P. Sebastiano Casara, il “secondo fondatore”

Pp. 620-648, Libro Storia dell’Istituto Cavanis - Congregazione delle Scuole di Carità.

Titolo: Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020

Autore: Giuseppe Leonardi, CSCh

Numero di pagine: 3.793

Lingua: ITALIANO

Anno: 2022 (*Aggiornato 2023)

Parole Chiave:

Congregazione Cavanis, educazione cristiana, Marco Cavanis, Antonio Cavanis, Venezia, pedagogia, vocazione, spiritualità, formazione giovanile, missione educativa, carisma, scuola cattolica, storia ecclesiastica, apostolato, congregazione religiosa, povertà educativa, Chiesa cattolica, evangelizzazione, comunità religiosa, tradizione.

Riassunto:

Quest’opera offre un ampio e documentato percorso storico sulla nascita, lo sviluppo e la missione educativa della Congregazione dei Padri Cavanis, fondata dai fratelli Marco e Antonio Cavanis a Venezia nel XIX secolo. Attraverso un’accurata analisi delle fonti, Giuseppe Leonardi ripercorre i momenti chiave dell’espansione della Congregazione in Italia e nel mondo, mettendo in luce la vocazione alla formazione cristiana e civile dei giovani, in particolare dei più poveri. L’autore evidenzia inoltre la spiritualità cavanisiana, fortemente radicata nella pedagogia dell’amore, nell’apostolato educativo e nella fedeltà alla Chiesa. L’opera si conclude con una riflessione aggiornata sulle sfide e prospettive della Congregazione nel contesto contemporaneo

Ritornando ai rapporti del Casara con il suo maestro “a distanza”, la sua prima lettera all’abate Antonio Rosmini è del 1847. In questa lettera, come nella precedente inviata ad un rosminiano esprime amore, stima, venerazione, affetto verso Rosmini e una grande convinzione a riguardo delle sue teorie e del suo metodo. Nel complesso, il carteggio Casara-Rosminicomprende le seguenti lettere: 

  1. Casara a Rosmini, da Venezia, il 2 giugno 1847 (minuta conservata in AICV, Fondo Casara, busta 4, corrispondenza filosofica, cartella del carteggio Casara-Rosmini e Casara-Civiltà Cattolica);
  2. Casara a Rosmini, da Venezia, il 21 ottobre 1853 (conservata in ASIC, A.1, XXVIII-I, fogli 169-170);
  3. Rosmini a Casara, da Stresa, il 27 ottobre 1853 (conservata in AICV, Fondo Casara, busta 4, corrispondenza filosofica, cartella del carteggio Casara-Rosmini e Casara-Civiltà Cattolica);
  4. Casara a Rosmini, da Venezia, l’8 dicembre 1854 (conservata in ASIC, A.1, XXX-I, foglio 592);
  5. Rosmini a Casara, da Stresa, il 22 gennaio 1855 (AICV, Fondo Casara, come sopra);

L’anno 1852 è di grande cambiamento nella sua vita. Padre Vittorio Frigiolini diventa preposito generale (6 luglio 1852-21 ottobre 1852) e muore prematuramente. Padre Casara è allora nominato preposito generale dal Patriarca di Venezia l’ 8 novembre 1852, dopo una consultazione dei confratelli e dei fondatori, che erano molto vecchi e malati. P. Marco era anzi quasi in fin di vita. P. Sebastiano aveva allora quarantun anni. 

Era molto stimato e amato dai confratelli, e egli contraccambiava cordialmente questi sentimenti, come si può vedere da innumerevoli lettere, biglietti e post-scripta cordiali, divertenti, scherzosi, seri, in italiano e a volte in dialetto, ma sempre tutti molto fraterni. Se padre Anton’Angelo non avesse fatto il nome di P. Vittorio Frigiolini come secondo superiore generale, i confratelli forse avrebbero scelto P. Casara; morto P. Frigiolini, il suo nome era chiaramente nei cuori dei confratelli però egli era angosciato perché era umile e avrebbe preferito occuparsi dell’insegnamento, dell’educazione e della ricerca ilosofica piuttosto che del governo dell’Istituto.

Padre Casara ricopre il ruolo di preposito generale per diversi mandati, dal 1852 al 1863, e questa fu la prima fase del suo governo della congregazione. Come già scritto sopra, fu nominato preposito generale dal patriarca Pietro Aurelio Mutti, l’8 novembre 1852, con una lettera a P. Marco, seguendo una procedura irregolare, perché il patriarca non aveva il diritto di nominare il superiore di una congregazione di diritto pontificio, diversamente da ciò che scrive nella sua propria lettera, ma lo fa dopo aver consultato i religiosi (che si esprimono positivamente sulla scelta di P. Casara), almeno quelli della casa di Venezia. Bisogna ricordare a questo proposito che le costituzioni approvate dalla Santa Sede non contenevano ancora la seconda parte, quella sul governo e sulla struttura della congregazione. 

Questa seconda parte delle costituzioni sarà redatta (in buona parte dallo stesso P. Sebastiano nel cosiddetto MR5) e approvata dalla Santa Sede solo nel 1891. I religiosi e gli stessi fondatori accettarono di buon grado la sua nomina, senza alcun problema o protesta. Più che religiosi, essi si sentivano ancora dei preti secolari appartenenti a quella che oggi si chiamerebbe una società di vita apostolica, secondo l’intuizione e la volontà originaria dei fondatori, e quindi si riconoscevano sottomessi alla volontà del loro ordinario. 

P. Sebastiano dimostrò subito di essere un buon preposito generale: intelligente, caritatevole, rapido nel prendere decisioni, disponibile verso tutti e, pur essendo un pensatore, godeva di senso pratico ed era inoltre molto capace nei rapporti con i confratelli e nelle relazioni pubbliche con le autorità ecclesiastiche e civili. Aveva anche una straordinaria capacità di lavoro. D’altro canto, la direzione della congregazione non era difficile a quei tempi, quando c’erano solo due case (Venezia e Lendinara), alle quali si aggiungerà quella di Possagno, e una dozzina di padri, più qualche fratello e seminarista. 

La situazione nella comunità di Venezia tuttavia non era facile; c’erano diversi malati, tra i quali P. Marco, molto debole, quasi cieco e prossimo alla morte; e P. Antonio, in età estrema, malato e con dei periodi di debolezza mentale propria della senilità. Questa situazione provocò molte sofferenze a P. Casara, e allo stesso tempo ai fondatori, che non comprendevano più che il governo era ora passato ad altra persona. Ci sono delle pagine molto commoventi su questo tema nel diario della congregazione.

P. Casara era allo stesso tempo preposito generale, rettore della casa di Venezia, preside delle scuole, rettore e professore nel seminario filosofico e teologico interno dell’Istituto; si occupava di trovare i fondi per mantenere i due Istituti maschile e femminile, seguiva il cantiere di ricostruzione della chiesa di S. Agnese, si occupava delle relazioni pubbliche dell’Istituto e, scriveva innumerevoli lettere e quando poteva, di notte, continuava a studiare e a svolgere le sue ricerche di filosofia, ma anche di pedagogia e di didattica. 

Scriveva con straordinaria puntualità, con la sua grafia minuta e non sempre facile da leggere, il diario della congregazione, dapprima come un libro di protocollo della corrispondenza (con annotazioni e spiegazioni) e successivamente come un vero e proprio diario. Cominciò a scrivere personalmente dal 28 dicembre 1852 e continuò sino alla fine del suo mandato nel settembre 1885. Aveva anche trascritto di sua mano le pagine del diario del periodo compreso tra il 21 gennaio 1851 e il 21 dicembre 1852, ricopiando le pagine dettate da P. Marco, che era cieco, a P. Vittorio Frigiolini e poi scritte da P. Vittorio personalmente.

Nel 1853 l’avvenimento principale per la piccola comunità fu il pio transito del P. Marcantonio Cavanis. 

Nel 1853 e nel 1854 ritroviamo altre due lettere di P. Casara all’abate Rosmini, relative a questioni filosofiche. 

Il 15 agosto 1854, festa dell’Assunzione della Vergine Maria, l’Istituto celebra l’inaugurazione e nuova dedicazione solenne della chiesa di S. Agnese, che era stata acquistata dal demanio statale dai fondatori, che ne avevano realizzato in gran parte anche un generale restauro e in parte rifacimento. Il celebrante della dedicazione fu il patriarca Giovanni-Pietro-Aurelio Mutti; P. Casara aveva concluso infatti i lavori e l’acquisto del mobilio e degli oggetti liturgici necessari. Questa nuova inaugurazione e dedicazione avvennero dunque 44 anni dopo che la chiesa era stata confiscata dal governo napoleonico nel 1810, quando la parrocchia di S. Agnese, come più della metà delle parrocchie di Venezia, era stata soppressa. 

P. Anton’Angelo, oramai un venerabile vegliardo, partecipò con grande gioia alla celebrazione e dedicazione, ad edificazione dei presenti. 

Nel 1854 un avvenimento ecclesiale apre un periodo di sollievo e di pace per P. Sebastiano e per i suoi amici e colleghi rosminiani, così come per l’Istituto di Carità: la Santa Sede pubblicò in effetti il decreto Dimittantur opera omnia Antonii Rosmini Serbati, nel quale le opere del Rosmini sono assolte dall’accusa di eresia e in particolare d’ontologismo. P. Casara, come l’abate Rosmini e tutti i rosminiani (sia i religiosi che i filosofi) si tranquillizzarono e continuarono i loro studi filosofici secondo il metodo dell’intellettuale. 

Casara si rassicurò anche perché essendo superiore generale, era preoccupato degli effetti negativi che una condanna di Rosmini o sua avrebbe comportato per la tanto amata congregazione. P. Sebastiano ricevette i rallegramenti da parte di numerosi amici e ammiratori, come si trattasse della vittoria del suo sistema filosofico; il che informa, come fa osservare acutamente Maria Leonardi, che, almeno a Venezia, Casara era conosciuto come rosminiano, e aveva cominciato anche a tessere una rete di corrispondenti rosminiani; rete che diventerà via via sempre più ampia, soprattutto a partire dalla data della morte del Maestro, avvenuta il 1° luglio 1855. Qui non si ha tuttavia l’intenzione di descrivere in dettaglio i suoi contatti con i rosminiani e la sua corrispondenza filosofica. Rimandiamo allora alla tesi della Leonardi, qui più volte citata, che ha come tema appunto gli scritti e i dibattiti nel campo rosminiano (e anche in quello anti-rosminiano) dal 1857 al 1876. 

Riportiamo soltanto una lista dei suoi principali amici e corrispondenti abituali rosminiani: 

  1. don Antonio Missiaglia (1811-1883), prete veronese, coetaneo di Casara, con cui il nostro mantenne una amicizia epistolare di tutta la vita;
  2. don Alessandro Pestalozza (1807-1871), prete milanese che fu amico personale di Rosmini ed era da questi considerato il suo più fedele interprete; fu dimesso nel 1850 dal seminario di Milano per le sue idee rosminiane e passò a vivere nel paese di Arluno (Milano);
  3. Carlo Pagano Paganini (1818-1889), laico, professore di filosofia razionale per trent’anni all’Università di Pisa; 
  4. don Leopoldo Palatini (1813-1899), prete udinese biblista, relegato in campagna per i suoi trascorsi liberali; 
  5. don Andrea Strosio (1812-1882), di Torcegno (Trento) arciprete di Rovereto, presidente per qualche tempo dell’Accademia degli Agiati della stessa città;
  6. monsignor Pietro Maria Ferrè (1815-1886), di Verdello, Bergamo, vescovo di Crema (dal 1857), di Pavia (dal 1859) e infine di Casale (dal 1867 alla morte);
  7. don Vincenzo Papa, prete nato a Desenzano (Brescia, ma diocesi di Verona), fondatore e direttore del periodico “La Sapienza”;
  8. p. Luigi da Salò, cappuccino;
  9. p. Bernardino da Portogruaro, dei Minori riformati, che fu guardiano generale dell’ordine;
  10. don Andrea Finco, prete della diocesi di Adria, in seguito religioso rosminiano. Poi cappuccino con il nome religioso di Fra’ Agostino da Anguillara, tra l’altro missionario in India;
  11. don Francesco Angeleri (1821-1892), prete veronese, poi religioso nell’Istituto di don Nicola Mazza, da cui si ritirò per motivo del suo pensiero rosminiano, con altri preti. Fu in seguito professore di filosofia nel seminario di Rovigo, poi di filosofia e storia al liceo di Verona, poi in quello di Rovigo. “Caposcuola dei rosminiani a Verona (Gallio, Profilo, p. 275)”, “diverrà, a partire dal ’58, l’amico più stimato di Casara, il revisore cordiale ed esigente di parecchi suoi scritti”; 
  12. don Luigi Fabris (1812-1879), prefetto ginnasiale nel seminario di Udine;
  13. don Francesco Turchetti, professore di storia ecclesiastica nel seminario di Udine;
  14. don Tomaso Turchetti, “ridotto a far l’economo” dello stesso seminario di Udine, perché “timido sostenitore di teorie rosminiane”;
  15. don Antonio Cicuto (1817- 1895) fu professore nel seminario di Udine nel periodo in cui questo – con i professori Pujatti, Bortolussi, Colauzzi e Zannier – poteva definirsi un fervente centro rosminiano. Allontanatone dal governo austriaco per motivi politici, divenne parroco di un villaggio, in campagna, presso Portogruaro (Venezia), senza perdere contatto con il Casara e con la congiuntura politica, ecclesiale e culturale;
  16. don Domenico Pujatti, professore e rettore del seminario di Portogruaro, nella diocesi di Concordia;
  17. don Odorico Parissenti, probabilmente di Portogruaro;
  18. P. Luigi Puecher Passavalli (1821-1897) di Calliano (presso Rovereto, Trento), cappuccino, per dodici anni (dal 1859) predicatore del Palazzo apostolico presso la Santa Sede, poi nominato arcivescovo titolare di Iconio e vicario della basilica di S. Pietro; dopo quattro anni dovette ritirarsi a vita privata per aver perso il favore pontificio per le suo idee “liberali” sull’infallibilità pontificia; 
  19. don Giuseppe Prada, prete milanese;
  20. don Zanchi, prete veronese;
  21. monsignor Lorenzo Gastaldi (18151883) prete torinese, religioso nell’Istituto della Carità, ma ne uscì per motivi di salute, divenendo sacerdote secolare. Fu nominato vescovo di Saluzzo nel 1867 e poi arcivescovo di Torino nel 1871;
  22. monsignor Luigi Cesare de Pavissich, dalmata di origine e sloveno di etnia, ispettore scolastico in Dalmazia e Carinzia, poi a Trieste e infine nuovamente in Dalmazia; vissuto poi a Gorizia dal 1887 fino alla morte nel 1905. Si prodigò per la diffusione della lingua italiana nei paesi austroungarici. Uomo di grande cultura, scrisse molte opere letterarie, storiche e filosofiche. Alcuni suoi lavori vertono su Rosmini;
  23. un corrispondente, probabilmente il P. Fabrizio da Montebugnoli, minore riformato, vissuto lungamente a Pistoia, poi relegato fino alla morte in un convento della Romagna dal S. Uffizio, per aver professata e difesa la dottrina rosminiana.

C’erano poi alcuni religiosi rosminiani, corrispondenti abituali di P. Casara:

  1. P. Vincenzo De Vit (1811-1892), di Mestrino, Padova, professore nel seminario di Padova e canonico di Rovigo, poi religioso rosminiano dal 1849; 
  2. P. Pier Luigi Bertetti (1814-1874), di Castelnuovo Scrivia (Alessandria), già professore del seminario di Tortona (Alessandria), superiore generale dei Rosminiani dal 1861;
  3. P. Francesco Paoli (1808-1891), da Pergine (Trento), sacerdote, segretario di Rosmini finché visse, poi suo primo biografo, esperto di pedagogia e metodica; fu anche presidente dell’Accademia degli Agiati di Rovereto. 

Nel 1855, alla fine del primo triennio (mandato) del suo governo, P. Casara convocò il capitolo generale, un evento degno di nota perché si trattava del primo nella Congregazione, dato che le elezioni del secondo e terzo preposito generale (P. Frigiolini e P. Casara stesso) si erano realizzate in fondo per decreto. P. Casara presentò il rapporto del suo triennio di governo e poi si inginocchiò al centro della sala capitolare e chiese perdono alla comunità per le sue colpe; dopo di ché, con edificazione dei confratelli, uscì dal posto centrale della presidenza del capitolo e raggiunse il posto riservatogli dall’ordine di precedenza. I capitolari lodarono molto la sua amministrazione. Fu rieletto preposito generale all’unanimità, dal primo capitolo elettivo (lo si chiamava ancora capitolo provinciale a quel tempo, nonostante fosse in realtà generale). 

Il 1o luglio 1855 moriva l’abate Rosmini a Stresa, poco prima della convocazione del capitolo generale dell’Istituto Cavanis. Il beato abate non ebbe così a sopportare che le sue opere fossero condannate, come accadde nel 1888 e come si dirà più giù. Dopo la morte del suo “maestro”, Casara comincia a tessere una rete più ampia di contatti, corrispondenze, scambi d’idee e di pubblicazioni con un gran numero di discepoli, difensori, amici e simpatizzanti di Rosmini.

Nel 1857 si apre la terza casa della Congregazione nel paese di Possagno (diocesi di Treviso; sarà il Collegio Canova) e si accetta con molta difficoltà e parecchie resistenze, come si dirà, la parrocchia di Possagno, arrivando quasi alla rottura degli accordi con il vescovo di Treviso, monsignor Farina. Tale impresa ebbe tuttavia la benedizione di P. Antonio, il fondatore più anziano, ancora in vita. P. Casara era interessato all’apertura di questa casa soprattutto per la possibilità d’organizzare una casa di Esercizi spirituali, in base al secondo scopo apostolico della Congregazione, e anche secondo l’intenzione del nobile Filippo Canal, che era l’esecutore testamentario dello scultore Antonio Canova. Il Canal voleva una scuola, un convitto e una casa di Esercizi spirituali nel villaggio natale di Canova e ancora il miglioramento pastorale e del culto nella parrocchia di Possagno.

L’apertura della casa di Possagno, tuttavia, segnò un momento di difficoltà nella gestione di P. Casara: si criticarono sia l’accettazione della parrocchia sia l’esigenza di inviare dei religiosi al paese di Canova, spostandoli dalle altre due case, diminuendo così le forze attive nelle scuole a Venezia e a Lendinara. P. Casara cominciò a sentirsi stanco d’essere preposito e chiese di non essere rieletto nel capitolo provinciale del 1858. Fu tuttavia rieletto ancora una volta. Particolarmente bello il suo rapporto al capitolo, in cui traccia le linee della figura ideale del preposito, e non si accorge che calza a pennello con il ritratto di se stesso.

Lo stesso anno, nel 1857, fu pubblicata la prima opera filosofica di P. Casara: «La luce dell’occhio corporeo e quella dell’intelletto. Parallelo ecc.», pubblicata sotto lo pseudonimo di F. P.V. (Filalete prete veneziano). 

Le pubblicazioni di P. Casara sono in generale dei libricini, con un titolo molto lungo, come si usava in quel secolo e con un contenuto piuttosto difficile, non solo per chi non era filosofo, ma anche per i filosofi di professione. Le pubblicazioni di P. Casara sono abbastanza numerose; ecco una lista delle principali pubblicazioni edite:

  1. « La luce dell’occhio corporeo e quella dell’intelletto. — Parallelo osservato da F.P.V. e illustrato con dottrine del S. Dottore Aquinate conformi in tutto quelle dell’illustre Ab Antonio Rosmini.” Giuseppe Grimaldo, Tipografia Calc. Edit., Venezia, 1857. 108 p. 
  1. Esposizione del Principio Filosofico di Antonio Rosmini e sua armonia colla Dottrina Cattolica con un’appendice sull’ordinamento dello studio teologico, Lettere, Verona, Tip. Antonio Frizierio, 1859.
  1. Ragione e modo d’insegnar a leggere e scrivere cominciando dalle intere parole,in «L’Istitutore», anno XV, Torino, 1867.
  1. I sei discorsi tenuti da don Sebastiano Casara nella chiesa parochiale dei SS. Gervasio e Protasio in Venezia per la missione contro gli evangelici bandita dall’eminente Card. Patriarca con Pastorale del XXIX maggio MDCCCLXVIII e cominciata il dì 1 giugno,Venezia 1868.
  1. Sulla unità dello spazio e conseguentemente sugli Angeli come principio corporeo e sulla unità dell’Universo. Cenni di P. Sebastiano Casara delle Scuole di Carità in Venezia. “Il Campo dei Filosofi Italiani”, 8 (1871), tomo VII: 417-448. Estratto di p. 32.
  1. Il sistema filosofico rosminiano dimostrato vero nel suo principio fondamentale con lo studio e sviluppo di un solo articolo della Somma Teologica di San Tommaso D’Aquino, per Sebastiano Casara delle Scuole di Carità in Venezia, Venezia, nella Tipografia Gaspari, 1874. 88 p.
  1. Sul carattere battesimale studio di Sebastiano Casara delle Scuole di Carità di Venezia dedicato All’Eccellenza Reverendissima di M. Lorenzo Gastaldi arcivescovo di Torino, Treviso, Premiata Tipografia Litografia Istituto Turazza, 1876. 64 p.
  1. La Verità per la Carità, memoria del Prof. E. Fontana esaminata dal Rev. P. Sebastiano Casara, Lettera all’amico P…., Tipografia Arcivescovile Ditta Giacomo Agnelli, Milano, 1878.
  1. La questione «De cognitionis humanae suprema ratione» del serafico dottore S. Bonaventura tradotta ed annotata per Sebastiano Casara delle Scuole di Carità, Tipi di G. T. Vincenzi e nipoti, Modena, 1883.
  1. « Saggio di ricerca. Se, secondo l’Angelico, nell’intelletto umano v’abbia nulla di “innato” che sia “diverso” da esso intelletto, e possa e deva dirsi “divino”», La Sapienza, 5(1883), VIII, p. 41-48, 257-273. Torino, 1883. Estratto (1884), 69 p.
  1. 11.Alle quaranta rosminiane proposizioni col decreto Post Obitum condannate e note a tre articoli dell’Osservatore Romano, Seconda Edizione, Estratto dal Periodico “Il Rosmini”, Milano, Tipografia L. F. Cogliati, 1889. (anonimo, con sigla F.G. alla fine dell’introduzione e alla fine del libretto)
  1. Il peccato originale secondo la dottrina cattolica. Tipografia Editrice del “Popolo Pistoiese”, Pistoia, 1892. 107 p. (anonimo)
  1. La “Scuola Cattolica” di Milano e un teologo rosminiano di Venezia. Polemica. La rassegna Nazionale, 16(1894), LXXVIII, pp. 419-426.

A parte queste pubblicazioni, ci sono diversi articoli in giornali e riviste, parecchi scritti anonimi o con uno pseudonimo e diversi scritti inediti, i cui testi manoscritti originali sono conservati nell’archivio storico della Congregazione. Nel complesso si tratta di quarantun saggi o articoli di carattere filosofico e/o teologico e cinque altri lavori. Una serie di tutto rispetto, tenuto conto anche del pochissimo tempo che Casara aveva a sua disposizione, preso com’era da mille altre occupazioni, cui lo chiamava il suo impegno di religioso, quasi sempre di superiore generale, e insieme il suo lavoro pastorale quotidiano nella scuola e fuori.

Al 2° capitolo provinciale ordinario del 14-16 settembre 1858 P. Casara riceve critiche anche per la sua attività di filosofo. Dopo il capitolo comincia a preparare una seconda pubblicazione che uscirà nel 1859. 

La prima pubblicazione di P. Casara, La luce dell’occhio corporeo e quella dell’intelletto, ricevette, oltre all’incoraggiamento e all’attenta revisione da parte del Missiaglia e oltre a numerose lettere di appoggio e di apprezzamento di amici, colleghi e stimatori, una recensione abbastanza moderata (ma non senza un po’ di veleno nella corrispondenza successiva da parte dei nemici del Rosminianesimo) di P. Matteo Liberatore SJ nell’importante rivista “La Civiltà Cattolica” di Roma, in due articoli successivi, a proposito e contro la pubblicazione suddetta di P. Casara. Liberatore all’inizio loda la finezza dell’autore F.P.V. e il suo amore per la verità, ma ne rifiuta le idee con fermezza. Afferma che l’autore sconosciuto è libero di pensare ciò che vuole, ma non può dire che la dottrina rosminiana relativa all’identità tra la luce della ragione e l’idea Innata è la stessa di quella di S. Tommaso d’Aquino. Casara è accusato d’ontologismo. 

P. Casara scrive una lettera alla rivista e a P. Liberatore, ringraziandolo delle critiche e rivelando il senso del suo «pseudonimo artistico» F. P. V.; in questa lettera tenta – invece di polemizzare davanti al pubblico di intellettuali e ricercatori – di allacciare un dialogo personale con la rivista e con P. Liberatore, ma con scarsi risultati; ne riceve una risposta che possiamo definire agrodolce. Vi si avverte una completa incomunicabilità tra le due persone e le due posizioni. “Colpiscono, anche, da un lato la disarmante, quasi incredibile ingenuità di Casara, e dall’altro – nella lettera di Liberatore –un certo atteggiamento tipico di chi si sente il solo possessore della verità, unito ad una sottile perfidia che giunge ad augurare all’interlocutore – sia pure a fin di bene – che la sua stessa preghiera gli si rivolti contro». 

“Sembra opportuno però ricordare le parole di chiusura dell’articolo, che costituiscono – a quanto ci risulta – l’unico giudizio mai espresso da “La Civiltà Cattolica” sulla persona di Casara: ‘L’aver poi noi per ben due volte fatto parola di questo lavoro di piccola mole è manifesto argomento che non ne riputiamo piccolo il merito; anzi queste poche pagine rivelano abbastanza il forte ingegno del loro Autore ed i gravi studii a cui dev’essere educato’ ”. 

Anche altri articoli e libricini prodotti da P. Casara nel primo periodo della sua intensa attività editoriale (1857-1859), in vista del concilio delle chiese venete, ricevettero un commento, piuttosto critico, da “La Civiltà Cattolica”. A questo intenso periodo segue un lungo tempo di silenzio del nostro nel campo delle pubblicazioni filosofiche, che si estende fino al 1870, forse in vista del nessun risultato ottenuto al suddetto concilio, per quanto riguarda l’accettazione da parte dei vescovi conciliari del sistema rosminiano come modello di metodo e di contenuti per l’insegnamento della filosofia e della teologia nei seminari del Veneto; ma certamente, a partire dal 1867, dalla soppressione della Congregazione delle Scuole di Carità – e di tutti gli altri istituti religiosi – e dall’incameramento dei loro beni da parte del Regno d’Italia, cui il Veneto era stato annesso nel 1866: Casara aveva ben altre preoccupazioni, più concrete della filosofia rosminiana!

Di quest’ultimo motivo del silenzio del nostro è testimone una sua lettera del 1863 al prete francese L. Morisier dove scrive: “Son così occupato nelle cose della Congregazione che non mi avanza tempo per altro, e sono ignaro affatto della stato della filosofia, e delle questioni del giorno, agitate pur con tutto il calore. 

Non leggo neppur periodico alcuno”. Analogamente scrive il Casara nella lettera del 22 novembre 1871 al P. Bonaventura Blessich (probabilmente un cappuccino, operante tra Milano e Genova, omileta e scrittore di filosofia e di ecclesiologia): “Occupatissimo io da molti anni, e specialmente in questi ultimi cinque, in cose di ministero e di Congregazione, non trovo tempo per applicarmi a cose di studio, se non a ritagli: ed è per questo ch’io non leggo periodici, non veggo opere nuove, non conosco questioni e polemiche, e mi vorrebbe troppo per potermi assicurare di averne bene inteso qualcuna, e molto più ancora per giudicarne”. Casara però in questi anni aveva abbozzato vari lavori, che in parte furono pubblicati più tardi, quando ebbe un po’ di respiro.

Un altro motivo che impediva al nostro di pubblicare i suoi lavori, era la mancanza di numerario, cronica (fino ad oggi) nell’Istituto Cavanis, con le sue scuole gratuite, ma più grave in quegli anni difficili a causa dell’incameramento dei beni.

P. Casara doveva anche ricordarsi, e lo faceva spesso, che era religioso e per di più preposito della sua Congregazione; sentiva tutta la responsabilità di non creare problemi alla stessa, particolarmente essendo (dal 7 april1862 al 28 april1877) patriarca di Venezia Giuseppe Luigi card. Trevisanato, un vescovo integralista che dell’abate Rosmini non voleva ascoltare non soltanto le dottrine, ma neanche che se ne pronunciasse il nome: Casara ne fu avvertito in anticipo dall’amico udinese Luigi Fabris, ma ebbe motivo di dolersi di aver preparato (probabilmente nel 1864) una voce sul Roveretano per l’Enciclopedia Ecclesiastica, in preparazione a Venezia, voce che venne totalmente censurata ed esclusa dal patriarca. Era quello un tempo in cui “la depressione culturale veneziana e veneta toccava il più basso e avvilente livello.”

L’anno 1858 è caratterizzato da diversi avvenimenti: la morte santa di padre Anton’Angelo Cavanis, la riorganizzazione della Congregazione Mariana a Venezia da parte di P. Casara, un capitolo provinciale. Ancora del 1858 (9 gennaio) è una lettera diretta a P. Casara dall’Ispettore generale in capo delle scuole elementari delle provincie venete, in cui gli comunica che “Poiché Ella è stato riconosciuto abile all’ufficio di Direttore di una scuola elementare maggiore, per l’autorizzazione dell’eccellentissima imperial regia Luogotenenza col riverito Dispaccio 24 Dicembre prossimo passato n. 41615 viene col presente Decreto nominato Direttore della pia Scuola elementare Magg. dei reverendi padri conti Cavanis. (…).”

Durante quest’anno e nel seguente, del 1861, Casara fu rieletto ancora una volta preposito, stavolta con qualche difficoltà sempre nel quadro delle critiche sulla situazione creata dall’apertura della casa di Possagno. 

Il 1859 fu un anno speciale per il nostro: una “stagione ricca di speranze”. “Fu l’anno del concilio provinciale delle chiese che sono a Venezia e nel Veneto, che si celebrò a Venezia dal 18 ottobre al 4 novembre, in ritardo rispetto alla programmazione, a causa della guerra intercorsa fra il Piemonte-Sardegna (con la Francia come alleata) e l’impero d’Austria nei mesi da aprile a luglio dello stesso anno. 

Tale concilio deve essere situato nel quadro delle analoghe assemblee episcopali celebrate in molte regioni nel decennio 1849-1859, che suscitarono in Italia un ampio e valido dibattito. “Al nostro non sfuggì l’importanza di questa assise che avrebbe influenzato la vita pastorale veneta di tutta la seconda metà dell’’800; nel concilio egli vide, soprattutto, l’occasione decisiva per quella riforma degli studi filosofici e teologici nei seminari di cui coglieva, con sensibilità tutta rosminiana, l’estrema urgenza. ‘Guai se quegli Angeli della Chiesa – scriveva Palatini a Casara nella primavera del ’59, in una delle numerose lettere scambiate con lui su tale problema – non intendessero bene l’importanza di questi supremi momenti, che possono decidere della sorte di chi sa quante generazioni’ ”.

Casara ne è un importante organizzatore e consigliere e comincia a partecipare ai lavori dal mese di marzo, come membro della commissione per gli studi preparatori, nel campo dei problemi della fede, e poi come teologo durante le sessioni del concilio. Risulta essere un uomo di chiesa molto stimato in questa attività, influente e capace. Partecipa al concilio in qualità di teologo del patriarca di Venezia Angelo Ramazzotti, rivestendo un ruolo importante soprattutto nelle prime tre sessioni, sul tema della fede. 

Maria Leonardi rende noto come, nella fase di preparazione del Concilio, Casara partecipò anche in modo di influire in anticipo i dibattiti e le conclusione dell’assise ecclesiale, con la pubblicazione di un opuscolo a suo nome come curatore: “Esposizione del principio filosofico di Antonio Rosmini e sua armonia colla dottrina cattolica, con un’appendice sull’ordinamento dello studio teologico. Lettere”. 

Il libretto conteneva varie lettere di suoi corrispondenti, con un commento, e particolarmente una di P. Francesco Paoli. Casara inviò di sua iniziativa e a sue spese l’opuscolo a tutti i vescovi del Veneto, suggerendo loro di farlo esaminare da esperti, e sperando che detto opuscolo servisse di base per i lavori del concilio. Il che sembra non essere avvenuto. Del resto, si trattava di una vana speranza, perché già prima della solenne adunanza generale, la commissione suprema aveva deciso di ripristinare in tutti i seminari della regione il tomismo puro e il metodo scolastico, e di ignorare o sopprimere il metodo e l’ordinamento proposti dal Rosmini. Casara, in tale suo proposito, aveva fallito.

In questo Concilio triveneto P. Casara fu nominato dal patriarca Angelo Ramazzotti anche confessore dei partecipanti di questo concilio o sinodo, con una lettera datata dell’11 ottobre 1959, firmata dal patriarca (+ Angelus Patriarcha) e controfirmata dal cancelliere patriarcale, il solito Canonico monsignor Giovanni Battista Ghega. Casara è il sesto (su sei) confessore indicato nella lista contenuta nella lettera suddetta. Era senza dubbio una carica prestigiosa e di grande fiducia, finora, credo, non segnalata. Il patriarca nella lettera dà ai suddetti sei confessori, diciamo così, sinodali, il potere di assolvere i peccati riservati.

Al Concilio partecipò, come secondo rappresentante della Congregazione, anche il P. Giambattista Traiber, rettore a quel tempo della casa di Lendinara, su nomina del preposito Casara, comunicata debitamente alla Curia Patriarcale di Venezia. 

P. Casara ricoprì anche altri incarichi nella chiesa che è a Venezia: fu esaminatore sinodale per il sinodo diocesano di Venezia del 1965, censore ecclesiastico, esaminatore in vari concorsi per prebende ecclesiastiche; nominato “membro della Consulta, che [il Patriarca] ricostituisce, sul ministero della sacra predicazione”. Neppure il patriarca Domenico Agostini, notoriamente intransigente, “poté sottrarsi alla stima per le virtù di un tal uomo, sebbene si dolesse del suo rosminianismo, come si vedrà.

Casara collaborò con la chiesa che è in Venezia e pure altrove nel Veneto anche in altri modi: fu stimato confessore di vari conventi e monasteri di suore e monache, predicò ritiri ed esercizi spirituali per conventi maschili e femminili e per seminari di varie diocesi. Fu direttore e consigliere spirituale di molti, laici, religiosi e preti. Ricordiamo il particolare questa sua opera in favore di alcune persone più distinte, ricordate nella Positio: la direttrice dell’Istituto Solesin, Teresa Tagliapietra; don Giovanni Maria Berengo, poi vescovo di Adria e di Mantova, e in seguito arcivescovo di Udine; la beata Gaetana Sterni, fondatrice della Congregazione delle Suore della divina Volontà a Bassano (Vicenza); collaborò con il parroco della parrocchia della Madonna del Rosario, vulgo dei Gesuati, don Giuseppe Solesin, nella fondazione dell’Istituto omonimo per le ragazze povere e abbandonate della parrocchia. 

Come nota Maria Leonardi, la cerchia dei suoi amici e corrispondenti, soprattutto nel campo rosminiano e anche tra gli stessi religiosi rosminiani, ma poi in genere tra molte persone colte, divenne sempre più ampia; più numerose erano via via le persone che gli scrivevano, o che a Venezia lo visitavano e lo consultavano, o gli sottoponevano scritti da pubblicare chiedendo la sua revisione o il suo consiglio. Tutti lo amavano per la sua disponibilità e per l’amabilità nella conversazione. Tali lunghe conversazioni, frequenti visite, la fitta corrispondenza, gli toglievano molto tempo, non si sa veramente come riuscisse a combinare le sue attività di superiore generale, la scuola impartita sia ai chierici filosofi e teologi Cavanis, sia ai ragazzi delle scuole con queste attività esterne; e senza dubbio questo insieme di attività diciamo extra-curricolari, ossia non previste dai suoi compiti di religioso, davano fastidio ad alcuni suoi confratelli meno caritatevoli e/o meno portati alla cultura; come si vedrà in seguito.

Il fatto è che il Casara aveva un’idea più larga e più generosa di costoro sull’essere religioso e sull’essere Cavanis: il suo spirito e la sua prassi ben corrispondevano, in anticipo, all’articolo 51 delle Costituzioni del 2008della Congregazione delle Scuole di Carità che recita: “L’azione educativa è potenziata dal carisma dell’Ordine sacro. I congregati sacerdoti sono consacrati testimoni e portatori della Parola di Dio anche in ogni forma di ricerca e di trasmissione della cultura. Inoltre, per titolo speciale di paternità, sono i confidenti discreti e pazienti, gli animatori ottimisti, il segno della speranza anche quando è difficile sperare.”

Questo articolo delle costituzioni dunque “afferma che c’è spazio per i religiosi Cavanis “anche in ogni forma di ricerca e di trasmissione della cultura”. Si tratta non solo della “trasmissione della cultura”, cioè dell’insegnamento, ma anche della produzione del sapere, cioè della ricerca. È bene ricordare che vi è una nobile tradizione nella nostra Congregazione nella produzione della cultura in molti campi, soprattutto in quelli filosofici e scientifici, ma anche letterari e artistici; vi è anche una tradizione di produzione da parte dei Cavanis di libri di testo, manuali, dizionari, antologie e altri diversi libri per la gioventù e per l’insegnamento, dal tempo dei nostri Fondatori e fino a tempi abbastanza recenti.” . Casara è stato senza dubbio un esempio chiarissimo di questo principio e di questa prassi.

Altre sue caratteristiche, anche nel campo della sua attività filosofica, erano quelle della carità e della ricerca pura della verità. Citeremo qui Maria Leonardi:

“Se una nota può essere indicata a caratterizzare lo stile del nostro autore in tutti i suoi interventi – talvolta anche polemici – in favore della causa rosminiana, non vi è dubbio che essa è la carità; e a un atteggiamento moderato e rispettoso di tutti, anche degli avversari, Casara richiamò costantemente chiunque fosse con lui in relazione, sostenendo che “il risentito, il pungente, l’ironico”, oltre a risultare controproducente, “non è bene in se stesso, perché la vera sapienza è dell’indole stessa della carità”.

Non meno vivo fu in lui l’assoluto rigore nella ricerca della verità: dote che egli stesso si riconosceva, attribuendola alla propria formazione rosminiana.

Proprio in questo stile di apertura, di libertà (che gli costerà cara) e di verità, P. Casara, tra l’altro, mantenne contatto per almeno due decenni con il P. Matteo Liberatore: il 5 gennaio 1880 gli invia due suoi opuscoli filosofici. Farà lo stesso con il papa e a dieci cardinali, il 9 gennaio successivo.

Nel 1859 si apre anche il primo noviziato formale dell’Istituto Cavanis a Possagno. La sede era molto più adeguata rispetto a Venezia.

Al capitolo provinciale del 1861, tra le altre cose si è discusso della possibilità di eliminare le sopraggiunte della veste, per ritornare alla semplicità originaria auspicata dai fondatori. P. Sebastiano era chiaramente propenso a rimettere la veste semplice, quella degli inizi dell’Istituto, senza la “pazienza” e il “bavero”. Ma veste non subirà modifiche. Casara chiese di non essere più eletto preposito, ma fu rieletto nuovamente.

Nel 1862, dopo una settimana di ritiro in solitudine in campagna, Casara annuncia le sue dimissioni che voleva dare ufficialmente alla fine dell’anno scolastico 1862-63, non si sa con certezza il perché. Sfortunatamente (e un po’ misteriosamente) la frequente corrispondenza sul tema con i confratelli di Lendinara è andata perduta. Probabilmente i motivi delle sue dimissioni erano legati alla questione di Possagno e alle critiche per i suoi studi di filosofia rosminiana da parte di alcuni confratelli.

Il 2 giugno 1863 Casara provvede all’unione della sezione femminile dell’Istituto con le suore canossiane. Il peso economico dell’Istituto femminile era difficile da sostenere per la sezione maschile e per il preposito. Inoltre durante i suoi 55 anni di vita il ramo femminile non aveva raggiunto né un’autonomia né un’indipendenza proprie e dipendeva in toto dai padri sotto tutti gli aspetti. Dopo la lettura del decreto del card. patriarca Angelo Trevisanato, l’unione diventa effettiva e le religiose Cavanis indossano la veste delle Canossiane. Anche il bellissimo complesso di edifici, conventuali delle “Romite”, con i tre chiostri e la bella chiesetta passano alle Canossiane. 

Questo decreto del patriarca Trevisanato fu citato molto più tardi dal P. Giovanni Chiereghin nel Diario di Congregazione, il 22 settembre 1902, con questa importante nota:

“Lunedì /22/ Finalmente! Sopra le porte dell’Istituto Canossiano a S. Trovaso fu posta l’iscrizione: Istituto delle figlie della carità – dette Canossiane – fondato – Dai R.R. P.P. Conti Cavanis – È un principio di riparazione alla dimenticanza totale del Decreto di Sua Em. Trevisanato, il quale quando avvenne la fusione del nostro Istituto femminile colle Canossiane avea ordinato che quell’Istituto dovesse chiamarsi in perpetuo = Istituto Cavanis = Quando verrà eletta la Superiora Generale delle Canossiane, dalla parte nostra si farà tutto il possibile perché il Decreto del Trevisanato abbia in questa parte tutta la sua forza.” Purtroppo, a memoria di chi scrive, da almeno 60 anni l’iscrizione di cui sopra è scomparsa, e non c’è nessun riferimento ai Cavanis negli ambienti esterni e interni dell’Istituto canossiano, nonostante i rapporti tra i due istituti siano sempre stati ottimi, e nonostante i PP. Cavanis abbiano continuato fino almeno al 2005 a servire di S. Messa e delle confessioni e altri servizi liturgici e spirituali quell’istituto di suore.

Nel 1863 si è obbligati a celebrare un capitolo straordinario a Venezia all’inizio di settembre, date le dimissioni del preposito. In effetti, P. Casara rinuncia alla rielezione per umiltà, forse anche per dedicarsi all’insegnamento e allo studio in tranquillità, ma senza dubbio anche per le difficoltà richiamate sopra. Il padre Giambattista Traiber è eletto all’unanimità preposito generale (1863-1866).

Nei tre anni seguenti questi funge dunque da preposito generale. P. Sebastiano è eletto primo consigliere generale (si chiamava allora “definitore” il consigliere generale e “definitorio” il consiglio generale sino al 1971), e vicario. Accetta con difficoltà e rinuncerà alle cariche di definitore e vicario l’anno successivo, 1864. 

In effetti, P. Casara aveva delle difficoltà a concordare con la politica del nuovo preposto, P. Traiber: questi era sempre contrario alla nuova casa di Possagno, aveva trasferito due religiosi da quella casa a Lendinara; l’esecutore testamentario che era il nobile Filippo Canal, protestava fermamente per la diminuzione del personale per la casa in cui lui e i suoi collaboratori avevano tanto investito (con i fondi dell’eredità Canova) per la costruzione di scuole, cappella, noviziato e biblioteca e vedendo adesso affievolirsi l’opera e quasi chiudere a causa della scarsità di religiosi.

Nel 1866 un avvenimento disastroso, di carattere in parte naturale ma provocato da attività antropica, quasi prodromo del “terremoto” politico che stava per scuotere dalle fondamenta la Congregazione e le sue case, come pure tutti gli altri istituti religiosi del Veneto, causò seri problemi all’Istituto e quindi anche al P. Casara che ne era superiore. 

La fuoriuscita di un getto d’acqua, sabbia, fango e gas durante la trivellazione di un pozzo artesiano per uso di una birreria situata a fianco all’Istituto, in campo Sant’Agnese, e molto vicina al muro portante laterale destro della chiesa omonima, di proprietà dell’Istituto, causò seri problemi alla statica della chiesa stessa, il cui muro perimetrale sud, verso il campo S. Agnese, soffrì di ampi squarci. L’eruzione rese pericolanti anche molte altre case attorno al campo stesso. Era l’11 aprile 1866. Questa sventura si abbatté solo dodici anni dopo la riapertura della chiesa da parte dell’Istituto; la fuoriuscita durò sette ore e il getto arrivò all’altezza di quaranta metri. La chiesa, la cui stabilità strutturale era stata adesso compromessa, soprattutto nell’abside e nel muro esterno della navata destra verso il Campo S. Agnese,fu chiusa ancora una volta. 

P. Servini nella Positio commenta così l’evento. “Nel timore di un crollo, da taluni si pensava fosse opportuno asportare dal loro sepolcro le salme dei due Servi di Dio. Ma il p. Casara invitò tutti ad aver fede: «Lasciatevi pure — egli disse — i nostri due padri, che ne facciano la sentinella». Il fatto sta che la chiesa rimase in piedi, sebbene vetusta, ma si dovette chiuderla al culto. Tra il popolo corse voce che la cessazione dell’emissione gassosa si dovesse all’intercessione dei due padri fondatori: così almeno deposero nel processo diocesano la teste Luigia Balestrini vedova Benvenuti (sessione XV, 8 aprile 1920), e la teste Giovannina Sonzogno vedova Fontanella (sess. XXI, 10 giugno 1920)”.

Maturavano intanto eventi ben più dolorosi. Nel capitolo locale della casa di Venezia, celebrato irregolarmente come se fosse un capitolo provinciale elettivo, il 1o settembre 1866, subito dopo la guerra, P. Giovanni Battista Traiber non volle saperne di essere rieletto, né di attendere almeno che passassero gli eventi del dopoguerra. Era molto stanco del governare, e probabilmente subodorava e temeva ciò che stava per accadere.

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