I papi e le missioni di propaganda Fide

Pp. 10-16, Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI.

Titolo: L’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MAGISTERO DI PAOLO VI – Lettura Teologico-Pastorale di Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi

Autore: Mouyéké Misère Tiburce Barbeault

Numero di pagine: 121

Lingua: ITALIANO

Stampa: 2024

Parole Chiave: Evangelizzazione, Vangelo, Paolo VI, Magistero, Missione, Propaganda Fide, Chiesa, Concilio Vaticano II, Ecumenismo, Nuova Evangelizzazione, Comunità ecclesiale, Gaudete in Domino, Evangelii Nuntiandi, Evangelica Testificatio, Dialogo interreligioso, Laici, Carità, Catechesi, Testimonianza cristiana, Giovanni XXIII.

Riassunto: Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi. Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi. 

PRIMO CAPITOLO

ANNUNCIO DEL VANGELO E EVANGELIZZAZIONE

PRIMA DEL PONTEFICATO DI PAOLO VI

INTRODUZIONE

Non si può direttamente parlare di annuncio del vangelo e di evangelizzazione nel magistero di Paolo VI senza dire quando la chiesa ha iniziato il compito di portare vangelo ai popoli. In realtà, sia che parliamo di annuncio del vangelo o di evangelizzazione come compito della chiesa, la parola usata per questo tipo di attività prima di Paolo VI è missione.

Quindi per missione si intendeva portare il messaggio del vangelo ai popoli per favorire l’incontro con Gesù Cristo, grazie al quale si comunica la vita divina e così si estende il Regno di Dio.

Nella chiesa, tutto inizia con la creazione della Congregazione “De Propaganda Fide” che nacque nel XVII secolo. Mirando essenzialmente a propagare e difendere la fede, e a richiamare all’unione con Roma gli orientali dissidenti, la Propaganda Fide attese ad affrancare le missioni da soverchie ingerenze politiche e dagli interessi materiali delle potenze coloniali.

A parte lo slancio impresso alla diffusione del messaggio cristiano, la Congregazione diede incremento a esplorazioni geografiche a scopo di penetrazione missionaria e di studio scientifico, etnologico e linguistico, alla erezione di studi di lingue orientali presso gli ordini religiosi e di istituzioni scolastiche di ogni grado.

L’organizzazione interna di Propaganda Fide è rimasta sostanzialmente immutata fino al pontificato di Giovanni XXIII e quindi fino all’inizio del Concilio Vaticano II. Dal periodo postconciliare, in base alle Costituzioni “Regimini Ecclesiae Universae” del 1967 di Paolo VI, il dicastero ha assunto il nome di Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, mantenendo sostanzialmente le precedenti attribuzioni. Alla Congregazione sono state collegate le pontificie opere missionarie che collaborano con una visione più dialogale e caritativa.

1.2 I PAPI E LE MISSIONI DI PROPAGANDA FIDE

1.1.1 GREGORIO XVI E LA FONDAZIONE DI PROPAGANDA FIDE

Per Propaganda Fide si intende la diffusione della fede. Ma Propaganda Fide è anche l’istituzione della chiesa cattolica chiamata Sacra Congregazione “De Propaganda Fide” fondata Papa Gregorio XV, che la eresse con la Costituzione “Inscrutabili Divinae Providentiae”, nell’anno 1622, dotandola subito di larghi privilegi e di autonomia finanziaria.

Gregorio XVI, fu il primo a definire le vie di azione missionaria di Propaganda Fide. Il Papa scrisse l’enciclica “Probe Nostis” il 18 settembre 1840 e recò il sottotitolo “Sulla diffusione della fede” per orientare le attività ecclesiali di Propaganda Fide.

Lo scopo fu quello di difendere la fede e proteggere i cattolici contro i nemici della chiesa che cercarono di fare conoscenza dei contadini delle classi più basse per farli abbandonare la fede cattolica. Quando Gregorio XVI scrisse l’enciclica Probe Nostis, iniziò così:

“…la santa religione è attaccata dalla contaminazione degli errori di ogni genere e dalla sfrenata temerarietà dei rinnegati. Allo stesso tempo eretici e miscredenti tentano con l’astuzia e l’inganno di pervertire i cuori e le menti dei fedeli […] Perseguitano la religione con lo scherno, la Chiesa con gli insulti e i cattolici con l’arroganza e la calunnia. Entrano perfino in città e paesi, fondano scuole di errore e di empietà e pubblicano i loro insegnamenti velenosi che si adattano all’inganno segreto abusando delle scienze naturali e delle recenti scoperte”.

Per propaganda della fede si intense anche testimonianza della fede cristiana. Infatti, nell’enciclica Probe Nostis, Gregorio XVI invitò la chiesa in generale e i vescovi in particolare a testimoniare la fede cristiana della chiesa contro le dottrine false dei suoi nemici. Il Romano Pontefice scrisse con fermezza:

“Non c’è quasi nessun distretto incivile in tutto il mondo in cui le sedi delle principali società di eretici e miscredenti non abbiano inviato esploratori ed emissari senza contare il prezzo. Questi uomini, facendo guerra segreta o aperta alla religione cattolica e ai suoi pastori e ministri, strappano i fedeli dal seno della chiesa e impediscono ai non credenti di entrarvi”.

A nome di Propaganda Fide, il Papa si fece protagonista, con tutta la chiesa, per la difesa della fede:

“…malgrado la nostra indegnità nel papato, noi stessi affermiamo con i nostri predecessori, […], sostegno per questo grande lavoro. Condividendo la nostra preoccupazione, dovresti fare in modo che questa importante opera fiorisca tra il gregge. […] Questo è sicuramente il momento in cui lo schieramento cristiano dovrà schiacciare il diavolo che infuria in tutto il mondo; è infatti il momento in cui i fedeli si uniscono in questa santa unione con i sacerdoti”.

1.1.2 LEONE XIII E LE MISSIONI DI PROPAGANDA FIDE

Per sostenere moralmente le missioni di Propaganda fide, Leone XIII scrisse l’enciclica “Sancta Dei Civis”, pubblicata il 3 dicembre 1880. L’idea centrale del documento è la cooperazione missionaria di tutti i fedeli cattolici attraverso la preghiera e l’elemosina.

Scrivendo ai vescovi, Leone XIII li esortò a stimolare lo zelo missionario: “Venerabili fratelli, stimiamo nostro dovere stimolare lo zelo e la carità dei cristiani, affinché, sia con le preghiere, sia con le offerte, si adoperino ad aiutare l’opera delle sacre missioni e a promuovere la propagazione della fede”. L’opera della diffusione della fede accompagnata dallo zelo missionario riesce molto utile e fruttuosa anche a coloro in qualsiasi modo vi partecipano.

Ai sacerdoti, religiosi e laici, Leone XIII scrisse: “agli altri sacerdoti, poi, agli ordini religiosi dell’uno e dell’altro sesso, e infine a tutti i fedeli affidati… […], inculcate con insistenza affinché con preghiere incessanti implorino l’aiuto celeste a favore dei seminatori della divina parola. Adoperino poi quali intercessori la Vergine Madre di Dio…”.

L’invito di Leone XIII fu che, ciascun vescovo, sacerdote e i religiosi, si sforzi con ogni mezzo affinché alle sacre missioni siano forniti quegli aiuti di cui la chiesa ha bisogno.

Esplicitamente, il Papa disse: “chi è tanto povero che non possa dare una piccola moneta, o tanto occupato che non possa qualche volta alzare a Dio una preghiera per i nunzi del Santo Vangelo?”. Di questi aiuti sempre si servirono i Romani Pontefici per sostenere il compito di propagare la fede cristiana.

1.1.3 BENEDETTO XV E LE MISSIONI CATTOLICHE DI DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Dopo la prima guerra mondiale, la chiesa ha dovuto riorganizzarsi per riprendere la l’attività della Propaganda Fide. Da quella urgenza, Benedetto XV scrisse l’enciclica “Maximum Illud” ricordando i grandi apostoli del vangelo chi hanno contribuirono molto all’espansione delle missioni cattoliche.

La redazione dell’enciclica Maximum Illud segnò un passaggio decisivo nell’azione missionaria della chiesa. I principali elementi di novità di questo documento sono: un nuovo atteggiamento riguardo alla necessità di formare adeguatamente un clero locale; l’insistenza sulla formazione culturale e linguistica dei missionari; la condanna del nazionalismo e la volontà di spezzare il nesso tra le attività missionarie e il colonialismo politico.

L’enciclica Maximum Illud fu rivolta innanzitutto ai vescovi e ai superiori responsabili delle missioni cattoliche. L’idea centrale dell’enciclica è la formazione e lo sviluppo del clero locale. Con chiarezza, Benedetto XV scrisse a proposito delle missioni cattoliche:

“…il sacerdote locale, tutt’uno con il suo popolo per nascita, per natura, per le sue simpatie e le sue aspirazioni, è straordinariamente efficace nel fare appello alla loro mentalità e quindi attirarli alla fede. Conosce molto meglio di chiunque altro il tipo di argomentazione che ascolteranno e, di conseguenza, ha spesso facile accesso a luoghi dove un prete straniero non sarebbe tollerato.”

Il papa ricordò che la missione di Propaganda Fide concistoro anche nel formare il clero locale per poter portare avanti l’opera già iniziata dall’epoca degli apostoli fino a quello dopo la prima guerra mondiale.

1.1.4 PIO XII E LE MISSIONI DI PROPAGANDA FIDE IN AFRICA

Per dare un carattere più universale all’azione di Propaganda Fide, Pio XII scrisse l’enciclica “Fidei Donum” pubblicata il 21 aprile 1957, sulle missioni in Africa. Il Papa parla di un triplice dovere missionario: alla preghiera, alla generosità, e al dono di sé.

Pio XII si ispirò di San Paolo: “Predicare l’evangelo non è per me un titolo di gloria; è una necessità che m’incombe. Guai a me se non predicassi l’evangelo”. E “Prendi il largo!”. Quindi portare il messaggio del vangelo agli africani, all’epoca di Propaganda Fide fu una attività ecclesiale di divulgazione della ricchezza del cristianismo e l’espansione della chiesa.

Pio XII aggiunge: “L’espansione della chiesa in Africa dorante gli ultimi decenni ha da essere senza dubbio, per i cristiani, motivo di gioia e di fierezza”. L’idea indietro fu quella di formare numerosi sacerdoti africani e “stabilire saldamente e definitivamente la Chiesa presso nuovi popoli”18. Questo documento è decisamente un insegnamento profetico, perché anticipò uno dei pilastri del Concilio Vaticano II (1962-65), cioè lo spirito missionario che deve animare tutta la chiesa e ogni battezzato.

L’enciclica Fidei Donum contiene una proposta eccezionale e nuovissima dell’impegno missionario. Infatti Papa afferma che i vescovi, in funzione del loro essere legittimi successori degli apostoli sono solidamente responsabili, con il successore di Pietro, della missione della chiesa che “deve abbracciare tutte le nazioni e tutti i tempi”.

1.1.5 GIOVANNI XXIII E LE MISSIONI DI PROPAGANDA FIDE

1.1.5.1 Il dovere missionario dei vescovi e dei sacerdoti

Per contribuire al sostegno delle missioni cattoliche di Propaganda Fide, Giovanni XXIII scrisse l’enciclica “Princeps Pastorum” pubblicata il 28 novembre 1959. Nell’enciclica, il Papa ribadisce l’urgenza della “formazione del clero nativo”. Egli auspica che, “il clero nativo possa contribuire al bene del proprio Paese. A tal fine sarebbe opportuno che i seminaristi dell’asia e dell’africa siano formati dai propri connazionali e che il clero nativo assuma ben presto la direzione delle diocesi”.

Invitando i vescovi e sacerdoti ad impegnarsi per le missioni cattoliche, Giovanni XXIII scrisse:

“Con la mente piena di questi e altri soavi ricordi e consci dei gravi doveri che incombono al pastore supremo del gregge di Dio […] per intrattenervi sulle necessità e le speranze della dilatazione del regno di Dio in quella considerevole parte del mondo, dove si svolge il prezioso e faticoso lavoro dei missionari, affinché sorgano nuove comunità cristiane e apportino salutari frutti”.

Le parole di Giovanni XXIII sono infatti un invito a portare a compimento il comando del divin Redentore, affinché tutte le pecorelle facciano parte di un solo gregge sotto la guida di unico pastore. Il Romano Pontefice fece il seguente ricordo:

“Nessuno, del resto, ignora che questo è stato costantemente il programma d’azione della Santa Congregazione De Propaganda Fide… […], curare le vocazioni e l’educazione di quello che allora si diceva clero indigeno, senza che questo appellativo abbia mai rivestito alcun significato di discriminazione o di menomazione”.

La formazione del clero nativo delle nuove terre di missione venne considerata indispensabile per la diffusione della verità del vangelo della salvezza; questo è un apostolato di primaria importanza. A tal fine, il clero locale dovrebbe essere non solo informato degli interessi e delle vicende della chiesa universale, ma dovrà essere educato a un intimo, universale respiro di carità.

1.1.5.2 Missione e Catechesi nel Pontificato di Giovanni XXIII

L’insegnamento di Giovanni XXIII sulla missione dei catechisti è questo:

“Non possiamo qui fare a meno di dare il giusto rilievo all’opera dei catechisti, che nella lunga storia delle missioni cattoliche si sono dimostrati di insostituibile ausilio. Essi sono sempre stati il braccio destro degli operai del Signore, e ne hanno partecipato e alleviato le fatiche al punto che i nostri predecessori potevano considerare il loro reclutamento e la loro formazione accuratissima tra i punti importantissimi per la diffusione dell’evangelo e definirli il caso forse più classico dell’apostolato laico”.

Giovanni XXIII esortò i catechisti a valorizzare sempre più la felicità spirituale del loro compito e a non desistere mai da ogni sforzo per arricchire e approfondire, sotto la guida della gerarchia, la loro istruzione e formazione morale.

Ai catecumeni, il Papa insegnò che “devono imparare non soltanto i rudimenti della fede, ma anche la pratica della virtù, l’amore grande e sincero a Cristo e alla sua chiesa”.

L’insegnamento di Giovanni XXIII fu che, ogni cura dedicata all’aumento del numero di quei validissimi aiuti della gerarchia era un contributo di immediata efficacia per la fondazione e il progresso delle nuove comunità cristiane.

1.1.5.3 Il ruolo dei laici e l’azione cattolica

Giovanni XXIII scrisse che i laici “devono collaborare in piena autonomia, soprattutto nell’ambito dell’azione cattolica”. I laici vennero invitati ad impegnarsi per la propagazione della fede e a partecipare, conformemente ai principi cristiani, all’evoluzione sociale, economica e politica del loro paese e del loro popolo.

Ai laici, Giovanni XXIII insegnò:

“Abbiamo anche manifestato il nostro compiacimento per quanto si è fatto nel passato, anche in terre di missione, da questi preziosi collaboratori dei vescovi e dei sacerdoti, e vogliamo qui rinnovare, con tutta l’urgenza della carità che ci sospinge, l’ammonimento e l’appello del nostro predecessore Pio XII sulla necessità che i laici tutti nelle missioni, affluendo numerosissimi nelle file dell’azione cattolica, collaborino attivamente con la gerarchia ecclesiastica nell’apostolato”.

Per Giovanni XXIII, l’azione cattolica è l’organizzazione dei laici “con proprie e responsabili funzioni esecutive”; i laici quindi ne compongono i quadri direttivi. Ciò comporta la formazione di uomini capaci di imprimere alle varie associazioni lo slancio apostolico e di assicurarne il miglior funzionamento.

Inoltre, Giovanni XXIII disse anche chiaramente che, gli uomini e le donne, per essere degni di vedersi affidare dalla gerarchia la direzione centrale o periferica delle associazioni, devono fornire le più ampie garanzie di una “formazione cristiana intellettuale e morale solidissima, in virtù della quale possano «trasfondere negli altri ciò che essi già, con l’aiuto della divina grazia, posseggono”.

1.1.5.4 La scuola, via dell’azione cattolica

Giovanni XXIII non ha lasciato nessuna grande enciclica sull’educazione né documenti particolarmente decisivi di contenuto formalmente pedagogico. Ma la chiesa considera rilevanti le preoccupazioni del romano pontefice sull’educazione e la missione degli educatori. Per la chiesa, la dottrina sociale è da considerare come strumento necessario di educazione alla fede perché essa è “parte integrante della concezione cristiana della vita”.

Agli educatori, la chiesa offre non una commemorazione di Giovanni XXIII, ma qualcuna delle espressioni della sua ricca paternità e del suo umano Magistero pontificale.

Infatti, nelle sue parole, Giovanni XXIII ebbe incessantemente invitato gli educatori all’agilità di impegno, a novità di vita, a modernità di azione.

Il Romano Pontefice scoprivi una nuova potenzialità del cattolicismo, creò una nuova responsabilità dell’essere cattolico in ogni parte del mondo e in ogni luogo, in chiesa come in casa, negli uffici privati come nella vita politica. restituisse alla parrocchia quella sua funzione di centro vitale cittadino, di forza culturale e religiosa, di casa della fraternità verso chiunque, che essa ebbe avuto nel lontano medioevo e che la persecuzione moderna, giacobina e atea, aveva cercato di soffocare.

Per il Papa, “nessuno ignora l’importanza che ha sempre avuto e avrà la scuola nei paesi di missione e quanta energia la chiesa ha impiegato nell’istituzione di scuole di ogni ordine e grado, e nella difesa della loro esistenza e prosperità”. Ma egli ricordò che il programma di formazione di dirigenti di azione cattolica non deve essere di tipo dei corsi scolastici. Bisognò affidarsi a iniziative extrascolastiche che raccolsero i giovani di migliori speranze per istruirli e formarli all’apostolato.

Ai laici dei paesi di missione il Romano Pontefice disse che “è necessario provvedere con la massima tempestività e urgenza affinché le comunità cristiane offrano alle loro patrie terrene, per il loro comune bene, uomini che onorino le varie professioni e attività nello stesso tempo in cui onorano, con la loro solida vita cristiana, la chiesa che li ha rigenerati alla grazia”.

Quanto riguarda l’organizzazione della scuola, l’assistenza sociale organizzata, il lavoro e la vita politica, l’enciclica Princeps Pastorum menziona che la presenza di esperti cattolici nativi potrebbe avere la più felice e benefica influenza, ispirando le loro intenzioni e le loro azioni ai principi cristiani, che una lunghissima storia devennero efficienti e decisivi per procurare il bene comune.

1.1.5.5 Missione e testimonianza cristiana

Giovanni XXIII esortava i pastori a dare ai loro figli spirituali l’esempio di una fede che non si lascia piegare e di una fedeltà che non viene mai meno a prezzo anche del sacrificio della vita; ai fedeli così duramente provati ma così cari al cuore di Gesù Cristo che ha promesso la beatitudine e una ricompensa copiosa a coloro che subiranno persecuzioni a causa della giustizia.

Il Romano Pontefice esortò i padri della chiesa a “perseverare nella loro santa battaglia, poiché il Signore, sempre misericordioso nei suoi disegni imperscrutabili, non farà loro mancare il soccorso delle grazie più preziose e dell’intima consolazione”: Con quanti perseguitati nelle missioni, Giovanni XXIII rimasse in comunione di preghiera e di sofferenze, come pure tutta quanta la chiesa di Dio, sicura nella sua attesa di vittoria. Con affetto paterno, il pontefice rassicura i missionari dicendo: “…a ciascuno di voi, venerabili fratelli, e a tutti coloro che in qualche maniera collaborano alla crescita del regno di Dio, impartiamo con l’affetto più grande l’apostolica benedizione, che sia conciliatrice e auspice delle grazie del Padre celeste rivelatosi nel Figlio suo, Salvatore del mondo, e che in tutti accenda e moltiplichi lo zelo missionario”.

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