Titolo: L’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MAGISTERO DI PAOLO VI – Lettura Teologico-Pastorale di Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi
Autore: Mouyéké Misère Tiburce Barbeault
Numero di pagine: 121
Lingua: ITALIANO
Stampa: 2024
Parole Chiave: Evangelizzazione, Vangelo, Paolo VI, Magistero, Missione, Propaganda Fide, Chiesa, Concilio Vaticano II, Ecumenismo, Nuova Evangelizzazione, Comunità ecclesiale, Gaudete in Domino, Evangelii Nuntiandi, Evangelica Testificatio, Dialogo interreligioso, Laici, Carità, Catechesi, Testimonianza cristiana, Giovanni XXIII.
Riassunto: Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi. Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi.
CAPITOLO III – L’EREDITÀ DEL MAGISTERO DI PAOLO VI SULL’ANNUNCIO DEL VANGELO NELLA CHIESA E NEI SUOI SUCCESSORI
INTRODUZIONE
In questo capitolo, la riflessione si svolgerà attorno all’eredità del magistero di Paolo VI, cercando di identificare alcuni capisaldi teologico-pastorali del metodo indicato dal Papa bresciano. In particolare, si cercherà di evidenziarne la ripresa nel magistero dei suoi successori. Ma prima di parlare dell’eredità del magistero di Paolo VI nei suoi successori, pensiamo opportuno mostrare la continuità dello stesso magistero nella prassi ecclesiale dell’annuncio del vangelo. Il vangelo è il più grande dono di cui dispongano i cristiani. Perciò essi devono condividerlo con tutti gli uomini e le donne che sono alla ricerca di ragioni per vivere, di una pienezza della vita⁴⁶¹.
La sensibilità umana, culturale e spirituale di Paolo VI per quella che sarà definita la “civiltà dell’amore” emerge nel suo magistero. Paolo VI ha sempre visto nell’uomo la via a Dio. Con il compito dell’evangelizzazione, la Chiesa fa colloquio con l’uomo e diventa, per sua natura, un segno che orienta l’uomo verso Dio e comunica al mondo il suo disegno di salvezza in Cristo Gesù.
Con lo zelo missionario e l’apertura al mondo moderno, la Chiesa, durante il pontificato di Paolo VI, ha iniziato il cammino verso il dialogo ecumenico e interreligioso in cui l’unità, la comunione e la pace sono gli scopi da giungere. Ma soprattutto, dal magistero di Paolo VI sorge una Chiesa umile che non impone alcuna verità e che impara a dialogare con gli uomini e le donne del suo tempo, rinunciando a privilegi e onori, e facendosi povera con i poveri, ultima con gli ultimi.
In seguito al magistero di Paolo VI sull’annuncio del vangelo, i suoi successori hanno parlato della “nuova evangelizzazione”. Infatti, l’espressione “Nuova Evangelizzazione” venne pronunciata da Giovanni Paolo II per la prima volta nel santuario di Mogila a Nova Huta, il 9 giugno del 1979. Durante il suo pontificato, Benedetto XVI ha voluto istituire con altrettanta carica profetica il Pontificio Consiglio per la Promozione della “Nuova Evangelizzazione”, il 21 settembre 2010. Nel magistero di Papa Francesco, invece, c’è la chiamata ad uscire. Si tratta di una nuova uscita missionaria per raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del vangelo⁴⁶².
3.1 UNA CHIESA UNITA PER ANNUNCIARE IL VANGELO
La caratteristica fondamentale e primaria della Chiesa è quella dell’unità; lo dice il Concilio Vaticano II: “Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, […] Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino. Per una analogia che non è senza valore, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo”⁴⁶³.
Il Concilio Vaticano II insegna che “Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio”⁴⁶⁴. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, “affinché ciascuno di essi sia un fedele dispensatore della parola della verità e faccia opera di predicatore del vangelo, assolvendo alla perfezione il proprio ministero”⁴⁶⁵. Questo significa che “la presentazione del messaggio evangelico non è per la Chiesa un contributo facoltativo: è il dovere che le incombe per mandato del Signore Gesù”⁴⁶⁶, affinché gli uomini possano credere ed essere salvati.
L’unità della Chiesa trova la sua radice nell’unità degli apostoli per la missione. Infatti, Gesù Cristo, l’inviato del Padre, “fin dall’inizio del suo ministero, chiamò a sé quelli che egli Volle […]. Ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare. Da quel momento, essi saranno i suoi inviati⁴⁶⁷. Con gli apostoli, Gesù continua la sua missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”⁴⁶⁸. Il ministero degli apostoli è quindi la continuazione della missione di Gesù: “Chi accoglie voi, accoglie me”⁴⁶⁹. Gesù ha unito gli apostoli per la missione che ha ricevuto dal Padre. Come “il Figlio da sé non può fare nulla”⁴⁷⁰, ma riceve tutto dal Padre che lo ha inviato, così coloro che Gesù invia non possono fare nulla senza di lui⁴⁷¹, dal quale ricevono il mandato della missione e il potere di compierla.
Vi è anche un aspetto permanente della loro missione. Cristo ha promesso di rimanere con loro sino alla fine del mondo⁴⁷². La “missione divina, affidata da Cristo agli apostoli, dovrà durare sino alla fine dei secoli. Per questo gli apostoli ebbero cura di costituirsi dei successori”⁴⁷³. I vescovi sono i successori degli apostoli per continuare la missione dell’annuncio del vangelo. La Chiesa insegna che “i vescovi, per divina istituzione, sono succeduti al posto degli apostoli, quali pastori della Chiesa: chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che Cristo ha mandato”⁴⁷⁴. Tutta la Chiesa in comunione con Cristo è apostolica. La comunione è un altro nome della carità ecclesiale e solo una Chiesa comunione può essere soggetto credibile di evangelizzazione⁴⁷⁵.
3.1.1 ANNUNCIO DEL VANGELO E ZELO MISSIONARIO
La missione della Chiesa si esplica attraverso un’azione tale, per cui essa, in adesione all’ordine di Cristo e sotto l’influsso della grazia e della carità dello Spirito Santo, si fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli con l’esempio della vita, con la predicazione, con i sacramenti e con i mezzi della grazia, alla fede, alla libertà ed alla pace di Cristo⁴⁷⁶.
Il corpo mistico di Cristo raccoglie e dirige ininterrottamente le sue forze per promuovere il proprio sviluppo⁴⁷⁷. A svolgere questa attività, le membra della Chiesa sono sollecitate da quella carità con cui amano Dio e con cui desiderano condividere con tutti gli uomini i beni spirituali della vita presente e della vita futura.
L’attività missionaria è anche intimamente congiunta con la natura umana e con le sue aspirazioni. Difatti, la Chiesa, “per il fatto stesso che annuncia loro il Cristo, rivela agli uomini in maniera genuina la verità intorno alla loro condizione e alla loro vocazione integrale, poiché è Cristo il principio e il modello dell’umanità nuova, cioè di quell’umanità permeata di amore fraterno, di sincerità, di spirito di pace, che tutti vivamente desiderano”⁴⁷⁸.
Cristo e la Chiesa, che a lui con la sua predicazione evangelica rende testimonianza, superano i particolarismi di razza e di nazionalità, sicché a nessuno e in nessun luogo possono apparire estranei. Il Cristo è la verità e la via, che la predicazione evangelica a tutti svela, facendo loro intendere le parole da lui stesso pronunciate: “Convertitevi e credete al Vangelo”⁴⁷⁹.
Lo zelo missionario della Chiesa è da considerare come un atto eroico e di obbedienza al mandato di Cristo. Il Concilio Vaticano II ricorda che è compito della Chiesa proseguire la missione di Cristo, il quale è stato “inviato a portare la buona novella ai poveri; è necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, Egli uscì vincitore”⁴⁸⁰. La missione della Chiesa è “la manifestazione, cioè l’epifania e la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia”⁴⁸¹.
Nella Chiesa, ogni battezzato ha il dovere, per mandato di Cristo, di essere un fedele dispensatore della parola della verità, come suggerisce anche l’apostolo Paolo: “Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina”⁴⁸². Occorre sempre rivitalizzare la missione con la testimonianza della vita cristiana.
Per diventare veri missionari, prima di tutto è vitale che ciascuno conquisti il Regno e la Salvezza “mediante un totale capovolgimento interiore che il vangelo designa col nome di Metanoia, una conversione radicale, un cambiamento profondo della mente e del cuore⁴⁸³, come propone Matteo nel suo vangelo: “Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: ‘Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino’”⁴⁸⁴. Solo in seguito a questa profonda conversione personale, il cristiano può comunicare e diffondere in modo autentico il vangelo.
Lo zelo missionario non consiste soltanto nell’annuncio della fede ricevuta, ma soprattutto nell’annunciare il vangelo nella sua autenticità. Si ricorda che la dimensione ecclesiale dell’annuncio del vangelo costituisce perciò un criterio di verifica dello zelo apostolico. Infatti, Gesù mandò i Dodici ad annunciare il vangelo a due a due: “In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due… E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano”⁴⁸⁵.
3.1.2 ANNUNCIO DEL VANGELO E APERTURA MISSIONARIA
L’apertura missionaria nella Chiesa non è per conquistare i territori, ma per dialogare con i popoli del mondo nelle loro culture rispettive. Con l’apertura missionaria, la Chiesa risponde al mandato di Cristo “di pregare il Padrone della messe perché si degni di inviare sempre più numerosi e volenterosi gli operai a lavorare nel suo campo; e, inoltre, quello di offrire ai prescelti operai evangelici i necessari soccorsi, che consentano ad essi di impegnarsi con tranquillità e speditezza nella loro difficile opera”⁴⁸⁶.
Il Concilio Vaticano II per primo fece lo stesso invito a diffondere il messaggio evangelico ai credenti. Si può ricordare certamente l’insistenza con cui il recente Concilio Ecumenico ha inculcato questo punto: “Ad ogni discepolo di Cristo, senza eccezione, incombe il dovere di spargere, per quanto gli è possibile, la fede”⁴⁸⁷. Il Concilio prosegue in questi termini: “Tutti i figli della Chiesa devono avere la viva coscienza della loro responsabilità di fronte al mondo, devono spendere le loro forze nell’opera di evangelizzazione”⁴⁸⁸.
Il punto focale della Chiesa sull’apertura missionaria è chiaramente questo: Cristo diede ai suoi apostoli un ordine così concreto ed esplicito da escludere qualsiasi possibilità di incertezza circa la sua volontà. Essi devono andare in tutto il mondo, senza escludere alcun luogo, e annunciare la Buona Novella a tutti gli uomini, senza eccezioni di razza o di tempo⁴⁸⁹.
L’annuncio del vangelo è anche fermento per lo sviluppo umano. Infatti, gli araldi del vangelo portano a ogni popolo, con la fedeltà dovuta al patrimonio dell’insegnamento di Cristo e il debito rispetto per le varie culture, quella novella che essi credono essere “l’unica, la vera, la più alta interpretazione della vita umana nel tempo, e oltre il tempo: l’interpretazione cristiana”⁴⁹⁰. Così l’evangelizzazione risponde alle aspirazioni dell’uomo e diventa anche un fermento per lo sviluppo.
Con l’apertura missionaria, la Chiesa va incontro all’uomo nella società e fa sue le parole di San Paolo apostolo: “Non ci vergogniamo del vangelo”⁴⁹¹. Per apertura missionaria si intende anche rispondere alle necessità dei missionari. Quindi bisogna sostenere l’organismo di carità noto come le “Pontificie Opere Missionarie”⁴⁹², chiamato anche l’aiuto del Papa per le missioni. Attraverso queste Opere Pontificie, in ciascun paese, sotto la direzione di zelanti Direttori Nazionali presentati dai Vescovi, si raccolgono ogni anno le offerte del Popolo di Dio, soprattutto nelle collette parrocchiali della Giornata Missionaria.
Si ricorda che l’aspetto essenziale della missione è posto nell’invio ad gentes e viene richiamato il Decreto conciliare laddove dichiara che “fine specifico dell’attività missionaria è l’evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in quei popoli o gruppi, in cui ancora non è radicata”⁴⁹³. Quindi, per chi evangelizza, non deve essere obiettivo prioritario l’estensione geografica: non si tratta soltanto di predicare il vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma di riplasmare alla radice, invece, “i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza”⁴⁹⁴.
Bisogna evitare il pericolo di ridurre la missione della Chiesa alle missioni in alcuni luoghi soltanto e coinvolgente solo alcuni attori ecclesiali, i cosiddetti “missionari”, di interpretare in modo estrinseco la missionarietà della Chiesa rispetto a Cristo Risorto. Nel Decreto Ad Gentes si legge infatti che “la Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre”⁴⁹⁵.
La missione è la gioia di conoscere Dio come Padre e come amore e annunziare agli altri la persona e l’opera di Gesù Cristo, il Figlio unigenito del Padre: “E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”⁴⁹⁶.
3.1.3 ANNUNCIO DEL VANGELO E DIALOGO ECUMENICO
La missione evangelizzatrice non è l’appannaggio di una sola Chiesa cristiana. Infatti, “la comunità dei cristiani non è mai chiusa in sé stessa”⁴⁹⁷. Il messaggio evangelico per tutti i credenti è uno ed unico, da cui nasce la fede. Il punto di partenza per l’annuncio insieme, ecumenicamente, del vangelo è il vincolo dell’amore cristiano. Infatti, Cristo lo dice: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”⁴⁹⁸.
Nell’annunciare insieme il vangelo e nell’andare l’uno incontro all’altro, lo scopo è salvare le persone: “Di fronte alla multiforme mancanza di riferimenti, all’allontanamento dai valori cristiani, ma anche alla variegata ricerca di senso, le cristiane e i cristiani sono particolarmente sollecitati a testimoniare la propria fede”⁴⁹⁹. Insieme a questo annuncio comune, viene sottolineata l’importanza dell’intero popolo di Dio.
Non si tratta di fare proselitismo. Si tratta, invece, di testimoniare con la vita e con la parola il vangelo liberante del Cristo. E attraverso il dialogo ecumenico, tutti i cristiani testimoniano il vangelo di Cristo. Per i cristiani, è un privilegio ed una gioia rendere ragione della speranza che è in loro e farlo con dolcezza e rispetto⁵⁰⁰.
Il dialogo ecumenico è una via di ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani; Paolo VI ne parla con queste parole: “Il ristabilimento dell’unità da promuoversi fra tutti i cristiani, è uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II. Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono sé stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo. Tutti invero asseriscono di essere discepoli del Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso. Tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del vangelo ad ogni creatura”⁵⁰¹.
Dio stesso per primo ha iniziato a dialogare con l’uomo; il vangelo di Giovanni lo conferma: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio… Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria…”⁵⁰².
L’apostolo Paolo spiega il perché dell’ecumenismo e del dialogo: “Un solo corpo e un solo Spirito, come anche con la vostra vocazione siete stati chiamati a una sola speranza. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo… Tutti voi siete uno in Cristo Gesù”⁵⁰³.
I fedeli cattolici, nell’azione ecumenica, si mostrano senza esitazione pieni di sollecitudine per i loro fratelli separati, pregando per loro, parlando con loro delle cose della Chiesa, facendo i primi passi verso di loro. E innanzitutto devono essi stessi, con sincerità e diligenza, considerare ciò che deve essere rinnovato e realizzato “nella stessa famiglia cattolica”⁵⁰⁴, affinché la sua vita renda una testimonianza più fedele e più chiara della dottrina e delle istituzioni tramandate da Cristo per mezzo degli apostoli.
3.1.4 ANNUNCIO DEL VANGELO E DIALOGO INTERRELIGIOSO
Il dialogo interreligioso è un elemento integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa. Infatti, il Concilio Vaticano II insegna che i discepoli di Cristo, mantenendosi in stretto contatto con gli uomini nella vita e nell’attività, sperano di offrir loro una vera testimonianza di Cristo e di lavorare alla loro salvezza, anche là dove non possono annunciare pienamente il Cristo⁵⁰⁵.
Il dialogo interreligioso e l’annuncio del vangelo, anche se si situano su livelli diversi, sono entrambi elementi autentici della missione evangelizzatrice della Chiesa. Sono entrambi legittimi e necessari. Il dialogo interreligioso e l’annuncio del vangelo sono profondamente correlati, ma non intercambiabili: il vero dialogo religioso presuppone, da parte dei cristiani, il desiderio di conoscere meglio, riconoscere e amare Gesù Cristo; l’annuncio di Gesù Cristo deve essere portato avanti nello spirito evangelico del dialogo⁵⁰⁶.
Nel compiere la sua missione di annuncio del vangelo, la Chiesa entra in contatto con persone di altre tradizioni religiose. Qualsiasi caso ci si trovi di fronte, la missione della Chiesa si estende a tutti. Si può vedere come la Chiesa possa avere un luogo profetico nel dialogo anche in relazione alle religioni cui le persone alle quali essa si rivolge appartengono: testimoniando i valori del vangelo, essa fa nascere degli interessi rogativi all’interno di queste religioni⁵⁰⁷.
La Chiesa incoraggia e promuove il dialogo non solo tra sé stessa e le altre tradizioni religiose, ma anche quello tra le varie tradizioni religiose stesse. Questa è una via nella quale essa svolge il suo ruolo come un “sacramento, vale a dire uno strumento di comunione con Dio e di unità tra tutti i popoli”⁵⁰⁸. Essa è esortata dallo Spirito a incoraggiare tutte le istituzioni e i movimenti religiosi a incontrarsi, a entrare in collaborazione e a purificare sé stessi al fine di promuovere la verità e la vita, la santità, la giustizia, l’amore e la pace, le dimensioni di quel Regno che, alla fine dei tempi, Cristo riconsegnerà a suo Padre⁵⁰⁹.
Con il dialogo interreligioso, i fedeli delle altre religioni, come anche i cristiani, possono scoprire che vi sono già molti valori condivisi. I cristiani però devono essere sempre coscienti dell’influsso dello Spirito Santo ed essere pronti a seguire il suo impulso in qualsiasi luogo. È lo Spirito che guida la missione evangelizzatrice della Chiesa. In questo modo, le parti coinvolte nel dialogo procedono in sintonia con la chiamata divina di cui essi sono coscienti.
È nel clima di attesa e di ascolto allo Spirito Santo che la Chiesa e i cristiani affrontano l’annuncio del vangelo e il dialogo interreligioso. I cristiani devono essere consapevoli del fatto che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”⁵¹¹. Dio è Padre di tutti, che si è rivelato in Gesù Cristo. Gesù è il modello nell’impegno dell’annuncio del vangelo e nel dialogo. È Gesù che può ancora oggi dire a una persona sinceramente religiosa: “Non sei lontano dal Regno di Dio”⁵¹².
3.1.5 ANNUNCIO DEL VANGELO E CIVILTÀ DELL’AMORE
La civiltà dell’amore è una espressione creata da Paolo VI e appartiene al linguaggio corrente della Chiesa. Paolo VI ha parlato, per la prima volta, della civiltà dell’amore nel giorno di Pentecoste 1970⁵¹³. Rivolgendosi alla folla dal suo balcone, egli ha detto: “È la civiltà dell’amore e della pace che la Pentecoste ha inaugurata, e tutti sappiamo quanto il mondo d’oggi abbia bisogno di amore e di pace”⁵¹⁴. Questa espressione di Paolo VI è stata in seguito costantemente ripresa e ripetuta sia di fronte a uditori cattolici, sia in incontri internazionali.
Il Papa bresciano è stato definito il profeta della civiltà dell’amore. Egli invocava questa civiltà, perché era convinto che l’uomo, che ha conquistato l’universo, è rimasto senza cuore per amare e ricevere amore. Nel pensiero del Romano Pontefice, non esiste un vero umanesimo e una vera civiltà senza Dio, senza Cristo, senza Chiesa⁵¹⁵.
Nell’Enciclica Ecclesiam Suam, promulgata nel 1964, dice che la Chiesa vive nell’umanità, in un rapporto di dare e ricevere⁵¹⁶. La Chiesa è dunque dentro l’umanità per servirla, per instaurare con essa un dialogo di salvezza. In altre parole, la Chiesa è un prolungamento dell’incarnazione di Cristo e si rivolge a un mondo che in parte ha subito profondamente l’influsso del cristianesimo, ma poi se ne è distaccato.
Il mondo contemporaneo è un mondo che “si dilata agli sconfinati orizzonti dei popoli nuovi”⁵¹⁷ e che talora è avverso alla luce della fede e al dono della grazia⁵¹⁸. L’umanità alla quale si rivolge la Chiesa è una umanità soggetta a grandi trasformazioni, rivolgimenti e sviluppi, a causa del progresso scientifico, tecnico e sociale, come pure di varie correnti di pensiero filosofico e politico⁵¹⁹.
L’evangelizzazione della Chiesa, per motivi teologici e cristologici, non può disinteressarsi dell’umano: “Tutto ciò che è umano ci riguarda”⁵²⁰. Nell’Enciclica Populorum Progressio, Paolo VI parla della miseria e della povertà dei popoli dei paesi del terzo mondo, che aveva toccato con mano durante alcuni viaggi in Africa e in America Latina.
Nel 1965, davanti all’assemblea dell’ONU, che rappresentava il mondo, Paolo VI si era dichiarato avvocato dei poveri, e aveva lanciato il grido ardente: “Mai più la guerra, mai più!”⁵²¹. La civiltà dell’amore è una testimonianza cristiana da vivere anche nelle nuove circostanze. Da questo pensiero del Romano Pontefice, non presiede un disegno razionale e organico. Bisogna sempre cominciare da Dio, ch’è Lui stesso Amore⁵²², per infinita eccellenza, e che dell’amore a Lui ci fa precetto primario e totale⁵²³, come dell’amore al prossimo enuncia il precetto derivato e comprensivo, col primo, di tutti i nostri doveri⁵²⁴.
L’amore ha la funzione di principio vitale e di anima della cultura e della civiltà. Così si esprimeva Paolo VI: “Noi guardiamo alla vicenda storica, nella quale ci troviamo; e allora, sempre osservando la vita umana, noi vorremmo aprirle vie di migliore benessere e di civiltà animata dall’amore, intendendo per civiltà quel complesso di condizioni morali, civili, economiche, che consentono alla vita umana una sua migliore possibilità di esistenza, una sua ragionevole pienezza, un suo felice eterno destino”⁵²⁵.
Nel Magistero della Chiesa, ritroviamo la espressione “civiltà dell’amore” molte volte nell’ambito del magistero sociale. La civiltà dell’amore appartiene alla comprensione che la Chiesa ha della sua essenza e della sua missione in quanto segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano⁵²⁶. In Gaudium et Spes, leggiamo che “Cristo ci rivela che Dio è amore”⁵²⁷, e insieme ci insegna che la legge fondamentale della perfezione umana, e quindi della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità. In questo modo assicura coloro che credono all’amore divino che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che lo sforzo per realizzare la fraternità universale non è vano. Così pure ammonisce che questa carità non va osservata solo nelle grandi cose, bensì e soprattutto negli avvenimenti ordinari della vita⁵²⁸.
Paolo VI poi riprese l’espressione “civiltà dell’amore” nel contesto significativo dell’Anno Santo del 1975 e la consegnò al mondo come il legato e il compito di quell’Anno Santo dedicato al rinnovamento e alla riconciliazione. Papa Montini attribuiva all’espressione “civiltà dell’amore” una valenza sia personale sia sociale, strettamente collegata alla missione della evangelizzazione, sulla quale scrisse l’Esortazione Evangelii Nuntiandi pubblicata in quell’anno⁵²⁹.
3.1.6 ANNUNCIO DEL VANGELO E PROGRESSO UMANO
La mancanza dell’annuncio della fede e i danni che ne derivano sono comprovati dalle angosce dell’uomo, dalla turbolenza, dai dissidi e dai conflitti che percorrono la società civile e gli stessi rapporti tra i popoli⁵³⁰. L’uomo, privo di senso religioso, pone sé stesso al centro dell’esistenza, in una posizione autonoma rispetto al Trascendente. L’uomo che non vede in sé stesso e nel prossimo l’immagine di Dio può dissociare la propria persona, far mercimonio del proprio corpo, infliggere violenza fisica o psichica agli altri, senza percepire tutta la gravità del proprio agire⁵³¹.
Non solo ai margini della società possono individuarsi le forme negative della vita umana, ma, in modo forse più drammatico e pericoloso per il futuro dell’uomo, anche in quelle acquisizioni della creatività dell’uomo e del suo sapere scientifico, ritenute positive e come tali socialmente apprezzate. Quello che caratterizza l’esperienza umana non è tanto il fare ma l’“intelligenza del senso delle cose”⁵³².
Il progresso tecnologico, la liberazione da tutti i tabù, l’emancipazione dalla norma oggettiva e il dominio sulla legge di natura sono troppo spesso vissuti come valori fine a sé stessi, come valori davanti ai quali deve inchinarsi qualsiasi considerazione di morale, di religione o di fede cristiana⁵³³. Quando la novità è considerata sempre come progresso, come naturale sviluppo della capacità creativa dell’uomo cui tutto deve soggiacere, si entra in una dinamica esistenziale nella quale non c’è più posto per il confronto con la trascendenza⁵³⁴.
Sia le devianze che i risultati della sfida tecnologica, che caratterizzano l’ora presente, sono in larga misura, infatti, la risultante di una cultura che ha smarrito il senso della appartenenza a Dio e che non ascolta, o soffoca, i richiami della fede in Cristo. Quindi l’annuncio della fede cristiana è un’urgenza che non trova soltanto una giustificazione teologica, ma anche una preoccupazione sociale, politica e culturale⁵³⁵.
Per il cristiano la prima forma di promozione umana consiste, infatti, nel trasmettere la fede, cioè, nella comunicazione al prossimo del dono più grande, assieme alla vita data da Dio all’uomo. La condizione previa ad ogni promozione umana sta, infatti, nel rinnovamento interiore dell’uomo stesso. Tutto ciò che compone l’ordine temporale, la loro evoluzione e il loro progresso, “hanno un valore proprio, riposto in essi da Dio”⁵³⁶. Quando il nostro annuncio riesce a far percepire all’uomo la novità dell’avvenimento di Cristo suo Salvatore, si instaura in lui, inevitabilmente, una dialettica serrata con la realtà sociale in cui vive e cerca di trasformarla per renderla più umana.
Non esiste promozione umana compiuta, esauriente e vera, se non nel solco e all’interno della promozione umana che Dio ha compiuto nella storia, rivelando all’uomo la verità di sé stesso e quella sul destino dell’uomo, da Lui creato a sua immagine e somiglianza⁵³⁷. L’uomo comprende in tutta la sua lucidità la propria dignità e il proprio destino solo se lascia risuonare in sé l’annuncio della salvezza. Quando cerca di essere uomo al di fuori di questo annuncio di Dio, fattogli attraverso Gesù Cristo e la Chiesa, non riesce più a misurare con esattezza le proprie dimensioni, perde facilmente la sua libertà e il senso della sua vocazione storica⁵³⁸.
L’insegnamento del Concilio Vaticano II sul progresso umano è di carattere integrale. Per il Concilio, l’uomo deve superare gli assalti del male per raggiungere il progresso integrale. Quella dell’uomo è dunque una lotta contro il male. Inserito in questa battaglia, “l’uomo deve combattere senza soste per aderire al bene, né può conseguire la sua unità interiore se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio”⁵³⁹.