Titolo: Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020
Autore: Giuseppe Leonardi, CSCh
Numero di pagine: 3.793
Lingua: ITALIANO
Anno: 2022 (*Aggiornato 2023)
Parole Chiave:
Congregazione Cavanis, educazione cristiana, Marco Cavanis, Antonio Cavanis, Venezia, pedagogia, vocazione, spiritualità, formazione giovanile, missione educativa, carisma, scuola cattolica, storia ecclesiastica, apostolato, congregazione religiosa, povertà educativa, Chiesa cattolica, evangelizzazione, comunità religiosa, tradizione.
Riassunto:
Quest’opera offre un ampio e documentato percorso storico sulla nascita, lo sviluppo e la missione educativa della Congregazione dei Padri Cavanis, fondata dai fratelli Marco e Antonio Cavanis a Venezia nel XIX secolo. Attraverso un’accurata analisi delle fonti, Giuseppe Leonardi ripercorre i momenti chiave dell’espansione della Congregazione in Italia e nel mondo, mettendo in luce la vocazione alla formazione cristiana e civile dei giovani, in particolare dei più poveri. L’autore evidenzia inoltre la spiritualità cavanisiana, fortemente radicata nella pedagogia dell’amore, nell’apostolato educativo e nella fedeltà alla Chiesa. L’opera si conclude con una riflessione aggiornata sulle sfide e prospettive della Congregazione nel contesto contemporaneo
1.5 I fondatori e la formazione dei seminaristi
La formazione dei due fondatori
I Venerabili Antonio e Marco Cavanis ricevettero un’ottima formazione alla vita cristiana e, indirettamente, alla vita presbiterale e religiosa, in famiglia, La loro formazione personale vera e propria alla vita presbiterale e religiosa, tuttavia, fu brevissima e comunque essi non conobbero formazione seminaristica. Concretamente, non vissero in seminario. Infatti ambedue si prepararono all’ordinazione nei vari ordini minori e maggiori in pochissimo tempo, più o meno di un solo anno, vivendo e abitando nel frattempo nella loro famiglia, e non conobbero la formazione filosofica e teologica sistematica nei seminari di Venezia del loro tempo, che pure esistevano: ce n’erano due a Venezia, quello della diocesi e quello della basilica di S. Marco. Compirono infatti i loro studi filosofici e teologici in forma privata.
La Formazione di P. Antonio Cavanis
Antonio Cavanis compì tutti i suoi studi, dagli studi primari (dopo una breve scuola che oggi si chiamerebbe “scuola materna”) agli studi superiori filosofici e teologici in forma privata presso il convento dei Padri Domenicani Osservanti, che comprendeva anche la chiesa di S. Maria del Rosario, detto erroneamente dei Gesuati. Ma abitavano in famiglia. Studiò con più intensità la teologia, anche dai Domenicani, negli anni 1784-85, dopo aver deciso di essere ordinato prete diocesano del Patriarcato di Venezia. Studierà poi per conto suo e di sua iniziativa per tutta la vita. Tuttavia il suo livello di formazione teologica si giudica fosse inferiore a quello del fratello Marco. È interessante e curioso sapere che nelle due estati di quei due anni, studiava teologia anche mentre era in vacanze, ospite di famiglie nobili amiche, in una villa nella campagna veneta.
Antonio Cavanis decise si dedicarsi alla vita ecclesiastica a partire dal 1793 (anche se lo aveva praticamente sempre desiderato); vestì però l’abito ecclesiastico e la cotta il 5 marzo 1794 a S. Agnese, sua chiesa parrocchiale.
Ricevette la tonsura e i quattro ordini minori (tutti e quattro insieme) il 6 aprile 1794, a 22 anni. Il suddiaconato (ordine maggiore) il 14 giugno 1794. Il diaconato il 20 dicembre dello stesso anno. Ricevette il presbiterato il 21 marzo 1795 (un anno e 16 giorni dopo aver vestito l’abito ecclesiastico), dopo aver ricevuta dalla Santa Sede la dispensa per l’età inferiore a quella prevista dai sacri canoni il 6 febbraio precedente. Aveva compiuto tutti i passi verso il presbiterato in pochi giorni più di un anno.
Fu in seguito addetto alla chiesa parrocchiale di S. Agnese, aggiungendosi come “alunno”, cioè come prete non titolato (senza incarico specifico) agli altri 15 preti della parrocchia e ad alcuni altri “alunni”. Rimase tale fino al 1820, per circa 25 anni, senza fare alcuna carriera!
La Formazione di P. Marco Cavanis
Marco Cavanis non si adattò alla scuola materna. In seguito, come il fratello maggiore, compì anche lui la maggioranza dei suoi studi, dagli studi primari agli studi superiori filosofici, in forma privata presso il convento dei Padri Domenicani Osservanti nel vicino convento di S. Maria del Rosario, abitando però anche lui in famiglia. Studiò poi teologia (e anche filosofia, letteratura, poesia ecc.) in modo più elevato, con più intensità, presso il famoso insegnante prete veneziano abate Antonio Venier, dopo aver deciso di essere ordinato prete diocesano del Patriarcato di Venezia. Studierà poi per conto suo e di sua iniziativa per tutta la vita, sembra più profondamente e più a lungo del fratello maggiore. Come si sa, sebbene avesse segretamente il desiderio di essere sacerdote e di darsi alla vita consacrata, per motivi familiari soprattutto aderì alla carriera tradizionale di famiglia, come addetto alla cancelleria del governo della repubblica (e poi degli stati che le successero), in palazzo ducale. Viveva nella casa di famiglia, che contribuiva a mantenere con il suo lavoro.
Marco Cavanis decise si dedicarsi alla vita ecclesiastica quando era già adulto, lasciando il suo lavoro laico e la vita laica appena gli fu ragionevolmente possibile, a partire dal 1805, a circa 31 anni, 12 anni dopo del fratello maggiore (anche se aveva praticamente e segretamente sempre desiderato di consacrarsi al Signore).
Vestì però l’abito ecclesiastico il 19 gennaio 1806 a S. Agnese, sua parrocchia, e si presentò vestito da prete alla congregazione mariana. In seguito, pochi giorni dopo, si presentò di proposito così in ufficio, vestito da prete, il giorno del giovedì grasso (è in Italia ed era a Venezia uno dei due giorni più importanti del carnevale; 13 febbraio di quell’anno), suscitando stupore e qualche risata, di carattere però amichevole. Gli volevano bene e lo stimavano. Si accomiatò così dall’ambiente e presentò le sue dimissioni dal lavoro.
Ricevette la tonsura due giorni dopo, il 15 febbraio;
Ricevette i quattro ordini minori il 23 febbraio 1806, a 31 anni.
Il suddiaconato (ordine maggiore) lo ricevette il 1° marzo 1806, assieme all’amico don Fedrigo o Federico Bonlini, che poi sarà ordinato prete insieme; si dedicherà tutta la vita alle Scuole di Carità, gratuitamente, ma senza entrare nell’Istituto Cavanis formalmente.
Il diaconato il 20 settembre dello stesso anno. Ricevette il presbiterato il 20 dicembre 1806.
Aveva compiuto tutti i passi verso il presbiterato in meno di un anno (in 11 mesi).
Don Marco fu in seguito addetto anche lui alla chiesa parrocchiale di S. Agnese, aggiungendosi come “alunno”, cioè come prete non titolato (senza incarico specifico) agli altri 15 preti della parrocchia e ad alcuni altri “alunni”. Rimase tale fino al 1836, per circa 30 anni, senza fare alcuna carriera! Tutti e due dovrebbero essere additati anche ai preti diocesani, come esempio.
I due fratelli passarono, 4 anni più tardi, dopo l’ordinazione di Marco, alla parrocchia di S. Maria del Rosario, quando, nel 1810, il governo napoleonico abolì la parrocchia di S. Agnese e la fece confluire nell’ex edificio (chiesa e convento) dei domenicani, che divenne sede della parrocchia.
Anche don Marco (pre’ Marco, si firmava a volte) abitava in famiglia; e vi abiterà anche dopo la fondazione della comunità della casetta, fino alla morte della madre nel 1836.
È chiaro da tutto ciò che i due piissimi fratelli non avevano alcuna esperienza di vita seminaristica. Per un lato ciò è strano, perché come si è detto, esistevano seminari diocesani formali fin almeno dal tempo del Concilio di Trento nel secolo XVI. Nella realtà tuttavia, e soprattutto nella Venezia stanca, poi decaduta, poi conquistata e domata da Napoleone Bonaparte, i seminari servivano soprattutto per i giovani poveri o di condizione modesta che non avevano la possibilità di pagarsi le rette. Ai nobili e ai ricchi, con qualche frequenza ma non abitualmente, era concesso o ammesso che studiassero a casa loro e per conto loro. Mancava troppo spesso una formazione alla vita ecclesiastica e sacerdotale, in genere con pessimi risultati; ma non nel caso specifico di cui parliamo.
La formazione nelle Scuole di Carità fino al 1820
In questo periodo di circa 18 anni (1802-1820), i due venerabili fratelli condussero prima, dal 1802, la congregazione mariana, poi, dal 1804 e specialmente dal 1806, le scuole di Carità con il loro impegno caritatevole e informale, e con l’aiuto di alcuni sacerdoti veneziani pure caritatevoli, che agivano gratuitamente; e anche servendosi di alcuni maestri, laici e sacerdoti, stipendiati da loro stessi. In questo periodo, non avevano con loro dei veri seminaristi, dei giovani cioè che desiderassero dedicarsi al Signore e alla gioventù, nelle Scuole di Carità, fin da giovani, nel tempo della formazione. Ciò accadde almeno fino al 1817, ma formalmente fino al 1820.
La prima comunità e seminario Cavanis nella “Casetta”
Il 27 agosto 1820, festa di S. Giuseppe Calasanzio, in un “collage” di minuscole casette popolari comprate e riunite, situate a S. Agnese, di fronte al palazzo Da Mosto, ossia alle Scuole Cavanis, si riunì la prima comunità dell’Istituto Cavanis, in quello che chiamarono sempre “LA CASETTA”. A quel tempo la Congregazione non era ancora approvata canonicamente a livello di diritto pontificio145, ma i suoi componenti, uniti “dal vincolo della carità e della uniforme vocazione”, venivano ad abitare insieme per meglio attendere alla comune vocazione di educatori di bambini e giovani. Il 12 ottobre 1818 il governo austriaco aveva accolto e approvato il progetto di creazione di una comunità Cavanis. Dopo numerosi tentativi i due Cavanis avevano poi ottenuto l’approvazione diocesana dei rami maschile e femminile dell’istituto rispettivamente il 19 giugno 1819 e il 16 settembre 1819. Al loro fianco e non molto lontano, intanto progrediva sotto il loro orientamento e governo, anche l’Istituto Cavanis femminile.
Nella corrispondenza tra chi è in villeggiatura e chi è rimasto a Venezia, sono interessanti e potrebbero essere citate molte loro frasi sul riposo e di lode delle vacanze, necessarie per poter lavorare tutto l’anno nell’arduo ministero delle scuole. Basti in questo senso la frase “vi esorto da buon fratello a non perdere un’ora sola di questi giorni ridenti per procacciarvi una buona dose di buon umore, che vi servirà nei giorni di malinconiosa tenebria.”; frase che scrive il P. Giovanni Battista Traiber a P. Casara in villeggiatura con altri, interpretando e trasmettendo la gioia dei due venerabili fratelli, rimasti a Venezia. La corrispondenza dei due venerabili fratelli in tempo di vacanze riflette la loro gioia e la gratitudine per poter riposare, rifarsi le forze e prepararsi per il tempo del duro lavoro. Lo stesso vale anche per le lettere ai loro discepoli e compagni. Per tutti i testi che si potrebbero citare, basti il seguente, che P. Marco scrive a P. Giovanni Paoli nel 1849: “Ben venuto dalla villeggiatura paffuto e tondo e pien di vigore…”!
Al gruppo iniziale della comunità Cavanis si aggiunsero gradualmente altri religiosi, laici o sacerdoti, e tra questi dobbiamo ricordare soprattutto P. Marco, che dopo la morte della madre venne ad abitare con ardore e con profonda umiltà assieme al fratello e ai primi figli. La «casetta» però era eccessivamente misera e malsana. I muri trasudavano umidità; al pianterreno «l’acqua alta» invadeva le camere, molto basse rispetto al livello del vicino canale; si moltiplicava il caso di giovani confratelli stroncati dalla tisi e da altre malattie polmonari.
Lo stile della Formazione nella Casetta era quello tipico dei Cavanis; pur imitando S. Giuseppe Calasanzio in molte cose, i Cavanis si differenziavano da lui (e dal suo Ordine antico e attuale). Il Calasanzio accentuava l’aspetto dell’educazione dell’intelletto, i nostri insistevano di più sulla formazione del cuore, sia nelle scuole, sia nella comunità formativa. Essi educavano non solo e non tanto con la formazione intellettuale (anche se le Scuole di Carità erano esigenti su questo punto), quanto sul clima di carità, di amore, di famiglia. La formula di equilibrio era ed è ancora per l’Istituto attuale:
«Formarli ogni giorno nell’intelligenza e nella pietà». Si noti che, a volte, si è detto che il concetto e il termine di “Famiglia” al posto di “casa” o “comunità” proviene dall’esperienza brasiliana; in realtà parte dall’esperienza, dalla vita, dalle opere, dagli scritti dei nostri Fondatori.
Sul concetto di famiglia (valida anche per i seminari, che all’inizio erano la stessa “famiglia” religiosa). Infatti la prima comunità della Casetta era costituita da P. Antonio, unico membro permanente adulto prete (più P. Marco, adulto e prete anche lui, ma che viveva in casa sua con la madre anziana in età molto avanzata, e andava e veniva nella casetta, ma non ne era membro stabile, fino al 1836); gli altri membri della comunità erano tutti giovani, seminaristi, fino a quando ci furono le prime ordinazioni presbiterali. Era più un seminario che una comunità adulta; ma era al tempo stesso una comunità impegnata nella pastorale. L’aspetto di famiglia era senza dubbio accentuato anche da questa situazione concreta. Notare che il concetto di “famiglia” per dire comunità religiosa è stato dall’inizio radicatissimo nella storia e vita della congregazione. Lo si applicò sempre per la comunità di Venezia, per quella di Lendinara, per tutte le case, e per la congregazione, dall’inizio della congregazione. Anche l’Istituto femminile si chiamava famiglia.
Il clima del seminario (ossia, dei FDT con i seminaristi e v.v.)
In questa comunità, che era anche seminario, ed era una vera famiglia, i due Padri erano veramente “padri più che Maestri”152 e formavano i figli con dolcezza, tenerezza, vero amore, delicatezza di spirito, trasmettendo ai giovani il loro amore per la gioventù, ma anche il metodo pedagogico e didattico che stavano elaborando. Si faceva uso però anche della fermezza,
della disciplina, ma senza durezza, senza castighi, senza penitenze. Per questo, nel comporre le prime costituzioni manoscritte del 1831 e poi quelle stampate e approvate dalla santa Sede del 1837, I Cavanis lei differenziavano molto, volutamente, da quelle degli ordini e congregazioni dell’epoca, e perfino da quelle degli Scolopi, che prevedevano penitenze, macerazione della carne, castighi, sanzioni. Per i Fondatori, la vera e importante penitenza era quella di educare ragazzi e ragazze con una pazienza infinita e con grande amore, soprattutto verso quelli più poveri, e quindi anche quelli meno educati, più sporchi, spesso più volgari, più tendenti alla disobbedienza, molte volte disabili e molto ignoranti.
P. Antonio come formatore
Fu differente l’apporto dei due fratelli nell’educazione e formazione della piccola comunità, soprattutto al riguardo dei giovani. Alla vita della minuscola comunità, non fu interessato soltanto il p. Antonio. Questi che viveva di fatto nella comunità e che ne era padre e superiore e presenza permanente; ma anche il fratello p. Marco. Per quanto la figura di P. Antonio sembri restare nell’ombra, parlare delle vicende dell’opera e dei frutti che vi si ottenevano, è quanto parlare del suo zelo e della sua attività di ogni giorno. Egli è pur sempre l’anima dell’istituzione, nonostante le sue sofferenze fisiche, il suo silenzio, la sua infinta umiltà. La sua attività continua ad essere sorprendente: direzione dell’istituto, insegnamento nella scuola per i fanciulli e nella scuole di filosofia e teologia per i seminaristi, predicazione, confessioni, studio. La novità più importante è che su di lui, prevalentemente, ricade la responsabilità della formazione dei chierici, come si chiamavano i seminaristi orientati verso il presbiterato.
P. Marco formatore
P. Marco invece rimase a casa sua (al palazzo) con la madre, che nel 1820 compie 79 anni: evidentemente lo ha fatto in accordo col fratello, dalle cui responsabilità non si è per nulla dissociato. Marco è fuori della casetta più in apparenza che di fatto, perché i pesi tutt’altro che leggeri delle pratiche burocratiche, dell’andamento economico, del rapporto con le autorità ecclesiastiche e civili e della ricerca delle elemosine – e anche di vocazionati a Venezia e poi anche in giro per il nord d’Italia, soprattutto in Veneto, Lombardia, Trentino, Piemonte, Emilia e Romagna – gravano sempre sulle sue spalle. Egli continua quindi a muoversi e viaggiare, ma ad essere cor unum et anima una col fratello e con i più giovani fratelli seminaristi e poi preti. Ogni qual volta poi la necessità o il bene dell’opera lo richiede, egli convince la buona madre donna Cristina a lasciargli libertà di allontanarsi da casa anche per più settimane di seguito; ed essa rinuncia volentieri al conforto del suo aiuto e della sua presenza. La storia pertanto della casetta è anche storia delle sue preoccupazioni e sofferenze, le quali si ripercuotevano nel suo animo con tanta maggiore asprezza, quanto maggiore era la vivacità della sua indole153. A questo proposito, bisogna ricordare che l’arrivo frequente di P. Marco nella casetta portava una ventata di gioia, di notizie, di speranze, di apertura al mondo, di allegria, di testimonianza che servire il Signore (anche duramente) era anche essere gioiosi e felici. I due fratelli si completavano tra di loro, nel ministero e nell’impegno della formazione.
I due fratelli insieme
Insieme, i due venerabili fratelli hanno lasciato la loro impronta profonda nella formazione dei loro giovani compagni, fratelli e collaboratori: soprattutto con la loro grande santità di vita cristiana, presbiterale e religiosa, con l’eroicità delle loro virtù che è stata verificata, riconosciuta e proclamata dalla santa Chiesa e attraverso la santa Sede, nel 1985. Questa trasmissione dell’esempio di santità cristiana, presbiterale, religiosa deve essere la base e il fondamento di ogni Formazione alla vita religiosa e sacerdotale, e alla base della vita di ogni formatore.
Per i nostri Padri, Antonio e Marco, era importantissimo che il “seminario” della casetta fosse vicino anzi adiacente alla Scuola, al cortile, alla biblioteca, all’Oratorio, inizialmente situato al primo piano del palazzo delle scuole, in quella che è l’Aula Magna della scuola oggi (e molto più tardi nella Chiesa di S. Agnese, da loro ricomprata e restaurata). Essi non avrebbero visto possibile situare la comunità formativa giovanile (il seminario) in un edificio separato, in montagna o in campagna, lontano dalle scuole. All’idea che entrò più tardi, di un noviziato e studentato separato dal mondo, un po’ monacale (cioè con la vita di un monastero di vita contemplativa, in casa del S. Cuore, oppure nel Probandato di Possagno, situato a bella posta fuori del paese, come buona parte dei nostri seminari antichi) essi preferivano un seminario che vivesse e si impegnasse già nel ministero proprio della congregazione, e cioè la pastorale della gioventù. Volevano che dalle finestre dell’abitazione della comunità si udissero le voci infantili e giovanili in ricreazione, le voci ritmate dei fanciulli e ragazzi che ripetevano le tabelline, le coniugazioni dei verbi o le declinazioni del latino nelle classi.
I Padri non volevano mandare i loro figli a studiare teologia nel seminario diocesano; volevano il monopolio della loro formazione, perché essi si potessero formare “diversi”, e cioè davvero Cavanis, con la peculiarità del loro carisma e della loro spiritualità. Si conosce la lotta feroce e perpetua di P. Marco per ottenere la scuola interna per i teologi, lotta che durò circa due decenni, contro l’impero asburgico, dell’Austria, e si concluse vittoriosamente solo nel lontano 1841. Anche questo fatto, come diremo poi, aveva vantaggi e svantaggi. Del resto, anche con la vittoria di cui si parla, oltre al problema della scuola filosofica e teologica fuori casa, i Fondatori avevano sempre avuto molte difficoltà da parte dei vari governi e sistemi di stato (sette più esattamente) con cui si erano confrontati durante la loro vita e che qui solo accenniamo: il problema della coscrizione dei seminaristi e
giovani preti (cioè dell’obbligo del servizio militare, non sempre esentato); il problema dei patrimoni ecclesiastici, di cui ogni candidato al sacerdozio doveva essere fornito (e quasi tutti erano di origine povera o modesta e non potevano essere provvisti dalla famiglia di origine); i continui controlli, le espropriazioni, le proibizioni di tenere la tipografia, l’estinzione della congregazione mariana, e tante altre difficoltà.
Vantaggi e svantaggi; aspetti positivi e aspetti negativi nel campo della formazione iniziale da parte dei fondatori
Bisogna naturalmente inquadrare l’opera dei venerabili fratelli nel loro tempo. Ma anche vederne, insieme all’innegabile santità e alla loro grande passione per la Formazione, le loro fragilità e difficoltà. Nessuno è perfetto; e si fa presto a criticare, dopo i fatti e in un tempo e in un mondo tanto differenti dai loro. Ma è bene confrontare i loro sbagli (se sono stati sbagli) con i nostri sbagli attuali.
Cercavano come candidati soprattutto preti già formati, non giovani aspiranti
Il problema fondamentale: cercare preti e non giovani aspiranti – non sappiamo se chiamarlo uno sbaglio di giudizio o di una necessità dei tempi – fu il fatto che essi non desideravano veramente avere dei seminaristi e un seminario. Essi erano profondamente convinti che il loro ministero di pastorale della gioventù – come si chiamerebbe oggi, non a quel tempo – e il metodo da essi costruito erano così importanti e fondamentali nella chiesa e nella società; era così nuovo; era stato talmente ignorato e disprezzato nella Chiesa, e si presentava ora con tanta evidenza.
Ora, soprattutto dopo l’approvazione della Congregazione dele Scuole di Carità a livello di diritto pontificio, “per essere diffusa in tutto il mondo”, essi erano sicuri, e si mantennero tali per tutta la vita, nonostante le delusioni, che molti, moltissimi preti – tra i tanti che c’erano allora – sarebbero accorsi ad ascriversi alla loro nuova congregazione.
Fu la grande illusione della loro vita, un’illusione un po’ ingenua, che al Signore (e alla Storia) non parve di realizzare. In realtà, nonostante gli innumerevoli viaggi di propaganda di P. Marco, i suoi libri e foglietti di advertising, le richieste a papi, vescovi, gli inviti concreti a preti e religiosi, i due Fratelli restarono totalmente delusi: durante la loro lunga vita soltanto due preti (e mezzo) entrarono già da preti in Istituto, oltre a loro stessi.
Questi due preti “e mezzo” sono:
1) don Pietro Maderò di Portogruaro (Ve), che entrò in Istituto nel 1840, vestì l’abito, fece un sacco di bene in Istituto, nel quale morì, ma non si decise a professare.
2) P. Vittorio Frigiolini di Novara, entrò nel 1844, fu preposito generale, ottimo padre, e morì purtroppo giovanissimo;
3) don Tito Fusarini, di Mestre (diocesi di Treviso, allora) entrò nel 1857.
Non istituirono un seminario
La comunità della casetta era in fondo, all’inizio, un seminario. Ma quando furono ordinati i primi preti Cavanis, sarebbe stato abbastanza logico istituire un seminario, per la formazione iniziale dei membri dell’Istituto. Ciò già esisteva nella chiesa e nelle comunità religiose. Altri pochi tentarono, ma desistettero quasi subito. La strada era quella di scegliere dei giovani e formarli, in ambiente adatto. Ma i Fondatori non istituirono un seminario. Sarebbe un tema da studiare a fondo.
Il primo vero seminario della congregazione fu quello che P. Casara istituì a Possagno, annesso al collegio, nel 1860-61154, con una dozzina seminaristi, tra cui Francesco Bolech e Piva, giovani professi; e novizi Ghezzo Giovanni Tomaso, Andrea Berlese, Toller Francesco, Giuseppe Sartori, Augusto Ferrari, Narciso Gretter, Domenico Piva, Giacomo Barbaro. Questo seminario a Possagno, che non aveva un edificio proprio, ma almeno un settore separato, durò a Possagno solo fino alla fine estate 1866.
Poi i novizi e chierici furono trasferiti di nuovo a Venezia. Ancora più stupefacente, il primo vero edificio per noviziato (sensu lato, cioè anche per studenti di filosofia e teologia) in congregazione è quello costruito di fronte alla casa della comunità a Venezia, al di là del giardino attuale, nel 1904, che è attualmente la cosiddetta Domus Cavanis.
L’idea che il seminario doveva essere annesso a un’opera educativa
Ciò naturalmente aveva vantaggi e svantaggi: da un lato si favoriva la formazione dei novizi e dei “chierici” come si chiamavano (e ci chiamavamo) allora, nel ministero proprio, fin da giovani; per altro lato, l’impegno di lavoro a volte toglieva tempo e serietà all’impegno dello studio teologico. In genere, fino almeno al tempo di chi espone questi fatti (e più esattamente fino al 1968), si lavorava tanto nella scuola e in tanti lavori materiali, che il tempo per la formazione e lo studio non erano sufficienti.
L’idea che lo studio teologico doveva essere solo interno all’Istituto
Questa idea aveva il motivo di formare i seminaristi (i chierici) al carisma e ministero della Congregazione. Il periodo della Teologia era come un tirocinio di quattro anni, come quello che si compie ora prima della professione perpetua e dopo il diaconato. Questo studio interno continuò fino all’ottobre 1968, quando i “chierici” passarono a Roma per studiare nelle università romane, principalmente al Laterano. Fino a quando lo “Studium Cavanis”, piuttosto informale, stette a Venezia, il problema era:
1) che il livello di preparazione (e anche di titoli accademici) degli insegnanti era molto scarso, al tempo dei Fondatori e anche ai tempi di chi parla, negli anni ’60 del XX secolo;
2) i nostri insegnanti di teologia (e più tardi anche di filosofia) facevano di tutto, oltre che insegnare ai chierici. Era quindi difficile che il livello dello studio interno fosse buono, dal punto di vista della qualità dell’insegnamento: basta vedere queste righe della storia della Congregazione: “P. Casara – per esempio – era allo stesso tempo preposito generale, rettore della casa di Venezia, preside delle scuole, rettore e professore nel seminario filosofico e teologico interno dell’Istituto; si occupava di trovare i fondi per mantenere i due Istituti maschile e femminile, seguiva il cantiere di ricostruzione della chiesa di S. Agnese, si occupava delle relazioni pubbliche dell’Istituto e, scriveva innumerevoli lettere e quando poteva, di notte, continuava a studiare e a svolgere le sue ricerche di filosofia, ma anche di pedagogia e di didattica.”. Lo stesso o quasi accadeva con P. Gioachino Tomasi o di P. Giuseppe Panizzolo come nostri insegnanti (rispettivamente di Biblica e di Diritto Canonico) negli anni ’60 del secolo scorso. Si noti, per altra parte, che c’è il forte pericolo che i nostri seminaristi nelle università ecclesiastiche (a Roma e altrove) ricevano solo una formazione molto generica e accademica, se poi nei nostri seminari non ricevono una forte formazione propria e fortemente identitaria, e compiano un continuo tirocinio nel ministero dell’educazione. Mi sia permesso anche di esprimere i miei dubbi (sempre finora espressi chiaramente, in orale e in scritto) sull’utilità di compiere la formazione iniziale (compresa la teologia) fuori del proprio paese natale. Gli studi a livello accademico dovrebbero a mio parere essere compiuti dopo l’ordinazione presbiterale.
Le Costituzioni del 1837 non avevano un capitolo sulla formazione
I Fondatori, purtroppo, non arrivarono a inserire nelle costituzioni (1837) un capitolo sulla formazione. Mancò quindi, fino almeno alle costituzioni completate della seconda parte, comprendente le regole della formazione, nel 1891, questa sezione così importante. Mancava anche un manuale o un direttorio o altro per i formatori. Il primo documento di questo tipo fu realizzato da P. Casara. Un manuale per la formazione, soprattutto devozionale, fu redatto molto più tardi160, nel 1927. La Ratio Istitutionis Cavanis fu promulgata solo nel 1993.
Povertà e insalubrità eccessiva della “casetta”
L’ambiente della casetta era troppo povero e austero e malsano per l’umidità e la ristrettezza. Questo lo diceva già P. Sebastiano Casara nel 1857, non è idea mia. Troppi giovani si ammalarono soprattutto di tisi (tubercolosi) e altro e morirono da santi, ma morirono. P. Casara ha lasciato scritto tra l’altro che questa eccessiva povertà e insalubrità della casetta fu causa o una delle cause della mancata entrata o della desistenza di molti giovani aspiranti.
Questa povertà dipende dalla reale povertà dell’opera, nei suoi inizi e per moltissimo tempo. Ma è chiaro, oggettivamente, che era eccessiva. Ovviamente, sappiamo che la povertà e l’insalubrità erano accettate e vissute e condivise anche dai Fondatori, non solo dai loro giovani compagni. Non c’erano religiosi di serie A e di serie B. nella comunità Cavanis.