Box: la Seconda Guerra d’Indipendenza d’Italia (1859) e l’inizio del Regno d’Italia (1861)

Pp. 709-712, Libro Storia dell’Istituto Cavanis - Congregazione delle Scuole di Carità.

Titolo: Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020

Autore: Giuseppe Leonardi, CSCh

Numero di pagine: 3.793

Lingua: ITALIANO

Anno: 2022 (*Aggiornato 2023)

Parole Chiave:

Congregazione Cavanis, educazione cristiana, Marco Cavanis, Antonio Cavanis, Venezia, pedagogia, vocazione, spiritualità, formazione giovanile, missione educativa, carisma, scuola cattolica, storia ecclesiastica, apostolato, congregazione religiosa, povertà educativa, Chiesa cattolica, evangelizzazione, comunità religiosa, tradizione.

Riassunto:

Quest’opera offre un ampio e documentato percorso storico sulla nascita, lo sviluppo e la missione educativa della Congregazione dei Padri Cavanis, fondata dai fratelli Marco e Antonio Cavanis a Venezia nel XIX secolo. Attraverso un’accurata analisi delle fonti, Giuseppe Leonardi ripercorre i momenti chiave dell’espansione della Congregazione in Italia e nel mondo, mettendo in luce la vocazione alla formazione cristiana e civile dei giovani, in particolare dei più poveri. L’autore evidenzia inoltre la spiritualità cavanisiana, fortemente radicata nella pedagogia dell’amore, nell’apostolato educativo e nella fedeltà alla Chiesa. L’opera si conclude con una riflessione aggiornata sulle sfide e prospettive della Congregazione nel contesto contemporaneo

Box: la Seconda Guerra d’Indipendenza d’Italia (1859) e l’inizio del Regno d’Italia (1861)

Il regno di Sardegna (che comprendeva il Piemonte, l’isola della Sardegna, la Savoia e la Liguria, con la capitale a Torino) aveva in programma di unificare l’Italia, costituita a quel tempo da numerosi stati sotto l’egemonia più o meno larvata dell’impero austriaco. Tuttavia questo piccolo stato (il Piemonte) era troppo debole, da solo, per realizzare questo sogno e soprattutto per opporsi all’Austria, come si era potuto constatare nel 1848-1849. L’idea della guerra di liberazione era sostenuta dal re, Vittorio-Emanuele II figlio di Carlo Alberto che aveva abdicato dopo la sconfitta di Custoza, dal suo primo ministro, Camillo Benso conte di Cavour, ed era appoggiata da parecchi intellettuali liberali d’Italia. C’è un famoso discorso del re del 10 gennaio 1859: «Noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante regioni si alza verso di noi!».

Servivano degli alleati. Cavour si appoggia alla Francia e all’Inghilterra. Invia in guerra, con questo proposito, 15.000 soldati in Crimea (1854-56), a fianco della Francia, della Gran-Bretagna e della Turchia, contro la Russia. La partecipazione alla guerra gli permise di partecipare al congresso di Parigi (1856) e d’entrare in contatto personale con l’imperatore francese Napoleone III (1848-1870).

Nel luglio 1858, a Plombières, Cavour e Napoleone III firmarono un trattato segreto con il quale il secondo si impegnò a intervenire a fianco del regno di Sardegna in caso d’attacco austriaco. In caso d’annessione al Piemonte della Lombardia, del Veneto e di Bologna, la Savoia (culla dell’antica dinastia dei Savoia, di cui Vittorio-Emanuele era il rappresentante incoronato all’epoca) e la città di Nizza sarebbero state cedute alla Francia.

Il governo piemontese provoca di proposito delle controversie con l’impero austriaco, fra le altre cose accogliendo di ritorno i rivoluzionari Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi e organizzando, sotto il comando di quest’ultimo un corpo di volontari, i “Cacciatori delle Alpi”, in parte provenienti dalla Lombardia e dal Veneto, territori che appartenevano all’Austria. 

Gli austriaci decidono di sferrare il primo attacco. Il 26 aprile 1859, l’Austria dichiara guerra al regno di Sardegna: la Francia decide di tener fede al trattato. Il 29 aprile l’armata austriaca varca la frontiera, invade il Piemonte orientale, occupa Novara e Vercelli. La guerra sembrava quasi vinta. Fortunatamente per l’Italia, Vienna invia l’ordine di condurre le operazioni più a est al comandante dell’armata, verso il fiume Mincio. Il comandante obbedisce e si ritira. Ciò dà del tempo ai Piemontesi.

Napoleone III intanto sbarca il 12 maggio a Genova e prende il comando dell’armata franco-piemontese. L’armata austriaca è bloccata a Montebello (20-21 maggio). Il 22 maggio, i Cacciatori delle Alpi passano in Lombardia per sostenere l’offensiva dal lato delle Prealpi. Difendono Varese, battono gli austriaci e occupano Como. Il 31 maggio, i piemontesi riportano una vittoria a Palestro.

Parallelamente i francesi passano il 2 giugno il fiume Ticino battendo gli austriaci a Magenta. Il 5 giugno, l’armata austriaca evacua Milano. L’8 giugno i Cacciatori delle Alpi sono a Bergamo, il 13 giugno a Brescia. Il 9 giugno la città di Milano vota l’annessione della Lombardia al regno di Vittorio-Emanuele II.

Nel frattempo gli austriaci sono sconfitti nella battaglia di Melegnano. Il grosso dell’armata austriaca continua a marciare e arriva a Verona. I franco-piemontesi riprendono la marcia il 12 giugno e arrivano là dove gli austriaci li attendevano, nei pressi del “quadrilatero”, con le sue quattro città-fortezza, Peschiera, Verona, Legnago e Mantova, situate alla frontiera tra la Lombardia e il Veneto, a sud-est del Lago di Garda.

Il 24 giugno i franco-piemontesi vincono due grandi battaglie a Solferino e a San Martino. Nei combattimenti gli austriaci sono rispediti aldilà del fiume Mincio, ma si appoggiano sul «Quadrilatero», cioè sulle quattro grandi città-fortezza, e ottengono rinforzi notevoli. Napoleone III decide allora di negoziare la pace e prende contatti separati con l’imperatore d’Austria Francesco-Giuseppe, senza consultare gli italiani. L’ 8 luglio, le ostilità sono sospese. 

Il 12 luglio viene firmato l’armistizio di Villafranca. Il trattato di Zurigo è firmato l’ 11 novembre 1859: gli austriaci cedono la Lombardia alla Francia (e ciò apparve un chiaro insulto agli italiani) che la cede al regno di Sardegna e l’Austria conserva il Veneto. I sovrani di Modena, Parma e Toscana che erano fuggiti in questo periodo di guerra e d’insurrezione popolare, avrebbero dovuto reintegrare i loro stati. Tutti gli stati italiani, compreso il Veneto di dominazione austriaca, avrebbero dovuto unirsi in una confederazione di stati presieduta dal papa.

Il trattato non risponde però agli obiettivi dei Savoia e degli italiani perché la confederazione italiana non serviva alla causa nazionale e avrebbe garantito ancora l’egemonia austriaca in Italia. Le vittorie del Piemonte si dimostrarono inferiori alle previsioni fatte a Plombières, cosi esso non è più tenuto a cedere alla Francia Nizza e la Savoia. D’altro canto, Napoleone ha bisogno di queste annessioni territoriali per giustificare davanti ai suoi sudditi la guerra che si era appena svolta.

Nei mesi successivi, il Piemonte non annette solo la Lombardia, ma anche gli stati di Parma, Modena, l’Emilia-Romagna (regione che apparteneva agli stati del papa) e la Toscana. A questo punto, il Piemonte parzialmente soddisfatto, accetta di firmare il trattato di Torino nel 1860, e cede la Savoia e Nizza alla Francia.

Il 6 maggio 1860, un migliaio di patrioti, i famosi “Mille”, venuti da tutta Italia, sotto il comando di Giuseppe Garibaldi e appoggiati segretamente dal Piemonte, s’imbarcano nel piccolo porto di Quarto, vicino a Genova, per prendere possesso del Regno delle Due Sicilie e sbarcano a Marsala in Sicilia. Le truppe garibaldine ingaggiarono diverse battaglie, e conquistata la Sicilia, sbarcarono in Calabria e risalirono l’Italia fino a Napoli. Il re del regno delle Due Sicilie, Francesco II, abbandona la capitale, Napoli, dove Garibaldi fa il suo ingresso il 7 settembre.

L’epopea dei «Mille» (che ormi erano più numerosi) si conclude con l’incontro a Teano, piccola borgata a nord-ovest di Napoli, fra Garibaldi e Vittorio-Emanuele II, che riceve i frutti delle vittorie di Garibaldi ma dissolve le truppe garibaldine il 26 ottobre. Garibaldi obbedisce e va in esilio. Nel frattempo le truppe piemontesi avevano occupato l’Umbria e le Marche che appartenevano alla Santa Sede e invadono il regno delle Due Sicilie.

Le truppe piemontesi prendono posizione di fronte alla fortezza di Gaeta sulla costa campana dove Francesco II, già re delle Due Sicilie, anche senza l’aiuto delle potenze europee, resiste. Si completa l’assedio con l’appoggio della flotta piemontese, così si poté conquistare la fortezza.

Con queste operazioni termina la prima fase positiva della lunga lotta per l’unità d’Italia: sole Roma e il Lazio, possedimenti del papa, e il Veneto (più Trento e Trieste), nelle mani degli austriaci, restano separati dal regno di Sardegna. Il 17 marzo 1861, Vittorio-Emanuele II prende il titolo di Re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della nazione”. L’Italia ha celebrato, nel 2011, l’anniversario dei 150 anni dell’inizio dell’unità d’Italia.

Bisogna notare che il movimento (o piuttosto i movimenti) per l’unità d’Italia è stato fondato, condotto e dominato da un lato da gruppi d’intellettuali, spesso ma non sempre lontani dalla chiesa; d’altro canto dal regno del Piemonte, nella persona del re, Vittorio-Emanuele II e del suo primo ministro Camillo Benso di Cavour. Il popolo italiano non aveva ancora coscienza della sua italianità.

Come conseguenza della conclusione prematura della guerra, il Veneto resta sotto la dominazione austriaca. Il nostro istituto e le sue tre case di Venezia, Lendinara e Possagno restano dunque, per il momento, nella «colonia» austriaca del Veneto, e non cambia nulla per loro.

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