Titolo: Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020
Autore: Giuseppe Leonardi, CSCh
Numero di pagine: 3.793
Lingua: ITALIANO
Anno: 2022 (*Aggiornato 2023)
Parole Chiave:
Congregazione Cavanis, educazione cristiana, Marco Cavanis, Antonio Cavanis, Venezia, pedagogia, vocazione, spiritualità, formazione giovanile, missione educativa, carisma, scuola cattolica, storia ecclesiastica, apostolato, congregazione religiosa, povertà educativa, Chiesa cattolica, evangelizzazione, comunità religiosa, tradizione.
Riassunto:
Quest’opera offre un ampio e documentato percorso storico sulla nascita, lo sviluppo e la missione educativa della Congregazione dei Padri Cavanis, fondata dai fratelli Marco e Antonio Cavanis a Venezia nel XIX secolo. Attraverso un’accurata analisi delle fonti, Giuseppe Leonardi ripercorre i momenti chiave dell’espansione della Congregazione in Italia e nel mondo, mettendo in luce la vocazione alla formazione cristiana e civile dei giovani, in particolare dei più poveri. L’autore evidenzia inoltre la spiritualità cavanisiana, fortemente radicata nella pedagogia dell’amore, nell’apostolato educativo e nella fedeltà alla Chiesa. L’opera si conclude con una riflessione aggiornata sulle sfide e prospettive della Congregazione nel contesto contemporaneo
7.3 La passione e la morte della casa di Lendinara nella prospettiva generale italiana
La micro-storia dolorosa degli ultimi trent’anni (1866-1896) della comunità e della scuola Cavanis di Lendinara (ma bisogna ricordare anche il dramma delle altre due case dell’Istituto) si presenta nel quadro della macro-storia d’Italia e della chiesa in Italia alla fine del XIX secolo. Si capisce perché e come in una piccola città quasi sconosciuta del Polesine e, su scala più ampia, in tutta Italia «… l’orientamento generale antipapale e anticlericale ovvero antireligioso dei governi successivi, diede ai cattolici italiani l’impressione di essere assediati nel loro stesso paese». Ed era proprio quell’impressione che avevano i nostri confratelli all’epoca – tra gli altri. Si soffocava. Ma allo stesso tempo, non si dialogava, non ci si apriva alle idee moderne, non si accettavano le libertà. Ad esempio, a livello di S. Sede, ma anche dei cattolici in generale, non si capiva e ci vorrà del tempo per arrivarci, che la perdita di possedimenti temporali era un bene, una purificazione, e non una sventura.
Più che nei primi due terzi del secolo, hanno pesato sulla chiesa che è in Italia l’insieme degli avvenimenti e dello stato d’anima politici e sociali, e soprattutto il successo del movimento del Risorgimento italiano, del resto molto prezioso, avendo ottenuto l’agognata unità d’Italia.
Bisogna ricordare come premessa e riassunto che prima degli anni 1859-1860 la penisola italiana, benché messa in evidenza e separata da altri paesi dal mare e dalle Alpi, non era un paese indipendente né unito e che racchiudeva otto stati: il regno del Piemonte-Sardegna, il vice regno Lombardo-Veneto occupato dall’impero austriaco, i ducati di Parma, Modena e Lucca, il granducato di Toscana, gli stati della chiesa che comprendevano l’Emilia, la Romagna, l’Umbria, le Marche e il Lazio) e il regno delle Due Sicilie che comprendeva tutte le regioni del sud della penisola, dalla Campania e l’Abbruzzo alla Sicilia.
Fra questi stati, la cui popolazione era in maggioranza cattolica, la maggior parte rispettava la chiesa, anche se per un motivo o l’altro si tentava di dominarla, con il giurisdizionalismo, soprattutto nel vice-regno Lombardo-Veneto, almeno sino al 1855. C’era tuttavia, diffuso un po’ ovunque un sentimento di anticlericalismo antipapale e spesso antireligioso tra gli universitari e gli intellettuali. Il sentimento anticlericale popolare era diffuso soprattutto, ma non solo, negli stati della chiesa, e tanto più a Roma.
Lo stato più laico e anticlericale per eccellenza era di certo il Piemonte-Sardegna, dove si proclamava «libera chiesa in libero stato», ma dove in realtà c’erano dei margini molto limitati alla libertà della chiesa, se si considera il controllo dell’insegnamento da parte dello stato, le leggi Siccardi per l’abolizione del foro ecclesiastico (1850), la legge che soppresse i capitoli dei canonici e le comunità religiose non «utili» cioè non impegnate nell’insegnamento e nella cura dei malati (1855), legge che provocò la soppressione di 604 case e opere religiose.
Il movimento unitario del Risorgimento italiano, promosso allo stesso tempo dal regno di Piemonte e Sardegna (a partire dal re Carlo Alberto di Savoia-Carignano e soprattutto da suo figlio Vittorio-Emanuele II) e da movimenti unitari, a volte repubblicani e liberali, molto spesso anticlericali, raggiunse il suo scopo gradatamente tra il 1859 e il 1870.
Si ricorda qui, ricapitolando, la I Guerra d’Indipendenza (1848-1849) che finisce con una sconfitta, la II Guerra d’Indipendenza (1859) che permette al Piemonte di unirsi la Lombardia, la fase dei plebisciti che riunisce al Piemonte i ducati di Modena e Parma (1860), l’impresa di Giuseppe Garibaldi e dei suoi «Mille» che aggiunse all’Italia il regno delle Due Sicilie (1860) cioè tutto il meridione, il movimento strategico dell’armata piemontese attraverso la Romagna, le Marche e l’Abruzzo che saranno annessi al Piemonte (1860), al fine di raggiungere Garibaldi e anche per evitare che questi eventualmente creasse una repubblica indipendente nel sud del paese; l’instaurazione del regno d’Italia (17 marzo 1861); la III Guerra d’Indipendenza che unisce il Veneto (incluse le tre case del nostro Istituto) e la provincia di Mantova al regno d’Italia (1866); la presa del Lazio e più particolarmente di Roma attraverso la breccia di Porta Pia (1870); lo spostamento della capitale del regno da Torino a Firenze (1865) poi a Roma (1871). Il movimento dell’Irredentismo e in generale il nazionalismo italiano porteranno quasi mezzo secolo più tardi alla conquista sanguinosa del Trentino e dell’Alto-Adige (o Südtirol) con Trento e Bolzano, di Trieste e dell’Istria e a completare così l’unità d’Italia con la conclusione vittoriosa della I Guerra Mondiale (1914-1918).
L’espansione del Piemonte e l’unificazione d’Italia, sotto la monarchia Sabauda o dei Savoia e del loro governo portò ad estendere la politica anticlericale di Torino in tutta Italia. L’Italia ora era fatta, come dice la massima, bisognava «fare gli italiani», e non ci si lavorava. Dal punto di vista della monarchia e del governo del Piemonte e poi del regno d’Italia si trattava anche di laicizzare l’Italia e di limitare i poteri della Chiesa. Per la Chiesa e la Santa Sede lo scopo era invece di «rifare gli Italiani» e presentava un duplice problema: come risolvere la questione romana e come recuperare l’Italia da un punto di vista cristiano-cattolico.
«Confrontati al movimento unitario che raggiunse i suoi obiettivi tra il 1859 e il 1870, i papi, Pio IX, Leone XIII, Pio X, s’impegnarono in una lotta senza quartiere contro le dottrine giudicate deleterie, prodotto della civiltà moderna: contro il movimento liberale, il razionalismo, contro il modernismo in seno alla chiesa, contro il socialismo e contro lo stato unitario che si era realizzato abbattendo il potere temporale. In un contesto spesso concitato, c’era stato bisogno non solo di condannare, ma anche di organizzarsi, soprattutto dopo il 1878, per tentare di conquistare la società in nome di Cristo reagendo alle sfide politiche, economiche e sociali del tempo. L’interdipendenza della politica, della cultura e del religioso stricto sensu resta una caratteristica primaria di questo periodo».
Il tradizionalismo della chiesa e del papato generò poi un «feeding-back» dell’antipapismo e dell’anticlericalismo, e viceversa, in una scalata che non sembrava aver fine.