Paolo VI nel periodo Post-Conciliare

Pp. 25-29, Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI.

Titolo: L’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MAGISTERO DI PAOLO VI – Lettura Teologico-Pastorale di Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi

Autore: Mouyéké Misère Tiburce Barbeault

Numero di pagine: 121

Lingua: ITALIANO

Stampa: 2024

Parole Chiave: Evangelizzazione, Vangelo, Paolo VI, Magistero, Missione, Propaganda Fide, Chiesa, Concilio Vaticano II, Ecumenismo, Nuova Evangelizzazione, Comunità ecclesiale, Gaudete in Domino, Evangelii Nuntiandi, Evangelica Testificatio, Dialogo interreligioso, Laici, Carità, Catechesi, Testimonianza cristiana, Giovanni XXIII.

Riassunto: Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi. Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi. 

1.5 PAOLO VI NEL PERIODO POST-CONCILIARE

1.5.1 SULLE DOTTRINE NON CRISTIANE

Nel periodo postconciliare, il papa ha dovuto esprimersi contro la diffusione delle dottrine non cristiane:

“…vi sono problemi che derivano dall’orientamento irreligioso della mentalità moderna e pericoli che nascono all’interno della Chiesa […] oggi taluni ricorrono ad espressioni dottrinali ambigue, e altri si arrogano la licenza di enunciare opinioni loro proprie […] e perfino consentono che ciascuno nella chiesa pensi e creda ciò che vuole […] e confondendo la legittima libertà della coscienza morale con una malintesa libertà di pensiero, spesso aberrante per l’insufficiente conoscenza delle genuine verità religiose.”

Sull’autentica natura della fede cristiana, Paolo VI scrive: “Non è frutto d’un’interpretazione arbitraria, o puramente naturalista della Parola di Dio, come non è l’espressione religiosa nascente dall’opinione collettiva, priva di guida autorizzata, di chi si dice credente, né tanto meno l’acquiescenza alle correnti filosofiche o sociologiche del momento storico transeunte.”

L’insegnamento di Paolo VI è che la fede è intesa correttamente quando è vissuta e compresa come adesione di tutta la persona alla parola rivelata, quindi non è solo ricerca, ma anche certezza che deriva dall’accoglienza del dono misterioso di Dio che si rivela. In risposta all’incertezza dottrinale che si constata nella chiesa Paolo VI scrisse e proclamò il “Credo del popolo di Dio”. Nell’omelia del 29 giugno 1967, aprendo l’anno della fede, Paolo VI afferma:

“…esso è l’anno post-conciliare, nel quale la Chiesa ripensa la sua ragion d’essere, ritrova la sua nativa energia, ricompone in ordinata dottrina il contenuto ed il senso della parola vivificante della rivelazione, si presenta in attitudine di umile e amorosa certezza ai fratelli ancora distinti dalla nostra comunione, e si prodiga per il mondo odierno qual è, pieno di grandezza e di ricchezza, e bisognoso fino al pianto dell’annuncio consolatore della fede.”

L’idea di concludere con una nuova professione di fede si è fatta strada nel corso dell’anno della fede.

1.5.2 UNITA E PLURALITÀ NELLA CHIESA

Nell’udienza generale del 9 dicembre 1964, Paolo VI ammette che spesso il legame tra cattolicità e unità ha indotto a pensare che la cattolicità, cioè l’estensione dell’unità all’umanità viva e reale, sia uniformità. La cattolicità della chiesa può essere pensata come unità nella diversità, anche se questa idea affascinante pone al tempo stesso problemi delicatissimi e difficilissimi perché la molteplicità sia riconosciuta e promossa, senza che l’unità sia compromessa.

Per il papa, c’è un dovere di conoscere meglio quei popoli con cui per ragione del vangelo si viene a contatto, e di riconoscere quanto di bene essi posseggono non solo per la loro storia e la loro civiltà, ma altresì per il patrimonio di valori morali ed anche religiosi che essi posseggono e conservano.

La frequenza dell’uso del tema dell’unità negli interventi di Paolo VI rimanda a credere che la comunione è anzitutto comunione nella fede, sulla quale non può esserci compromesso. L’unità nella fede costituisce il criterio anche per stabilire il grado di pluralismo che legittimamente è accettabile all’interno della comunione cattolica:

“…ma bisogna intendersi bene sul significato di questa parola. Esso non deve assolutamente contraddire all’unità sostanziale del cristianesimo […] quando non si limita alle forme contingenti della vita religiosa, ma presume di autorizzare interpretazioni individuali e arbitrarie del dogma cattolico, ovvero di erigere a criterio di verità la mentalità popolare, o di prescindere nello studio teologico dalla tradizione autentica e dal magistero responsabile della Chiesa.”

Nel pontificato di Paolo VI, la preoccupazione per l’unità della chiesa nella fede per l’annuncio del vangelo è stata sempre più che evidente.

1.5.3 LA CARITÀ DI DIO E LA MISSIONE EVANGELIZZATRICE

Il Concilio Vaticano II dichiara che “dalla carità di Dio nasce la necessità della missione”. In questa citazione è riassunta la visione della missione di Paolo VI alla luce dell’apostolo Paolo: “La carità di Cristo ci spinge… Una necessità incombe su di me! E guai a me se io non annunciassi il vangelo”. Questo fa chiaramente intendere che la missione viene dal vangelo, che è annuncio della carità che raggiunge le persone.

Proponendo questa visione, si poneva in sintonia con il Vaticano II, in particolare con il decreto sull’attività missionaria “Ad gentes”, nel quale si fa derivare la natura missionaria della chiesa dalla missione del Figlio e dello Spirito, e ciò in corrispondenza con la descrizione dell’origine della chiesa dalla Trinità, secondo Lumen Gentium.

Il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes parla di annuncio di vita e di speranza. È questo, in definitiva, il grande messaggio che la Gaudium et Spes ha inviato “a tutti indistintamente gli uomini”. È il messaggio che fa della Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo, ultimo dei documenti promulgati dal Concilio Vaticano II sotto la guida di Paolo VI, e di tutti il più esteso, in qualche modo l’apice dell’itinerario conciliare.

Gaudium et Spes fece appello alla “testimonianza personale e all’iniziativa illuminata dei laici, uomini e donne, perché si impegnassero a svolgere un ruolo maggiore nella vita della Chiesa e del mondo”.

Paolo VI, nella scia del concilio scriverà: “La chiesa deve venire a dialogo con il mondo in cui si trova a vivere. La chiesa si fa parola; la chiesa si fa messaggio; la chiesa si fa conversazione … Ancor prima di convertire il mondo, bisogna accostarlo e parlargli, […], Il dialogo […] deve ricominciare ogni giorno; e da noi prima che da coloro ai quali è rivolto”.

Già prima, il 6 gennaio 1964 Paolo VI aveva scritto: “Noi guardiamo al mondo con immensa simpatia. E se anche il mondo si sentisse estraneo al cristianesimo e non guardasse a noi, noi continueremmo ad amarlo perché il cristianesimo non potrà sentirsi estraneo al mondo”.

1.5.4 L’ECUMENISMO

Paolo VI è stato il Papa del dialogo, come testimonia la sua prima Enciclica Ecclesiam Suam (1964). È stato il primo Papa a compiere viaggi internazionali. Ricordiamo la sua visita all’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 20° anniversario della sua fondazione, il suo discorso alla sede dell’OIL durante il suo viaggio in Svizzera, così come i suoi viaggi a Bombay per il Congresso Eucaristico Internazionale e a Medellín per la Seconda Assemblea Generale della Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano.

Non si può dimenticare il viaggio epocale di Paolo VI in Terra Santa, dove ha incontrato il Patriarca di Costantinopoli Atenagora I e con il quale ha espresso il suo fermo impegno nel cammino dell’ecumenismo, o i suoi viaggi in Uganda, Iran, Hong Kong, Sri Lanka, Filippine e Indonesia, tra gli altri.

Paolo VI istituì la Giornata Mondiale della Pace, creò il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, riorientò la Dottrina Sociale della Chiesa secondo le linee avviate dal Concilio Vaticano II, riformò la Diplomazia Vaticana, approfondì la Ostpolitik, tenne sei concistori cardinalizi in cui ha approfondito l’internazionalizzazione del cardinalato, come avevano fatto i suoi predecessori.

Si pensi inoltre alla presenza e all’incoraggiamento del Papa al terzo Congresso Mondiale dell’Apostolato Secolare, un incontro di grande valore per il laicato spagnolo, che si trovava in una profonda crisi a causa delle resistenze episcopali ad approfondire l’autonomia dei laici, o alla convocazione della prima Commissione Vaticana per lo studio della donna all’inizio degli anni Settanta.

1.5.5 IL DIALOGO TRA CHIESA E COMUNITÀ DEGLI UOMINI

Paolo VI fu mosso dallo spirito del Concilio Vaticano II. In modo particolare il papa ha voluto fare dell’insegnamento di Gaudium et Spes che parla del rapporto chiesa-mondo la ragione della sua volontà di riformare la chiesa pastoralmente. La riflessione della Gaudium et Spes si concentra sull’uomo e cerca di affermarne la sua dignità. Per questo la Gaudium et Spes “si rivolge non più ai soli figli della chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini indistintamente”, in modo nuovo e coraggioso, “per offrire all’umanità la cooperazione sincera della chiesa, al fine di conseguire la fraternità universale”.

L’uomo, pur conoscendo il peccato che è non riconoscimento di Dio, disobbedienza alla propria condizione di creatura, cammino mortifero per il singolo e per gli uomini tutti, tuttavia ha sempre una dignità che egli può offuscare e contraddire, ma mai perdere; l’uomo infatti resta sempre un riflesso della gloria di Dio, resta la sua immagine, e dunque secondo l’espressione di Sant’Agostino, l’uomo è capace di ricevere Dio. Il Concilio Vaticano II insegna anche: “l’uomo è stato creato a immagine di Dio, capace di conoscere e amare il proprio Creatore”.

L’antropologia della Gaudium et Spes è unitaria, dialogante, guarda sempre all’uomo nella società e vede nella comunità umana il frutto dell’adempimento del comandamento dell’amore, l’interdipendenza della responsabilità personale, l’alveo della coscienza personale. La comunità degli uomini è un cammino in cui lo Spirito di Dio è presente come in ogni uomo, e “quando la chiesa la vuole indicare si lascia ispirare dalla comunione divina trinitaria”.

Quindi in riferimento all’antropologia della Gaudium et Spes, uno non può confondere la chiesa con la comunità politica perché non è legata ad alcun sistema politico. La chiesa non pone la speranza nei privilegi offerti a lei dall’autorità civile. Anzi, essa esercita senza ostacoli la sua missione tra gli uomini. La chiesa utilizza “solo quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene di tutti”.

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