Il nome dei Cavanis in varie vie del mondo

Pp. 131-142, Libro Storia dell’Istituto Cavanis - Congregazione delle Scuole di Carità.

Titolo: Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020

Autore: Giuseppe Leonardi, CSCh

Numero di pagine: 3.793

Lingua: ITALIANO

Anno: 2022 (*Aggiornato 2023)

Parole Chiave:

Congregazione Cavanis, educazione cristiana, Marco Cavanis, Antonio Cavanis, Venezia, pedagogia, vocazione, spiritualità, formazione giovanile, missione educativa, carisma, scuola cattolica, storia ecclesiastica, apostolato, congregazione religiosa, povertà educativa, Chiesa cattolica, evangelizzazione, comunità religiosa, tradizione.

Riassunto:

Quest’opera offre un ampio e documentato percorso storico sulla nascita, lo sviluppo e la missione educativa della Congregazione dei Padri Cavanis, fondata dai fratelli Marco e Antonio Cavanis a Venezia nel XIX secolo. Attraverso un’accurata analisi delle fonti, Giuseppe Leonardi ripercorre i momenti chiave dell’espansione della Congregazione in Italia e nel mondo, mettendo in luce la vocazione alla formazione cristiana e civile dei giovani, in particolare dei più poveri. L’autore evidenzia inoltre la spiritualità cavanisiana, fortemente radicata nella pedagogia dell’amore, nell’apostolato educativo e nella fedeltà alla Chiesa. L’opera si conclude con una riflessione aggiornata sulle sfide e prospettive della Congregazione nel contesto contemporaneo

1.10 Il nome dei Cavanis in varie vie del mondo

Varie vie e altri toponimi sono stati dedicati dalle autorità locali, di varie città e paesi del mondo, ai fondatori e all’Istituto Cavanis: 

In italia

Calle Cavanis: a Venezia, tra Piscina S. Agnese e Campo S. Agnese, Dorsoduro, nelle immediate vicinanze dell’Istituto. Decisione della commissione toponomastica del comune di Venezia del 10 dicembre 1921, su suggerimento di Mons. Ferdinando Apollonio. È una calle piuttosto modesta e forse i fondatori, a Venezia meritavano di più: ma succede che proprio a Venezia le vie con nomi di persone sono molto rare, e sia mo grati in ogni caso per il ricordo.

Via Anton’Angelo e Marco Cavanis, a Mestre (Ve), non lontano dalla Gazzera. Decisione della commissione toponomastica del comune di Venezia del 13 febbraio 1993.

Ponte Antonio e Marco Cavanis; a Chioggia (Ve) il 2 giugno 2004 fu inaugurato dopo una fase di parziale rifacimento e restauro, il ponte detto “ponte longo” che unisce il complesso insulare della città di Chioggia (Venezia) al continente verso sud-sud-est. Gli fu dato questo nome (e le targhe relative in marmo) data la vicinanza anzi contiguità con l’Istituto Cavanis, ossia il Centro professionale Maria Immacolata, e per riconoscenza per l’opera cinquantennale (a quel tempo) dei padri Cavanis a Chioggia.

In Brasile

A Castro…***

Rua Antônio Ângelo Cavanis, a Realeza, la via sulla quale si affaccia il piccolo seminario Cavanis minore di quella città.

Rua Antônio Angelo Cavanis, a Belo Horizonte, quartiere Nova Pampulha, presso il seminario teologico Cavanis.

Rua Marcos Antônio Cavanis, a Belo Horizonte, quartiere Nova Pampulha, presso il seminario teologico Cavanis.

Rua São José de Calasanz, a Ponta Grossa, Jardim Pontagrossense.

Rua Antônio Cavanis, Ponta Grossa, Jardim Pontagrossense.

Rua Marcos Cavanis, a Ponta Grossa, Jardim Pontagrossense..

Qualche nome di vie fu dato anche in onore di altri religiosi Cavanis: 

In Brasile

A Planalto, in Paraná, Brasile, il municipio ha dedicato una via con il nome di “Rua Padre Marcello Quilici”, nel 1993.

A Realeza esiste una “Rua do Seminário Cavanis”.

In Ecuador

Calle Hermano Aldo Menghi, a Esmeraldas, dove il comune dette questo nome a una delle vie della città di Esmeraldas, “in memoria dell’eminente


I Cavanis e le vacanze

  • Esiste in Congregazione una leggenda non fondata, un “mito urbano”, introdotto a partire non prima dell’inizio del XX secolo, secondo cui le vacanze dovevano essere stimate un lusso e un’istituzione laica e borghese, che deve essere evitata dai buoni religiosi e particolarmente dai religiosi Cavanis. Non si parli poi dei seminaristi. Nei tempi di seminario filosofico e teologico di chi scrive, cioè al passaggio degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, per i “chierici” le vacanze in famiglia, durante le vacanze estive delle scuole, erano limitate a quattro giorni all’anno, viaggi inclusi. Per chi poi aveva la famiglia abitante in una città o paese in cui ci fosse una casa dell’Istituto, a Venezia per esempio come nel caso di chi scrive, non si andava proprio in vacanza, perché per regola non si poteva abitare (e anzi neanche andare a pranzo) in casa di secolari dove ci fosse una casa della Congregazione (reg. 79 del 1930, per esempio, valida dall’inizio della congregazione fino al 1971). Inoltre, non si parlava di vacanze di Pasqua o di Natale. Il gruppo dei chierici andava sì in vacanze durante l’estate, in quel tempo prima a Possagno e poi (dal 1962) a Sappada; ma il vantaggio consisteva quasi soltanto nell’aria più fresca e salubre della collina o della montagna; perché per il resto i chierici erano impegnati fortemente nell’assistenza o nelle ripetizioni date ai ragazzi che passavano l’estate in queste case.

  • Anche nel la rivista Caritas sono apparsi articoli che affermavano che i fondatori non avevano certo tempo di prendersi delle vacanze.

  • Eppure, dalle Memorie per servire alla storia della congregazione e dalla corrispondenza dei Fondatori come si trova nel loro Epistolario, risulta chiaro che ogni anno c’erano tempi di vacanze in campagna per i due fratelli fondatori, per i collaboratori e per seminaristi. Da giovani, dato che la famiglia Cavanis non aveva una “seconda casa” ossia una villa in campagna per le vacanze, pur possedendo dei poderi e altri beni fuori Venezia, andavano
    regolarmente in periodi di vacanze, che esse chiamano più spesso villeggiatura, a Fiesso, a Strà, a Monselice, al Dolo, in ville di amici di famiglia, soprattutto a Ca’ Malipiero, a Fiesso di Strà.

  • Ma anche da adulti e anziani, già preti e religiosi, i due Venerabili fratelli andavano a villeggiare, a volte da soli, più spesso con parte della comunità. Nel novembre 1822 P. Antonio, rimasto a Venezia nel solito lavoro di direttore dell’Opera e di educatore e insegnante, scrive il giorno 18 a P. Marco, che era in vacanze (vacanze forzate, a quanto pare) a Vicenza o nel Vicentino. Scrive così: “Intanto tutto prendiamo con allegrezza dalle mani dolcissime della Provvidenza divina. Vedrete che andrà bene. La grazia è grande. Vi vuol gran fede. Noi siamo contenti della vostra assenza; anche mia madre è persuasissima che attendiate. Ci basta solo che vi divertiate. Ricordatevi questo patto, se no non siete galantuomo. Non vi prendiate pena per noi, che per noi veglia la Provvidenza, e voi intanto prendete fiato, fate forze, riposate, distraetevi, giacché il Signore vi vuol per forza in riposo. Sapete che guadagno ha l’Opera, se voi acquistate un po’ di vigore? Mille ducati e mille vagliono meno. Su via dunque, camminate, girate, distraetevi a più non posso.”. Il giorno 26 seguente, P. Antonio scrive tra l’altro al P. Marco: “Gran bella giornata mi avete fatto passar domenica colle vostre lettere. Io ho goduto tanto, che mi pareva sentirmi addolcito il cuore. Le buone nuove della vostra salute a mia madre, a me, alla casetta, a tutti portano una somma allegrezza. Non è male no, che abbiate per forza da respirare un aria (sic) la più salubre, ed a riposar il corpo sfinito. È Provvidenza amorosa che veglia su di voi e sull’opere. Adoriamola profondamente, e ringraziamola di tutto cuore. Intanto voi tenete per fermo che mia madre è propriamente in tutto persuasa e tranquilla sulla vostra dimora, che trova già necessaria; ed in questo rimarcate un nuovo segno chiarissimo e straordinario, che mostra la volontà del Signore, che siete a far bene all’Opere, ed un indizio assai bello che siate accompagnato dalla divina benedizione. Io pur (tolto che vorrei veder mio fratello per dargli un bacio) sto difeso con la Provvidenza ordinaria, che ha fatto supplire all’occorrente fin quì, e sono certo che provvederà anche in seguito bastantemente. Ora provo col fatto che il mantenimento dell’Opera è il meno. Tutti mi lasciano in pace, ed io penso al vitto, e per questo il buon D. Federico va per voi riscuotendomi costantemente quanto che basta. Or poi viene il primo, ed io torno in piedi colle porte aperte di nuovo; di più mia madre potrà ajutarmi, perché è venuta la Brandolina, e riscuoterà la gran summa, e mi ajuterà con gran cuore. Insomma intendetela: non sono complimenti, ma è verità: voi potete e dovete passarvela in piena pace, andando in cerca di salute e di forze, che noi in buona coscienza non abbiamo. motivi da impedire all’Opere e a voi un bene sì grande.”

  • P. Antonio Cavanis, è, qualche anno più tardi, da solo in vacanze in Valsugana a Tezze di Grigno e poi a Pergine e a Trento nel giugno del 1830, e, in più, gioiamo per la testimonianza festosa del P. Marco, che gode per aver costretto fraternamente P. Antonio a prendere un buon periodo di villeggiatura in Trentino; ancora vediamo che P. Antonio Cavanis, con i PP. Casara e Marchiori e con qualche altro religioso (fra Pietro Rossi, fra Giovanni Cavaldoro, un tale di nome Chiozzotto, forse un seminarista), si trovava in
    villeggiatura a Tarù, nei dintorni (allora) di Mestre nell’ottobre 1845, durante le vacanze scolastiche autunnali. L’anno successivo in autunno P. Antonio con vari giovani religiosi andrà ancora a villeggiare nella casa di campagna di Tarù, questa volta viaggiando “nei volanti vaggoni”, cioè nel treno sulla linea ferroviaria Venezia-Milano (ma per loro solo Venezia-Mestre) recentemente inaugurata l’11 gennaio del 1846. Ma gli esempi si potrebbero moltiplicare.

  • E qui vale la pena di citare integralmente la frase che P. Marco nel giugno 1830 scrive al fratello (in fermo posta a Bassano, dove il fratello doveva fare sosta al ritorno) che stava concludendo la sua villeggiatura in Trentino, a Tezze, Borgo, Pergine e Trento, di cui si parlava sopra: “Gran bella vittoria che fu la mia nell’espugnare con valoroso assalto la rocca della vostra risoluta fermezza! lo ne godo al sommo nell’atto di cogliere le ricche spoglie del riportato trionfo. L’ho vinta alla fine l’ho vinta: e voi stesso nel rimaner soggiogato meravigliaste del mio valore sembrandovi d’esser costretto a fare cosa affatto impossibile nel vedervi obbligato a sortir dalla tana ed uscir all’aperto. Ma consolatevi che l’esser vinto fu anche un gran bene per voi. Tanto io sono esultante pel grande onore della vittoria, che vi rinunzio la parte principal del bottino. Mio dovrebb’essere il gusto delle sonore trottate, mio il piacere di quelle amene vedute, mio il ristoro degli allegri banchetti; e i deliziosi passeggi, e le festose accoglienze, e le gioconde risate tutte a me si appartengono per l’inviolabil diritto del vincitore. Ma tutte queste sì ricche spoglie del mio trionfo le cedo a voi di buon cuore, e godo assai che vi tornino in succo e sangue; contento solo di ritener per mia preda le convulsioni. Ah queste poi vo’ tenerle strette in catene; vo’ che restino soggiogate; vo’ che sentano l’ira del vincitore. Guai se voi patteggiate mai più con esse; guai se ve la intendete nemmeno secretamente con un nemico ormai vinto dal mio valore! Vi avviso a tempo perché possiate esser cauto, e non cimentarvi a provocare lo sdegno di chi ebbe pure un braccio sì forte da riportare così solenne trionfo. La Sig.ra madre. consolatissima per le belle notizie recate dalla lettera avuta in jeri; io che nel leggerla mi sentivo dilatare per l’allegrezza le viscere; e tutti li buoni figli amorosi affrettano concordemente la vostra venuta per congratularsi in persona. Si è consolata ancora la Sig.ra madre all’assicurarsi che siete per venire alla mattina anziché all’ora tarda del dopo pranzo, perché questo, come sapete, le preme assai che il viaggio per Venezia si compia sempre a buon’ora. Quanto al venirvi incontro, certo io ci vengo col cuore, ma dispensatemi dal venirci in persona, perché temo che l’odorar la campagna senza gustarla, troppo mi faccia crescere l’appetito. Oltrediché se mi rivolgo alla via di Mestre incontro in una stessa mattina la noja di due lunghissimi viaggj di acqua; se mi porto a Fusina resto allor, chi sa quanto! sotto alla sferza del sole a cielo scoperto in espettazione del legno; dunque per ogni verso alla fin dei conti ci perdo. Avrò dunque pazienza nell’aspettarvi a piè fermo in mia casa, mentre per di là ci passate venendo dalla parte di Padova come sento che più vi piace, ed ivi, a Dio piacendo, vi darò il benvenuto cantandovi il bel mottetto « quanto aspettato più tanto più caro».”

  • Nella corrispondenza tra chi è in villeggiatura e chi è rimasto a Venezia, sono interessanti e potrebbero essere citate molte loro frasi sul riposo e e di lode delle vacanze, necessarie per poter lavorare tutto l’anno nell’arduo ministero delle scuole. Basti in questo senso la frase “vi esorto da buon fratello a non perdere un’ora sola di questi giorni ridenti per procacciarvi una buona dose di buon umore, che vi servirà nei giorni di malinconiosa tenebria.”; frase che scrive il P. Giovanni Battista Traiber a P. Casara in villeggiatura con altri, interpretando e trasmettendo la gioia dei due venerabili fratelli, rimasti a Venezia.

  • Non solo i due venerabili fratelli andavano in villeggiatura. Nel 1839 per esempio troviamo P. Sebastiano Casara, giovane prete, in villeggiatura a Malo (Vicenza), come vedremo più sotto nella sua biografia, assieme al seminarista Giuseppe Rovigo. Sebastiano prende nell’occasione anche l’ardire di approfittare di un’occasione per andare in carrozza o carro a Rovereto (non a caso! Era la città natale del Rosmini.) passando per il Pian delle Fugazze e la Vallarsa.

  • La corrispondenza dei due venerabili fratelli in tempo di vacanze riflette la loro gioia e la gratitudine per poter riposare, rifarsi le forze e prepararsi per il tempo del duro lavoro. Lo stesso vale anche per lettere ai loro discepoli e compagni. Per tutti i testi che si potrebbero citare, basti il seguente, che P. Marco scrive a P. Giovanni Paoli nel 1849: “Ben venuto dalla villeggiatura paffuto e tondo e pien di vigore…”!

  • Ai tempi del P. Casara molto spesso si narra nel diario di congregazione come l’uno a l’altro dei religiosi, soli o a piccoli gruppi, andassero, soprattutto nelle vacanze estive o autunnali a villeggiare a Lendinara, in campagna, e più tardi a Possagno, in collina. E si tessono ancora le lodi dell’istituzione delle vacanze.

  • Lendinara era una tipica casa di villeggiatura ma anche di convalescenza (per esempio le vacanze autunnali di P. Casara, con P. Marchiori e il seminarista Giuseppe Da Col “villeggianti” a Lendinara). Interessanti in proposito la lettera d P. Giambattista Traiber ai villeggianti.

  • Durante i decenni successivi al governo del P. Casara, durante la tarda estate e l’inizio dell’autunno si parla regolarmente e annualmente delle vacanze dei padri, fratelli e chierici, che molto spesso vanno a villeggiare nella propria famiglia di origine; oppure a volte a Lendinara o Possagno, secondo i casi. Il caso più comune è quello della visita, anche piuttosto prolungata, in famiglia.

  • P. Rovigo nell’autunno 1887 fa le sue vacanze a Lendinara: “P. Rovigo, ch’era colà da circa quaranta giorni, in ricreazione”, si scrive.

  • Nel 1893, nella proposta di un dubbio sulle nuove costituzioni del 1891 da proporre alla Santa Sede (Congregazione per i Vescovi e Regolari), si trova la seguente frase, qui incompleta, che dimostra che le vacanze erano viste e praticate come una necessità fondamentale: Attesa la scarsezza degli individui di cui si compone l’Istituto, ed il bisogno che possono avere i più, appena finite le scuole, di respirare l’aria libera della villeggiatura, la sospensione del Capitolo Generale non sarebbe senza gravi inconvenienti per l’Istituto ecc. La frase è piuttosto ingenua, e ne avranno senza dubbio riso a Roma; ma indica chiaramente l’importanza delle vacanze estive (nei tempi più antichi, vacanze autunnali) nella dura vita di chi dedica tutto il suo tempo alla scuola.

  • Possagno fin dall’inizio era stato visto da P. Casara come casa di lavoro pastorale sì; ma anche come casa di villeggiature e di convalescenza per chi ne avesse bisogno.

  • C’è anche il caso del preposito P. Domenico Sapori: il verbale della seduta definitoriale del 3 settembre 1886 si conclude con la seguente frase: «Il qual Preposito [Sapori, NdA] nel corso della seduta mostrò quanto sia il suo spirito di sacrificio, e come sarebbe disposto ad assumere anche per intiero una scuola pur d’alleggerire un poco il peso degli altri; ma appunto per questo i Definitori dovettero insistere, e perché rinunzi nel prossimo anno all’uffizio di confessore nel Seminario, e perché non tardi ad uscire a respirare dopo un anno sì critico e laborioso. »

  • Per venire a tempi più recenti, P. Vincenzo Rossi, preposito, scrive il 1° agosto 1905 «Tutti i Padri sono in campagna tranne il P. Giovanni Chiereghin infermo. Il P. Rossi il P. Bolech e il P. Borghese. Anche i fratelli si recano a godere un po’ di campagna. Fra Angelo a Montagnana e Lonigo. Fra Vincenzo a Lonigo. Fra Giuseppe trovasi a Possagno dal 16.7»; «Ai primi di 8bre tutti sono di ritorno per le scuole. »

  • Le cose cambiano più tardi, nel XX secolo. Bisogna per esempio tener conto di un decreto del Capitolo generale del 17-18 luglio 1925: «Oggetto: Visite dei Congregati alle loro famiglie. Se taluno credesse formata nel nostro istituto la legittima consuetudine che desse in qualche modo il diritto di recarsi periodicamente in famiglia o presso altre famiglie secolari, il Capitolo Generale dichiara: 1 che la consuetudine non esiste. 2 che qualora pure esistesse viene col presente decreto riprovata e abolita (Cost. 67-138; CIC.can.606 § 2) .»

  • Analogamente il capitolo generale dell’1-4 luglio 1943: «Oggetto: Visite nelle case dei secolari e degli alunni. Viaggi. …nessuno faccia visita nelle case di secolari e degli alunni senza il permesso e il compagno assegnato dal superiore. Per quello che riguarda i viaggi, non si facciano per capriccio o divertimento, ma solo per vera necessità.»

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