a essere riservato a convittori e a esterni che in buona parte erano aspiranti al sacerdozio in varie diocesi, e cominciavano a portare l’abito clericale; le scuole elementari erano aperte a tutti i bambini di Possagno e dintorni; la casa di Possagno serviva anche come casa di villeggiatura e di convalescenza per i religiosi e seminaristi Cavanis di Venezia e di Lendinara.

La situazione economica, anche se il Canal continuava a versare le mensilità, non era eccessivamente florida, pur se la comunità poteva versare qualche piccolo contributo alla casa di Venezia. Non si parla ancora di Esercizi spirituali, anche se la casa era stata aperta principalmente con questo scopo.

Monsignor Sartori era malato, si aggravò, ricevette da P. Da Col i sacramenti e chiese in seguito che lo stesso gli leggesse le preghiere dell’agonia P. Da Col parla lungamente e quasi ogni giorno nel suo diario, con molti dettagli e con affetto sincero sulla malattia terminale e sull’agonia del benefattore Sartori Canova. Questi a sua volta mostrava una grande fiducia e un grande affetto per i padri. Morì santamente all’alba del 18 luglio 1858. Il P. Casara farà riferimento a lui con il termine di “sant’anima”.

La salma fu imbalsamata e il cuore e la lingua furono conservati a parte in un’urna, secondo la strana usanza di quell’epoca. Questa, nell’intenzione dei padri, doveva essere conservata nell’oratorio domestico della casa religiosa, ma a termine di legge fu poi sepolta nel cimitero comunale. La salma nel frattempo fu esposta per la veglia funebre prima in una sala addobbata come sala mortuaria nel palazzo del vescovo a Crespano, e il 24 luglio nel Tempio a Possagno. Il solennissimo funerale fu “pontificato” da monsignor Farina vescovo di Treviso, che era venuto accompagnato da grande comitiva, compreso il capitolo dei canonici. Vi parteciparono autorità civili e militari e tra l’altro le truppe austriache che stavano compiendo nei dintorni una “finta battaglia”, cioè esercitazioni militari.

Un altro funerale fu realizzato il 26 aprile 1858 nel Tempio canoviano a cura della Congregazione e fu presieduto dal P. Giuseppe Da Col, parroco e rettore, che nell’occasione tenne un elogio funebre che fu pubblicato. In tale elogio, egli dichiarò tra l’altro che lo aveva visto e udito: “dal giorno della fondazione del collegio [di Possagno, NdA] fino agli ultimi della preziosa sua vita ripetere giubilante coll’antico Veggente: Lascia pure adesso, o Signore, che se ne vada in pace il tuo servo.”

Il corpo del vescovo fu inumato nel tempio sopra a quello del Marchese fratello Antonio; le viscere furono sepolte nel cimitero locale, e P. Da Col a questo punto ottenne dal Vescovo di Treviso di poter recuperare l’urna contenente il cuore e la lingua e riporla nella cappella provvisoria della casa di Possagno.

Il diario di Possagno dedica nel complesso non meno di nove pagine alla malattia, alla morte, e ai numerosi funerali celebrati per monsignor Sartori. Ne emerge tra l’altro l’affetto reciproco tra lui e i Cavanis, particolarmente P. Da Col. Questi con ogni evidenza, pur presente a Possagno da soli nove mesi, era assurto a persona molto nota e stimata nel paese, nei dintorni, a Treviso e tra le autorità ecclesiastiche, civili e militari.

Il 27 agosto si celebra per la prima volta la solennità di S. Giuseppe Calasanzio a Possagno, nel Tempio. Il 5 settembre si parla dei “fanciulli che concorrono nell’Istituto alle Scuole Elementari”.

Il Capitolo provinciale del 14 settembre 1858, in cui fu rieletto ancora una volta il P. Casara, trattò di varie questioni relative a quella casa. Oltre a decisioni minori riguardanti il collegio, si decise di portare a Possagno il noviziato, per il quale doveva essere costruito un edificio proprio e addetto un terzo religioso sacerdote, come maestro dei novizi.

Il 20 settembre P. Da Col scrive nel diario: “Questa sera vennero da Venezia il P. Rovigo ed il F. Giovanni Avi benedicendo il Signore per essere sani e salvi dopo uno spaventoso pericolo in cui si trovarono sulla via da Cornuda a Unigo per essersi distaccata una ruota della carrozza, cadendo nell’atto stesso a terra quegli che guidava il cavallo, che per un buon tratto corse spaventato precipitosamente finché un movimento di loro che entro la carrozza invocavano Gesù Giuseppe e Maria fece piegare la carrozza stessa, nel qual punto, rottisi i fornimenti del cavallo, n’andò a sua posta, ed essi restarono fermi sulla via perfettamente, grazie all’amorosissima divina Provvidenza, illesi”. P. Rovigo si portò poi al santuario della Madonna del Covolo a ringraziare la Madonna. Da notare, per vari accenni qui e altrove, che la casa di Possagno era diventata anche occasionale casa di villeggiatura o di convalescenza per i religiosi Cavanis, sostituendo in questa funzione la casa di Lendinara, il cui clima caldo e afoso d’estate e umido e nebbioso d’inverno era meno opportuno a questo scopo.

Interessante la prima visita di P. Giovanni Battista Traiber alla casa di Possagno dal 4 ottobre.

P. Da Col predicò gli esercizi spirituali al seminario di Treviso dall’otto al 13 novembre 1858, su richiesta del vescovo di Treviso e del preposito. È questa la prima attività da parte della comunità Cavanis possagnese in quest’area pastorale, propria del nostro carisma e motivo principale, si può dire, dell’accettazione della fondazione di Possagno. Da notare che P. Da Col, su suggerimento del solito P. Casara, non accettò un compenso per la predicazione degli esercizi, ma soltanto il rimborso spese del viaggio. Altri corsi di esercizi spirituali ai seminaristi di Treviso saranno predicati da P. Da Col anche in seguito; tuttavia, non risulta che si sia svolta l’attività degli esercizi spirituali come previsti a Possagno dal programma iniziale, fino alla costruzione della Casa del S. Cuore a Coldraga negli anni ’30 e ’40 del XIX secolo.

Il 15 novembre si riaprono le scuole elementari del Collegio Canova, con un probabile ampliamento in favore dei bambini di Cavaso.

Tra novembre e dicembre del 1858, P. Da Col si occupa a lungo di una nuova redazione del testo dello statuto dell’Opera pia per la dotazione del Tempio, trovando notevoli difficoltà da parte del cavalier Renato Arrigoni, uno dei tre esecutori testamentari di monsignor Sartori Canova. Nella prima metà del 1859 si fanno frequenti nel diario di comunità i riferimenti a numerose pratiche burocratiche e amministrative relative a questo pur poverissimo beneficio, alla Rappresentanza e alla Fabbriceria del Tempio; un tema completamente nuovo per la nostra Congregazione. Tra l’altro P. Casara, assieme all’abate Daniele Canal di Venezia scrive all’Imperatore domandando l’esenzione dalla “tassa commisurata sulla sostanza ereditaria di esso monsignor Sartori-Canova”, probabilmente una tassa di successione.

D’altra parte il 14 agosto si scrive nel diario sulla conclusione dell’anno scolastico e sulle premiazioni di fine anno; e al 14 novembre si riprende il successivo anno scolastico. Ci sono anche nuovi allievi nel ginnasio, quattro di loro (due di Possagno e due di Crespano) ricevono una “grazia”, cioè una borsa di studio dalla Fondazione Canova.

CLASSI GINNASIALI E NUMERO DEGLI SCOLARI

 

Classe

I

II

III

IV

V

VI

 

1858

 

4

8

Canal

1859

 

10

8

idem

1860

 

5

12

8

idem

1861

 

12

6

14

Siragna

1862

 

10

11

7

13

Idem e De Marchi

1863

 

12

6

7

6

12

 

1864

 

2

10

 

1865

 

8

8

 

1866

 

8

8

0

7

 

1867

 

4

5

8

5

 

Un altro tema che è trattato in quest’anno è quello delle vocazioni all’Istituto; vari giovani si presentano a P. Da Col o sono inviati da Venezia, per testare le loro intenzioni e, come dice il vangelo, si vede che sono molti i chiamati e pochi gli eletti. Molti, infatti, sono “licenziati” o si ritirano di loro iniziativa.

Il 10 febbraio 1859, la Congregazione dopo lunga attesa ricevette l’assenso della luogotenenza dello stato austriaco, per essere ufficialmente ammessa nel comune di Possagno. Il 15 aprile il vescovo invia a P. Da Col la patente di parroco della parrocchia della SS.ma Trinità di Possagno, e il 5 maggio successivo P. Casara, come rappresentante legale della Congregazione, ricevette il possesso del beneficio parrocchiale e prestò giuramento. Si parlò anche di dividere la forania di S. Zenone e fare capo della nuova forania la parrocchia di Possagno, e P. Da Col vicario foraneo. Ma non se ne farà nulla.

P. Casara chiede in questo periodo al vescovo di Treviso monsignor Zinelli un formale decreto d’istituzione canonica della nuova casa dell’Istituto a Possagno, giusto le Costituzioni del 1837, §10 del cap. I, e ne ottiene risposta favorevole e il rispettivo decreto.

Si fa avanti intanto la situazione di guerra tra il Regno di Sardegna-Piemonte e l’Austria, cioè la II Guerra d’Indipendenza italiana, di cui nel diario di Possagno c’è un unico riferimento di passaggio, e il preposito invia al rettore di Possagno alcune istruzioni.

Nel 1860 il collegio Canova continuava ad avere le scuole elementari con un numero crescente di alunni, ricevuti in forma gratuita da Possagno e dai paesi dei dintorni; e il ginnasio, sempre riservato a giovani convittori avviati alla vita sacerdotale, raccomandati da vescovi di varie diocesi del Veneto e Trentino o da vicari foranei e parroci. Si tenevano anche corsi di teologia, ma non sono del tutto chiari la struttura e il livello di questo corso. Spesso si celebrava la vestizione dell’abito ecclesiastico per questi giovani nel Tempio. Alcuni di questi fungevano anche da prefetti, cioè da assistenti di classi di scolari o studenti. Non si parla però dei professori di questo corso. P. Da Col aveva difficoltà a insegnare teologia, ma lo faceva qualche volta. Continua il cantiere dell’edificio del noviziato Cavanis, di cui nel 1859 si era detto che era cominciata la costruzione dell’edificio. I rapporti con la Fondazione Canova continuano proficui e cordiali.

La vita della parrocchia continua con buoni risultati pastorali. Oltre alle consuete feste liturgiche e pastorali, si celebra con particolare solennità la festa di S. Giuseppe Calasanzio, ogni anno, principalmente per i ragazzi del collegio ma anche per il popolo, con la novena, la celebrazione solenne eucaristica, il pranzo con la solita lista d’invitati, come a Venezia, i vesperi solenni, il panegirico; si danno risalto e spazio eccezionali nelle pagine del diario ogni anno anche alla festa dell’Associazione della Santa Infanzia il 28 dicembre, nella festa dei Santi Innocenti, e a quella di San Luigi Gonzaga il 21 giugno. Ci sono inoltre celebrazioni speciali e puntuali, come quella della benedizione delle campane del campanile del Tempio da parte di monsignor Farina. I padri operanti a Possagno sembrano essere diventati tre, con la venuta del P. Nicolò Morelli.

Il diario si fa via via più agile e laconico, anche con qualche lacuna di mesi. Evidentemente la vita rientrava a poco a poco nella routine.

Un’epidemia “di male alquanto maligno”, non meglio identificata, provocò nel mese di luglio 1860 lo scioglimento temporaneo del convitto e il ritorno in famiglia di quasi tutti i convittori, salvo due, di cui un nostro seminarista Cavanis, e gli ammalati intrasportabili. Conclusa l’epidemia, il convitto riaprì i battenti il 25 agosto, senza vittime fatali, con il ritorno dei convittori, in tempo per la solennità di S. Giuseppe Calasanzio.

Seguì una serie di avvenimenti gioiosi: a ottobre 1860 ci fu la visita a Possagno del Patriarca di Venezia Mons. Angelo Ramazzotti, che si trattenne due giorni con i religiosi e con il popolo, e fu ospite del collegio Canova. Subito dopo P. Da Col visitò a Treviso Mons. Farina, nominato vescovo di Vicenza. A novembre la fabbrica del noviziato era finalmente conclusa nell’essenziale, e la comunità Cavanis a Possagno crebbe in modo notevole: il preposito P. Casara venne a Possagno il 15 novembre 1860 e, portando con sé due novizi, i veneziani Augusto Ferrari e Giacomo Barbaro (come candidato fratello); il fratel Giovanni Avi per preparare loro le vesti, ossia l’abito religioso; il chierico professo Francesco Bolech come vice-maestro del noviziato, essendo eletto maestro dei novizi il P. Domenico Sapori; e ancora il chierico professo Domenico Piva come assistente del vicerettore del Collegio e della comunità P. Nicolò Morelli. P. Da Col restava naturalmente rettore e parroco. Lo si trova effettivamente nella lista dei novizi presenti nell’anno 1860-61 a Possagno.

Il primo gruppo dei novizi del nuovo noviziato a Possagno era dunque composto di cinque giovani: i due suddetti veneziani e i tre “tirolesi” che già si trovavano a Possagno, cioè Giuseppe Sartori di Grigno, Luigi Piva e Narciso Emmanuele Gretter di Castagné in Valsugana. Essi si raccolsero già nel noviziato fin da questa data, ma l’inaugurazione ufficiale della casetta del Noviziato si celebrò nell’ottava dell’Immacolata. Presente il preposito, come sembra fosse di abitudine, si compì la vestizione dei cinque novizi.

È strano e oggi ci sembra molto triste e conturbante che, mentre i quattro candidati alla vita clericale nell’Istituto Cavanis vestirono l’abito pubblicamente nel Tempio, il candidato fratello Giacomo Barbaro fece la sua vestizione privatamente il pomeriggio nell’oratorio domestico della comunità. Questa discriminazione, non solo in occasione delle varie tappe verso la professione perpetua ma anche per tutta la vita, era cosa normale a quel tempo, non solo presso i Cavanis, ma durò fino a un’epoca molto più recente, che chi scrive può ricordare di persona; ed è stata senza dubbio uno dei motivi della quasi completa sparizione di questa preziosa e amabile (ma storicamente poco amata) classe di congregati.

Un altro novizio, Francesco Luteri dal Tirolo, anche questo con la vocazione di fratello laico, si aggiunse ai novizi nel mese di marzo e fece la vestizione a giugno. Come candidati chierici si aggiunsero più tardi ma nello stesso anno anche Giacomo Martini di Crespano, convittore a Possagno e Giambattista Larese di Venezia. Il movimento di entrata di novizi era realmente piuttosto frequente e fonte di speranza. Quasi tutti perseverarono: tra questi sette, ne rimasero poi in Congregazione cinque, cioè Fra Giacomo Barbaro, Luigi Piva, che morì piamente, ancora chierico professo e quindi molto giovane, a Lendinara nel 1867, P. Narciso Gretter, Fratel Francesco Luteri e P. Giambattista Larese. In seguito non parleremo più in dettaglio delle entrate e uscite nel noviziato; ma era interessante registrare questa prima buona annata possagnese.

Non mancavano naturalmente le difficoltà nella vita di formazione! È interessante al riguardo una lettera del Da Col al Casara del 29 luglio1859, in cui parla di una situazione d’inimicizia nel noviziato. Parlando di un novizio, scrive: “Avevo appena sentita sicura relazione di nuovi suoi atti di cattivo animo verso de’ suoi compagni, al quale disse – io uscirò dall’Istituto, ma te ne farò prima tante che sii cacciato anche tu – quando venne quasi gemente a dirmi: “Padre, mi mandi a Venezia, ch’io non posso starmene in pace ecc.”. I due principali responsabili, tentato tutto, saranno poi dimessi.

L’anno di grazia 1861 si avvia a conclusione felicemente con una lettera di tipo raro e un po’ sorprendente: l’ispettore scolastico superiore diocesano, della diocesi di Treviso e vicariato foraneo di Montebelluna, scrive una lettera ufficiale di lodi sperticate e di felicitazioni ai padri di Possagno per la loro scuola elementare e la loro attività di pastorale giovanile, come pure per il loro successo. Mette in luce, molto opportunamente, che il centro dell’opera educativa è la “attivazione del cuore” dei ragazzi, il che vuol dire che lo scrivente conosceva bene e aveva capito a fondo e visto nella pratica lo spirito e il carisma dei Cavanis.

A Natale tutti erano presenti nel Convitto e in comunità, non facendosi a quel tempo le vacanze di Natale. La sera della vigilia, il rettore distribuì, secondo l’usanza che continua ancora oggi, gli “uffizi da esercitare a onore di Gesù in tutto il mese del S. Bambino”, essendo presenti i Congregati, i novizi e i convittori. Gli stessi, ancora secondo l’antica usanza viva ancora oggi, ricevettero i santi patroni per l’anno in corso, la sera di capodanno 1861. Sia in un caso sia nell’altro l’assegnamento degli uffizi di Natale “alla Culla de Bambino Gesù” e dei santi patroni si fa per estrazione di ”pie pagelle” ossia di foglietti stampati.

A febbraio e aprile 1862 si domanda e si ottiene per due volte successive un aumento dell’assegno per l’opera, che si allargava e cresceva, da parte degli esecutori testamentari. A questo riguardo, esiste nel fascicolo 1861-62 un foglio senza data e senza numero di protocollo con una bella calligrafia attribuibile probabilmente al P. Giuseppe Bassi, ma senza firma, che sembra una copia di una richiesta di aumento degli assegni, che forse si riferisce a quanto sopra, anche se deve essere datata piuttosto al 1861. Da questo documento ricaviamo una quantità di dati:

  • La scuola elementare rimaneva comunale, anche se mantenuta ora dalla Fondazione Canova e diretta dai padri Cavanis.
  • Essa era stata divisa in due classi fin dall’inizio della presenza Cavanis, con due maestri, mentre prima c’era solo una classe, senza aggravio per il Comune.
  • Nel convitto, i convittori pagavano una dozzina molto ridotta, soltanto per vitto e alloggio.
  • La scuola risultava dunque del tutto gratuita.
  • Nel secondo anno (1858-1859) si cominciarono ad accogliere nel ginnasio allievi non convittori, che abitavano a Possagno e dintorni, e quindi non pagavano la dozzina.
  • Si costruì una “fabrica”, ossia una nuova ala del collegio, per poter aumentare il numero dei convittori.
  • Fin dal primo anno (1857-1858) si cominciò ad assistere un chierico, poi due o tre, nello studio della Teologia, col permesso del vescovo di Treviso, per motivi di debole salute o di povertà.
  • “Si ricostruì, si ridusse, e si allestì l’ala a levante in uso di Noviziato”. Il noviziato non sembra dunque essere, in questo testo, un edificio separato, ma un’ala nuova aggiunta all’edificio delle scuole e della comunità, anche se mantenuto in pratica in regime di clausura.
  • Il beneficio della parrocchia era poverissimo.
  • La comunità Casanis viveva molto frugalmente e non poteva concedersi per ora spese straordinarie, per sé, neanche per l’abbigliamento. Questa situazione si protrasse durante tutto il primo e il secondo periodo della presenza Cavanis a Possagno, con il bilancio frequentemente in rosso e con frequente situazione di debito.
  • Si chiedono fondi per l’aquisto di premi di fine d’anno per gli studenti meritevoli, per libri nuovi (cioè di prima mano), per “collezioni di Storia naturale o machine di Fisica”.
  • Per sovvenire all’aumento degli allievi e dei membri dell’Istituto presenti a Possagno, inclusi chierici e novizi, e per le compere accennate, si chiede la somma abbastanza modesta, a mio parere, di lire austriache [a£] 300/anno.

Il 24 aprile 1862 P. Da Col invia ai due principali (o più disponibili) esecutori testamentari un bilancio mensile della casa (e scuola) di Possagno, che si dimostra in lieve disavanzo.

Il Canal e il Pellizzari erano favorevoli ad accedere all’istanza, che vedevano con favore e che essi stessi avevano richiesto; al contrario il Cav. Arrigoni, il terzo esecutore testamentario, ne era assolutamente “disgustato” e contrario.

Più tardi, su richiesta di due dei tre esecutori testamentari il P. Casara compilò e presentò ancora il 20 ottobre 1862 una Memoria per “il compimento di dotazione alla Casa delle Scuole di Carità in Possagno fondata dalla Pietà del fu Ill.mo e Rev.mo monsignor Vescovo Sartori-Canova”. Il numero richiesto di maestri e collaboratori, compresi i religiosi preti e fratelli (17 unità) e le somme corrispondenti per la loro manutenzione e/o remunerazione (a£ 7.000/anno, pari a fiorini austriaci 2450/anno) sono molto elevati e ambiziosi. Il piano prevede anche altre alternative, più economiche. Ma aggiunge il necessario contributo per accrescere il numero di abitazioni per i religiosi e per il patrimonio ecclesiastico per i giovani Cavanis che arrivano al suddiaconato, con lo sborso da parte della Fondazione di fiorini austriaci 2.450/anno; suggerisce anche la possibilità di versare alla Congregazione degli assegni per il noviziato, senza precisare la somma necessaria. Fin dal principio i padri si erano riproposti e impegnati di aumentare le classi e il numero si studenti e di convittori, come pure di religiosi educatori, secondo le possibilità dei tempi; e anzi il sig. Filippo Canal si era molto spesso lamentato del piccolo numero di religiosi insegnanti e della piccolezza del collegio e della scuola. Sembrava dunque arrivato il momento di ampliare l’opera e il personale.

Dalla memoria suddetta si viene a sapere che le classi del ginnasio erano otto “nel sistema attuale”, e che il ginnasio comprendeva anche la filosofia.

Tuttavia, la lettera di Sapori e Da Col al preposito Casara con i suoi piccoli foglietti annessi, del marzo 1863, fa capire che il piano ambizioso di cui sopra non era stato accettato che in modo estremamente riduttivo.

Il 22 novembre 1862 a Possagno, monsignor Zinelli, vescovo di Treviso, benedice la chiesa del collegio: “Sabbato (22). Questa mattina con tutta solennità, parato pontificalmente il Mr. Vescovo ha benedetto la nostra Chiesetta, intitolandola a S. Giuseppe Calasanzio e a S. Teonisto con i Socii Martiri. Dopo la Benedizione celebrò la Santa Messa, nella quale consacrò e lasciò conservato il SS.mo Sacramento; considerandosi questa come la Chiesa della nostra religiosa famiglia”.

L’otto dicembre 1862 si erige a Possagno la Congregazione mariana. Il fascicolo del 1863 dell’archivio di Possagno contiene anche un’ampia bozza del Regolamento di detta Congregazione, con la lettera di approvazione del vescovo Federigo Maria Zinelli di Treviso. Il regolamento doveva in seguito essere inviato a Venezia per la stampa, come annota P. Da Col sulla copertina.

Nel diario, l’anno del 1863, così difficile per la Congregazione, è concentrato in una sola pagina. Non si parla del capitolo straordinario dell’inizio di settembre in cui fu eletto preposito P. Giovanni Battista Traiber, in seguito alle dimissioni piuttosto drammatiche del P. Casara, e di P. Traiber si parla, citando il suo nome, solo una volta di passaggio nei tre anni del diario corrispondenti al suo mandato, per aver delegato il rettore locale a ricevere la professione religiosa di Giovanni Battista Larese.

La casa continua ad avere un piccolo numero di religiosi (probabilmente diminuito fin dall’autunno 1863 rispetto all’anno precedente) e ha difficoltà a trovate degli insegnanti adatti che vogliano vivere a Possagno. Avendo il vescovo Zinelli di Treviso ritirato il sacerdote don Francesco Zanotto, insegnante nelle classi di 5ª e 6ª del ginnasio, per inviarlo altrove, P. Da Col si vede costretto con dolore e frustrazione a chiudere queste due classi e a inviare i seminaristi (diocesani), sia vestiti con l’abito ecclesiastico, sia ancora in abiti laici, al seminario di Treviso. In maggioranza erano molto poveri o poverissimi e la cosa non era facile né gradevole ai padri, ma non c’era scelta. Da Col ne riceve consolazione da lettere del preposito, ora P. Traiber e da P. Casara. Ambedue gli ricordano le tribolazioni dei fondatori.

Nel febbraio 1863 a Possagno si stava organizzando una scuola elementare femminile e cominciando a costruirne l’edificio, dentro del piano della Fondazione Canova. P. Da Col, assistito in questo – come in tutto – dal P. Casara, chiede agli esecutori testamentari del Sartori Canova che il parroco e rettore della casa di Possagno possa avere influenza sulle “norme disciplinari dello stesso femminile Istituto, la condotta e le qualità della Maestra e di altra assistente …”.

Il passaggio dal 1863 al 1864 vide una notevole diminuzione del numero dei religiosi addetti alla casa di Possagno, per decisione del nuovo preposito Traiber.

Del 4 maggio 1864 è uno strano e lungo documento di P. Da Col “Alla Rma Prepositura della Congregazione delle Scuole di Carità in Venezia” che usa di un tono solenne e molto formale, e sembra scritto da qualcuno che è sotto accusa e che cerca di difendersi. Tono raro nei nostri scritti antichi. Dopo un’introduzione, si disserta per sei pagine (quasi tutte) su sette domande esposte nella prima pagina, sullo scopo, i motivi, i mezzi, i personaggi, gli appoggi ricevuti, i risultati, della casa di Possagno. Pare che il testo sia stato redatto in vista di una probabile imminente decisione: le due ultime questioni alle quali si risponde sono: “Che ne sarà per l’avvenire?” e “Quale decisione verrà presa e con quali conseguenze?”. Il documento oltre a uno riassunto storico sulla casa e la sua opera, fornisce varie notizie interessanti:

La casa e l’opera erano in fase di crescita e di successo.

  • Nel 1863 erano addetti alla casa di Possagno sei sacerdoti, di cui cinque Cavanis e un prete diocesano: di questi, cinque si occupavano delle scuole, e il parroco, P. Da Col si occupava della parrocchia.

I convittori nello stesso anno erano trenta.

  • Si prevedeva di continuare ad aumentare l’opera e il personale.
  • Gli esecutori testamentari, fino a quel punto, avevano compiuto e anche superato il desiderio e il piano del fondatore Sartori-Canova per l’educazione della gioventù di Possagno.
  • Avevano essi anche sostenuto la spesa per costruire nuovi locali per aumentare il numero dei convittori e una chiesetta; e avevano iniziato la costruzione di un’ “altra fabrica, purtroppo sospesa”.
  • Avevano contribuito alle spese per la costruzione del nuovo locale del noviziato Cavanis.
  • Il popolo di Possagno e dintorni apprezzava l’opera e ne sperava la dilatazione.
  • La decisione del nuovo preposito (Traiber) di diminuire notevolmente il numero degli “operaj” frustrò queste speranze e tante spese e costruzioni, senza parlare dell’entusiasmo, con un “tristissimo cangiamento avvenuto”.
  • Si avverte, tra le righe del documento, la paura che la casa di Possagno sia chiusa.

Da Col conclude in pratica criticando l’operato del preposito, dichiarando che in coscienza doveva redigere questo “cahier de doléances”, dirsi disponibile a continuare nella sua carica di parroco e rettore, o anche di rinunciarvi senza problema, se fosse trasferito altrove.

Il 17 luglio1864 il P. Tito Fusarini, vicario (o anche economo?) provinciale, incarica a nome del preposito il P. Da Col di scrivere un progetto per la casa di Possagno, in vista del prossimo capitolo provinciale. Da Col scrive e firma il 21 luglio detto progetto, in cui propone:

  • Di rimanere soltanto parroco, e che la carica di rettore sia data ad altri; come alternativa, di rimanere parroco e rettore, ma di aver un buon vicario che funzioni in pratica da parroco.
  • I due cappellani, come deciso da un capitolo, devono appartenere possibilmente alla Congregazione.
  • Il maestro dei novizi (P. Sapori, nel caso) non può essere al tempo stesso vice-rettore dei convittori, cioè del convitto.
  • Il vice-rettore, per la parte disciplinare ed economica del convitto, può essere anche uno dei maestri.
  • Dopo altri dettagli, propone un prospetto con il numero (10 persone, tra cui i Cavanis sono tre sacerdoti e tre o quattro novizi o chierici) e i nomi del personale. Non vi si parla dei fratelli laici, che pure erano senza dubbio presenti e necessari.

Anche in questo progetto sembra strana e nuova la definizione del destinatario: “Alla Rma Prepositura della Congregazione delle Scuole di Carità in Venezia”, anziché rivolgere il progetto al preposito personalmente e più informalmente, con il suo nome proprio o col nome di Padre.

P. Traiber, preposito, scrive a P. Da Col il 21 agosto 1864: “Desiderando di veder appianate le differenze sussistenti relative ai membri di cotesta Casa prima di determinare il giorno in cui dovrà tenersi il Capitolo triennale, mi son determinato d’incaricare i due PP. Giuseppe Rovigo definitore e Giuseppe Bassi Rettore della Casa di Lendinara a venire personalmente a trattare sull’argomento avendoli moniti di tutte le necessarie facoltà, e dichiarando che sarà per approvare tutto ciò che essi incaricati troveranno opportuno di definire. Membri della casa ai quali tutti auguro da Dio Signore ogni benedizione. Ciò sia a norma di uni e degli altri”. In lettera successiva, del 25 agosto, P. Traiber esprime la speranza che le “orazioni fatte in questi giorni da tutte le parti (…) avranno ristabilito la pace e la concordia tra noi”. In questa situazione di difficoltà è probabile avesse creato problemi il P. Nicolò Morelli. Il 14 settembre 1864 i PP. Rovigo e Traiber scrivono a Da Col che sostanzialmente hanno accolto il progetto, con qualche variante, e chiedono accettazione e concordia.

Il 16 settembre successivo una bozza di “Preliminari di convenzione tra la Congregazione delle Scuole di carità e i Sigg. Eredi ed Esecutori testamentarj di M.r Sartori-Canova”, di mano di P. Giuseppe Rovigo, propone di istituire un ginnasio di sei classi. Tra le condizioni principali, c’è quella di accogliere non solo convittori aspiranti alla vita ecclesiastica, ma anche altri. Si richiede anche una maggiore autonomia da “chicchessia”. Si temeva una forte opposizione da parte degli esecutori testamentari. Seguirono allora incontri e carteggi con il sig. Filippo Canal e con il Pellizzari, come pure di Da Col con Traiber, qualche volta in clima burrascoso. Una successiva lettera di Traiber a Da Col e in fondo anche a Sapori parla di vittoria delle difficoltà e invita all’obbedienza e alla concordia; ma in pratica mantiene la sua posizione sulla riduzione del personale. Sia il Canal sia il Pellizzari propongono alcune mutazioni, ma in complesso si mostrano, ora e fino alla fine dell’anno, disponibili ad accettare i “preliminari” suddetti.

Da luglio a settembre 1864 si parla spesso nel diario di un progetto per costruire una chiesetta per questa casa. Evidentemente il piccolo oratorio domestico iniziale non era più sufficiente. A proposito di costruzioni, nel 1865 si parla di un passaggio (anche in forma di chiostro) che unisca la casa originaria, un edificio nuovo e anche la chiesetta, in modo di poter passare da un edificio all’altro anche con il maltempo.

A settembre e ottobre dello stesso anno si parla nel diario di Possagno della disponibilità di P. Da Col a rinunciare alla carica di rettore di Possagno, su richiesta del Preposito, dopo sette anni di governo. Egli rimarrà tuttavia a Possagno come parroco, ed è stilato un regolamento “per mantenere pieno accordo tra il Parroco e il Rettore”, preparato da P. Da Col e approvato, con correzioni del nuovo preposito, da lui e dal suo Consiglio o Definitorio.

P. Traiber infine accetta la rinunzia di P. Da Col come rettore e dichiara di approvare “pienamente la elezione fatta da voi e dal P. Sapori del P. Bassi a Rettore di cotesta Casa di Possagno”. Aggiunge che approva il regolamento proposto, con qualche eventuale correzione da farsi con calma. Tale “Regolamento a cui dovranno attenersi il M. R. P. Curato della Santissima Trinità in Possagno ed il M. R. P. Rettore della casa filiale delle Scuole di carità ivi esistente” fu poi ratificato, è molto interessante, e potrebbe essere anche oggi tenuto come esempio o modello per analoghi regolamenti, che attualmente in genere non si fanno, ma che potrebbero essere molto importanti, così come quelli tra rettore e preside nelle nostre case che hanno scuole, e che pure purtroppo raramente si fanno. Essi eviterebbero molti problemi e faciliterebbero la collaborazione tra i nostri quadri. Specificamente, il regolamento di Possagno dà una notevole autonomia al parroco, quasi totale in quanto riguarda la sua attività parrocchiale, e sorprendentemente abbondante in ciò che riguarda la vita comunitaria.

Il 29 ottobre 1864 arrivò a Possagno il nuovo rettore, P. Giuseppe Bassi, che iniziò subito in giornata a compilare il diario della casa. Cambia dunque la scrittura.

La casa è sempre più in difficoltà economiche nel maggio 1865, anche per il mancato pagamento degli assegni periodici da parte degli esecutori testamentari. Una lettera del P. Bassi, rettore, del 22 maggio 1865 al sig. Pellizzari è interessante, perché afferma francamente che le lagnanze e la nuova diffidenza del Canal verso la Congregazione e di riflesso sulla comunità di Possagno dipende dalla “nissuna fiducia che il sig. Canal nutre per l’attuale Preposito”. Gli esecutori testamentari accettano comunque di caricarsi del debito. P. Traiber, preposito, tuttavia chiede e ottiene da P. Bassi una relazione amministrativa, che non lo soddisfa, per cui chiede che il documento sia rivisto e firmato anche dagli altri padri di comunità. Di debiti e richieste di aiuto economico si parlerà sovente nelle poche linee molto laconiche del diario nei mesi successivi del 1865. Ma sarebbe eccessivamente lungo seguire in dettaglio i numerosi eventi e le numerose lettere economiche e sulle trattative interminabili con gli esecutori testamentari, che occupano buona parte della corrispondenza del 1865.

Nello stesso mese di giugno, tuttavia, si parla di “Preliminari del Collegio”. Sembra si programmi di passare dal convitto per giovani aspiranti allo stato clericale e all’ordinazione presbiterale a un vero e proprio collegio.

All’inizio del 1866 si vuole costituire (o completare o ricominciare?) il ginnasio in sei classi, come richiedeva con insistenza il Filippo Canal. Tuttavia anche in questi primi mesi le differenze tra la Congregazione (e soprattutto il preposito Traiber) e il Canal diventano apparentemente insanabili, e P. Casara in una lunga relazione espone il suo timore che si possa essere costretti a ritirarsi da Possagno, cosa che egli giudica molto dannosa; accenna anche a “quelli che furono e sono contrarii a questa diramazione del nostro Instituto”. Traiber, da parte sua, il 3 febbraio 1866 scrive ai padri di Possagno di varie sue differenze con P. Casara sulla questione, e dice di aver detto al Patriarca in visita all’Istituto di Venezia che “si rinovò (sic) il vecchio contrasto di Possagno; e messo in avvertenza”.

Curiosamente, non si parla, in queste scarne pagine, della terza guerra d’indipendenza d’Italia (20 giugno-12 agosto 1866, vedi sopra), in seguito alla quale il Veneto passa dall’Austria-Ungheria al Regno d’Italia. Si accenna soltanto il 19 agosto 1866 “ del modo di portarci nel momento di render conto dei beni ai commissari regii”, quindi al Regno d’Italia. Nella stessa data e lettera il P. Traiber annuncia anche alla comunità di Possagno la sua intenzione definitiva di finire il suo mandato triennale, il primo settembre, e propone da parte sua una nuova elezione del Casara, “le cui relazioni possono giovare alla Congregazione nelle dolorose circostanti presenti”.

Il resto della corrispondenza presente nell’archivio di Possagno è quasi assente dopo febbraio 1866, e vi si parla ormai, a partire solo da agosto, della soppressione delle Congregazioni, ma anche in questo campo sono ben poche le lettere. Si apprende che i mobili della casa di Possagno appartengono al Canal, e quindi non devono essere dichiarati alla Finanza né indemaniati.

Dal 14 al 22 agosto vari convittori lasciano il convitto Canova-Cavanis, per vari motivi o pretesti, o più chiaramente, in un caso, “sentendo l’incertezza del nostro Collegio per l’anno vegnente”. Perfino la solennità di S. Giuseppe Calasanzio, nell’agosto 1866, si celebra in tono minore, nella cappella del collegi anziché nel Tempio, a testimonianza del clima che si sentiva, alla fine di un triennio debolissimo, quello governato dal P. Traiber, e all’inizio di un periodo realmente drammatico per il nostro Istituto, come del resto per tutti gli altri istituti religiosi maschili e femminili del Veneto.

Il 2 settembre arriva a Possagno, all’indomani del capitolo elettivo, una lettera del P. Traiber con l’annuncio della difficile elezione del P. Casara alla carica di preposito. Questi visitò la comunità ai primi di ottobre. Il 19 novembre, con qualche ritardo rispetto agli anni precedenti, si dà inizio al ginnasio, con cinque classi.

Purtroppo l’unione del Veneto all’Italia, di per sé un’unione felice e desiderata da molti, si annuncia verso il 13 dicembre anche a Possagno con l’ordine per i nostri di compilare e presentare numerosi questionari riguardanti i membri, le attività e soprattutto i beni della comunità; come del resto a Venezia e a Lendinara. Nelle pagine successive di questo diario si parlerà sempre più spesso della legge della soppressione della Congregazione e dell’incameramento dei suoi beni e dei suoi effetti pratici; legge che viene definita “legge empia, balorda di soppressione”, dal rettore P. Bassi nel diario. La presa di possesso della casa (Collegio, casa della Comunità e casetta del noviziato, senza dubbio) annunciata il 16 maggio 1867, fu messa in atto il 20 dello stesso mese. P. Bassi commenta “Fiat voluntas Dei!” L’Istituto naturalmente fece ricorso, e si dichiarò grato al Municipio possagnese per non aver partecipato all’atto della presa di possesso d’immobili e mobili della casa di Possagno. Il 9 settembre 1867 il diario registra che il ricorso è stato respinto, e che ciò corrisponde a una “Sentenza di morte (civile) della Congregazione”. Effettivamente, per quanto riguarda Possagno, il complesso di edifici iniziali della casa di Possagno – che evidentemente era di proprietà della Congregazione – fu perso e rimane perso fino ad oggi. La Congregazione, e anche la stessa casa di Possagno e le sue opere tuttavia continuano vive e vegete fino ad oggi. Scriveva P. Casara al P. Bassi il 4 novembre 1867, “.. che noi, com’è nostro dovere, restiamo uniti; e che pur quest’anno siamo anche sicuri di continuar qui la nostra Scuola (…)”; anche se, in qualche modo, ormai in casa d’altri.

Una speranza in questo senso, a Possagno, era posta nella possibilità che P. Da Col, eventualmente con alcuni collaboratori scelti tra i Cavanis, rimanesse a Possagno come parroco “indipendente” dalla Congregazione. Ciò fu proposto al parroco e, indirettamente, alla Congregazione, dopo una seduta del Consiglio comunale di Possagno del 22 ottobre 1867, dalla giunta comunale, dai consiglieri e dal sig. Filippo Canal che visitarono subito dopo la seduta il P. Da Col, che ne scrive dettagliatamente al preposito Casara. La lettera è estremamente interessante. A proposito dell’aggettivo “indipendente”, cui si accennava sopra, P. Casara scriverà al cancelliere diocesano di Treviso per chiarire che questo termine era accettato dalla Congregazione solo in senso civile, non in quello ecclesiastico e religioso: “Del resto, come non siamo soppressi che civilmente, e così noi com’è nostro dovere, intendiamo continuare come prima la nostra vita; e, grazie a Dio, abbiamo anche quasi direi sicurezza di poter continuare a vivere uniti pur come prima: qui certo per tutto l’anno scolastico prossimo non avvien nulla di nuovo; e abbiamo cominciato oggi a ricevere l’inscrizione degli scolari”.

P. Da Col scriveva in questa occasione al preposito P. Casara una lettera che chiama “ferma dichiarazione” o ancora “importante e risoluta mia dichiarazione”, che vale la pena ci trascrivere e citare integralmente:

“J.M.J.

Mio dilettiss.o Rdo. Padre

Se quando che sia si potesse credere risultare da questa lettere ch’Ella, Padre benedetto, inclinasse ad aderire alle istanze dei Possagnesi per avermi di nuovo loro Paroco, Si sappia che cosa risolutamente risposi: Poche parole, Padre mio, ma dettatemi dal Signore, affinchè Ella se ne possa servire anche parlando coll’Illustriss.o e Rmo. M.r Vescovo prima che parta come avverrà credo, presto per Roma: – Io non sarò mai Paroco separato da’ miei confratelli dell’Istituto dei venerati fratelli Cavanis, al quale per divina grazia appartengo. Se conoscessi essere Volontà del Signore, in giunta all’attuale, a qualunque altro peso mi assoggetterei col conforto di essere unito coi detti miei confratelli; senza di questo, mi costerà, lo sento assai il distacco dalla cura spirituale della parochia di Possagno, ma lo farò col divino aiuto colla ferma risoluzione di vivere e morire figlio fedele alla preziosa vocazione di religioso educatore membro del suddetto Istituto.

Benedica, Padre, il figlio affmo di Lei p. Giuseppe Da Col.

Da Possagno, lì 5 Giugno 1867.

Si noti che in tutta la questione, sia nel diario di Possagno, sia nella corrispondenza tra Possagno e Venezia, il tono è sempre piuttosto sereno e positivo, pieno di sofferenza sì, ma anche di costruttiva efficienza piena di speranza, quasi di volontario understatement, contro il clima di lamentazioni che si levava da ogni parte nella chiesa che è nel Veneto – e non solo veneta – in quel periodo. Questa serenità proveniva da una profonda accettazione della volontà divina, vista anche negli eventi difficili della storia contemporanea, e nella grande fiducia nella divina Provvidenza, elementi tipici, del resto, della spiritualità propria dell’Istituto Cavanis.

Un po’ di consolazione si ebbe comunque, in quei giorni, dalla visita pastorale del vescovo di Treviso, Mons. Federico Maria Zinelli, che visitò anche il collegio e la comunità, oltre alla parrocchia, e fu molto cordiale. Il diario racconta che alla partenza del vescovo il 2 ottobre, gli uomini del popolo di Possagno staccarono i cavalli dalla carrozza e “attaccatisi alla carrozza vescovile la trascinarono per parecchie miglia tra le acclamazioni di una quantità di donne di fanciulli”.

Altro conforto viene dalla corrispondenza e dalle sollecitudini di P. Casara, spesso citate nel diario in questi mesi e presenti in grande numero nell’archivio di Possagno nei fascicoli del 1867 e 1868-1869. Da queste lettere emergono, non per la prima volta, anche dei dissensi e addirittura una lite con il sig. Filippo Canal, situazione che si poteva indovinare tra le righe qua e là dal diario e in altri documenti anche negli anni precedenti, almeno dall’aprile 1864.

L’anno 1868 comincia con la dolorosa deposizione dell’abito proprio dei Cavanis per tutta la comunità Cavanis possagnese, perché i religiosi rimangono ufficialmente come addetti alla parrocchia. La mezza pagina di diario concernente quell’anno si conclude con le parole. “Tempo di aspettazione”, con molta moderazione, perché il P. Basso avrebbe potuto scrivere invece: “Tempo di tribolazione”.

Nel 1869, il 12 marzo, il preposito scrive a Possagno che probabilmente bisognerà ritirarsi e lasciare Possagno, non vedendosi segni di speranza; il 15 marzo lo stesso riferisce nel diario di Congregazione di una sua lettera a Da Col “Gli rispondo avere così il Signore manifestato la sua volontà, che noi eseguiremo lasciando Possagno con la medesima contentezza che provammo andandoci; che però ci dichiareremo dopo avuta la consegna del beneficio, per doveroso riguardo all’onore della Congregazione: che la ragione da addurre sarà, non poter noi rimanere per la sola parochia e un’ombra di educazione, e che non intendo di rinunciare ai diritti sugli assegni dovutici dall’amministrazione della dote del Tempio”; seguono notizie di alcuni scambi di lettere tra P. Casara e il sig. Filippo Canal, e di nuove difficoltà sgradevolissime nei rapporti con lo stesso, che “non contento di quanto sparlò a carico nostro, da qualche tempo in qua, in luoghi varii e con molte persone, lo fece ultimamente anche nella residenza dì codesto Municipio [di Possagno], alla presenza dei due principali suoi membri, del sig. subeconomo, e di qualche altra persona”. Pare, dallo stesso testo, che il Canal andasse dicendo tra l’altro che “i nostri costì sono di danno al paese”. Il Casara gli scrive chiedendo riparazione e rettifica pubblica delle calunnie e minaccia di accedere alle vie legali.

Tra l’altro, da vari documenti presenti in archivio risulta pure che i contributi o assegni trimestrali che dovevano mantenere le scuole e la comunità non erano più versati dal 19 aprile 1867, oppure erano depositati in sede neutra, non potendo per legge essere versati a una istituzione che, dal punto di vista delle leggi civili, non esisteva più. Da lettere del Casara a Da Col, risulta che la Commissione della dote del Tempio voleva pagare gli assegni periodici al parroco e ai cappellani, sacerdoti diocesani, ma che il Canal li impediva di farlo. D’altra parte, risulta che P. Da Col aveva cercato di ottenere di “esercitare a vantaggio del suo benefizio il diritto di reversibilità di un capitale donato ai religiosi Chierici Regolari in Possagno da monsignor Giovanni Battista Sartori Canova”, ma la direzione compartimentale del demanio e delle tasse non aveva accolto la richiesta. La situazione diventava impossibile. P. Casara scrive infatti al vescovo di Treviso: “Ho perduto ogni speranza di combinare più nulla col signor Canal”, e si propone di ritirare al più presto due religiosi da Possagno e di richiamarli a Venezia.

La conclusione (pur se provvisoria) si avvicinava: il P. Francesco Bolech era già stato richiamato a Venezia da tre mesi; una lettera del preposito Casara giunta a Possagno il 4 settembre invita a Venezia i padri Da Col e Bassi, per una riunione di deliberazione sul da farsi. È questa l’ultima annotazione del diario di Possagno di questa prima fase 1856-1869. P. Da Col più tardi scrisse e incollò nella pagina bianca seguente del diario un foglietto di sua mano. Vi si ricavano i seguenti dati: il 9 settembre 1869 si era tenuta a Venezia in Istituto, presente anche P. Da Col, una seduta capitolare in cui P. Casara aveva riassunto la situazione e tutto ciò che aveva fatto e scritto per riuscire a intendersi con il sig. Canal e con la municipalità, ma che non era purtroppo riuscito a nulla. Aggiunse che ora era venuto il momento di arrendersi e di desistere, non si poteva rimanere là a languire. Aggiungeva che in seno al Definitorio si era proposto che si lasciasse la libertà al P. Giuseppe Da Col di rimanere a Possagno come parroco “restando tuttavia congregato” e di lasciargli in compagnia il P. Narciso Gretter, anche lui in libertà di accettare questa proposta e con la stessa condizione di rimanere congregato, perché potesse sostenere la scuola dei piccoli. Si decise di scrivere così al P. Da Col. Si chiede anche al fratel Luteri se voleva rimanere a Possagno per aiutare P. Da Col e fargli compagnia e servizio.

Casara scrive a monsignor Zinelli vescovo di Treviso che il 17 ottobre seguente ritirerà da Possagno i padri Bassi e Sapori, lasciandovi Da Col [e fra Luteri], e chiede che assegni a quella parrocchia un buon cappellano o coadiutore diocesano. P. Da Col aveva chiesto al preposito che lasciasse P. Sapori, allegando il motivo che era molto amato dal popolo, ma Casara risponde negando, perché bisognava mostrare fermezza. Scrive anche a P. Bassi, rettore, che invii Sapori “improviso (sic, in latino) e segretamente” a Venezia, via Padova (un percorso che non faceva comprendere la destinazione finale del viaggio). Anche P. Da Col doveva venirlo a sapere solo dopo la partenza di Sapori.

Questi, il P. Domenico Sapori, con il suo carattere di fuoco, scrive di sé stesso al Casara, il 26 settembre 1869: “Si provano a trattenere qui il P. Domenico, ma lui ostinatario fa fagotti, e se la infischia delle loro moine”.

Da Col, dopo aver riassunto le decisioni di quella seduta nel foglietto incollato al diario, conclude laconicamente, e probabilmente con molta tristezza, in data 10 ottobre 1869: “Stassera si spedì a Venezia i Mobili di nostra proprietà”. Questi furono ricevuti a Venezia il 12: “Ricevemmo ieri le robbe spedite da Possagno: letti, biancheria, vestiti, libri”. Fu inviato e ricevuto a Venezia anche l’archivio, della prima fase della casa di Possagno, che confluì così in quello di Venezia e della Curia provinciale, oggi generale (AICV), e vi si trova fino ad oggi. Il 19 ottobre giunsero a Venezia i padri Bassi e Sapori, il chierico Michele Marini e il giovane, cioè seminarista, Carlo Simeoni. P. Sapori aveva portato con sé e consegnato a Venezia “l’inventario delle robe nostre lasciate a Possagno, alcune delle quali esistenti sotto il sequestro fatto nella presa di possesso”.

A Possagno rimanevano invece i padri Da Col come parroco e responsabile della comunità religiosa informale (dal punto di vista civile, ma non religioso), il giovane P. Narciso Gretter, incaricato delle scuole elementari e anche dell’economia e il fratello laico Francesco Luteri, a garantire generosamente la presenza Cavanis e a rappresentare un segno di speranza. Dobbiamo essere loro grati.

Della lunga e dolorosa (probabilmente da tutte e due le parti) lite con Filippo Canal, è difficile ora giudicare nei dettagli. Le sue critiche riguardavano soprattutto due punti, a quanto si capisce da dati sparsi in varie lettere: 1) che i Cavanis non avevano compiuto il loro impegno, inviando a Possagno troppi pochi religiosi; 2) che essi avevano speso il denaro della Fondazione anche per le altre case della Congregazione.

Sul primo punto il Canal aveva probabilmente ragione, anche se non strettamente a livello del contratto del 1858, che prevedeva che i padri addetti alla casa di Possagno aumentassero di numero “per quanto le circostanze del luogo, del tempo e della loro condizione lo consentano”, comunque “con un numero di membri non minore di 4 quattro”. I padri presenti a Possagno erano stati sempre pochi, ancor meno numerosi al tempo di P. Traiber come preposito; del resto la Congregazione non era cresciuta, anche a Possagno, come si sperava, con il nuovo seminario. Da notare che tra l’altro i Cavanis non avevano realizzato a Possagno la casa di Esercizi Spirituali promessa; ma su questo punto il Canal non trovò mai da ridire. Per la verità P. Da Col continuava a predicare qualche volta, forse con cadenza annuale, gli esercizi spirituali, ma a Treviso. Nel 1872 predica un corso di esercizi anche “per le donne del popolo”.

Sul secondo punto, invece, il Canal aveva senza dubbio torto. In realtà la comunità di Possagno probabilmente aiutava la Congregazione, con contributi provenienti dai loro assegni o stipendi personali, mai tuttavia prendendo il denaro dai contributi assegnati per la parrocchia e per la scuola. Più tardi, dopo il 1866, non poterono inviare neppure i loro risparmi sulle pensioni dello stato italiano, perché a Possagno non le ricevettero mai. P. Casara più volte si dice scandalizzato e offeso dell’accusa del Canal e la definisce assolutamente ingiusta, come pure definisce che sarebbe un vero “furto” l’eventuale appropriazione indebita di fondi versati per la scuola o il tempio di Possagno, ad uso di altre case o della Congregazione.

Quello che ci sembra certo è che, se a Lendinara era stata pesante la situazione con il “fondatore” sig. Francesco Marchiori, almeno a lui i nostri religiosi non dovevano dar conto periodicamente delle spese; mentre a Possagno la situazione era in qualche modo più pesante, dato che il “fondatore”, cioè monsignor Sartori Canova era morto pochi mesi dopo l’arrivo dei Cavanis a Possagno, e che i suoi esecutori testamentari, particolarmente il Canal, avevano, sembra, il diritto di controllare le spese, di chiedere conto, di esaminare i bilanci, togliendo qualsiasi indipendenza ed autonomia alla comunità religiosa, alla parrocchia e al Tempio.

In genere si può osservare quale fosse il sistema abituale del nostro Istituto nel secolo XIX e nel primo ventennio del XX, di fondare cioè case dove i Cavanis fossero chiamati e dove ci fosse un “fondatore” disponibile a donare un edificio per la comunità e per le scuole e a mettere a disposizione dei padri un capitale o degli assegni periodici per il mantenimento dell’opera e della comunità. Sebbene ciò fosse eventualmente necessario, stante l’estrema povertà della Congregazione e la gratuità delle nostre scuole, i risultati furono abbastanza penosi per i religiosi e per la Congregazione stessa.

3.2 La seconda fase (1869-1881)

Seguono alcuni anni, finora poco documentati. L’anno scolastico 1869-1870 era già cominciato forse da qualche tempo il 14 novembre 1869, solo per le scuole elementari, tenute nell’edificio che era stato il noviziato. “Il P. Gretter sostiene la 1ª inferiore con circa 50 alunni – continua il P. Da Col – Don Francesco Sartori [cappellano o cooperatore parrocchiale, NdA] la 1ª superiore di 29 alunni, e la 2ª di 13. Il Maestro laico la 3ª di 22, e la 4ª di 2 – Don Angelo insegnerà lingua italiana in 3ª, e in 4ª ed intanto il Maestro si occuperà in altre scuole di altri oggetti – S’incominciò, e si continuerà se non vi ponga ostacolo l’autorità superiore. D’accordo con questa Giunta, a fare tre ore di seguito la mattina, che nelle nostre condizioni valgono più di cinque, e vacanza nel dopo pranzo in cui la scuola fu sempre poco frequentata.” I bambini delle elementari di Possagno erano dunque 116 nell’anno scolastico 1869-1870. Mancano purtroppo dati su tutti gli altri anni.

Nel 1871 Filippo Canal dichiarò al P. Da Col, che era andato a visitarlo alla Gherla di Crespano, che era di buon animo verso l’Istituto. Le altre poche lettere del 1871 presenti in AP, dimostrano, anche se con poca chiarezza, una situazione molto confusa: il capitale della Fondazione Canova è passato al Comune di Possagno, ma questo non li usa per l’educazione e la scuola, come era l’intenzione chiara ed espressa del fondante, cioè di monsignor Sartori Canova; il parroco Da Col insiste che egli, come parroco, e i suoi successori devono essere considerati responsabili delle scuole, sia maschile che femminile, ma la Giunta e il Comune a volte non riconoscono questo fatto, e propongono addirittura la possibilità che il direttore delle scuole elementari sia proprio l’unico insegnante laico; ai Cavanis continuano a non essere versate le pensioni, a differenza di quelli delle altre due case, che le ricevono; gli stipendi al clero sono pagati saltuariamente dal Comune; la parrocchia può essere ridotta ad avere solo “un paroco e un curato”, a fronte del programma di Mons. Sartori Canova, che aveva versato la somma di a£ 60.000, ora passate al comune di Possagno, perché il Tempio del Canova fosse ufficiato da un clero numeroso che si occupasse anche dell’educazione e istruzione dei piccoli e giovani possagnesi.

La posizione del Filippo Canal in questa situazione confusa del passaggio dagli anni ’60 agli anni ’70 non è assolutamente chiara: le sue intenzioni sembrano velleitarie e il suo potere di decisione molto dubbio, dopo che il demanio si era incamerato il capitale destinato a mantenere con i suoi interessi il Collegio Canova e lo aveva ripassato al comune di Possagno. Canal aveva al massimo una certa influenza morale, ma la impiegava tutta, contro i Cavanis.

Già dal 29 ottobre 1871 tuttavia, e ancora nel 1873, pare che Filippo Canal rivolesse i Cavanis a Possagno, ma con poca chiarezza e sempre senza impegnarsi in alcun modo in iscritto. Lo stesso vale per quanto riguarda il sindaco di Possagno, che scrive a Casara. Segue un carteggio su questo progetto o possibilità, ma P. Casara rimane scettico, e si può capirlo, dopo 14 anni di problemi. Nel 1874 Da Col scrive a Casara “sulle scuole e sul convitto da istituirsi” a Possagno. Dice, di passaggio, che il Canal pensava di invitare ad assumersi l’opera “don Bosco di Torino”.

P. Da Col, del resto, aveva scritto lui stesso nel 1872 a don Bosco, che egli doveva conoscere poco e solo di nome, con una lettera di cui non ho ritrovato copia. Evidentemente, il nostro chiedeva semplicemente un prete che lo aiutasse nella parrocchia o più probabilmente nelle scuole. Abbiamo la risposta del sacerdote torinese, datata dell’11 agosto 1872. Don Bosco scrive, nella sua difficile e non bella scrittura:

“Carissimo nel Signore,

11 agosto 1872

La grazia di nostro S.G.C. sia sempre con noi. Amen. Ringrazio V.S. rev.ma dei segni di benevolenza che mi esprime nella sua lettera. Riguardo poi all’oggetto della medesima, forse potremo aggiustar le cose. Noi abbiamo una Congregazione approvata dalla Chiesa, molto simile a quella dei Cavanis. Se si può aggiustar che il collegio, scuole, possano affidarsi ad una famiglia religiosa, il momento vedremo di regolarlo. Dicami adunque: 1° Se vi sono anche comprese le pubbliche scuole. 2° Quanti convittori potrebbero contenersi nella attuale località. 3° Se vi sono mezzi ad hoc e quanti in totale.

Certamente con un colloquio si scioglierebbero molte difficoltà; ma per ora non potrei allontanarmi di qua. Veda di scrivermi quanto a Lei sembra del caso. Per sua norma le noto che la nostra Congregazione non va soggetta alle vicende dei corpi morali, perciocché i suoi membri sono veri religiosi in faccia alla Chiesa, ma in davanti alle leggi civili sono altrettanti liberi cittadini.

Riceverà dalla posta il programma di Valsalice con altri delle nostre case. Le raccomando specialmente il programma del primo, che ha molto bisogno di protettori nel suo principio.

Raccomando me e li miei fanciulli alla carità delle sante sue preghiere mentre con gratitudine mi professo di V.S. rev.

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

P.S. Possagno è vicino a qualche stazione ferroviaria?

P. Da Col risponde il 16 agosto successivo con una lunga lettera, spiegando che “Non ci siamo intesi. La colpa è mia poiché non Le ho espresso tutte le circostanze della mia posizione.” La spiega ora in questa seconda lettera, e chiarisce che in realtà chiedeva soltanto, come aveva fatto con altri, un prete che potesse aiutarlo. Gli chiede uno dei suoi confratelli o un altro qualunque sacerdote patentato e fornito delle necessarie qualità; ma che “non si tratta qui d’istituire una famiglia di codesta Sua Società, ma di avere un individuo quale si richiede ecc.”

In un’altra lettera, purtroppo non datata e non reperibile nei nostri diari, don Bosco scrive a P. Da Col ringraziandolo per delle offerte inviategli, forse proprio per aiutare il nuovo istituto salesiano di Valsalice. In tal caso questa lettera sarebbe posteriore a quella dell’11 agosto 1872 e della risposta di P. Da Col datata al 16 agosto 1872. La lettera del sacerdote torinese non fa tuttavia riferimento al motivo dell’offerta, si limita a ringraziare caldamente.

È ben possibile che i contatti di P. Da Col col santo siano proseguiti, e che non sia del tutto casuale che il libretto con la biografia del P. Vittorio Frigiolini, scritto a mano da P. Da Col nel 1853 e mai fino allora pubblicato, per quanto ne sappiamo, sia stato poi stampato proprio nel 1872 nella Tipografia dell’Oratorio di S. Francesco di Sales a Torino. È sicuro comunque che don Bosco aiutò P. Da Col a trovare un sacerdote che lo aiutasse, come sappiamo da una lettera del 30 agosto 1872 del vescovo di Treviso Zinelli, che scrive a P. Da Col: “Quando si tratta di un Sacerdote proposto da don Bosco si può riceverlo a occhi chiusi, e quindi io le impartisco ampia facoltà.”

Riprendendo a parlare dei nostri, P. Casara scrive a P. Da Col che non può accettare di rifondare delle scuole o un convitto di cui si parla a Possagno: né come Congregazione, che civilmente non esiste, né come persona se ne può assumere l’onere. Suggerisce, dunque, che P. Da Col tratti la questione con il Municipio, ma come parroco e con il consenso dell’Ordinario, e non come congregato. La cosa sembra avere successo, perché un mese dopo il diario di Congregazione riporta: “Lettera del P. Da Col che mi accompagna il programma del Convitto che si riapre”. A dicembre il convitto, definito “piccolo” da P. Casara, si è aperto a Possagno, non si sa se negli ambienti della parrocchia o nell’edificio del collegio. P. Da Col chiede a P. Casara due o tre padri in più, ma questi ovviamente trova la cosa impossibile.

Una lettera del 1875 di Casara a Da Col ci fa sapere che Da Col ha sempre dei problemi con la nuova scuola e con il suo piccolo convitto, per la costante difficoltà di trovare buoni maestri, e perché quelli che trova di fatto gli creano difficoltà. P. Da Col stesso deve fare scuola tutti i giorni di persona. Inoltre P. Narciso Gretter ha problemi in famiglia e, dopo la malattia e morte del padre, chiede di poter rimanere in famiglia per due anni, cosa che la struttura e le regole della Congregazione a quel tempo permettevano: ma la crisi appare superata e un mese dopo P. Gretter si tranquillizza.

Tra agosto e settembre 1876 il vescovo di Treviso nomina P. Da Col canonico onorario del capitolo della cattedrale, cosa che P. Casara non gradisce, perché il vescovo non ne ha consultato il preposito, e perché giudica che un religioso non può essere nominato canonico; afferma che l’eventuale accettazione deve essere discussa e approvata in capitolo, ciò che sembra esagerato. Questo fatto mette in evidenza che nella diocesi si stimava Da Col, ma anche che si considerava, a questo punto, il parroco di Possagno quasi come se fosse prete diocesano, sul che P. Casara non voleva transigere.

P. Da Col porta avanti l’iniziativa della scuola e del convitto parrocchiali nel 1878 e nei due anni seguenti, e se ne parla nella corrispondenza ufficiale e privata. Il governo della Congregazione non partecipa direttamente all’opera, ma P. Casara collabora frequentemente, trovando e presentando a P. Da Col dei laici e preti come maestri, professori, prefetti di disciplina, ossia assistenti per la camerata del convitto (si tratta infatti di una sola camerata, per ora). Non si desiste dunque dall’idea di fare educazione della gioventù e scuola, non solo parrocchia, ma non si prende ancora una posizione ufficiale. “Sull’avvenire nostro a Possagno ho parlato coi pp. Rovigo, Bassi, Sapori, ma si decide soltanto per ora di fare orazione”.

La lunga attesa tuttavia indebolisce il progetto e sfianca il nostro personale. Già fratel Luteri nel 1877 aveva chiesto e ottenuto di ritornare a Venezia ed era stato sostituito da un aspirante fratello, tale Antonio Dalboni; P. Gretter aveva passato una crisi e aveva voluto ritirarsi; ora P. Da Col scrive a Casara che da tempo ha il desiderio di ritornare alla vita di Congregazione. Casara annota nel Diario: “Gli scrivo varie ragioni per le quali inclino anch’io all’abbandono di Possagno”. D’altra parte più tardi, a dicembre 1879, in una stagione freddissima, in cui i poveri contadini a Possagno non riuscivano a lavorare la terra “in causa della neve impietrita”, annota: “Insisto perché sia esteso legalmente lo Statuto per Convitto e Scuola”. Sei mesi più tardi ci si lavora ancora.

La situazione tuttavia peggiora e Filippo Canal, l’unico sopravvivente dei tre esecutori testamentari del Sartori-Canova, infierisce contro l’Istituto. “I timori e i sospetti del signor Filippo Canal serviranno a farci conoscere la volontà di Dio, se abbiamo a lasciare a Possagno ancora la radice della Congregazione o da levarla”, scrive Casara a Da Col. Il fatto che Canal continua a non approvare le successive bozze dello statuto provoca una visita di P. Casara al nuovo vescovo di Treviso, monsignor Giuseppe Callegari, che rimane stupito e rivoltato. Promette tutto il suo appoggio e i suoi interventi. P. Casara lascia chiaro che i nostri saranno ritirati dal paese se il parroco non avrà la necessaria libertà e indipendenza.

A luglio 1880, poiché anche gli interventi del vescovo risultano inutili, Da Col “non si sente più di continuar negli impegni fin qui sostenuti in Possagno” e Casara una settimana dopo, avendo parlato con i definitori, giudica che “sia giunto il momento di levare di là anche la radice della Congregazione”. Da Col dovrebbe partire dopo la festa di S. Giuseppe Calasanzio, il 27 agosto.

Il 26 agosto P. Casara gli scrive che lasci Possagno segretamente e venga a Venezia, via Padova, portando con sé il chierico Vincenzo Rossi e lasciando a Possagno il fratello Dalboni per aiutare il P. Gretter nelle “brighe” che sorgeranno “quando sarà manifesta la cosa”. Così farà P. Da Col.

Consultatosi con i due definitori residenti a Venezia e con P. Da Col, Casara scrive una lettera al vescovo di Treviso e gliela porta personalmente. Segue una scena drammatica. Il vescovo Callegari, vecchio amico di Casara, non vuole aprire la lettera, che annuncia la rinunzia alla parrocchialità attuale e abituale di Possagno. Poi il vescovo accetta di aprirla e la legge. Insiste che darà tutto il suo appoggio e aiuto, e implora che non lascino la parrocchia. P. Casara però rimane fermo e, ritornato a Venezia, scrive un’altra lettera confermando l’uscita della Congregazione da Possagno. Questa volta il vescovo è costretto ad accettare il fatto compiuto.

Il Diario di Congregazione parla in seguito del “dolore universale e vivissimo” del popolo di Possagno, veramente disperato. Tutto il paese voleva andare a piedi al vicino paese di Paderno, dove il vescovo di Treviso Callegari si trovava per benedire le campane, ma poi vengono a più miti consigli e ci vanno solo dei rappresentanti. Il 1° ottobre una commissione va anche a Venezia a visitare P. Casara e la comunità, chiedendo che il P. Da Col ritorni. Se ne discute ancora, ma alla fine la Congregazione invia al vescovo due successive lettere di definitiva rinuncia con una “finale e irrevocabile decisione”.

Il 13 gennaio 1881 P. Narciso Gretter e fratel Dalboni lasciano Possagno e ritornano a Venezia, per poi passare a risiedere a Lendinara. Così si chiude, dopo questa lunga fase intermedia e di incertezze, la presenza Cavanis a Possagno. I due religiosi hanno spedito a Venezia dei libri, hanno venduto su istruzione del preposito alcuni mobili e un macinino di caffè, altre cose le hanno lasciate senza compenso, altre ancora, principalmente carte, le portano con sé a Venezia.

È interessante osservare come P. Casara, preposito, si occupasse anche della minime cose, come della vendita del macinino da caffè, e se ne ha l’impressione, in molte lettere e nel diario del resto, che la Congregazione dipendesse anche troppo da lui nei minimi dettagli e che mancasse o non fossero permessi l’iniziativa personale e il decentramento. Il principio di sussidiarietà non era ancora di moda! Ciò potrebbe spiegare anche il ripiegamento su se stessa della Congregazione dopo le dimissioni definitive del Casara.

Il nuovo arciprete, prete diocesano, entrerà a Possagno qualche giorno prima del 24 giugno 1881, come viene annunciato da un parrocchiano possagnese al P. Casara, ricordando al contempo il caro P. Da Col.

3.3. La terza fase: anni di assenza e di silenzio (1881-1889)

Tra l’undici ottobre 1881, data della partenza, alla fine del 1883, le comunicazioni con Possagno sono ridottissime. Con l’eccezione di una querela al giornale “Il Progresso” per diffamazione della comunità Cavanis già in Possagno, pubblicata nel numero del 21 luglio 1882; processo le cui fasi sono citate almeno 16 volte nel diario di Congregazione, esso parla di Possagno, di passaggio, solo sette volte in otto anni.

A proposito delle calunnie pubblicate contro i Cavanis di Possagno su “Il Progresso”, vale la pena di leggere la bellissima lettera scritta al P. Casara (e alla Congregazione) dal sindaco, dalla giunta e dal consiglio comunale di Possagno il 28 luglio 1882, che rifà la storia dei padri in quel paese e ricordano con riconoscenza e affetto il bene ricevuto. In una lettera a P. Da Col del 20 agosto 1882, che riguarda la diffamazione e la querela di cui sopra, monsignor Giuseppe Sarto aggiunge un post scriptum: “Oggi il Vescovo farà la visita pastorale a Possagno. Povero Possagno! Quantus mutatus ab illo!!” Era stato poi proprio monsignor Sarto a insistere per scritto insistentemente con il preposito P. Casara perché non lasciasse correre ma presentasse querela, assicurandolo che avrebbe avuto come testimoni a favore dell’accusa tutte le famiglie (o i capi famiglia) di Possagno e tutta la diocesi di Treviso.

La querela contro il giornale d cui sopra ebbe pieno successo. Il 18 luglio 1883 P. Casara scrive nel diario: “Finalmente ieri fu pronunciata la sentenza contro il Progresso, giornale di Treviso, per l’articolo pubblicato il 21 luglio dell’anno scorso [1882]. Oggi ricevo da Possagno il telegramma seguente: Partecipano alla gioia comune pel trionfo della giustizia – Sartori, Forcellini”. Lo stesso giorno P. Casara riceve anche il testo della sentenza pubblicato su Corriere di Treviso. Il tribunale stesso aveva poi comandato la pubblicazione della sentenza sul giornale giudicato colpevole di “ingiuria pubblica e diffamazione e libello famoso”, cioè di calunnia, ai danni dei padri Cavanis e in particolare della casa di Possagno.

Il noviziato naturalmente, dal 1881, era uscito da Possagno ed era stato trasferito a Venezia, dove sembra, dalla lettura del Diario, che il numero di novizi e altri seminaristi fosse diminuito. Erano principalmente “tirolesi”, cioè trentini.

Il 1° settembre 1887 P. Casara aveva dato le dimissioni da preposito, in modo definitivo, e il P. Domenico Sapori era stato eletto al suo posto per un triennio. Nel diario cambia dunque la scrittura, dopo un’infinità di anni delle varie prepositure Casara; cambia anche il numero di notizie e di carte protocollate, da una media di trecento a cinquecento all’anno a una cinquantina appena. Segno evidente che si frena in Congregazione.

3.4 La quarta fase: tre anni d’incertezze e la riapertura (1889-1892)

La novità appare il 7 dicembre 1889, due anni dopo, quando “il vescovo di Treviso domanda se non potessimo riaprire il Collegio-Convitto in Possagno, anche con una sola classe”. La risposta è negativa, e lo sarà per qualche tempo ancora. “Si rispose subito negativamente dichiarando la nostra assoluta impossibilità”. Lo si ribadisce il 9 dicembre successivo, dopo una consultazione capitolare.

La questione della riapertura a Possagno fu lungamente dibattuta durante il 1° capitolo generale ordinario del 1891, anche perché il sindaco di Possagno aveva chiesto ancora una volta la presenza di due padri Cavanis per la direzione delle scuole elementari e di un convitto. I testi del verbale, come pure vari allegati, sono interessanti al riguardo. Si concluse tuttavia per il no, con quattro voti negativi e due positivi, con il principale motivo della “scarsezza di individui”. Non si voleva privare Venezia di due religiosi insegnanti.

Nuovo tentativo viene fatto dall’arciprete di Possagno il 23 giugno 1892. Segue un carteggio in cui entra sia l’arciprete sia il cappellano, che anzi visita la comunità a Venezia. Il preposito e tre dei definitori sono del tutto contrari, ma entra in scena un nuovo attore, che abbiamo già visto all’opera soprattutto nella casa di Lendinara, cioè il quarto definitore P. Giovanni Battista Larese; egli riesce a smuovere le acque e a convincere gli altri che la cosa deve essere meglio studiata e da non escludere.

Tra mille e mille indecisioni (si preferisce pregare a lungo prima di prendere una decisione, che oggi sembra relativamente facile e auspicabile), il primo luglio il capitolo definitoriale s’inclina ad accettare. Ed ecco una sorpresa: il 5 luglio arriva a Venezia Filippo Canal, ora “bramosissimo di aver dalla nostra bocca sicure e precise notizie”. Offre £ 1.500 per lo stipendio annuale di un maestro esterno, promette di fare tutti i restauri e di ricomprare i mobili e consegna al preposito, di suo, £ 1.000 che teneva nel portafoglio. Questo voltafaccia del Canal può essere interpretato benevolmente come dovuto al rimpianto e alla nostalgia dei tempi in cui i padri Cavanis vivevano e operavano a Possagno; ma bisogna tener conto anche del fatto che il “nobile” Canal aveva in corso la sua campagna elettorale, e fu eletto, infatti, consigliere comunale di Possagno, pur essendo di Crespano, dopo che si seppe con sicurezza che i padri sarebbero ritornati nel paese natale del Canova.

Il 6 successivo viene a Venezia l’amico possagnese dott. Forcellini, che annuncia l’esultanza di tutti a Possagno. Giungono molte lettere, dal vescovo, dall’arciprete, dal cappellano, dai notabili, da semplici membri del popolo. Si cercano professori e si parla di statuti. Deve essere di questi giorni il foglio sciolto, senza data, annesso al diario di Congregazione, che in una bozza di mano di P. Da Col propone una serie di punti per il programma o statuto “Pel Collegio di Possagno”.

Il 1° settembre 1892 il P. Casara, vicario, in luogo del preposito P. Da Col impedito per malattia, va a visitare il Canal a Possagno. Il 4 successivo in capitolo definitoriale si appongono correzioni alla bozza di statuto; un mese dopo, il 4 ottobre, il vescovo di Treviso emana un decreto “che determina per la parte ecclesiastica sui diritti della nostra famiglia e stabilisce i patti che furono già conchiusi in pieno accordo con quell’Arciprete per sé e per tutti i suoi successori”.

Finalmente, il 10 ottobre 1892 il P. Casara accompagna P. Giovanni Ghezzo, che sarà il superiore, e P. Vincenzo Rossi a Treviso e l’11 a Possagno: vi furono accolti molto cordialmente e in forma festosa dal vescovo e poi dal popolo. Era un pusillus grex, ma si sperava che in seguito diventasse magnus. Il 18 ottobre 1892 il P. Ghezzo annuncia al preposito e alla comunità l’inizio dell’anno scolastico 1892-1893.

3.5 La quinta fase: la casa di Possagno attuale (1892-2019)

Non rientra nel programma di questo lavoro narrare la storia completa di tutte le case dell’Istituto, ma solo di quelle più antiche e, anche di queste, solo della prima fase, che è meno conosciuta. Toccò proprio a P. Da Col, da preposito, riaprire il collegio e la comunità di Possagno, lui che ne era stato per tanti anni (1857-1869) principale responsabile e attore pastorale e poi via via con vari collaboratori, preti e fratelli laici, parroco Cavanis a Possagno dal 1869 al 1880, in tutto per ventitre anni. La sua presenza a Possagno in quegli anni, con altri dei Cavanis, anche se egli portava l’abito ecclesiastico proprio dei parroci, cioè la talare, la fascia con le frange e la mozzetta, dette continuità alla vita della Congregazione a Possagno, pur essendo essa ufficialmente estinta dal punto di vista civile. Alla sua morte, avvenuta il 17 dicembre 1902, il popolo di Possagno volle con sé questo buon pastore e ottenne le sue spoglie mortali che riposano, come si diceva, nel cimitero municipale, oggi con un numero notevole di confratelli pure ivi sepolti.

I Cavanis ritornarono a Possagno dunque nell’autunno del 1892, all’inizio con un paio di padri, poi gradualmente in forze. Ci fu un breve intervallo di pausa forzata di quasi due anni durante la prima guerra mondiale, dal 13 novembre 1917, dopo la rotta di Caporetto, quando il fronte della guerra si portò sul Grappa e sul Piave e quindi nelle immediate vicinanze del paese, la cui popolazione fu sfollata, come in molti altri paesi prossimi al fronte; e quando si poté vedere lo “ahimè, … vuoto, saccheggiato e rovinoso Collegio”, fino al primo ottobre 1919. In questa data i religiosi Cavanis ripresero l’educazione della gioventù nella scuola e nel convitto. Intanto si continuavano i lavori per riattare l’edificio. Scrive P. Tormene: “Sabato. Il P. Preposito tornò stamattina da Possagno dove s’era recato mercordì dopo scuola per visitare quei Confratelli che trovò contenti e operosi. Il Collegio ha soli 20 Convittori di 3ª e 4ª Elem. e Iª Ginn. e Tecnica; è rimesso abbastanza bene nel corpo principale dell’edifizio dove tutto si dovette far nuovo.” La cappella era stata nuovamente benedetta, dopo le profanazioni del tempo di guerra, già il 5 agosto 1919. Si tratta dunque di una nuova partenza del Collegio Canova, che mostra ancora e fino ad oggi sulle sue porte le insegne di Antonio Canova, cioè i simboli di Orfeo ed Euridice.

Da notare che, dal 13 maggio 1940, interviene un contratto di locazione tra il Collegio Canova e il comune di Possagno, in cui detto comune concede in locazione alla Congregazione gli immobili del collegio Canova con annessi e connessi, pertinenze e adiacenze, servitù attive e passive, per un canone annuo simbolico di £ 1 (lire una). La convenzione ha la durata di 29 anni, dal 31 luglio 1939 al 30 luglio 1968, ed è rinnovabile automaticamente, salvo disdetta. I lavori effettuati sugli immobili dalla Congregazione, se autorizzati volta per volta dal comune, saranno rimborsati all’epoca della cessazione definitiva del contratto. È interessante leggere la lettera completa inviata dal rettore P. Giuseppe Panizzolo al preposito generale, che riassume i punti fondamentali del contratto:

“Rev.mo Padre, Le trasmetto i punti essenziali del contratto di locazione intervenuto tra il Collegio Canova e il Comune di Possagno (estratto dal documento ufficiale che si conserva nel nostro archivio in data 13 maggio 1940):

1 ) = Il Comune di Possagno dichiara di concedere in locazione alla Congregazione delle Scuole di Carità Cavanis, come sopra, gli immobili sopra descritti con tutti gli annessi e connessi, pertinenze e adiacenze, servitù attive e passive niente escluso ed eccettuato, e nello stato di fatto e di diritto in cui detti fondi attualmente si trovano.

= La locazione si stipula per il canone annuo di L. 1 (lire una) da pagarsi anticipatamente entro il 15 gennaio di ciascun anno alla Cassa del Comune di Possagno.

= La presente convenzione ha la durata di anni ventinove e più precisamente dal 31 luglio 1939 XVII al 30 luglio 1968.

In mancanza di disdetta da notificare almeno un anno prima della scadenza; la locazione si intenderà rinnovata per un altro eguale periodo di tempo ed alle stesse condizioni.

6) = La Congregazione si obbliga a procedere secondo l’opportunità a proprie spese ai lavori occorrenti mano mano ai fabbricati e sia questi sia i lavori che la Congregazione ritenesse eseguire, sempre a proprie spese, o venissero comunque richiesti dalle Superiori Autorità, o ravvisati opportuni per necessità educativa, didattica, igienica e sportiva, a partire dalla data del presente contratto, verranno rimborsati dal Comune all’epoca della cessazione definitiva del Contratto e della riconsegna degli immobili, al prezzo che sarà stabilito da perizia ed in base al loro valore al momento della riconsegna.

Verranno anche rimborsate, con le stesse modalità e termini le spese di manutenzione straordinaria effettuato a cura e spese della Congregazione in quanto però non eseguite per fatto o colpa di essa conduttrice.

Per tutti i suddetti lavori, tuttavia, la Congregazione dovrà richiedere l’autorizzazione scritta da parte del Comune indicando anche nella domanda il relativo preventivo di spesa, onde i lavori che verranno rimborsati alla riconsegna dei locali, con le modalità di cui sopra, saranno quelli per i quali il Comune avrà data regolare autorizzazione.

Questi sono i paragrafi più importanti e che fanno al caso nostro. Comunque la copia completa, come dissi sopra, si conserva nel nostro Archivio ed è sempre a Sua disposizione.

Dopo gli esercizi m’interesserò se il canone annuo sia stato regolarmente pagato… in maniera che il Comune non possa avere nei nostri riguardi nessun appiglio.

Ecc.”

Il Collegio Canova ebbe un grande sviluppo con la costruzione, dall’inizio del 1949, del Liceo Calasanzio, sito su terreno di proprietà dell’Istituto, e di alcune ali nuove del vecchio edificio, tuttora in uso, se non in proprietà, dell’Istituto e della gioventù. Il capitolo definitoriale del 5 giugno 1948 approvò l’inizio dei lavori di costruzione del liceo di Possagno, su progetti dell’architetto Fausto Scudo di Crespano. Se ne riparlò ancora nel capitolo definitoriale del 14 aprile 1949 e la costruzione dell’edificio fu approvata all’unanimità. Nel frattempo, il liceo aveva cominciato a funzionare nell’anno scolastico 1948-49 nell’edificio detto “Casa Bombarda”, nel complesso di edifici e terreni di proprietà dell’Istituto, immediatamente a nord dell’attuale liceo.

Le fondamenta dell’edificio furono benedette il 12 giugno 1949, dopo le operazione di scavo e terrazzamento; e le pareti arrivavano quasi all’ultimo piano, piuttosto rapidamente, verso la fine del 1949. Si arrivò a completare il tetto nel dicembre 1949 e il 13 gennaio 1950 le classi del ginnasio e in seguito quelle del liceo si acquartierarono nelle classi e nelle camerette e dormitori del liceo. I lavori tuttavia continuarono ancora a lungo. Interessanti fotografie delle varie fasi della costruzione del nuovo edificio del liceo Calasanzio si possono vedere nella rivista Charitas del 1949.

Su questa importante fase della costruzione edilizia e didattica del Liceo Calassanzio di Possagno, si possono avere importanti e sistematiche notizie, per lo più ricavate dalla rivista Charitas, da un testo scritto dal prof. Alessandro Gatto, preside emerito e benemerito di detto collegio; testo datato del 16 dicembre 2017.

3.6 Il Liceo Calasanzio dagli anni Cinquanta ad oggi

3.6.1 Relazione storica sull’edificio

II complesso articolato da sempre identificato nel suo insieme come “Collegio Canova” comprende in realtà alcuni edifici che vennero acquisiti o aggiunti per fasi successive, fino a costituire l’attuale ragguardevole nucleo che si stende fra il piazzale del tempio canoviano, la zona degli impianti sportivi, via S. Anna che scende parallela allo stradone del tempio. La costruzione piú recente – se non si considera la palestra – è rappresentata dai cinque piani del “Liceo” che ospita oggi la Scuola Secondaria Cavanis di primo e di secondo grado.

La costruzione dell’edifício, dedicato a San Giuseppe Calasanzio, avvenne nel trecentesimo anniversario dalla morte del santo patrono delle Scuole di Carità, in tempi rapidissimi per un plesso di tale imponenza, nel secondo semestre del 1949 e venne poi completato e furono realizzate le fíniture nei primi mesi del 1950. Lo stabile nella sua grandiosa compagine assunse fin dall’inizio l’attuale connotazione e fisionomia strutturale, fatti salvi pochi adeguamenti successivi e correzioni, che si andranno di seguito rammentando.

Il primo anno scolastico poté cosí essere avviato già a partire dal 1949/50. La posa della prima pietra dell’edificio è documentata da un’iscrizione che si trova su una lapide posta accanto all’ingresso principale, in Via degli Impianti Sportivi, n. 8. In essa, oltre alla dedica al Santo patrono delle Scuole di Carità, è riportata la data del 12 giugno 1949 (die duodecima junii A.D. 1949). La dedica e la data furono strettamente collegate fin dagli inizi e dall’origine stessa dell’idea. Le edizioni del Charitas – il bollettino dell’Associazione ex Allievi dell’Istituto – accompagnano passo passo e sono in grado di renderne conto quali fonti autorevoli di tali sviluppi.

L’idea di costruire una nuova scuola corrispondeva in primo luogo a un fabbisogno determinato dalla rapida crescita del numero di alunni provenienti ormai non solo dai territori limitrofi, ma per la maggior parte e sempre più da distretti del Bellunese, del Trentino, del Vicentino, del Padovano e oltre; in secondo luogo dalla richiesta in aumento di dare continuità al percorso di studi dopo il ginnasio. L’innesco fu tuttavia rappresentato dalla non comune solennitá e dal singolare fervore con cui si prepararono e venne dato il via alle celebrazioni del trecentesimo anniversario nelle scuole calasanziane e in particolare nella Congregazione e negli Istituti Cavanis.

II nr. 1-2-3-4 del Charitas, Bollettino dei Padri Cavanis, anno XIII del gennaio – dicembre 1947 accenna ad una Festa della ricorrenza di San Giuseppe Calasanzio, ma senza particolari cenni a celebrazioni solenni, che invece sono annunciate in apertura del nr. 1-2-3 Anno XIV del gennaio – settembre 1948, con tanto di programma:

Giuseppe Calasanzio moriva in Roma il 25 agosto 1648 e un secolo dopo, il 18 agosto 1748, gli erano decretati dal Romano Pontefice gli onori della beatificazione. Si sono quindi compiuti tre secoli dal suo transito terreno e due da quando le sue eroiche virtú ricevettero un primo riconoscimento solenne da parte della suprema Autorità della Chiesa. La duplice faustissima ricorrenza sarà commemorata durante un intero anno giubilare dai figli diretti dell’insigne Educatore, i Padri Scolopi. L’Istituto Cavanis non può dimenticare che il Calasanzio è il suo Patrono principale e che le sue Scuole di Carità nacquero e ressero salde contro le difficoltà e le persecuzioni e dettero alla Chiesa in un secolo e mezzo frutti copiosi di una sana educazione cristiana nel nome del Calasanzio. Quindi il centenário in corso è anche il nostro centenário ed anche noi, eredi dello sconfinato amore che i Fratelli Cavanis dimostrarono in ogni circostanza al Fondatore delle scuole Pie, ci disponiamo a rendergli il tributo fervido della nostra devozione e ammirazioneDunque, o Ex-allievi, siete convocati tutti dai vostri antichi Maestri per le imminenti celebrazioni giubilari nel nome di S. Giuseppe Calasanzio” Segue programma della “Celebrazione civile”, in data lunedi 8, martedi 9, mercoledi 10 novembre 1948 e della “Celebrazione religiosa”, in data giovedi 11, venerdi 12, sabato 13, domenica 14 Novembre.

Il tutto in ogni caso si doveva svolgere a Venezia e, laddove si parla del Collegio Canova, alle pagine seguenti, nessun cenno ancora dell’erigendo edifício.

II riscontro di quanto promesso compare nel numero del bollettino di ottobre – dicembre dello stesso anno 1948, che già in premessa dà riscontro della forte eco della commemorazione: «Anche Venezia ha reso il suo tributo di omaggio a S. Giuseppe Calasanzio nel terzo centenario dalla sua morte. Le celebrazioni promesse dal nostro Istituto sono riuscite, come documenta ampiamente questo numero del “Charitas”, una testimonianza sincera di ammirazione e di onore.

Quell’ombra, che immeritatamente ha velato finora o nascosto la mirabile figura del Calasanzio, si è dissipata per molti ed egli è apparso loro nella sua luce piena di Santo incomparabile e di benemerito pioniere della scuola popolare. È questo uno dei frutti del tricentenario…» .

Nelle pagine interne trovano spazio non tanto i resoconti dei singoli eventi, ma l’impatto decisivo che il loro insieme ebbe nel rilanciare la devozione per il Santo Patrono e la restituzione della sua figura di protettore e ispiratore della Scuola Cattolica e Cavanis in particolare.

«… Le annunciate celebrazioni centenarie in onore di S. Giuseppe Calasanzio, Protettore della Scuola Popolare e principale Patrono della nostra Congregazione, si sono svolte a Venezia dal giorno 8 al giorno 14 Novembre 1948 con una solennità veramente degni dello straordinario avvenimento”.

”È giusto esaltare — scriveva il giornale (Il Gazzettino) — la memoria di un uomo la cui vita fu di onore alla chiesa e all’Italia. Qui in Venezia dove non ci sono le Scuole Pie, la Provvidenza ha suscitato un altro Istituto affine, che da un secolo e mezzo venera il Calasanzio come particolare Patrono e Maestro: I’Istituto Cavanis. Era doveroso dunque che i Padri Cavanis, in questa fausta ricorrenza si facessero promotori di solenni onoranze civili e religiose».

Non appare strano dunque che l’intera Congregazione sia stata coinvolta e abbia partecipato in forze e con tutti i suoi Istituti e che in ciascuno abbia riportato un riverbero importante della rinnovata devozione.

E fu probabilmente così che a Possagno venne concepito il grande progetto, la cui realizzazione sarebbe seguita di lì a un mese.

3.6.2 Il nuovo Liceo Calasanzio

Poteva, dunque, il nostro bollettino già qualche mese dopo dare conto dei lavori decisi e incipienti, eppur finora mai nominati: «Le vive aspirazioni delle autorità locali, di tante famiglie e di innumerevoli nostri amici, che a Possagno auspicavano un liceo quale completamento degli studi pre-universitari sono oggi una realtà. In un ambiente signorile, pieno di sole, iniziò a funzionare il nuovo liceo classico intitolato al Calasanzio, nel terzo centenario della sua morte.

Anche in questo ambiente i giorni di scuola ormai si succedono regolari e pieni di lavoro. Gli allievi con entusiasmo seguono il nuovo corso di studi. Scenda la benedizione di Dio su questa opera iniziata sotto gli auspici del Patrono principale della nostra Congregazione».

Era nel frattempo diventato Preposito generale della Congregazione colui che sarebbe stato figura di riferimento nei primi anni di vita del nuovo Liceo: Padre Antonio Cristelli. Era invece Rettore del collegio di Possagno il padre Gioachino Sighel, anch’egli trentino originario dell’Altipiano di Piné, come il padre Preposito Generale.

II Charitas, Bollettino dei Padri Cavanis, nel numero di luglio – ottobre 1949 dedica le pagine centrali a una inedita “Fotocronaca del Liceo Calasanzio”, presentando in poche ma scelte immagini il ritmo impressionante del progredire dei lavori e del mutamento di paesaggio dal punto di vista urbanistico architettonico. La sequenza di foto diviene oggi per noi preziosa documentazione delle fasi della costruzione, a partire dalla veduta dall’alto dell’edificio Bombarda, di un panorama, aperto verso le colline, che d’ora in poi sarebbe stato negato e sostituito da mura ciclopiche come dettava il progetto dell’architetto Fausto Scudo.

Anche in questo ambiente i giorni di scuola ormai si succedono regolari e pieni di lavoro. Gli allievi con entusiasmo seguono il nuovo corso di studi. Scenda la benedizione di Dio su questa opera iniziata sotto gli auspici del Patrono principale della nostra Congregazione».

E mentre qui una squadra andava sondando la consistenza della roccia destinata a reggere le fondamenta, là un’altra aveva già spiccato il volo e massi squadrati si andavano sovrapponendo gli uni sugli altri, tracciando sul luogo il profilo dell’edificio.

I lavori proseguivano alacremente, potendo evidentemente contare su un numero cospicuo di braccia, su un disegno già ben preordinato, con adeguata assistenza, su condizioni meteorologiche favorevoli, tanto che dopo un mese si ergevano già le linee solenni di questa mole.

Osservando l’incredibile progredire dell’opera, viene naturale pensare non solo alla professionalità delle maestranze e all’organizzazione dei lavori, ma anche alla determinazione e alla volontà risoluta che le incalzava e sosteneva.

II bollettino ci ricorda alcuni dei padri che costituivano la comunità di Possagno:

«L’opera educativa del Rettore [P. Gioachino Sighel] viene coadiuvata dai Padri: Vincenzo Saveri, Vicario; P. Basilio Martinelli, P. Luigi Sighel, P. Francesco Rizzardo, P. Giuseppe Fogarollo, P. Valentino Pozzobon, P. Giuseppe Simioni, P. Francesco Del Favero».

Incredibile a dirsi, nel numero successivo del Charitas del novembre 1949 – gennaio 1950 tutto riprende come se nulla fosse accaduto e si trattasse soltanto di regolare qualche passeggera difficoltà. Eppure il nuovo anno scolastico era iniziato anche per gli alunni già trasferiti nel nuovo edifício del liceo: «Il 19 ottobre 1949 il Collegio tornava a risuonare della sua vita normale al rientro degli alunni delle Scuole elementari e Scuole Medie. II giorno seguente poi senza alcun indugio ‘accademico’». era iniziato l’anno scolastico 1949-50, sia per gli alunni che per gli operai che si impegnavano nei rispettivi compiti cercando di evitare di intralciarsi a vicenda: «II 3 novembre [1949] invece entravano gli alunni delle Scuole Ginnasiali e Liceali. Una speranza di poter «invadere» il nuovo edifício aveva consigliato i Superiori a questo ritardo. Effimera speranza, giacché nel nuovo edifício un lavoro finito richiamava I’urgenza d’un secondo, d’un terzo e cosi via. E così anche il primo mese di scuola passò con un sospiro quotidiano: «A quando?». Scuola regolare però, regolarissima: mai che quei benedetti operai, che andavano e venivano, avessero da dire: «Oggi, qui, in questa aula, c’e da fare… abbiate pazienza». Mai una volta che una giornata rigida oltremodo avesse da impedire la lezione. Solo le vacanze natalizie furono benigne e furono doppiamente gustate quando P. Rettore soprassedette a un brusco rientro tempestivo già fissato in orario. Dopo le vacanze, il 9 gennaio (1950), riprendeva la fatica scolastica maggiormente assidui, per la conclusione del I trimestre.

Com’è andato? Eh! Lacrime e sospiri, gioie e sorrisi come sempre. Però se consideriamo il I. trimestre «un periodo di assestamento, di orientamento, ecco, gli esiti d’oggi fanno sperare bene per domani. Un avvenimento in questo tempo? Sì, c’è, e importante, con un benefico riflesso in tutta la vita del Collegio. Venerdi, 13 gennaio (1950), le classi Ginnasiali «s’acquartierano» definitivamente nell’ala del nuovo Liceo «Calasanzio» per loro costruita; sabato, 14 gennaio, le classi Liceali «prendono d’assalto» le loro agognate camerette. La nuova casa, il nuovo nido è oggi una realtà. Scale, corridoi, scuole, camerette sussultano di vita. Spontaneo viene cuore al labbro un grazie all’architetto comm. Fausto Scudo, al dinamico imprenditore Sig. Antonio Bidorini, all’ing. Furlanetto, (che ha riempito di ricercato tepore tutto l’ambiente con un colossale termosifone), alle maestranze tutte prodigatesi indefessamente, al sig. Pietro, che notte e giorno è corso «all’arrembaggio», per i servizi igienici.

Mancano ancora, s’intende, tante cose, ma il visitatore difficilmente se ne accorge e rimane colpito dall’ariosità e signorilità dell’ambiente. Un nuovo dies in monumentum da iscriversi albo lapillo è spuntato nella storia del Collegio Canova di Possagno, Laus Deo et Mariae».

L’edificio era già popolato, pronto per l’anno scolastico 1949-1950, mancavano però arredi, sanitari, e bisognava accontentarsi di suppellettile di fortuna; insegnanti ed allievi convivevano con operai al lavoro e non mancava certo il da fare per gli uni e per gli altri…

Vita quasi normale, ci racconta il Charitas nel numero di febbraio – maggio 1950, anche se ci sono nuove incombenze a cui pensare: «Al ritorno dalle vacanze pasquali il Ginnasio – Liceo trova una sorpresa: c’è il Commissario desiderato per la parificazione della 1a Liceo. S’intrattiene per tre giorni a visitare le scuole. Le risposte degli scolari anche se un po’ intorbidite dalle vacanze svelano un immancabile fondo di sicurezza e il prof. Talin, Preside del «Flaminio» di Conegliano se ne compiace. Giovedi 12 aprile si licenzia con ogni piu cordiale augurio al neo-Liceo».

E quindi, il sabato 22 aprile 1950, messa solenne in tempio celebrata da P. Alessandro Vianello che al Vangelo con parola ardentíssima rievoca tutta la devozione che i Servi di Dio i Fratelli Cavanis ebbero per il Papa e tutti gli atti paterni con cui il Papa li ripagò.

Poi passeggio. Nel pomeriggio programma pieno. Le terze medie schiacciano per 3 a 0 il… Liceo in una accanita partita di calcio. Alle 16.30 cinema: La leggenda azzurra….

Ecco il riscontro papale al nostro telegramma:

Santo Padre gradito filiale omaggio alunni codesto Collegio in un unico amplesso benedice presenti et assenti unitamente loro Superiori et Maestri. MontiniSostituto

Nel nuovo Ginnasio-Liceo un’altra meta è raggiunta. Questa mattina il P. Rettore cosi, simpliciter, benedice la Cappella. Sul Tabernacolo troneggia una artistica Pietà del Moroder di Ortisei che si fonde armoniosamente con tutto l’insieme. È un insieme riuscitissimo, forse contro ogni aspettativa e la linea moderna qui riesce davvero a far inginocchiare e pregare.

Martedi 9 maggio 1950.

Realizzato l’edificio, la prima cura fu quella delle finiture che non richiedevano certo poco impegno ulteriore dato che tutto doveva naturalmente corrispondere all’ambizione del progetto. II quale nel frattempo si era arricchito di una importante appendice, non arrestando la costruzione al quarto piano, ma provvedendo ad aggiungeme un quinto (piano ammezzato e piano terra ovviamente compresi).

3.6.3 Evoluzione dei corsi e della popolazione scolastica

Il liceo San Giuseppe Calasanzio è un edifício scolastico sito in via degli impianti Sportivi, n. 8. È arrivato a ospitare (degli anni Novanta) fino a cinque licei ad indirizzo Classico, Scientifico, delle Scienze Applicate, Linguistico, delle Scienze Umane. Il numero dei licei è diminuito a quattro nel 2014-15 e in seguito a tre. Attualmente (2020) il liceo Calasanzio ospita tre licei: classico, scientifico e scientifico-tecnologico. Questa in sintesi la vicenda storica:

Nel 1949/50 accolse la prima classe dei Liceo Classico, che fu ospitata per un período iniziale nell’edificio detto “Casa Bombarda”.

Nel 1950/51 ospitava il solo Liceo Clássico

Nel 1976 fu permesso dal Preposito con il suo consiglio di ricevere ragazze assieme ai ragazzi nel liceo, formando così finalmente una scuola mista.

Nel 1982 venne chiuso il convitto, ma gli ultimi convittori rimasero fino all’anno scolastico 1984/85, fino ad esaurimento.

L’edificio

La struttura dei complesso è rimasta pressoché la stessa sin dalla fondazione, lasciando spazio tuttavia a ristrutturazioni che hanno permesso, tra le altre cose, la restituzione progressiva di spazi dedicati al convitto.

Nell’anno 1983 è stato ridisegnato dall’economo padre Giuseppe Francescon e realizzato il nuovo atrio d’ingresso, essendo rettore il padre Diego Dogliani.

A partire dagli anni ‘90 si è cominciata la trasformazione con le seguenti tappe: realizzazione di quattro nuove aule nello spazio dove si trovava la grande Aula Magna; nel 1998 di un laboratorio di informatica, aula e vicepresidenza invece della sala ricreativa al primo piano, infine di un’ampia sala riunioni e teatro nel luogo dove si trovava una palestra. La chiesa è oggi ridotta all’adiacenza in parte estema all’edificio, mentre 1’ambiente è oggi adibito – purtroppo – a laboratorio di chimica.

La messa in sicurezza dell’edificio ha conosciuto alcune tappe fondamentali: nell’anno 1998 è stato realizzato 1’ascensore; nell’anno 2010 è stata realizzata la scala esterna d’emergenza, dedicata a via di fuga.

Presidi nel liceo Calasanzio

  • Preside padre prof. Gioachino Sighel (1949-52)
  • Preside padre prof. Giuseppe Panizzolo (anni 1953-62)
  • Preside Padre Prof. Gioachino Sighel (1962-66)
  • Preside padre prof. Federico Grigolo (1966-71)
  • Preside e Rettore padre prof. Attilio Collotto (Liceo Clássico 1970-2002? e ITC Igea 1971-1993)
  • Preside prof. Benedetto Bortignon (1993-1996, primo preside laico dell’ITC Igea)
  • Preside prof. Ivano Basilio Zordan (2007-2010?)
  • Preside prof. Alessandro Gatto (1996-2012)
  • Preside prof.ssa Sabrina Recco (2012-2015)
  • Preside prof. Ivo Cunial (2015-2019)***

I rapporti tra la casa di Possagno e il municipio di questo paese furono in genere buoni, ma con periodi più difficili, dipendendo dalle varie amministrazioni, e anche dal loro colore politico. Nel 1939 si venne ad una convenzione che regolarizzava, come detto sopra, la situazione mediante una locazione simbolica, di una lira all’anno, per 29 anni rinnovati fino ad oggi (2016). Nel 1957 il comune di Possagno chiese all’Istituto la disponibilità degli ambienti del collegio per istituirvi una scuola professionale, e si rispose negativamente. La questione fu risolta sistemando una piccola scuola di questo tipo in una casa Pigorini sita dall’altra parte dello stradone del tempio canoviano, e affidandone la cura e la presenza Cavanis nella persona del P. Fiorino Basso.

La scuola di Possagno, soprattutto la scuola superiore, attraversò una crisi durante gli anni ’70. Nel ’78 si pensò di chiudere il collegio come convitto, continuando con gli esterni e semiconvittori, ma si soprassedette per alcun tempo. Si decide in seguito di chiudere il convitto o internato per la scuola media già alla fine dell’anno 1982-83; e in modo graduale, ma abbastanza rapido, quello del ginnasio-liceo.

Sulla metà e poi di nuovo alla fine del 1986, la diocesi di Possagno chiese alla Congregazione, in particolare al preposito P. Guglielmo Incerti, di assumere, con impegno temporaneo (triennale) la cura pastorale della parrochia di Possagno. Con qualche perplessità, la proposta e richiesta furono accolte; e P. Fabio Sandri, proposto al vescovo di Treviso dalla Congregazione come amministratore parrocchiale temporaneo e accolto come tale dal vescovo, nell’autunno 1988 assunse la carica di parroco di Possagno, rivivendo in qualche modo l’esperienza storica del venerando P. Giuseppe Da Col. Si trattava però di una richiesta che era stata dichiarata fin dall’inizio provvisoria e di emergenza, e il vescovo ci chiese di ritorno la parrocchia nel 1991, e fu obbedito.

Accanto al collegio Canova, i Cavanis dagli anni Trenta del secolo XX fondarono e costruirono per moduli successivi a Possagno anche la Casa del Sacro Cuore per gli esercizi spirituali e ritiri sul Col Draga, una delle propaggini del massiccio del Grappa, sovrastante Possagno, come si dirà in dettaglio più avanti. Per lunghi periodi a Possagno la Congregazione tenne anche il noviziato e il seminario minore o probandato, su un poggio ai piedi del colle di S. Rocco e della Collina di S. Antonio. Il programma profetico di P. Sebastiano Casara, del P. Da Col e dei loro confratelli, pur tra molte difficoltà, si compì e si compie a fondo fino a oggi.

Non bisogna poi dimenticare che negli anni ’60 si era costruita un’intera ala nuova, adiacente al collegio antico, e che questo edificio cassico aveva subito varie trasformazioni aggiunte di piani e di piccole ali secondarie.

Il 6 marzo 2006 è stata costituita a Possagno l’Associazione “Sola in Deo Sors” Onlus, una libera organizzazione di volontariato, senza fini di lucro, improntata a fini di solidarietà sociale, beneficenza, istruzione, formazione, promozione della cultura e dell’arte, secondo la spiritualità e il carisma dei padri Fondatori.

Un avvenimento di una certa importanza si svolge tra il 2° semestre del 2015 e il 2017, con la ristrutturazione del complesso della casa e della scuola: la comunità religiosa (e soprattutto la casa di riposo per religiosi Cavanis anziani e ammalati) lascia l’edificio antico del collegio e passa a risiedere nell’ultimo piano del Liceo Calasanzio dal 29 agosto 2015, anziché nell’edificio storico, che del resto appartiene al comune di Possagno, come si sa e come si è detto sopra; le scuole elementari sono cedute al comune di Possagno o, se si vuole, riunite a quelle comunali e avranno sede nell’edificio storico di cui sopra. La Congregazione si riserva però l’uso degli ambienti più legati alla storia della comunità, e particolarmente il piano dell’abitazione della comunità (nel settore più antico della stessa; dove tra l’altro si trovano la camera di P. Basilio Martinelli e l’archivio di comunità, oltre alla cappella di comunità; e inoltre, ovviamente la chiesetta del collegio Canova dei SS. Teonisto, Tabra e Tabrata, poi dedicata dall’Istituto anche a S. Giuseppe Calasanzio. Essa contiene anche il sepolcro del benedetto e Venerabile P. Basilio Martinelli, oltre al memoriale (e in parte tomba) di Mons. Sartori-Canova. Da notare che per i Cavanis rimane sempre triste aver perduto, a suo tempo e ingiustamen, la proprietà di questi edifici storici, e ora, con questa ristrutturazione, si rimane perplessi dal trend (pur necessario) di rinunciare di nuovo anche all’uso di molti ambienti del compound, anche le ali “nuove”, costruite a spese dell’Istituto su suolo che non apparteneva più all’Istituto dopo l’incameramento del 1866-67: costruzioni realizzate con poca saggezza e poco spirito di previsione.

Tabella: la comunità di Possagno (1857-2020)

Anno scolastico

Rettore

Preti

Fratelli laici

Seminaristi e osservazioni

1857-58

Giuseppe Da Col

Giuseppe Da Col, Domenico Sapori.

Angelo Facchinelli

—–

1858-59

Giuseppe Da Col

Giuseppe Da Col, Domenico Sapori.

Angelo Facchinelli

—–

1859-60

Giuseppe Da Col

Giuseppe Da Col, Domenico Sapori.

Angelo Facchinelli

—–

1860-61

Giuseppe Da Col

Giuseppe Da Col, Domenico Sapori, Nicolò Morelli

Facchinelli e Giovanni Avi

Novizi:

Augusto Ferrari, Giacomo Barbaro, Giuseppe Sartori, Luigi Piva, Narciso Gretter, Francesco Luteri.

Chierici:

Francesco Bolech, Domenico Piva, Giacomo Martini e Giambattista Larese

1861-62

Giuseppe Da Col

Giuseppe Da Col, Domenico Sapori, Nicolò Morelli

Giovanni Avi

 

1862-63

Giuseppe Da Col

Giuseppe Da Col, Domenico Sapori, Nicolò Morelli

Giovanni Avi

Giovanni Avi muore l’8.1.1863

1863-64

Giuseppe Da Col

Giuseppe Da Col, Domenico Sapori, Nicolò Morelli, Giovanni Chiereghin

?

NB: ma nel 1863 si parla di cinque Cavanis presenti a Possagno: non è poi chiaro, per ora, quali religiosi siano stati ritirati da Possagno da P. Traiber.

1864-65

Giuseppe Bassi

Giuseppe Bassi, Giuseppe Da Col, Domenico Sapori,

  

1865-66

Giuseppe Bassi

Giuseppe Bassi, Giuseppe Da Col, Domenico Sapori,

  

1866-67

Giuseppe Bassi

Giuseppe Bassi, Giuseppe Da Col, Domenico Sapori,

  

1867-68

Giuseppe Bassi

Giuseppe Bassi, Giuseppe Da Col, Domenico Sapori, Francesco Bolech (? In parte)

  

1868-69

Giuseppe Bassi

Giuseppe Bassi, Giuseppe Da Col, Domenico Sapori, Francesco Bolech

Francesco Luteri

Michele Marini e Carlo Simeoni

1869-70

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Narciso Gretter

Luteri

—–

1870-71

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter

Luteri

—–

1871-72

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter

Luteri

—–

1872-73 

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter

Luteri

—–

1873-74

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter

Luteri

—–

1874-75

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter

Luteri

—–

1875-76

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter

Luteri

—–

1876-77

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter

Luteri

—–

1877-78

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter, Nicolò Morelli

Antonio Dalboni

—–

1878-79

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter

Dalboni

—–

1879-80

(Gius. Da Col)

Giuseppe Da Col, Gretter

Dalboni

Vincenzo Rossi

1880-81

Narciso Gretter

Dalboni

Vincenzo Rossi

……….

……….

La casa rimane chiusa

……….

……….

1892-93

Giovanni Ghezzo

Giovanni Ghezzo, Vincenzo Rossi

—–

—–

1993-94

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi

  

1894-95

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi

  

1895-96

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi, Giuseppe Bassi

Clemente Dal Castagné

 

1896-97

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi, Giuseppe Bassi

Clemente Dal Castagné

due aspiranti da Venezia a Possagno

1897-98

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi, Giuseppe Bassi, Basilio Martinelli

Clemente Dal Castagné

due aspiranti da Venezia a Possagno

1898-99

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi, Giuseppe Bassi, Basilio Martinelli

Clemente Dal Castagné

 

1899-00

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi, Giuseppe Bassi, Basilio Martinelli

Clemente Dal Castagné

 

1900-01

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi, Giuseppe Bassi, Basilio Martinelli

Clemente Dal Castagné

quattro aspiranti: Ghirardello (presto espulso), Chesani, Borlando, Agostino Menegoz

1901-02

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi, Giuseppe Bassi, Antonio Dalla Venezia

Clemente Dal Castagné, poi Angelo Furian

aspirantato in crisi, un solo aspirante (Agostino Menegoz)

1902-3

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi,

Angelo Furian

 

1903-04

Vincenzo Rossi

Vincenzo Rossi,

Angelo Furian

 

1904-05

 

Giuseppe Bassi

Angelo Furian

 

1905-06

    

1906-07

    

1907-08

Augusto Tormene

Augusto Tormene, …

  

1908-09

Augusto Tormene

Augusto Tormene, …

  

1909-10

Augusto Tormene

Augusto Tormene, …

  

1910-11

Augusto Tormene

Augusto Tormene,Carlo Simeoni, Agostino Zamattio, Giovanni Rizzardo.

  

1911-12

Augusto Tormene

Augusto Tormene, Carlo Simeoni, Agostino Zamattio, Giovanni Rizzardo.

  

1912-13

Augusto Tormene

Augusto Tormene, Carlo Simeoni, Agostino Zamattio, Giovanni Rizzardo.

  

1913-14

Agostino Zamattio

Agostino Zamattio, Carlo Simeoni, Basilio Martinelli, Giovanni Rizzardo.

  

1914-15

Agostino Zamattio

Agostino Zamattio, Carlo Simeoni, Basilio Martinelli, Giovanni D’Ambrosi.

Bortolo Fedel

 

1915-16

Agostino Zamattio

Agostino Zamattio, Carlo Simeoni, Basilio Martinelli, Giovanni D’Ambrosi.

Bortolo Fedel

 

1916-17

Agostino Zamattio

Agostino Zamattio, Carlo Simeoni, Antonio Dalla Venezia, Carlo Simeoni, Giovanni D’Ambrosi

Bortolo Fedel

 

1917(-18)

(Agostino Zamattio)

(Agostino Zamattio, Antonio Dalla Venezia, Carlo Simeoni, Giovanni D’Ambrosi)

(Bortolo Fedel, Vincenzo Faliva)

 

(1918-)1919

Agostino Zamattio pro-rettore

Agostino Zamattio, Giovanni D’Ambrosi

Angelo Furian

dal 12.2.1919 si riapre la casa ma non ancora il collegio con la comunità citata a lato

1919-20

Agostino Zamattio,

pro-rettore di “casa non formata” e rettore del collegio.

Agostino Zamattio, Enrico Perazzolli (anche assistente del probandato), Amedeo Fedel

Angelo Furian,

e come aspirante e collaboratore don Marco [Luigi] D’Este

1920-21

Agostino Zamattio

Agostino Zamattio, Enrico Perazzolli, Amedeo Fedel (e don Marco D’Este)

 

Probandato, chiamato anche seminarietto, collegetto ecc.

1921-22

Agostino Zamattio

Agostino Zamattio, Mario Janeselli, Alessandro Vianello (assistente degli aspiranti), Arturo Zanon (e don Marco D’Este)

 

Probandato, chiamato anche seminarietto, collegetto ecc.

Da notare che, morto a Ve P. Augusto Tormene il 20.12.1921, P. Agostino Zamattio passa a Venezia come preposito e rettore.

1922-23

Basilio Martinelli, pro-rettore

Basilio Martinelli, Mario Janeselli (vice rettore del collegio; il rettore rimane il P. Agostino Zamattio, preposito, pur abitando a Venezia), Alessandro Vianello, addetto al probandato

Sebastiano Barbot, dal 16.2.1923

Probandato, chiamato anche seminarietto, collegetto ecc.

1923-24

Basilio Martinelli (pro-rettore della comunità e maestro dei novizi)

Basilio Martinelli, Mario Janeselli (vice rettore del collegio; il rettore rimane il P. Agostino Zamattio, preposito), Alessandro Vianello, P. Vincenzo Saveri, già ordinato prete ma in IV teologia, a Possagno per aiutare; probabilmente Enrico Perazzolli per salute.

Giuseppe Vedovato, già dal marzo 1923 al settembre 1924, quando passa a Sacca Sessola.

Probandato in costruzione

1924-25

Basilio Martinelli

Probabilmente: Basilio Martinelli, Mario Janeselli, Alessandro Vianello, addetto al probandato, Vincenzo Saveri

  

1925-26

Basilio Martinelli (pro-rettore)

Basilio Martinelli, Giovanni Rizzardo, Mario Janeselli, Alessandro Vianello, addetto al probandato, Vincenzo Saveri.

P. Agostino Zamattio, preposito, domanda e non ottiene che la casa di Possagno diventi casa formata.

 

NB: Il consiglio definitoriale del 20.7.1925 è stato particolarmente confuso e così il suo verbale. Rimangono molti dubbi sulla distribuzione dei religiosi nelle case

1926-27

Antonio Dalla Venezia?

Antonio Dalla Venezia, Basilio Martinelli, Giovanni Rizzardo, Alessadro Vianello, Mario Janeselli, Vincenzo Saveri?

Sebastiano Barbot

 

1927-28

Giovanni Rizzardo

Giovanni Rizzardo, Antonio Dalla Venezia, Basilio Martinelli, Alessandro Vianello, Mario Janeselli, Antonio Eibenstein.

Don Marco D’Este

Sebastiano Barbot

La casa di Possagno diviene “casa formata”

Don Marco, prete diocesano veneziano, ospite e collaboratore, lascia la Casa di Possagno, richiamato a Venezia dal Patriarca.

1928-29

Giovanni D’Ambrosi

Giovanni D’Ambrosi, Antonio Eibenstein, Antonio Dalla Venezia, Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli, Pellegrino Bolzonello (maestro del probandato)

Sebastiano Barbot, Vincenzo Faliva, e Giorgio Vanin (per qualche mese)

Due chierici teologi: Antonio Cristelli e Giovanni Tamanini.

1929-30

Giovanni D’Ambrosi

Giovanni D’Ambrosi, Antonio Eibenstein, Antonio Dalla Venezia, Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli, Pellegrino Bolzonello

P. Dalla Venezia muore il 24.12.1929

Sebastiano Barbot, Faliva, Angelo Furian

Due chierici teologi

P. Dalla Venezia muore il 24.12.1929

1930-31

Giovanni D’Ambrosi

Giovanni D’Ambrosi, Antonio Eibenstein, Giovanni Battista Piasentini, Luigi Janeselli (direttore del probandato), Pellegrino Bolzonello

Sebastiano Barbot, Vincenzo Faliva

Due chierici teologi

1931-32

Giovanni Battista Piasentini

Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli, Luigi Janeselli, Alessandro Vianello (in riposo), Valentino Fedel, Antonio Cristelli

Angelo Furian, Sebastiano Barbot, Ausonio Bassan

Chierici Gioachino Tomasi, Federico Sottopietra, Cesarino (sic) Turetta, rimasti a Possagno per fungere da assistenti di disciplina del collegio, pur continuando (in qualche modo) gli studi teologici.

1932-33

Giovanni Battista Piasentini

Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli, Luigi Janeselli, Alessandro Vianello, Valentino Fedel, Antonio Cristelli

Angelo Furian, Sebastiano Barbot, Ausonio Bassan

Chierici Gioachino Tomasi, Federico Sottopietra, Cesarino (sic) Turetta

1933-34

Giovanni Battista Piasentini

Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli, Lino Janeselli, Alessandro Vianello, Valentino Fedel, Antonio Cristelli

Angelo Furian, Sebastiano Barbot, Ausonio Bassan, Giorgio Vanin

Alcuni chierici, non nominati

1934-35

Giovanni Battista Piasentini

Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli, Alessandro Vianello, Antonio Cristelli. Antonio Eibenstein, Luigi Ferrari

Angelo Furian, Sebastiano Barbot, Ausonio Bassan, Giorgio Vanin, Olivo Bertelli

Luigi D’Andrea, Pio Pasqualini e Ferruccio Vianello

1935-36

Giovanni Battista Piasentini

Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli, Alessandro Vianello, Antonio Cristelli. Antonio Eibenstein, Luigi Ferrari, Bruno Marangoni, Amedeo Fedel, Angelo Sighel, Federico Sottopietra

Angelo Furian, Sebastiano Barbot, Ausonio Bassan, Giorgio Vanin, Olivo Bertelli

I chierici sono riportati a Venezia e si interrompe la presenza di alcuni di loro a Possagno.

1936-37

Giovanni Battista Piasentini

Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli, Giovanni Rizzardo, Alessandro Vianello, Antonio Cristelli. Antonio Eibenstein, Bruno Marangoni, Angelo Sighel, Federico Sottopietra, Livio Donati, Aldo Servini

Angelo Furian, Sebastiano Barbot, Ausonio Bassan, Giorgio Vanin, Enrico Cognolato

 

1937-38

Giovanni Battista Piasentini

Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli (vicario), Rizzardo (prefetto delle scuole), Mansueto Janeselli (economo), Valentino Fedel, Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Livio Donati, Aldo Servini

Sebastiano Barbot, Giorgio Vanin, Olivo Bertelli

 

1938-39

Giovanni Battista Piasentini

Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli (vicario), Giovanni Rizzardo (prefetto delle scuole), Mansueto Janeselli (economo), Riccardo Janeselli, Bruno Marangoni, Livio Donati, Aldo Servini, Ferruccio Vianello.

I tre padri Angelo Sighel, Gioacchino Sighel e Valentino Fedel appartengono alla comunità di Possagno, ma sono distaccati d’ora in poi all’Istituto Filippin.

Sebastiano Barbot, Giorgio Vanin, Olivo Bertelli

 

1939-40

Giovanni Battista Piasentini

Giovanni Battista Piasentini, Basilio Martinelli (vicario), Giovanni Rizzardo (2° cons.), Mansueto Janeselli, Angelo Pillon (economo), Riccardo Janeselli, Bruno Marangoni, Ferruccio Vianello, Angelo Guariento.

Sebastiano Barbot, Giorgio Vanin, Olivo Bertelli

 

1940-41

Antonio Eibenstein

Antonio Eibenstein, Pellegrino Bolzonello (Vicario e incaricato della casa del S. Cuore), Mansueto Janeselli, Valentino Fedel, Marangoni, Federico Grigolo, Ferruccio Vianello, Angelo Guariento.

Sebastiano Barbot, Giorgio Vanin, Olivo Bertelli

 

1941-42

Antonio Eibenstein

Antonio Eibenstein, Pellegrino Bolzonello (Vicario e incaricato della casa del S. Cuore), Basilio Martinelli, Giovanni Rizzardo, Riccardo Janeselli, Vittorio Cristelli, Bruno Marangoni, Luigi Ferrari

Sebastiano Barbot, Giorgio Vanin, Olivo Bertelli?

 

1942-43

Antonio Eibenstein

Antonio Eibenstein, Pellegrino Bolzonello (Vicario e incaricato della casa del S. Cuore), Basilio Martinelli, Giovanni Rizzardo, Riccardo Janeselli, Vittorio Cristelli, Bruno Marangoni, Luigi Ferrari, Guerrino Molon, Pio Pasqualini

Sebastiano Barbot, Olivo Bertelli?

 

1943-44

Pellegrino Bolzonello

Pellegrino Bolzonello, Mario Janeselli (vicario e primo cons.), Amedeo Fedel, Luigi Janeselli (secondo cons.), Gioacchino Sighel, Angelo Pillon (economo), Pio Pasqualini, Federico Grigolo, Giuseppe Fogarollo, e, “come ospite”, Giovanni Battista Piasentini, direttore della casa del S. Cuore.

???

 

1944-45

Pellegrino Bolzonello

Pellegrino Bolzonello, Mario Janeselli (vicario e primo cons.), Luigi Janeselli (secondo cons.), Lino Janeselli (economo), Gioacchino Sighel, Enrico Franchin, Federico Grigolo, Giuseppe Fogarollo, Vittorio Cristelli

???

P. Giovanni Battista Piasentini, direttore della casa del S. Cuore, passa ad abitare in quella casa.

Da una lettera del rettore di Possagno al consigliere generale P. Mario Janeselli, risulta che già a quel tempo i chierici passavano le vacanze a Possagno, dedicandosi all’assistenza ai convittori.

1945-46

Pellegrino Bolzonello

Pellegrino Bolzonello, (pro-vicario e primo cons.), Basilio Martinelli, Luigi Janeselli (secondo cons.), Lino Janeselli (economo), Gioacchino Sighel, Enrico Franchin, Federico Grigolo, Giuseppe Fogarollo

???

 

1946-47

Gioacchino Sighel

Gioacchino Sighel (rettore), Luigi Janeselli (vicario), Basilio Martinelli, Antonio Turetta (economo), Francesco Rizzardo, Guerrino Molon, Giuseppe Fogarollo, Bruno Marangoni, Valentino Pozzobon, Angelo Guariento

  

1947-48

Gioacchino Sighel

Gioacchino Sighel (rettore), Luigi Janeselli (vicario), Basilio Martinelli, Antonio Turetta (economo), Enrico Franchin, Francesco Rizzardo, Guerrino Molon, Giuseppe Fogarollo, Bruno Marangoni, Valentino Pozzobon, Angelo Guariento

  

1948-49

Gioacchino Sighel

Gioacchino Sighel (rettore), Basilio Martinelli, Antonio Turetta (economo), Enrico Franchin, Francesco Rizzardo, Guerrino Molon, Giuseppe Fogarollo, Giuseppe Simioni, Bruno Marangoni, Angelo Guariento, Francesco del Favero

Sebastiano Barbot, Luigi Santin

 

1949-50

Gioacchino Sighel

Gioacchino Sighel (rettore e prefetto delle scuole), Vincenzo Saveri (1° cons., vicario ed economo), Francesco Rizzardo (2° cons.), Basilio Martinelli, Alessandro Valeriani, Giuseppe Fogarollo, Valentino Pozzobon, Igino Pagliarin, Francesco Dal Favero, Giuseppe Simioni

Sebastiano Barbot, Luigi Santin

 

1950-51

Gioacchino Sighel

Gioacchino Sighel (rettore e prefetto delle scuole), Vincenzo Saveri (1° cons., vicario ed economo), Francesco Rizzardo (2° cons.), Basilio Martinelli, Alessandro Valeriani, Valentino Pozzobon, Igino Pagliarin, Giuseppe Panizzolo, Giuseppe Colombara, Francesco Dal Favero, Giuseppe Simioni

Sebastiano Barbot, Luigi Santin

 

1951-52

Gioacchino Sighel

Gioacchino Sighel (rettore e prefetto delle scuole), Vincenzo Saveri (1° cons., vicario ed economo), Francesco Rizzardo (2° cons.), Basilio Martinelli, Antonio Eibenstein, Alessandro Valeriani, Luigi Ferrari, Valentino Pozzobon, Marco Cipolat, Igino Pagliarin, Armando Manente, Giuseppe Colombara, Francesco Dal Favero, Luigi Pinese

Sebastiano Barbot, Luigi Santin

 

1952-53

Francesco Rizzardo

Francesco Rizzardo (rettore), Gioachino Tomasi (1° cons., vicario e preside), Antonio Turetta (2° cons.), Giuseppe Pagnacco (economo), Basilio Martinelli, Antonio Eibenstein, Alessandro Valeriani, Pio Pasqualini, Valentino Pozzobon, Marco Cipolat, Igino Pagliarin, Armando Manente, Giuseppe Colombara, Ugo del Debbio, Francesco Dal Favero, Luigi Pinese

Sebastiano Barbot, Luigi Santin e un altro fratello

 

1953-54

Giuseppe Panizzolo

Giuseppe Panizzolo (rettore e prefetto delle scuole), Antonio Eibenstein (1° cons. e vicario), Basilio Martinelli, Luigi Janeselli, Federico Sottopietra, Gioachino Tomasi (2° cons.), Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Enrico Franchin, Federico Grigolo, Ermenegildo Zanon, Pietro Mayer, Ugo Del Debbio, Giuseppe Pagnacco (economo), Primo Zoppas, Vittorio Di Cesare, Angelo Zaniolo

Sebastiano Barbot, Edoardo Bortolamedi, Guerrino Zacchello

P. Francesco Rizzardo presenta le dimissioni, e così gli altri ufficili della casa, per lasciare libero il Preposito di rinnovare le nomine.

1954-55

Giuseppe Panizzolo

Giuseppe Panizzolo (rettore e prefetto delle scuole), Antonio Eibenstein (1° cons. e vicario), Basilio Martinelli, Luigi Janeselli, Federico Sottopietra, Gioachino Tomasi (2° cons.), Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Enrico Franchin, Federico Grigolo, Ermenegildo Zanon, Pietro Mayer, Ugo Del Debbio, Giuseppe Pagnacco (economo), Primo Zoppas, Vittorio Di Cesare, Angelo Zaniolo

Sebastiano Barbot, Guerrino Zacchello

 

1955-56

Giuseppe Panizzolo

Giuseppe Panizzolo (rettore e prefetto delle scuole), Enrico Franchin (1° cons. e vicario), Antonio Cristelli (2° cons. e delegato per il liceo), Basilio Martinelli, Luigi Janeselli, Antonio Eibenstein, Federico Sottopietra, Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Andrea Galbussera, Ugo Del Debbio, Fiorino Basso, Giuseppe Pagnacco (economo), Primo Zoppas, Vittorio Di Cesare, Angelo Zaniolo, Natale Sossai, Francesco Giusti

Sebastiano Barbot, Roberto Feller, Guerrino Zacchello

 

1956-57

Giuseppe Panizzolo

Giuseppe Panizzolo (rettore e prefetto delle scuole), Enrico Franchin (1° cons. e vicario), Antonio Cristelli (2° cons. e delegato per il liceo), Basilio Martinelli, Luigi Janeselli, Antonio Eibenstein, Federico Sottopietra, Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Andrea Galbussera, Ugo Del Debbio, Guerrino Molon, Fiorino Basso, Giuseppe Pagnacco (economo), Primo Zoppas, Angelo Zaniolo, Natale Sossai, Francesco Giusti, Diego Dogliani, Orfeo Mason

Sebastiano Barbot, Roberto Feller, Guerrino Zacchello

 

1957-58

Giuseppe Panizzolo

Giuseppe Panizzolo (rettore e prefetto delle scuole), Enrico Franchin (1° cons. e vicario), Antonio Cristelli (2° cons. e delegato per il liceo), Basilio Martinelli, Luigi Janeselli, Antonio Eibenstein, Federico Sottopietra, Pio Pasqualini, Andrea Galbussera, Ugo Del Debbio, Guerrino Molon, Fiorino Basso, Giuseppe Pagnacco (economo), Primo Zoppas, Angelo Zaniolo, Natale Sossai, Francesco Giusti, Diego Dogliani

Sebastiano Barbot, Roberto Feller, Guerrino Zacchello

 

1958-59

Giuseppe Panizzolo

Giuseppe Panizzolo (rettore e prefetto delle scuole), Antonio Cristelli (1° cons. e vicario), Basilio Martinelli, Luigi Janeselli (2° cons.), Gioacchino Sighel, Federico Sottopietra, Antonio Turetta, Luigi Sighel, Guerrino Molon, Valentino Pozzobon, Igino Pagliarin, Riccardo Zardinoni, Ottorino Villatora, Fiorino Basso, Giuseppe Pagnacco (economo), Augusto Taddei, Lino Carlin

Sebastiano Barbot, Roberto Feller, Luigi Di Ricco

 

1959-60

Giuseppe Panizzolo

Giuseppe Panizzolo (rettore e prefetto delle scuole), Antonio Cristelli (1° cons. e vicario), Basilio Martinelli, Luigi Janeselli (2° cons.), Gioacchino Sighel, Federico Sottopietra, Antonio Turetta, Luigi Sighel, Guerrino Molon, Valentino Pozzobon, Igino Pagliarin, Riccardo Zardinoni, Ottorino Villatora, Fiorino Basso, Giuseppe Pagnacco (economo), Augusto Taddei, Lino Carlin

Sebastiano Barbot, Roberto Feller, Luigi Di Ricco

 

1960-61

Giuseppe Panizzolo

Giuseppe Panizzolo (rettore e prefetto delle scuole), Antonio Cristelli (1° cons. e vicario), Basilio Martinelli, Luigi Janeselli (2° cons.), Gioacchino Sighel, Federico Sottopietra, Antonio Turetta, Luigi Sighel, Guerrino Molon, Valentino Pozzobon, Igino Pagliarin, Riccardo Zardinoni, Ottorino Villatora, Fiorino Basso, Giuseppe Pagnacco (economo), Augusto Taddei, Lino Carlin

Sebastiano Barbot, Roberto Feller, Luigi Di Ricco

 

1961-62

Gioacchino Sighel

Gioacchino Sighel (rettore), Gioachino Tomasi (1° cons. e vicario), Federico Grigolo (2° cons.), Angelo Guariento (economo), Basilio Martinelli, Michele Busellato, Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Antonio Eibenstein, Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Vittorio Cristelli, Ermenegildo Zanon, Luigi Pinese, Vittorio Di Cesare, Tullio Antonello, Mauro Verger, Giuseppe Pagnacco, Augusto Taddei, Guglielmo Incerti, Silvano Mason

Sebastiano Barbot, Roberto Feller, Luigi Di Ricco ???

 

1962-63

Gioacchino Sighel

Gioacchino Sighel (rettore), Gioachino Tomasi (1° cons. e vicario), Federico Grigolo (2° cons.), Angelo Guariento (economo), Michele Busellato, Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Antonio Eibenstein, Guido Cognolato, Federico Sottopietra, Pio Pasqualini, Vittorio Cristelli, Igino Pagliarin, Luigi Pinese, Vittorio Di Cesare, Tullio Antonello, Guglielmo Incerti, Silvano Mason

Sebastiano Barbot, Luigi Gant, Giuseppe (Corazza?)

 

1963-64

Gioacchino Sighel

Gioacchino Sighel (rettore), Gioachino Tomasi (1° cons. e vicario), Federico Grigolo (2° cons.), Angelo Guariento (economo), Luigi Janeselli, Guido Cognolato, Federico Sottopietra, Pio Pasqualini, Vittorio Cristelli, Igino Pagliarin, Armando Soldera, Antonio Magnabosco, Vittorio Di Cesare, Tullio Antonello, Guglielmo Incerti, Bruno Consani

  

1964-65

Vittorio Di Cesare

Vittorio Di Cesare (rettore), Luigi Ferrari (vicario, 1° cons.), Michele Busellato, Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Antonio Eibenstein, Federico Sottopietra, Antonio Turetta, Alessandro Valeriani, Pio Pasqualini, Federico Grigolo (2° cons.), Armando Manente, Antonio Magnabosco, Giuseppe Pagnacco (economo), Angelo Moretti, Bruno Consani, Silvano Mason

Sebastiano Barbot, Edoardo Bartolamedi, Adelino Canuto

 

1965-66

Vittorio Di Cesare

Vittorio Di Cesare (rettore), Alessandro Valeriani (vicario, 1° cons.), Federico Grigolo, Antonio Turetta, Pio Pasqualini, Antonio Magnabosco, Armando Manente, Francesco Giusti, Ferruccio Vianello, Luigi Janeselli, Federico Sottopietra, Giuseppe Pagnacco (economo), Igino Pagliarin, Valentino Fedel, Natale Sossai, Angelo Moretti, Bruno Consani, Silvano Mason

Sebastiano Barbot, Edoardo Bartolamedi, Adelino Canuto

 

1966-67

Vittorio Di Cesare

Vittorio Di Cesare (rettore), Alessandro Valeriani (vicario, 1° cons.), Federico Grigolo, Antonio Turetta, Pio Pasqualini, Antonio Magnabosco, Armando Manente, Francesco Giusti, Ferruccio Vianello, Luigi Janeselli, Federico Sottopietra, Giuseppe Pagnacco (economo), Igino Pagliarin, Valentino Fedel, Natale Sossai, Angelo Moretti, Bruno Consani,

Sebastiano Barbot, Edoardo Bartolamedi, Adelino Canuto

 

1967-68

Vittorio Di Cesare

Vittorio Di Cesare (rettore e prefetto delle scuole), Fedrico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara (2° cons.), Giuseppe Pagnacco (economo), Valentino Fedel, Angelo Moretti, …

Sebastiano Barbot,

Il resto probabilmente è come nel 1968-69, di cui finora non si è trovato registro.

1968-69

Vittorio Di Cesare

Vittorio Di Cesare (rettore e prefetto delle scuole), Fedrico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara (2° cons.), Giuseppe Pagnacco (economo), Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Luigi Sighel, Giuseppe Simioni, Ermenegildo Zanon, Francesco Del Favero, Primo Zoppas, Sergio Vio, Danilo Baccin, Angelo Moretti, Siro Marchet, Silvano Mason

Sebastiano Barbot, Aldo Menghi

 

1969-70

Vittorio Di Cesare

Vittorio Di Cesare (rettore e prefetto delle scuole), Fedrico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara (2° cons.), Giuseppe Pagnacco (economo), Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Luigi Sighel, Giuseppe Simioni, Ermenegildo Zanon, Francesco Del Favero, Primo Zoppas, Sergio Vio, Danilo Baccin, Angelo Moretti, Siro Marchet, Silvano Mason

Sebastiano Barbot, Aldo Menghi

 

1970-71

Angelo Moretti

Angelo Moretti (rettore), Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Gioacchino Sighel, Marco Cipolat, Federico Sottopietra, Guido Cognolato, Pio Pasqualini (padre spirituale), Vittorio Cristelli, Luigi Sighel, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Ermenegildo Zanon, Francesco Del Favero (economo), Armando Manente, Angelo Trevisan, Luigi Toninato, Attilio Collotto (2° cons.), Siro Marchet, Danilo Baccin, Feliciano Ferrari, Silvano Mason

Sebastiano Barbot, Olivo Bertelli

 

1971-72

Angelo Moretti

Angelo Moretti (rettore), Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Gioacchino Sighel, Marco Cipolat, Federico Sottopietra, Guido Cognolato, Luigi Candiago, Pio Pasqualini (padre spirituale), Vittorio Cristelli, Luigi Sighel, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Ermenegildo Zanon, Francesco Del Favero, Armando Manente, Attilio Collotto (2° cons.), Danilo Baccin, Siro Marchet, Feliciano Ferrari, Silvano Mason, Liberio Andreatta

Sebastiano Barbot, Olivo Bertelli

 

1972-73

Angelo Moretti

Angelo Moretti (rettore), Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Gioacchino Sighel, Angelo Sighel, Marco Cipolat, Federico Sottopietra, Guido Cognolato, Luigi Candiago, Pio Pasqualini (padre spirituale), Vittorio Cristelli, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Francesco Del Favero, Armando Manente, Attilio Collotto (2° cons.), Danilo Baccin, Siro Marchet, Feliciano Ferrari, Bruno Consani, Silvano Mason, Liberio Andreatta

Sebastiano Barbot, Luigi Gant, Adelino Canuto

 

1973-74

Giuseppe Simioni

Giuseppe Simioni (rettore), Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Gioacchino Sighel, Angelo Sighel, Marco Cipolat, Guido Cognolato, Federico Grigolo, Luigi Candiago, Pio Pasqualini, Giuseppe Colombara, Giorgio Dal Pos, Attilio Collotto, Danilo Baccin, Lino Carlin, Siro Marchet, Feliciano Ferrari, Angelo Moretti, Rocco Tomei, Bruno Consani, Silvano Mason, Liberio Andreatta

Sebastiano Barbot, Adelino Canuto

 

1974-75

Giuseppe Simioni

Giuseppe Simioni (rettore), Luigi Janeselli, Valentino Fedel, Gioacchino Sighel, Angelo Sighel, Marco Cipolat, Guido Cognolato, Federico Grigolo, Luigi Candiago, Pio Pasqualini, Giuseppe Colombara, Giorgio Dal Pos, Attilio Collotto, Danilo Baccin, Franco Degan, Lino Carlin, Siro Marchet, Feliciano Ferrari, Angelo Moretti, Bruno Consani, Silvano Mason

Sebastiano Barbot, (Adelino Canuto)

 

1975-76

Attilio Collotto

Attilio Collotto (rettore), Valentino Fedel, Angelo Sighel, Gioachino Tomasi (2° cons.), Guido Cognolato, Pio Pasqualini (Padre spirituale), Ferruccio Vianello, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Franco Degan, Danilo Baccin, Lino Carlin (economo), Siro Marchet, Giulio Avi, Angelo Moretti, Feliciano Ferrari, Bruno Consani, Silvano Mason

Sebastiano Barbot

Dal 10 giugno 1976 abita a Possagno, ospite della comunità Cavanis Mons. P. Govanni Battista Piasentini, vescovo emerito di Chioggia.

1976-77

Attilio Collotto

Attilio Collotto (rettore), Valentino Fedel, Angelo Sighel, Gioachino Tomasi (2° cons.), Guido Cognolato, Pio Pasqualini (Padre spirituale), Ferruccio Vianello, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Franco Degan, Danilo Baccin, Lino Carlin (economo), Siro Marchet, Giulio Avi, Feliciano Ferrari, Bruno Consani, Silvano Mason

Sebastiano Barbot

 

1977-78

Attilio Collotto

Attilio Collotto (rettore), Valentino Fedel, Angelo Sighel, Gioachino Tomasi (2° cons.), Guido Cognolato, Pio Pasqualini (Padre spirituale), Ferruccio Vianello, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Giovanni De Biasio, Arcangelo Vendrame, Franco Degan, Danilo Baccin, Lino Carlin (economo), Siro Marchet, Giulio Avi, Bruno Consani, Silvano Mason, Emilio Gianola

Sebastiano Barbot

 

1978-79

Attilio Collotto

Attilio Collotto (rettore), Valentino Fedel, Angelo Sighel, Gioachino Tomasi (2° cons.), Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Ferruccio Vianello, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Giovanni De Biasio, Arcangelo Vendrame, Franco Degan, Danilo Baccin, Lino Carlin (economo), Siro Marchet, Giulio Avi, Bruno Consani, Silvano Mason, Emilio Gianola

Sebastiano Barbot

 

1979-80

Attilio Collotto

Attilio Collotto (rettore), Valentino Fedel, Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Gioachino Tomasi (padre spirituale), Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Vittorio Cristelli, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Arcangelo Vendrame, Franco Degan, Natale Sossai, Danilo Baccin, Lino Carlin (economo), Siro Marchet, Giulio Avi, Bruno Consani, Emilio Gianola

Sebastiano Barbot

 

1980-81

Attilio Collotto

Attilio Collotto (rettore), Valentino Fedel, Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Gioachino Tomasi (padre spirituale), Guido Cognolato, Pio Pasqualini, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Arcangelo Vendrame, Franco Degan, Natale Sossai, Danilo Baccin, Lino Carlin (economo), Siro Marchet, Giulio Avi, Bruno Consani, Emilio Gianola

Sebastiano Barbot

 

1981-82

Attilio Collotto

Attilio Collotto (rettore), Valentino Fedel, Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Gioachino Tomasi (padre spirituale), Pio Pasqualini, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Colombara, Arcangelo Vendrame, Franco Degan, Natale Sossai, Danilo Baccin, Lino Carlin (economo), Siro Marchet, Giulio Avi, Bruno Consani, Emilio Gianola

Sebastiano Barbot

 

1982-83

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Gioachino Tomasi (padre spirituale), Pio Pasqualini, Vittorio Cristelli, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Attilio Collotto, Natale Sossai (2° cons.), Siro Marchet, Giulio Avi, Emilio Gianola, Giuseppe Francescon

Sebastiano Barbot, Roberto Feller. Guerrino Zacchello

 

1983-84

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Gioachino Tomasi (padre spirituale), Pio Pasqualini, Vittorio Cristelli, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Attilio Collotto, Natale Sossai, Siro Marchet, Mario Zendron, Emilio Gianola, Giuseppe Francescon

Sebastiano Barbot, Guerrino Zacchello

 

1984-85

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Gioachino Tomasi (padre spirituale), Pio Pasqualini, Vittorio Cristelli, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Attilio Collotto, Natale Sossai, Franco Degan, Siro Marchet, Mario Zendron, Giuseppe Francescon

Sebastiano Barbot

 

1985-86

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Mons. P. Giovanni Battista Piasentini, Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Luigi Ferrari, Gioachino Tomasi (padre spirituale), Pio Pasqualini, Vittorio Cristelli, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Attilio Collotto, Natale Sossai, Franco Degan, Lino Carlin, Siro Marchet, Fabio Sandri

Guerrino Zacchello

 

1986-87

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Mons. P. Giovanni Battista Piasentini, Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Luigi Ferrari, Gioachino Tomasi (padre spirituale), Pio Pasqualini, Vittorio Cristelli, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Attilio Collotto, Natale Sossai, Franco Degan, Lino Carlin, Siro Marchet, Fabio Sandri

Guerrino Zacchello

 

1987-88

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Luigi Ferrari, Gioachino Tomasi (padre spirituale), Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Attilio Collotto, Natale Sossai, Franco Degan, Lino Carlin, Siro Marchet, Fabio Sandri

Guerrino Zacchello

 

1988-89

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Pellegrino Bolzonello, Angelo Sighel, Bruno Marangoni, Luigi Ferrari, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Riccardo Zardinoni, Attilio Collotto (cons. generale), Franco Degan, Natale Sossai, Lino Carlin, Siro Marchet, Fabio Sandri (amministratore parrocch. Possagno)

(Guerrino Zacchello, assegnato a questa casa, muore in ottobre 1988)

 

1989-90

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Pellegrino Bolzonello, Angelo Sighel, (Luigi Ferrari, defunto il 5.11.89), Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Riccardo Zardinoni, Attilio Collotto, Franco Degan, Natale Sossai, Lino Carlin, Siro Marchet, Fabio Sandri (amministratore parrocch. Possagno)

—-

 

1990-91

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Pellegrino Bolzonello, Angelo Sighel, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Attilio Collotto, Ermenegildo Zanon, Fiorino Basso, Prino Zoppas, Natale Sossai, Lino Carlin, Siro Marchet

—-

 

1991-92

Natale Sossai,

Natale Sossai (rettore), (Angelo Sighel defunto 29.12.91), Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Riccardo Zardinoni, Ermenegildo Zanon, Attilio Collotto, Fiorino Basso, Lino Carlin, Siro Marchet, Fernando Fietta

Giusto Larvette e (Ettore Perale, destinato in ottobre 1991 alla casa di Asiago, colpito da ictus dopo qualche mese, viene riportato a Possagno).

 

1992-93

Natale Sossai,

Natale Sossai, (rettore), Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Riccardo Zardinoni, Ermenegildo Zanon, Luigi Toninato, Attilio Collotto, Fiorino Basso Lino Carlin, Siro Marchet, Remo Morosin, Fernando Fietta

Giusto Larvette e Ettore Perale (ammalato di ictus)

 

1993-94

Natale Sossai

Natale Sossai, (rettore), Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Riccardo Zardinoni, Luigi Toninato, Attilio Collotto, Fiorino Basso, Lino Carlin, Siro Marchet, Remo Morosin, Fernando Fietta

Giusto Larvette e Ettore Perale (ammalato di ictus)

 

1994-95

Natale Sossai

Natale Sossai, (rettore), Antonio Turetta, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Giuseppe Fogarollo, Riccardo Zardinoni, Narciso Bastianon, Luigi Toninato, Rito Luigi Cosmo, Attilio Collotto, Fiorino Basso, Siro Marchet, Lino Carlin, Fernando Fietta, Remo Morosin

Giusto Larvette e Ettore Perale (ammalato di ictus)

 

1995-96

Natale Sossai

Natale Sossai, (rettore), Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Riccardo Zardinoni, Narciso Bastianon, Luigi Toninato, Attilio Collotto, Fiorino Basso, Siro Marchet, Lino Carlin, Fernando Fietta, Remo Morosin

Giusto Larvette

 

1996-97

Natale Sossai

Natale Sossai, (rettore), P. Gioachino Tomasi, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Riccardo Zardinoni, Narciso Bastianon, Luigi Toninato, Attilio Collotto, Fiorino Basso, Lino Carlin, Fernando Fietta

Giusto Larvette

 

1997-98

Diego Dogliani

Natale Sossai, (rettore), P. Gioachino Tomasi, Federico Grigolo (1° cons. e vicario), Riccardo Zardinoni, Attilio Collotto, Fiorino Basso Lino Carlin, Fernando Fietta

Giusto Larvette

1998-99

Diego Dogliani

Diego Dogliani, Federico Grigolo (vic., 1°cons.),

?***

Giusto Larvette

1999-2000

Diego Dogliani

Diego Dogliani, Federico Grigolo (vic., 1°cons.),

?***

Giusto Larvette

2000-01

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore, cons, prov.), (Gioachino Tomasi), Federico Grigolo (vic., 1°cons.), Giuseppe Maretto, Armando Manente, Attilio Collotto, Fiorino Basso, Mario Zendron, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Fabio Sandri.

Giusto Larvette

(P. Gioachino Tomasi muore in novembre 2000)

2001-02

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Federico Grigolo (vic., 1°cons.), Giuseppe Maretto, Armando Manente, Attilio Collotto, Fiorino Basso, Mario Zendron, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Fabio Sandri.

Giusto Larvette

2002-03

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Federico Grigolo (vic., 1°cons.), Giuseppe Maretto, Armando Manente, Attilio Collotto, Fiorino Basso, Mario Zendron, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Fabio Sandri.

Giusto Larvette

2003-04

Diego Dogliani

Diego Dogliani (rettore), Armando Manente, Attilio Collotto, Fiorino Basso, Mario Zendron, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Fabio Sandri.

Giusto Larvette

2004-05

Attilio Collotto

Attilio Collotto (rettore), Giuseppe Maretto, Armando Manente, Fiorino Basso, Mario Zendron, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Nicola Del Mastro

Don Giusto Larvette

Le case di Possagno e quella di Sappada sono riunite nella famiglia relig. di Canova, S. Cuore e Sappada. Vedi però a parte la loro tabella rispettiva.

2005-06

Attilio Collotto

Attilio Collotto (rettore), Giuseppe Maretto, Armando Manente, Fiorino Basso, Mario Zendron, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Nicola Del Mastro

Giusto Larvette

P. Attilio Collotto muore il 12.9.2006

2006-07

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Giuseppe Maretto, Armando Manente, Fiorino Basso, Mario Zendron, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Nicola Del Mastro

  

2007-08

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore, economo provinciale), Giuseppe Maretto, Armando Manente, Fiorino Basso, Mario Zendron, Diego Beggiao, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Nicola Del Mastro, Emilio Gianola

Giusto Larvette

 

2008-09

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Enrico Franchin, Giuseppe Maretto, Armando Manente, Primo Zoppas, Fiorino Basso, Mario Zendron, Lino Carlin, Guglielmo Incerti, Feliciano Ferrari, Diego Beggiao, Emilio Gianola

Giusto Larvette

 

2009-10

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Enrico Franchin, Giuseppe Maretto, Armando Manente, Raffaele Pozzobon, Primo Zoppas, Mario Zendron, Lino Carlin, Guglielmo Incerti, Feliciano Ferrari, Nicola Del Mastro, Emilio Gianola

Giusto Larvette

P. Nicola Del Mastro risulta anche a

Capezzano Pianore, in circolari del provinciale.

2010-11

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Enrico Franchin, Raffaele Pozzobon, Primo Zoppas, Mario Zendron, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Nicola Del Mastro,

Giusto Larvette

 

2011-12

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore e, dal 2012, rappresentante legale della Congregazione), Enrico Franchin, Primo Zoppas, Mario Zendron, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Nicola Del Mastro, Antonio Armini

Giusto Larvette

 

2012-13

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Enrico Franchin, Giuseppe Colombara, Primo Zoppas, Mario Zendron, Lino Carlin, Bruno Consani, Feliciano Ferrari, Nicola Del Mastro, Antonio Armini

 

2013-14

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Armando Soldera, Primo Zoppas, Artemio Bandiera, Natale Sossai, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Bruno Consani,  Nicola Del Mastro (vicario?), Antonio Armini

 

2014-15

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Primo Zoppas, Armando Soldera, Artemio Bandiera, Natale Sossai, Lino Carlin, Feliciano Ferrari, Bruno Consani, Nicola Del Mastro, Antonio Armini

 

2015-16

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Primo Zoppas, Armando Soldera, Natale Sossai, Feliciano Ferrari, Bruno Consani, Nicola Del Mastro, Antonio Armini

 

2016-17

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Armando Soldera, Natale Sossai, Feliciano Ferrari, Bruno Consani, Nicola Del Mastro, Antonio Armini

(Giuseppe Corazza)

 

2017-18

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Armando Soldera, Natale Sossai, Feliciano Ferrari, Bruno Consani, Nicola Del Mastro, diac. poi P. Héritier Bwene

Giuseppe Corazza

 

2018-19

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (rettore), Armando Soldera, Nicola Zecchin, Feliciano Ferrari, Bruno Consani, Nicola Del Mastro, Héritier Bwene

Giuseppe Corazza

 

2019-2020

Giuseppe Francescon

Giuseppe Francescon (direttore), Armando Soldera, Nicola Zecchin, Feliciano Ferrari, Bruno Consani, Nicola Del Mastro, Diego Spadotto, Jérémie Mundele Nain

Giuseppe Corazza

 

testo

testotestotestotestotestotesto

Il portale cavanis.digital utilizza cookies tecnici o assimilati per rendere più agevole la navigazione e garantire la fruizione dei servizi. Chiudendo questo banner acconsenti all’uso dei cookies.