Titolo: L’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MAGISTERO DI PAOLO VI – Lettura Teologico-Pastorale di Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi
Autore: Mouyéké Misère Tiburce Barbeault
Numero di pagine: 121
Lingua: ITALIANO
Stampa: 2024
Parole Chiave: Evangelizzazione, Vangelo, Paolo VI, Magistero, Missione, Propaganda Fide, Chiesa, Concilio Vaticano II, Ecumenismo, Nuova Evangelizzazione, Comunità ecclesiale, Gaudete in Domino, Evangelii Nuntiandi, Evangelica Testificatio, Dialogo interreligioso, Laici, Carità, Catechesi, Testimonianza cristiana, Giovanni XXIII.
Riassunto: Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi. Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi.
2.3 L’ANNUNCIO DEL VANGELO IN
EVANGELII NUNTIANDI
: NUOVA COMPRENSIONE TEOLOGICA DEL CONCETTO DI MISSIONE
2.3.1 LO SFONDO STORICO-ECCLESIALE DEL DOCUMENTO
Evangelii Nuntiandi è il titolo latino dell’Esortazione Apostolica post-sinodale di Papa Paolo VI sull’Evangelizzazione. Fu pubblicata l’8 dicembre 1975. Nelle prime tre parti dell’esortazione, il Papa presenta la sua intenzione riguardo al compito ecclesiale di evangelizzazione: “dal Cristo evangelizzatore alla Chiesa evangelizzatrice”²⁵², “il significato di evangelizzare”²⁵³ e “il contenuto dell’evangelizzazione”²⁵⁴. In particolare il Papa precisa la sua idea di evangelizzazione radicandola dentro la missione di Gesù, che è di portare il vangelo del Regno agli uomini.
L’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi segnò proprio nel 1975 un passaggio decisivo della Chiesa agli esperimenti della pastorale catechista, alla prova di nuove forme di vita comunitaria, alla partecipazione dei laici alla vita della Chiesa, al ripensamento della pastorale d’insieme.
Il documento porta al suo centro l’intenzionalità missionaria con la prospettiva stupenda dell’evangelizzazione della cultura e delle culture dell’uomo: “Evangelizzare, infatti, costituisce la vera e propria vocazione della Chiesa, la sua identità più profonda.”²⁵⁵ Questo documento mette in evidenza l’ambito dell’evangelizzazione: non è solo nella missione della Chiesa di predicare Cristo a coloro che non lo conoscono, ma anche il “diffondere, consolidare, nutrire e far sempre più maturare la fede di coloro che già sono fedeli o credenti.”²⁵⁶
Tra i mezzi dell’evangelizzazione, vi è la predicazione: “semplice, chiara, diretta, ben adattata, e profondamente legata all’impegno del Vangelo e fedele al magistero, animata da un equilibrato ardore apostolico, […] piena di speranza, fede coraggiosa e quando produce pace e unità.”²⁵⁷
La cultura invece è oggetto di evangelizzazione: “occorre evangelizzare, non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici, la cultura e le culture dell’uomo.”²⁵⁸
2.3.2 DAL CRISTO EVANGELIZZATORE ALLA CHIESA EVANGELIZZATRICE
Gesù è il primo evangelizzatore. “Lo è stato fino alla fine: fino alla perfezione e fino al sacrificio della sua vita terrena.”²⁵⁹ Infatti, Gesù lo ha detto chiaramente: “Per questo sono stato mandato.”²⁶⁰ Si ricorda che, “il Cristo annunziò prima di tutto un Regno, il Regno di Dio, il quale è tanto importante, rispetto a lui, che tutto diventa il resto, che è dato in aggiunta. Solo il Regno è dunque assoluto e rende relativa ogni altra cosa.”²⁶¹
Gesù paragona il Regno a un seminatore, a un grano di senapa, al lievito, a un tesoro, a una perla preziosa o a una rete, a una vigna, a un fico, a un banchetto.²⁶² Questo linguaggio metaforico si rivela efficace perché aiuta a comprendere immediatamente le diverse caratteristiche del Regno: la gratuità, il vero volto di Dio, la necessaria risposta dell’uomo nella fede, la missione di Gesù.²⁶³
Nel discorso della montagna per esempio, Gesù dà al popolo la nuova legge, la buona notizia del Regno di Dio.²⁶⁴ Tutti, dai poveri ai perseguitati per la giustizia, possono dirsi beati, perché è giunto loro il Regno di Dio.²⁶⁵
Nell’ultima cena, Gesù parlò esplicitamente del Regno: “da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il Regno di Dio.”²⁶⁶ Gesù stesso è il Regno di Dio, perché con la sua vita terrena mostra che cosa succede quando Dio regna: “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia.”²⁶⁷ Essendo il Regno di Dio, la Chiesa è il suo corpo.
Il Concilio Vaticano II insegna: “il Regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, figlio di Dio e figlio dell’uomo.”²⁶⁸ Paolo VI scrisse: “Come nucleo e centro della Buona Novella, il Cristo annunzia la salvezza, dono grande di Dio, che non solo è liberazione da tutto ciò che opprime l’uomo, ma è soprattutto liberazione dal peccato e dal Maligno, nella gioia di conoscere Dio e di essere conosciuti da lui, di vederlo, di abbandonarsi a lui…”²⁶⁹
L’evangelizzazione riguarda l’annuncio della salvezza. Ma la salvezza viene compiuta per mezzo della fede di chi accoglie gli insegnamenti di Cristo. Gesù ha instancabilmente predicato la fede dicendo addirittura: “Chi crede nel Figlio ha vita eterna.”²⁷⁰ Ma la fede è sempre accompagnata dalle azioni che la testimoniano.
È notevolmente importante ricordare che, Gesù non si è limitato solo a parlare della liberazione dal regno del male. Nell’ultima cena, Gesù formula il comandamento nuovo, che dovrà caratterizzare la comunità da lui fondata: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati.”²⁷¹ La novità di questo precetto di amore consiste nelle parole: “come io vi ho amati.” Il “come” indica nel Maestro il modello che deve essere imitato dai discepoli.
2.3.3 A PREZZO DI UNO SFORZO CROCIFIGGENTE
Il Regno di Dio e la salvezza, “ciascuno li conquista mediante un totale capovolgimento interiore che il vangelo designa col nome di metanoia, una conversione radicale, un cambiamento profondo della mente e del cuore.”²⁷² Infatti il Cristo insegna: “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.”²⁷³ La meta necessaria per il compimento della sua missione è il Calvario.
L’annuncio del vangelo include quello del mistero del Calvario, la morte sulla croce come espressione di amore vero per l’uomo e la sua salvezza. Il Padre celeste, per condannare il peccato e giustificare i peccatori, ha trattato suo Figlio “da peccato”²⁷⁴ e lo ha reso per noi “maledizione.”²⁷⁵
La croce non può essere colta in tutto il suo valore senza riferimento alla risurrezione. Le riflessioni quindi che propongo sul rapporto croce e salvezza devono essere intese nell’orizzonte dell’evento pasquale che rappresenta il frutto della fedeltà all’amore esercitato da Gesù “sino alla fine.”²⁷⁶ Tuttavia la sua connessione con la risurrezione non annulla il valore autonomo della croce.
Il Nuovo Testamento presenta la croce come evento di salvezza: “la parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi è potenza di Dio.”²⁷⁷ Per questo, San Paolo scrisse ai fedeli di Corinto e disse “di non sapere altro che Cristo e questi crocifisso.”²⁷⁸
Ai Filippesi, l’apostolo Paolo fece ricordare che “molti…si comportano da nemici della croce di Cristo”²⁷⁹ perché ponevano fiducia salvifica nelle opere della legge e non nella giustizia “che deriva dalla fede di Cristo.”²⁸⁰
La passione di Gesù però, dà un senso anche al dolore e alla sofferenza. Nel vangelo di Giovanni leggiamo che, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.”²⁸¹ In questo modo Gesù Cristo, il Figlio di Dio, si è unito alla passione di ogni essere umano.
Per salvare l’uomo, Gesù ebbe scelto liberamente la via della croce che culmina nella risurrezione. Non è tuttavia la sofferenza di Cristo che redime l’uomo dal male, ma il suo amore per l’uomo. San Paolo scrisse ai Galati: “Cristo mi ha amato e ha dato sé stesso per me.”²⁸² Questa è infatti la volontà di Dio che Cristo accolse e mise in pratica: amare fino alla fine, accettando anche il calice della passione.
2.3.4 LA PREDICAZIONE INSTANCABILE DI GESÙ
La predicazione di Gesù fu instancabile, non si trova l’eguale in nessuna altra parte: “Ecco una dottrina nuova insegnata con autorità!”²⁸³. “Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”²⁸⁴; e dicevano: “Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!”²⁸⁵. Le sue parole svelano il segreto di Dio, il suo disegno e la sua promessa, e cambiano perciò il cuore dell’uomo e il suo destino.
L’autorità e la verità con cui Gesù predicava nascevano dal suo singolare rapporto con il Padre: “Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa”²⁸⁶. Invece gli scribi e gli altri interpreti spiegano ciò che ha detto un altro. Essi non hanno l’autorità che viene da Dio, a differenza del profeta che pronuncia una parola di salvezza specificatamente e innanzitutto per gli uomini del tempo in cui vive.
L’autorevolezza di Gesù fu accentuata attraverso i gesti e la loro interpretazione simbolica nelle comunità dei credenti²⁸⁷. Tra i diversi racconti che includono atteggiamenti e gesti autorevoli, spiccano i miracoli che mostrano le caratteristiche di una gestualità autorevole. Alla suocera di Simon Pietro, il Signore visitala e guariscila “sollevandola e prendendola per la mano”²⁸⁸. Similmente, l’autorevolezza del gesto, per nulla magico, si ripete sui tanti ammalati che lo attendono alla porta della città²⁸⁹.
L’evangelista Giovanni sottolinea come la rivelazione cristologica si evidenzia nel grido autorevole di Gesù, che invita i credenti ad andare lui: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me”²⁹⁰. Similmente, nell’ultimo discorso prima della passione, il Signore gridò a gran voce: “Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato”²⁹¹. Il potere di Gesù venne usato solo al servizio dell’unico e vero bene per l’uomo.
La predicazione di Gesù appartiene a una logica opposta a quella del mondo e del maligno. Il demonio presente nell’ossesso grida all’avvicinarsi di Gesù: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?”²⁹². Queste espressioni indicano la totale estraneità tra Gesù e il maligno; tra loro non c’è nulla in comune; sono uno opposto all’altro.
Gesù è anzitutto il Maestro e la sua predicazione consisteva nell’insegnare una dottrina radicalmente nuova. Gesù è chiamato rabbì e tale si definisce²⁹³. È un rabbì che parla in pubblico, come facevano i maestri di Israele: nelle sinagoghe, nelle piazze, nel tempio. Gesù è un Maestro circondato dai discepoli. Egli sceglie i suoi discepoli²⁹⁴ a differenza degli altri rabbì in Israele, che predicavano in determinati luoghi pubblici e accoglievano nella loro scuola solo chi era idoneo per la legge.
Gesù è il Maestro autorevole, perché insegna come uno che ha autorità, e non come gli scribi. È un Maestro che si erge non col potere dell’autorità, ma con l’autorità dell’autorevolezza²⁹⁵. La radice del suo insegnamento è trascendente perché collegato con la relazione di Cristo al Padre²⁹⁶.
2.3.5 LA MISSIONE EVANGELIZZATRICE DI GESÙ CON SEGNI EVANGELICI
Proclamando il Regno di Dio, “Gesù compie innumerevoli segni”²⁹⁷ che formano lo stupore delle folle che trascinano verso di lui per vederlo, ascoltarlo e lasciarsi trasformare da lui: “i malati sono guariti, l’acqua è cambiata in vino, il pane è moltiplicato, i morti ritornano alla vita”²⁹⁸.
Tra tutti, il segno al quale Gesù dà una grande importanza: “i piccoli, i poveri sono evangelizzati”²⁹⁹, e diventano suoi discepoli, si riuniscono nel suo nome nella grande comunità di quelli che credono in lui.
Gesù compie la rivelazione, completandola e confermandola con ogni manifestazione che fa di sé medesimo, mediante le parole e le opere, i segni e i miracoli, e più particolarmente mediante la sua morte, la sua risurrezione e l’invio dello Spirito di verità³⁰⁰. I miracoli o segni che Gesù compie rendono presente il Regno di Dio sulla terra e sono ordinati strettamente alla chiamata alla fede.
La chiamata alla fede appare come un coefficiente indispensabile e sistematico dei miracoli di Cristo. Questa riflessione trova la sua conferma nelle parole di Elisabetta a Maria durante la visitazione: “E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore.”³⁰¹ Maria ha creduto come nessun altro, essendo convinta che “nulla è impossibile a Dio”³⁰².
Un altro segno della presenza del Regno di Dio sulla terra è il miracolo a Cana di Galilea. Questo evento in anticipo, è in un certo senso, l’ora del rivelarsi di Cristo. Per l’intercessione di Maria si è compiuto quel primo miracolo-segno, grazie al quale i discepoli di Gesù credettero in lui³⁰³.
I miracoli di Gesù sono il segno della presenza del Regno di Dio. Il Regno di Dio è presente e operante nelle parole e le azioni di Gesù. Egli stesso sottolinea questa prima caratteristica del Regno: “Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il Regno di Dio”³⁰⁴.
La moltiplicazione dei pani e dei pesci è un altro segno della presenza del Regno di Dio sulla terra; i quattro vangeli ne parlano. Con sette pani e pochi pesciolini, Gesù sfamò quattromila uomini che non mangiarono da tre giorni per restare ad ascoltarlo³⁰⁵.
I vangeli parlano della resurrezione di Lazzaro e quella della figlia di Giairo. Si può aggiungere la risurrezione della figlioletta malata di uno dei capi della sinagoga³⁰⁶. La guarigione dell’emorroissa è un altro miracolo compiuto da Gesù³⁰⁷. Ovviamente anche la resurrezione di Gesù³⁰⁸ stesso è un miracolo, anche se non può essere paragonato alle altre resurrezioni presenti nei vangeli.
2.3.6 PER UNA COMUNITÀ EVANGELIZZATA ED EVANGELIZZATRICE
Il comando dato agli Apostoli, “Andate, proclamate la Buona Novella”, vale anche, sebbene in modo differente, per tutti i cristiani³⁰⁹. Questo rimanda a un dono, lo Spirito Santo. La sera di Pasqua, il Risorto venne incontro ai suoi nel cenacolo, soffiò su di loro, e dopo ebbe mostrato loro le mani e il fianco con i segni della sua crocifissione, disse loro: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”³¹⁰. Così la missione di Gesù continuò e si prolungò nella missione degli Apostoli.
Il comando missionario nella chiesa è una partecipazione che scaturisce dal dono pasquale e pentecostale di Gesù. Infatti, all’affermazione “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi,” l’evangelista Giovanni fa seguire il racconto di un gesto e di una parola di rinnovata creazione: “Alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo…’.”³¹¹
Luca, a volta, introduce la consegna missionaria con la rinnovata promessa: “Avrete forza dallo Spirito Santo.”³¹² La promessa si compie nel giorno di Pentecoste: “Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi”³¹³.
Sul mandato di evangelizzare il mondo, il Concilio Vaticano II insegna: “La chiesa peregrinante è missionaria per sua natura, […], per la sua immensa e misericordiosa benignità, liberamente creandoci e inoltre gratuitamente chiamandoci a partecipare nella vita e nella gloria, ha effuso con liberalità e non cessa di effondere la divina bontà, sicché lui, che di tutti è il creatore, possa anche essere tutto in tutti, procurando ad un tempo la sua gloria e la nostra felicità”³¹⁴.
Papa Montini scrisse che la chiesa “ha una viva consapevolezza che… annunziare la buona novella del Regno di Dio, si applica in tutta verità a lei stessa”³¹⁵. E San Paolo apostolo lo disse già prima di Paolo VI: “Per me evangelizzare non è un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se non predicassi il Vangelo!”³¹⁶. Il mandato di evangelizzare costituisce la missione essenziale della chiesa.
Ma la chiesa deve evangelizzare prima sé stessa. La “comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore”³¹⁷. La comunità dei credenti ha sempre bisogno di essere evangelizzata se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il vangelo.
Evangelizzando, la chiesa rimane per sempre inseparabile da Cristo. C’è “dunque un legame profondo tra Cristo, la chiesa e l’evangelizzazione…”³¹⁸. Il mandato di evangelizzare non si adempie senza la chiesa, né, e ancor meno, contro la chiesa.
2.3.7 IL SIGNIFICATO DELL’EVANGELIZZAZIONE
Paolo VI descrisse l’evangelizzazione con questi termini: “Evangelizzare, per la chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità, è, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: Ecco io faccio nuove tutte le cose. Ma non c’è nuova umanità, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del battesimo e della vita secondo il Vangelo. Lo scopo dell’evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore e, se occorre tradurlo in una parola, più giusto sarebbe dire che la Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri”³¹⁹.
Per il Papa, “l’evangelizzazione esprime anzitutto il compito globale dell’annuncio della parola di Dio ed è costituita da un processo complesso e dagli elementi vari: rinnovamento dell’umanità, testimonianza, annuncio esplicito, adesione del cuore, ingresso nella comunità, accoglimento dei segni, iniziative di apostolato”³²⁰.
L’evangelizzazione inizia con l’attaccamento personale del credente a Cristo Signore. Poi, l’evangelizzazione chiede innanzitutto di evangelizzarsi stesso. È prima con la vita, e non con le parole, che si testimonia Cristo: “Conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dei morti”³²¹.
Ci sono però delle sfide da affrontare mentre evangelizzando. San Pietro apostolo lo dice bene: “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”³²². Le parole talvolta mancano, soprattutto nelle situazioni in cui la fede è brutalmente rimessa in causa. Gesù lo sapeva bene e disse: “Quando vi condurranno davanti […] alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi e che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire”³²³. È innanzitutto la gratuità dei gesti dei cristiani e non l’interesse personale che dà credito alle parole che pronunciano.
Paolo VI dice di raggiungere gli strati dell’umanità evangelizzandoli e trasformandoli: “Per la chiesa non si tratta soltanto di predicare il vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza”³²⁴.
La rottura tra vangelo e cultura è senza dubbio il dramma dell’epoca moderna. Occorre quindi “fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella”³²⁵.
Il vangelo e l’evangelizzazione non si identificano certo con la cultura umana perché è l’uomo che deve convertirsi a Dio. Tuttavia, il Regno che il vangelo annunzia è vissuto dagli uomini vivendo nelle loro culture. Quindi, “indipendenti di fronte alle culture, il vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna”³²⁶.
2.3.8 LA TESTIMONIANZA DI VITA CRISTIANA E L’ADESIONE ALLA COMUNITÀ DEI CREDENTI
La testimonianza di vita è di carattere capitale mentre la chiesa compie la sua missione evangelizzatrice: “un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità d’uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono”³²⁷.
La fede dei cristiani che annunciano il vangelo deve essere una che irradia “alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede, e che non si oserebbe immaginare”³²⁸. Con la testimonianza senza parole, i cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere domande irresistibili, perché una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa.
Alla testimonianza di vita, tutti i cristiani sono chiamati e possono essere, sotto questo aspetto, dei veri evangelizzatori³²⁹. Ma la testimonianza di vita non deve essere la tappa finale dell’evangelizzazione. Bisogna annunciare il vangelo anche con le parole perché, “anche la più bella testimonianza non si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata, ciò che Pietro chiamava dare le ragioni della propria speranza”³³⁰. Si tratta di un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù.
L’annuncio del vangelo include la testimonianza accompagnata dalla parola di vita. “Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati”³³¹. Questo annuncio è il kerigma che costituisce il cuore dell’evangelizzazione. Ma l’annuncio del vangelo non si fa solo per comunicare la Buona Notizia di Gesù e il mistero pasquale; ne segue l’adesione alla vita comunitaria dopo l’annuncio. Per questo, Paolo VI dice:
“L’annuncio, in effetti, non acquista tutta la sua dimensione […] Ma più ancora, adesione al programma di vita, vita ormai trasformata, che esso propone. Adesione, in una parola, al Regno, cioè al mondo nuovo, al nuovo stato di cose, alla nuova maniera di essere, di vivere, di vivere insieme, che il vangelo inaugura. Una tale adesione, che non può restare astratta e disincarnata, si rivela concretamente mediante un ingresso visibile nella comunità dei fedeli. Così dunque, quelli, la cui vita si è trasformata, penetrano in una comunità che è di per sé segno di trasformazione e di novità di vita: è la chiesa, sacramento visibile della salvezza”³³².
L’evangelizzazione non finisce mai con la conversione dei neonati alla fede. “Chi è stato evangelizzato a sua volta evangelizza”³³³. Il mandato di Cristo agli apostoli e alla chiesa è di fare di tutte la nazione suo popolo. È “impensabile che un uomo abbia accolto la Parola e si sia dato al Regno, senza diventare uno che a sua volta testimonia e annunzia”³³⁴. L’evangelizzazione è una missione non mai conclusa, sino a che, nel mondo, ci sarà anche un solo spazio nel quale il vangelo non è risuonato. È una missione permanente.
2.3.9 IL CONTENUTO DELL’EVANGELIZZAZIONE
Paolo VI insegna che “Il contenuto dell’evangelizzazione è il messaggio che coinvolge tutta la vita umana. L’evangelizzazione comporta un messaggio esplicito, adattato alle diverse situazioni, costantemente attualizzato, sui diritti e sui doveri di ogni persona umana, sulla vita familiare senza la quale la crescita personale difficilmente è possibile, sulla vita in comune nella società, sulla vita internazionale, la pace, la giustizia, lo sviluppo; un messaggio, particolarmente vigoroso nei nostri giorni, sulla liberazione”³³⁵.
Il contenuto dell’evangelizzazione è il messaggio della liberazione dell’uomo. Lo dice Paolo VI: “La Chiesa, hanno ripetuto i vescovi, ha il dovere di annunziare la liberazione di milioni di esseri umani, essendo molti di essi figli suoi; il dovere di aiutare questa liberazione a nascere, di testimoniare per essa e di fare sì che sia totale. Tutta questa realtà non è estranea all’evangelizzazione in quanto missione della chiesa”³³⁶.
Il messaggio evangelico della liberazione è intrinsecamente legato a quello della promozione umana. La chiesa non può passare oltre le questioni drammatiche della liberazione dell’uomo. “Il suo messaggio di liberazione non avrebbe più alcuna originalità e finirebbe facilmente per essere accaparrato e manipolato da sistemi ideologici e da partiti politici. Essa non avrebbe più autorità per annunziare, come da parte di Dio, la liberazione”³³⁷.
Il messaggio della liberazione dell’uomo è sempre evangelico e non politico. Ancora lo dice Paolo VI: “Circa la liberazione, che l’evangelizzazione annunzia e si sforza di realizzare, bisogna dire piuttosto, essa non può limitarsi alla semplice e ristretta dimensione economica, politica, sociale o culturale, ma deve mirare all’uomo intero, in ogni sua dimensione, compresa la sua apertura verso l’assoluto, anche l’assoluto di Dio”³³⁸. Il contributo della chiesa alla liberazione è incompleto se trascura di annunziare la salvezza in Gesù Cristo³³⁹.
Secondo Paolo VI, “la chiesa collega ma non identifica giammai liberazione umana e salvezza in Gesù Cristo, perché sa per rivelazione, per esperienza storica e per riflessione di fede, che non ogni nozione di liberazione è necessariamente coerente e compatibile con una visione evangelica dell’uomo, delle cose e degli avvenimenti”³⁴⁰. Quindi non basta instaurare la liberazione, creare il benessere dell’uomo e il suo sviluppo, perché venga il Regno di Dio.
Il contenuto dell’evangelizzazione è anche il messaggio della giustizia. La chiesa insiste sull’urgenza di “edificare strutture più umane, più giuste, più rispettose dei diritti della persona, meno oppressive e meno coercitive, ma è cosciente che le migliori strutture”³⁴¹. Se non c’è una conversione del cuore e della mente di coloro che vivono le strutture più adeguate all’uomo, il messaggio del vangelo non potrà essere fruttuoso.
Il messaggio del vangelo è quello della pace. La “chiesa non può accettare la violenza, soprattutto la forza delle armi, […] la violenza chiama sempre la violenza e genera irresistibilmente nuove forme di oppressione e di schiavitù più pesanti di quelle dalle quali essa pretendeva liberare”³⁴². La violenza non è né cristiana né evangelica.
Il contenuto dell’evangelizzazione include anche la nozione della libertà religiosa. “La liberazione legata all’evangelizzazione, che mira ad ottenere strutture salvaguardanti le libertà umane, non può essere separata dall’assicurazione di tutti i fondamentali diritti dell’uomo, fra i quali la libertà religiosa”³⁴³. La libertà di religione è parte integrante delle dichiarazioni in favore dei diritti della persona e della socialità umana, continua³⁴⁴.
2.3.10 LE VIE DELL’EVANGELIZZAZIONE
La prima via dell’evangelizzazione è la testimonianza della vita. Il mondo ha bisogno di “evangelizzatori che gli parlino di un Dio che essi conoscano e che sia loro familiare”³⁴⁵. Inoltre, “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, […] o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”³⁴⁶.
L’evangelizzazione chiama il cristiano a “vivere di Dio nel mondo perché il mondo si apra a Dio. Bisogna quindi nello stesso tempo soffrire la chiusura radicale a Dio, che fa parte della logica del mondo, e partecipare all’instancabile apertura di Dio al mondo, che si compie nella persona e nel mistero di Gesù Cristo”³⁴⁷.
Un’altra via dell’evangelizzazione è la predicazione vivente: “Non è superfluo sottolineare, inoltre, l’importanza e la necessità della predicazione. Come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?”³⁴⁸.
Predicare vuol dire parlare per conto di Dio: “E disse loro: Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura… Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”³⁴⁹. Mediante la predicazione è possibile rendere partecipi tutti gli uomini all’operata dalla redenzione.
Un’altra via dell’evangelizzazione è la liturgia della parola: “Dal momento che la liturgia rinnovata dal Concilio ha molto valorizzato la Liturgia della Parola”³⁵⁰, sarebbe un errore non vedere nell’omelia uno strumento valido ed adattissimo di evangelizzazione.
Secondo il Concilio Vaticano II, la liturgia della parola è un’esperienza che avviene in diretta e non per sentito dire, perché “quando nella chiesa si legge la sacra scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella parola, annunzia il vangelo”³⁵¹.
La proclamazione della parola di Dio si declina con il mistero dell’assemblea liturgica. Questa non è un qualsiasi ritrovarsi insieme, ma un raccogliersi a motivo della parola di Dio che chiama, convoca, raduna tutti coloro che si lasciano interpellare da essa³⁵².
Un’altra via di evangelizzazione è la catechesi che va intimamente unita all’opera di evangelizzazione e non può prescindere da essa. È un compito rivolto in primo luogo ai vescovi, primi catechisti tra il popolo di Dio, perché primi responsabili della trasmissione della fede³⁵³.
L’insegnamento catechetico ha il contenuto vivo della verità che Dio ha voluto trasmetterci e che la chiesa ha cercato di esprimere in maniera sempre più ricca, nel corso della sua lunga storia³⁵⁴. Questo insegnamento della chiesa è impartito all’uomo per formare abitudini di vita cristiana e non per rimanere solamente intellettuale, nessuno lo contesterà³⁵⁵.
È proprio con l’insegnamento catechetico dato in chiesa, nelle scuole, nelle famiglie cristiane, con saggezza e competenza, sotto l’autorità e la guida dei vescovi che l’evangelizzazione si compie con efficacia. Bisogna però preparare buoni catechisti, istitutori e genitori, preoccupati di… La formazione cerca di abilitare i catechisti a trasmettere il vangelo a coloro che desiderano affidarsi a Gesù Cristo. La finalità della formazione richiede, pertanto, che il catechista sia reso più idoneo possibile a realizzare un atto di comunicazione: “scopo essenziale della formazione catechistica è quello di abilitare alla comunicazione del messaggio cristiano”³⁵⁶.
L’uso dei mass media è un’altra via dell’evangelizzazione. Secondo Paolo VI, “Nel nostro secolo, contrassegnato dai mass media o strumenti di comunicazione sociale, il primo annuncio, la catechesi o l’approfondimento ulteriore della fede, non possono fare a meno di questi mezzi come abbiamo già sottolineato”³⁵⁷.
Posti al servizio del vangelo, i mass media sono capaci di estendere quasi all’infinito il campo di ascolto della Parola di Dio, e fanno giungere la Buona Novella a milioni di persone³⁵⁸. I media sono sempre stati uno strumento essenziale per il compito dell’evangelizzazione.
I media offrono importanti benefici e vantaggi dal punto di vista religioso: offrono notizie e informazioni su eventi, idee e personaggi relativi alla religione. Sono veicoli di evangelizzazione e di catechesi. Offrono ispirazione, incoraggiamento e opportunità di culto a persone costrette nelle loro case o in Istituti³⁵⁹.
I media propri della chiesa dovrebbero impegnarsi a comunicare la pienezza della verità sul significato della vita umana e della storia, in particolare così com’è contenuto nella parola rivelata di Dio ed espresso dall’insegnamento del Magistero³⁶⁰.
Accanto alla proclamazione del vangelo fatta in modo generale, l’altra forma di annuncio del vangelo è quella “da persona a persona”³⁶¹. Questa forma è stata spesso praticata dal Signore nelle varie occasioni di incontro, come ad esempio: le conversazioni con Nicodemo, Zaccheo, la Samaritana, Simone il fariseo e con altri ed anche gli Apostoli³⁶². Non c’è in fondo un’altra forma di esporre il vangelo di maniera efficace, che trasmettere ad altri la propria esperienza di fede.
Il contatto di persona a persona come forma di annuncio mediante la quale la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da una parola del tutto straordinaria che egli riceve da un altro³⁶³. Bisogna incontrare le persone, conoscerle, stabilire una relazione con loro. Infatti, la bibbia dice: “Andate!”³⁶⁴.
I sacramenti della chiesa sono anche vie di evangelizzazione. “L’evangelizzazione non si esaurisce nella predicazione e nell’insegnamento di una dottrina. Essa deve raggiungere la vita”³⁶⁵. Si tratta della vita naturale alla quale l’evangelizzazione dà un senso nuovo, grazie alle prospettive evangeliche che le apre; e la vita soprannaturale, che non è la negazione, ma la purificazione e la elevazione della vita naturale. “Questa vita soprannaturale trova la sua espressione vivente nei sette sacramenti e nella loro mirabile irradiazione di grazia e di santità”³⁶⁶.
Il Concilio Vaticano II dichiara che, in quanto sacramento di Cristo, “la chiesa deve farsi pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli, con l’esempio della vita e la predicazione, con i sacramenti e gli altri mezzi della grazia, alla fede, alla libertà e alla pace di Cristo”³⁶⁷. Ne consegue la necessità, di un continuo e adeguato “rinnovamento”³⁶⁸, non solo in sé stessa, ma anche nel modo con cui si rende presente al mondo e vi annuncia il vangelo.
La pietà popolare è anche una via di evangelizzazione. Il Papa bresciano scrisse: “Qui tocchiamo un aspetto dell’evangelizzazione che non può lasciare insensibili. Vogliamo parlare di quella realtà che si designa spesso oggi col termine di religiosità popolare”³⁶⁹.
Paolo VI prosegue: “certamente la pietà popolare ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi, di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni culturali senza impegnare un’autentica adesione della fede. Può anche portare alla formazione di sette e mettere in pericolo la vera comunità ecclesiale. Ma se ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori”³⁷⁰.
Quello che conta per il Romano Pontefice è la fede dei piccoli. Per questo, “la carità pastorale deve suggerire a tutti quelli, che il Signore ha posto come capi di comunità ecclesiali, le norme di comportamento nei confronti di questa realtà, così ricca e insieme così vulnerabile”³⁷¹. Secondo Paolo VI, “Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo”³⁷².
Nella sua concretezza, la religiosità popolare è un antropologico approfondimento della religiosità come tale³⁷³. Con Paolo VI, la questione della religiosità popolare viene affrontata in forma così esplicita a livello di chiesa universale. Con Paolo VI, l’espressione religiosità popolare è entrata per la prima volta nel linguaggio del magistero pontificio³⁷⁴.
Ma bisogna considerare il fatto che nei tempi presenti, la scristianizzazione delle culture umane fa danno alla fede. Da una parte, molti la ignorano del tutto e non si curano di conoscerla o di farsene almeno un’idea; altri la ritengono una cosa del passato³⁷⁷. Dall’altra parte, c’è una crisi che è interna al cristianesimo in generale e alla chiesa in particolare: alcuni cristiani confessano di non credere più e di aver abbandonato da molto tempo ogni pratica religiosa; altri cristiani non sanno se credono o no; ad ogni modo hanno gravi dubbi sulle verità fondamentali della fede³⁷⁸.
Con fede e coraggio, la chiesa rivolge l’annuncio del vangelo anche alle religioni non cristiane. L’evangelizzazione “si rivolge anche a immense porzioni di umanità che praticano religioni non cristiane, che la chiesa rispetta e stima perché sono l’espressione viva dell’anima di vasti gruppi umani”³⁷⁹. Le religioni non cristiane “posseggono un patrimonio impressionante di testi profondamente religiosi. Hanno insegnato a generazioni di persone a pregare. Sono tutte cosparse di innumerevoli germi del verbo”³⁸⁰. Esse possono costituire una autentica preparazione evangelica³⁸¹, per riprendere l’espressione del Concilio Vaticano II.
La chiesa pensa e ha coscienza che la moltitudine delle religioni non cristiane hanno anche il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo, nella quale i cristiani credono che “tutta l’umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità”³⁸². La chiesa si sente investita della missione di annunziare la verità di Cristo mediante l’evangelizzazione. Con la sua azione, “essa fa così incontrare il mistero della Paternità divina che si china sull’umanità”³⁸³.
La chiesa mantiene vivo il suo slancio missionario e vuole altresì intensificarlo nel nostro momento storico. “La chiesa si sente responsabile di fronte a popoli interi. Non ha riposo fin quando non abbia fatto del suo meglio per proclamare la Buona Novella di Gesù Salvatore. Prepara sempre nuove generazioni di apostoli”³⁸⁴.
La chiesa, inoltre, ha la responsabilità di sostenere la fede dei fedeli. Paolo VI scrive che “la chiesa non si sente dispensata da una attenzione altrettanto infaticabile nei confronti di coloro che hanno ricevuto la fede e che, spesso da generazioni, sono a contatto col vangelo”³⁸⁵. Essa cerca così di approfondire, consolidare, nutrire, rendere sempre più matura la fede di coloro che si dicono già fedeli e credenti.
I non credenti sono anche destinatari del messaggio del vangelo. Infatti, Paolo VI scrisse: “Noi non parliamo della secolarizzazione, che è lo sforzo in sé giusto e legittimo, per nulla incompatibile con la fede o con la religione, di scoprire nella creazione, in ogni cosa o in ogni evento dell’universo, le leggi che li reggono con una certa autonomia, nell’intima convinzione che il Creatore vi ha posto queste leggi. […] Noi vediamo qui un vero secolarismo: una concezione del mondo, nella quale questo si spiega da sé senza che ci sia bisogno di ricorrere a Dio, divenuto in tal modo superfluo ed ingombrante. Un simile secolarismo, per riconoscere il potere dell’uomo, finisce dunque col fare a meno di Dio ed anche col negarlo”³⁸⁶.
Con l’annuncio del vangelo anche ai non credenti, Paolo VI trovò la via efficace per la chiesa di istruire gli atei: “Quelli che credono di poter fondare un umanesimo sull’ateismo in realtà diventano profeti d’un nichilismo, che rende dapprima tutto gratuito, instabile, irrazionale, e che supplisce a queste carenze con nozioni empiriche o insufficienti, con sistemi arbitrari e violenti, e poi con conclusioni pessimistiche, rivoluzionarie e disperate. E il grande assente, Iddio, diventa l’incubo di chi domanda al pensiero la verità”³⁸⁷.
I non praticanti sono anche loro destinatari del messaggio del vangelo. Questi sono i battezzati che, in larga misura, non hanno rinnegato formalmente il loro battesimo, ma ne sono completamente al margine, e non lo vivono. Consapevole di questa situazione, Paolo VI scrisse: “Il fenomeno dei non praticanti è molto antico nella storia del cristianesimo, è legato ad una debolezza naturale, ad una profonda incoerenza che, purtroppo, ci portiamo dentro di noi”³⁸⁸.
Il fenomeno dei non praticanti “nasce anche dal fatto che i cristiani oggi vivono a fianco con i non credenti e ricevono continuamente i contraccolpi della non credenza”³⁸⁹. I non praticanti contemporanei cercano di spiegare e di giustificare la loro posizione in nome di una religione interiore, dell’autonomia o dell’autenticità personali³⁹⁰.
Gli atei, i non credenti e i non praticanti rimangono nell’“incapacità di cogliere il nuovo ordine delle cose, il nuovo senso del mondo, della vita, della storia, che non è possibile se non si parte dall’Assoluto di Dio”³⁹¹. Allora l’azione evangelizzatrice della chiesa deve cercare costantemente i mezzi e il linguaggio adeguati a proporre o riproporre loro la rivelazione di Dio e la fede in Gesù Cristo³⁹².
L’annuncio del vangelo è anche indirizzato verso il cuore delle masse. La chiesa vede davanti a sé “una immensa folla umana che ha bisogno del vangelo e vi ha diritto, perché Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”³⁹³. La chiesa fa sua l’angoscia di Cristo di fronte alle folle sbandate e sfinite “come pecore senza pastore”³⁹⁴ e ripete spesso la sua parola: “Sento compassione di questa folla”³⁹⁵.
Le comunità ecclesiali di base sono un altro luogo propizio per l’evangelizzazione. Infatti, i vescovi, riuniti in sinodo “si sono molto occupati delle piccole comunità o comunità di base, perché nella chiesa d’oggi sono spesso menzionate”³⁹⁶.
Nel più ampio contesto del rinnovamento dell’ecclesiologia avviato dal Concilio Vaticano II e in collegamento con la teologia del popolo di Dio, le prime comunità ecclesiali di base cominciarono ad affiorare già verso gli anni Sessanta in Brasile, per diffondersi anche altrove, come causa ed effetto delle esperienze di chiesa nate dal vissuto cristiano comunitario³⁹⁷.
Sulla natura e missione delle comunità ecclesiali di base, un documento dei vescovi latinoamericani dice: “le comunità ecclesiali di base non sono sorte come prodotto di generazione spontanea, né come frutto di mera decisione pastorale. Esse sono il risultato della convergenza di scoperte e conversioni pastorali che coinvolgono tutta la chiesa, popolo di Dio, pastori e fedeli, nella quale lo Spirito opera incessantemente”³⁹⁸.
Il documento di Santo Domingo, del 1992, ritiene che la pastorale nelle comunità ecclesiali di base è come una delle esperienze evangelizzatrici più originali delle chiese latinoamericane. Intravede in esse il risultato di “un lungo e difficile cammino che muove dal Vaticano II e prosegue attraverso Medellín, Evangelii Nuntiandi e Puebla”³⁹⁹ per essere la base di una comunità parrocchiale e come “modo di essere e di esprimere la chiesa, nello stile della primitiva comunità cristiana”⁴⁰⁰ di Gerusalemme.