Titolo: Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020
Autore: Giuseppe Leonardi, CSCh
Numero di pagine: 3.793
Lingua: ITALIANO
Anno: 2022 (*Aggiornato 2023)
Parole Chiave:
Congregazione Cavanis, educazione cristiana, Marco Cavanis, Antonio Cavanis, Venezia, pedagogia, vocazione, spiritualità, formazione giovanile, missione educativa, carisma, scuola cattolica, storia ecclesiastica, apostolato, congregazione religiosa, povertà educativa, Chiesa cattolica, evangelizzazione, comunità religiosa, tradizione.
Riassunto:
Quest’opera offre un ampio e documentato percorso storico sulla nascita, lo sviluppo e la missione educativa della Congregazione dei Padri Cavanis, fondata dai fratelli Marco e Antonio Cavanis a Venezia nel XIX secolo. Attraverso un’accurata analisi delle fonti, Giuseppe Leonardi ripercorre i momenti chiave dell’espansione della Congregazione in Italia e nel mondo, mettendo in luce la vocazione alla formazione cristiana e civile dei giovani, in particolare dei più poveri. L’autore evidenzia inoltre la spiritualità cavanisiana, fortemente radicata nella pedagogia dell’amore, nell’apostolato educativo e nella fedeltà alla Chiesa. L’opera si conclude con una riflessione aggiornata sulle sfide e prospettive della Congregazione nel contesto contemporaneo
Padre Vittorio Frigiolini, secondo preposito generale (1852)
Vittorio Genesio Frigiolini nacque a Varallo (oggi Varallo Sesia), in Piemonte, in provincia di Vercelli ma in diocesi di Novara, il 16 ottobre 1818. Fu ordinato sacerdote diocesano il 18 settembre 1841, in seguito fu nominato vicario della parrocchia di Sabbia, un piccolo paese di montagna nelle Alpi, dove fece un ottimo lavoro pastorale essendo molto amato e stimato e dedicando tutto se stesso all’educazione dei giovani. Aspirava però a una maggiore perfezione e pensò di ritirarsi in un istituto religioso, inizialmente individuato nella Compagnia di Gesù.
Nell’ottobre 1844, tuttavia, lesse in una rivista per il clero un articolo scritto da P. Marco sull’Istituto Cavanis e il 12 novembre dello stesso anno scrisse una lettera ai fondatori chiedendo di entrare nella comunità Cavanis. La risposta non si fece attendere, perché P. Marco gli rispose quattro giorni dopo accettandolo con gioia. Il 19 dicembre 1844 don Vittorio arrivò nell’Istituto di Venezia, dove fu molto ben accolto. Fu un modello di religiosità Cavanis. Già prete, presto indossò l’abito dei Cavanis e il 13 novembre 1846 fece la sua prima professione di voti. Già nel 1849 aveva chiesto e ottenuto la cittadinanza austriaca, dovendo vivere a Venezia o, come alternativa in prospettiva futura, a Lendinara.
Il 6 luglio 1852 P. Vittorio diventò preposito generale (1852, lug. 6- 1852, ott. 21), ma si ammalò di congestione intestinale (più probabilmente una peritonite) e morì prematuramente il 21 ottobre 1852, dopo cinque giorni di agonia che affrontava con una santa pazienza, grande fede e accettazione del dolore, prevedendo anche esattamente il giorno della sua morte. Per la comunità e per i fondatori quelli furono giorni di dolore e di profonda tristezza. Data la brevità del suo mandato, che si concluse tragicamente dopo poco più di tre mesi, P. Vittorio non ebbe molta influenza sulla vita della Congregazione.
Nel 1848 P. Frigiolini era tanto stimato dai fondatori per il suo spirito Cavanis e per la sua prudenza, saggezza, santità di vita e per le sue capacità, quanto per la sua comprovata capacità di diventare un buon preposito, che P. Antonio, in accordo con P. Marco, preparò un documento segreto datato 10 dicembre 1848, nel quale dichiarava che in caso di morte o incapacità fisica il titolo provvisorio di “vicario provinciale”, sarebbe andato a P. Vittorio. Il documento, in latino, era stato scritto da P. Marco, firmato da P. Antonio, ormai completamente cieco, e controfirmato da P. Marco, e infine timbrato con il sigillo della Congregazione.
Questo documento secreto e i fatti che seguono sono interessanti perché dimostrano la mentalità aperta e libera dei fondatori: stimavano P. Vittorio, uno “straniero”, piemontese arrivato da soli quattro anni, al di sopra dei padri veneziani o del Veneto, come i PP. Casara e Traiber, per esempio. Erano dunque aperti a un’espansione della Congregazione e non avevano solo una visione locale e ristretta come invece si nota da altre parole e fatti.
Negli anni a seguire, le condizioni di salute e gli acciacchi naturali, dovuti all’età molto avanzata (80 anni) di P. Antonio e pure di P. Marco (78 anni), erano peggiorati. P. Antonio ne soffriva, ma non si rendeva conto del tutto della situazione peggiorata, per cui non si decideva a rassegnare le dimissioni e far eleggere o nominare il suo successore, come succede a chi ha un incarico a vita e raggiunge un’età molto avanzata, perdendo la lucidità.
Nel 1852 la situazione era talmente evidente che se ne resero conto sia P. Marco, cofondatore e vicario, sia gli altri religiosi. Questi, secondo P. Vittorio Frigiolini volevano la nomina di un nuovo preposito affinché P. Antonio fosse alleggerito del suo pesante compito e la Congregazione potesse avere un superiore attivo.
L’ostacolo principale e risaputo era la debolezza mentale dovuta all’estrema vecchiaia di P. Antonio, che pensava di essere ancora indispensabile per la direzione dell’Istituto, a tal punto che nessuno sapeva come affrontare l’argomento con lui. Ci si ricordava tuttavia che a volte egli si fosse mostrato disponibile a cedere il suo posto qualora il patriarca si fosse interessato della questione; monsignor Vincenzo Moro, vicario generale del Patriarcato fu messo al corrente.
Questi era confessore e direttore spirituale di P. Antonio. Monsignor Moro ne parlò al Padre e gli consigliò di rimettersi alla volontà del patriarca e di rassegnare le dimissioni; il fondatore accettò. monsignor Moro espose al patriarca, il cardinal Pietro Aurelio Mutti, la condizione di P. Antonio e il legittimo desiderio e la necessità urgente della comunità. Si stabilì che tutti i religiosi, professi e preti, avrebbero indicato il nome del successore tramite schede segrete, nonostante, come sottolinea P. Vittorio Frigiolini, i due fondatori non volessero sentir parlare di capitolo e di voto, perché pensavano che appartenesse a loro de jure la funzione elettiva (in realtà, di nomina).
Monsignor Moro quindi fu costretto a raccogliere tutte le votazioni dei religiosi delle due case di Venezia e di Lendinara in segreto e separatamente. Il patriarca fece lo spoglio delle schede e furono totalizzati sette voti per P. Vittorio Frigiolini, tre voti per P. Sebastiano Casara e tre per P. Giovanni Battista Traiber. Fu una consultazione informale piuttosto che una vera elezione. Il patriarca conobbe così la scelta della Congregazione all’insaputa dei fondatori. Sapeva d’altra parte tramite monsignor Moro che questa chiara scelta della comunità corrispondeva anche all’indicazione che P. Antonio stesso aveva espresso formalmente nel documento del 10 dicembre 1848. Il patriarca chiese allora a P. Antonio di scrivere una lettera nella quale egli stesso proponesse il suo successore, comunicando che l’avrebbe riconosciuto e confermato come tale, senza ledere i diritti dei fondatori e della Congregazione. Il 5 luglio 1852 P. Antonio affidò al vicario generale una lettera redatta dal fratello e da lui firmata, nella quale richiedeva di essere sollevato dal gravoso peso della prepositura e annunciava al patriarca che nominava come preposito P. Vittorio Frigiolini.
Il patriarca accettò le sue dimissioni, e con una lettera del 7 luglio 1852 approvò che monsignor Vincenzo Moro il giorno seguente andasse a comunicare di persona la decisione alla comunità di Venezia riunita. In questo modo i padri fondatori credettero di eleggere essi stessi il nuovo preposito e allo stesso tempo la Congregazione fu soddisfatta vedendo eletto la persona che aveva ricevuto la maggioranza dei suoi voti (Monsignor Moro, infatti, ebbe la bontà di scrivere di suo pugno una lettera personale a ciascuno dei religiosi comunicando il risultato della consultazione effettuata).
Tutti furono soddisfatti e il nuovo preposito era di certo la persona più conveniente e desiderata. Dal punto di vista giuridico, tuttavia, forse non furono rispettati tutti i passaggi della procedura. C’era il problema dell’età estrema dei fondatori e della debolezza mentale di P. Antonio. In più c’era la reticenza caratteristica dei fondatori a lasciare ad altri la direzione della loro “creatura”; e ancora il fatto che il grande amore che i religiosi Cavanis provavano per i Padri impediva loro di prendere decisioni che potessero farli soffrire.
Leggendo la lettera del 5 luglio 1852 di P. Antonio al patriarca, si evince chiaramente che i fondatori credevano fermamente che almeno il maggiore dei due avrebbe avuto il diritto di scegliere il suo successore, in funzione di vicario o come futuro preposito. Egli sosteneva che questo diritto derivava dalla costituzione 7 del capitolo primo delle costituzioni del 1837.
Questa costituzione, in realtà, non parla esplicitamente dell’elezione o nomina del preposito, ma solo in generale della vita interna alla Congregazione. P. Antonio ricorda inoltre che, quando molti anni prima i fondatori avevano interrogato il segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari sulla procedura da seguire per l’elezione di un superiore e su altre questioni relative alla struttura dell’Istituto, si era risposto loro che «dato che i fondatori erano i superiori di diritto de jure, stava a loro dare alla loro corporazione, la forma di governo che ritenevano più conveniente».
Il Padre dunque non aveva domandato al patriarca di nominare il suo successore, presentava solo le sue dimissioni e comunicava al suo ordinario il nome del prescelto. P. Aldo Servini dice bene quando parla di un procedimento præter ius invece di contra ius. Effettivamente i fondatori non avevano mai redatto e fatto approvare la seconda parte delle Costituzioni, che doveva vertere sulla formazione dei congregati, sulle strutture della Congregazione, sul governo, sulle elezioni, sui capitoli; e la Santa Sede da parte sua, per amicizia e con l’intenzione di aiutare i Cavanis, aveva approvato la Congregazione e le Costituzioni, nonostante l’assenza di questa seconda parte così importante e necessaria. Non c’era allora uno ius, ovvero un diritto propriorelativo alle elezioni e/o alle nomine. Questo errore, una sorta di “peccato originale”, causerà non solo le difficoltà che stiamo esaminando nel caso dell’elezione dei primi due successori di P. Anton’Angelo, ma rappresenterà anche occasione e causa di diversi conflitti interni fino almeno al 1891.