Titolo: Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020
Autore: Giuseppe Leonardi, CSCh
Numero di pagine: 3.793
Lingua: ITALIANO
Anno: 2022 (*Aggiornato 2023)
Parole Chiave:
Congregazione Cavanis, educazione cristiana, Marco Cavanis, Antonio Cavanis, Venezia, pedagogia, vocazione, spiritualità, formazione giovanile, missione educativa, carisma, scuola cattolica, storia ecclesiastica, apostolato, congregazione religiosa, povertà educativa, Chiesa cattolica, evangelizzazione, comunità religiosa, tradizione.
Riassunto:
Quest’opera offre un ampio e documentato percorso storico sulla nascita, lo sviluppo e la missione educativa della Congregazione dei Padri Cavanis, fondata dai fratelli Marco e Antonio Cavanis a Venezia nel XIX secolo. Attraverso un’accurata analisi delle fonti, Giuseppe Leonardi ripercorre i momenti chiave dell’espansione della Congregazione in Italia e nel mondo, mettendo in luce la vocazione alla formazione cristiana e civile dei giovani, in particolare dei più poveri. L’autore evidenzia inoltre la spiritualità cavanisiana, fortemente radicata nella pedagogia dell’amore, nell’apostolato educativo e nella fedeltà alla Chiesa. L’opera si conclude con una riflessione aggiornata sulle sfide e prospettive della Congregazione nel contesto contemporaneo
7.2.1 I Padri Cavanis a Lendinara e Alberto Mario
P. Larese nota che la partenza dei padri dal quartiere della parrocchia di S. Sofia «fu rimpianto dai buoni». La gente della cittadina era ormai diviso, dal punto di vista dei nostri confratelli (e di tanti altri cattolici, nella logica della Chiesa del XIX secolo!), in due categorie: i buoni e i cattivi, questi chiamati allora “i tristi”, cioè gli amici e i nemici. Tra gli amici fidati, c’è per i Cavanis, soprattutto l’avvocato Sante Ganassini e il medico (o piuttosto avvocato?) Giovanni Ferro, il notaio Antonio Leopardi, Domenico Fracassetti, oltre ai genitori degli alunni della scuola; tra i nemici, degno di nota l’avvocato Antonio Bisaglia, delegato scolastico, e naturalmente, Alberto Mario, di cui abbiamo avuto occasione di parlare in precedenza, quando era soltanto un ragazzo.
Stranamente non si trova mai nel diario di Lendinara e negli altri documenti dell’archivio di questa casa, il nome di questo celebre Alberto Mario, alunno adolescente accolto forse ingenuamente ma generosamente da P. Pietro Spernich (ottobre 1839), ex-alunno cacciato dalla scuola Cavanis (anno scolastico 1839-40), di cui abbiamo parlato sopra.
Questo personaggio, abbastanza noto nella storia del Risorgimento italiano, tornò in modo permamente a Lendinara sin dal 1869, dopo il suo lungo esilio politico durato dal 1848 al 1866, cioè dalla prima alla terza guerra Italiana di indipendenza; «l’arcinemico» dell’Istituto Cavanisin quella città, secondo una tradizione più che altro orale dell’Istituto Cavanis, anche se esposta di passaggio e non in dettaglio da P. Francesco Saverio Zanon nella sua Vita documentata etc..
Non si vuole qui redigere una biografia di Alberto Mario. Si ricorderà solo la sua nascita a Lendinara il 4 giugno 1825 da una famiglia nobile ma impoverita proveniente (in passato) da Ferrara; fu alunno del nostro Istituto solo per un breve periodo perché espulso, riammesso e poi espulso definitivamente. Completò in seguito i suoi studi delle scuole superiori al seminario diocesano di Rovigo (stranamente!) e studiò in seguito matematica e diritto all’università di Padova; vi partecipò ai movimenti rivoluzionari degli studenti e del popolo. Combatté come volontario nelle battaglie della guerra del 1848 (1ª guerra d’Indipendenza; ma non alla ripresa della stessa dopo l’armistizio nel 1849); visse in esilio a Genova dal 1849 al 1857; ma in questa fase rinunciò in toto alla speranza di un’Italia formata da una federazione di stati sotto la guida del Papa Pio IX (l’idea cattolica di Vincenzo Gioberti e altri) e allo stesso tempo rinunciò a fidarsi della dinastia dei Savoia e si impegnò interamente nell’idea democratica e repubblicana.
Nel 1857 trascorse qualche mese nelle prigioni piemontesi, periodo durante il quale ebbe l’occasione di entrare in contatto con la giornalista inglese Jessie White Meriton, anche lei in prigione per ragioni politiche. Usciti ambedue dalla prigione, si trasferirono in Inghilterra, patria di lei, dove si sposarono a Portsmouth. Negli anni successivi vissero a Londra, poi negli Stati Uniti (1858-59), infine nella Milano liberata dopo la fine della II Guerra d’Indipendenza (1859); poi ancora in prigione in Piemonte per breve tempo e infine in Svizzera. Una vita tipica degli esuli del risorgimento.
Nel 1860 Mario partecipò ad una spedizione di rinforzo a quella di Garibaldi e dei «Mille» per la conquista della Sicilia e dell’Italia del Sud, il regno delle due Sicilie, salendo con l’armata da Palermo sino a Napoli. Trascorse ancora due anni in Inghilterra e dopo restò quattro anni a Firenze (1862-66), che era a quell’epoca la capitale provvisoria d’Italia. Durante questi quattro anni si dedicò completamente agli studi e alle pubblicazioni, si allontanò da Giuseppe Mazzini e divenne sempre più agnostico, anticlericale e in seguito ateo.
Durante la III Guerra d’Indipendenza (1866) fece parte degli equipaggi della flotta di piccoli vascelli garibaldini sul lago di Garda, tra Veneto e Lombardia, nella lotta armata. Dopo l’unificazione del Veneto al regno d’Italia, rientrò a casa sua a Lendinara, dopo 18 anni di esilio e di viaggi, durante i quali non aveva abbandonato i suoi studi, le sue pubblicazioni, la sua partecipazione al dibattito politico nazionale e internazionale, la sua attività di giornalista. Tuttavia si stabilì definitivamente a Lendinara, solo nel 1869.
È lì che cominciò la sua attività politica locale, nella cittadina, come membro del consiglio comunale e poi come ispettore delle scuole, con il proposito di diffondere l’insegnamento e combattere in favore della laicità della scuola.
Fondò un’associazione anticlericale, fu consigliere comunale e provinciale oltre a presidente della società operaia del mutuo soccorso. Alberto Mario morì a Lendinara il 2 giugno 1883.
Questi 14 anni tra il suo rientro stabile a Lendinara e la sua morte (1869-1883 o 1866-1883)furono anche i momenti più salienti della sua lotta accanita (e forse della sua vendetta) contro l’Istituto Cavanis che aveva frequentato da adolescente.
Come si è detto sopra, non si fa riferimento al Mario nel diario e negli altri documenti dell’archivio dell’Istituto Cavanis di Lendinara. Ciò può essere accaduto per ragioni di autocensura, per motivi di sicurezza, come nel caso delle 7 pagine tagliate, distrutte e sostituite sui fatti riguardanti gli anni 1866 e seguenti; oppure può trattarsi di una forma evangelica di perdono dei nemici, anche se ci si riferisce a loro tacciandoli con il titolo di «tristi».
Sarebbe più corretto dire che è nell’archivio dell’Istituto Cavanis di Lendinara che non si trovano riferimenti su Mario riportati dalla comunità locale. In realtà, c’è un foglio autografo di quattro pagine di P. Sebastiano Casara, datato 21 febbraio 1879, contenente una memoria sulla lunga lotta dei persecutori dell’Istituto intitolata «Informazione sui fatti avvenuti contro le Scuole di Carità – Cavanis a Lendinara», dove P. Casara, che allora era preposito dell’Istituto, scrive all’inizio del documento: «1. La persecuzione alle scuole di Carità-Cavanis a Lendinara cominciò poco dopo il rientro in patria di un signore Alberto Mario. Prima di questa data, nessuna di queste scuole era stata malvoluta o perseguitata in tal modo e nessuno avrebbe immaginato tali cose. La popolazione si dimostrò e continuò ad essere sempre benevola.
Non seppe tuttavia reagire e opporsi energicamente per ottenere dei risultati contro gli intrighi degli avversari capeggiati dal Mario, che fu in grado di trascinare dalla sua parte le autorità scolastiche riuscendo nei suoi ostili disegni diverse volte.» Gli altri punti elencati nella lunga memoria enucleano appunto tali disegni in dettaglio e i risultati da lui ottenuti.
Nella terza pagina dello stesso documento P. Casara scrive della vittoria dell’Istituto a seguito della «riapertura» della scuola nell’ agosto 1878, grazie all’intervento di Vittorio Emanuele II, di cui si parlerà più giù: « I nemici fremettero, così come esultò la città tutta, ma Mario non si scompose. Iniziò a dire con posizioni piuttosto ferme che la scuola non sarebbe stata riaperta costi quel che costi, anche se di fatto non era mai stata chiusa. Non si sa cosa avesse fatto in segreto per realizzare tale scopo. Si sa ciò che fece pubblicamente: le calunnie più denigratorie nei giornali, proteste a nome dell’associazione anticlericale che aveva lui stesso fondato, ricorso al ministero da parte di un certo numero di cittadini per far ritirare il decreto».
Conclude: «Nel frattempo il delegato scolastico del circondario rinunciò alla sua carica e Mario riuscì a farsi eleggere al suo posto! Quale sarebbe stata la sorte delle scuole adesso? Come si poteva pensare anche solo alla loro riapertura? Ecco lo stato attuale dei fatti a Lendinara, dove tuttavia non mancano i buoni e dove l’universalità deplora l’accaduto. ma non si può pensare di essere sostenuti; talmente le persone sono timide e talmente sono spaventate dal potere e dalla spudoratezza del Mario!».
Fin qui le memorie di P. Casara confermano le affermazioni di P. Zanon, citate pocanzi. Esiste inoltre una forte tradizione orale nell’Istituto Cavanis sull’inimicizia di Alberto Mario contro l’Istituto, sostenuta però da pochissimi dati scritti.
Un’ulteriore conferma è data ora dalla scoperta, da parte dello scrivente, della biografia di Alberto Mario stesa dalla sua vedova Jessie White, pubblicata nella prima parte del libro “Scritti letterari e artistici di Alberto Mario” digitalizzato nel 2006 e finora sconosciuto dalla Congregazione Cavanis.
Si tratta di una biografia di parte, ovviamente, ma senza dubbio molto interessante per i Cavanis e in genere per tutti. È anche molto sincera e conferma molti punti. Citiamo inizialmente la sezione che riporta i primi contatti tra Mario ed i Cavanis nella fase di pre-adolescente.
«Appena istituita la scuola familiare gestita dai Cavanis dell’ordine dei padri scolopi, di cui parleremo più avanti, Alberto fu il primo allievo. Qui diede il peggio di se stesso: ribellione aperta, punizioni permanenti, incuranza nello studio. Ma un giovane pieno di vita e di salute quando cantava i salmi e recitava preghiere in chiesa un ora al mattino e alla sera; e spiegheremo anche la ribellione non solo di Berto, ma anche degli altri compagni della sua stessa età molto più docili di lui.
Alla fine, a causa della peggiore diavoleria che avesse potuto commettere, fu cacciato dai Cavanis. Si divertiva e ci scherzava sopra senza pentirsene. Alla passione delle corse si aggiunse il vizio del fumo [testo alterato]. Fumava erba. Ed ecco suo padre (?) a caccia delle sue sacre pipe da do schei: e Berto a correre in città con un traino a quattro; quattro compagni a piedi, si dice, e lui come cocchiere.
Bisognava prendere le redini in mano e il signor Checca non era certo un uomo che si lasciava mettere i piedi in testa dar un putelazo di dodici anni. Così con un freddo degno della Siberia, salito sul cabriolet, senza cappotto; andò a Venezia dritto a chiedere scusa ai padri superiori della scuola. E dovette chiedere scusa in ginocchio sotto minaccia di sculacciate da parte del padre.
Alberto, che sino ad allora non aveva mai visto altro che le zone pianeggianti e monotone di Lendinara (solo la bella Lisette era stata portata in montagna dal padre, cioè sui monti Euganei) restò stordito ed incantato alla vista di Venezia. Al suo rientro si prendeva gioco dei compagni dicendo: ‘Voi piccoli santerelli non avete visto nulla, io invece, il diavolo, ho visto Venezia’.
Ma continuava imperterrito con lo stesso atteggiamento: gesti, battute, strizzatine d’occhio durante i salmi, versi profani invece di orazioni, sempre ridere e studiare mai: da qui venne espulso nuovamente e relegato al seminario di Rovigo». Questo testo, seppur con qualche involontario errore d’interpretazione sulla vita dei giovani dell’epoca in una scuola cattolica, spiega bene il breve passaggio di Alberto ai Cavanis; e la narrazione della signora White-Mario è piuttosto esilarante. Meno divertente e anzi assai grottesca è la descrizione che segue nel libro citato a proposito della vita di Alberto al seminario diocesano di Rovigo, che qui non è oggetto di interesse perché non attinente al tema di quest’opera.
La biografia di Mario, a partire dal suo ritorno in patria dopo l’esilio, scritta dalla sua vedova, ci parla ancora dei rapporti di Alberto Mario con i Cavanis: ecco la storia delle persecuzioni.
«Alberto voleva fare guerra ai preti e ai loro privilegi a Lendinara e in particolare nelle scuole. Si impegnò anima e corpo affinché i Cavanis fossero sradicati dal loro tugurio e che il comune si impossessasse delle scuole. Sorvegliava in quanto delegato scolastico e consigliere comunale i Cavanis, affinché non continuassero a fare scuola clandestinamente contravvenendo alla legge; e su questo argomento interagì con missive al comune, al prefetto e all’ispettore agli studi e fu suo il merito se i padri si chinarono almeno nel campo dell’insegnamento. Fu merito di Alberto, aiutato da me, se l’insegnamento della religione nelle scuole elementari da obbligatorio che era, diventò facoltativo nelle scuole del distretto, ai termini di legge, per cui nelle nostre scuole, esempio raro in tutta Italia, non si insegna religione, almeno a Lendinara.» Jessie White-Mario continua richiamando il suo lavoro per migliorare la situazione degli ambienti scolastici alle elementari e il suo compito importante in qualità d’ispettore. Conclude il capitolo in modo piuttosto ottimista: «Tutti i suoi concittadini, fautori e avversari, gli mostrarono affetto e amabilità nei suoi ultimi giorni di vita; ho stretto la mano a tutti sulla sua tomba. Il mio silenzio non era né una forma d’accordo né una forma di desistenza». Quest’ultima scena si svolgeva alcuni giorni dopo il 2 giugno 1883, data della sua morte.
I padri Cavanis non sembrano aver mantenuto rancore postumo. Già al tempo della sua malattia finale, P. Larese a P. Casara “Scrive dell’infelice Alberto Mario, ridotto ormai agli estremi”. Giorni dopo scrive che “Ieri e oggi ricevuta lettera del p. Larese sulla morte dell’infelice Alberto Mario, che passò all’altra vita senza alcun segno di pentimento!”
Riprendiamo la nostra storia e torniamo indietro di 10 anni, dopo questa lunga ma necessaria digressione. I nemici dell’Istituto non si fermarono. Il 12 agosto di questo stesso anno 1873, il prefetto di polizia di Rovigo, sentito il consiglio scolastico, chiuse le scuole Cavanis di Lendinara.
Il 13 ottobre, all’inizio dell’anno scolastico 1873-74, nella nuova sede della parrocchia di S. Biagio, alla Riviera S. Biagio, n° 36, ebbe luogo una riunione dei padri di famiglia, con i padri Cavanis e il notaio, per redigere formalmente l’atto di fondazione della «Società dei padri di famiglia e dei cittadini privati» e delle «scuole paterne». Il preside era un buon cattolico, amico dei padri, l’avvocato Sante Ganassini, assistito da un consiglio di quattro dei suddetti padri di famiglia. L’archivio conserva il verbale dell’ atto di fondazione, firmato dall’avvocato e preside Sante Ganassini e da 18 genitori (padri di famiglia, e una madre, vedova), i fondatori della scuola paterna, controfirmato dal notaio. Il verbale porta la data (apparentemente contraddittoria) dell’11 ottobre 1873. Vi si dichiara, tra le altre cose, che Sante Ganassini è anche il preside della scuola; e che le famiglie pagheranno £ (italiane) 12,- all’atto dell’iscrizione, e £ 12.- dopo Pasqua, per l’onorario del preside Ganassini, spese generali e materiale didattico. Il documento dichiara inoltre che si agisce sotto l’ egida degli articoli 251, 252, 253 della legge 13 novembre 1869. In seguito espone il programma degli studi, il regolamento degli alunni, del preside delle scuole e dei professori.
L’archivio conserva anche una copia del decreto del consiglio definitoriale (consiglio provinciale dei definitori con il preposito) del 30 ottobre 1874 che decide d’istituire le scuole primarie a Lendinara, dato che non si poteva più fare una scuola superiore, cioè il ginnasio, come prima.
Il 3 novembre 1873, il commissario di polizia comunicò la decisione che le scuole fossero chiuse finché acquisissero davvero le caratteristiche di scuole paterne. Convocò il rettore P. Brizzi, e con delle minacce si sforza di convincerlo; ma egli risponde che ha il diritto di fare ciò che vuole e che si avvarrà dei suoi diritti. Rientrato a casa, riunisce il consiglio direttivo della scuola e prepara una risposta che l’avvocato Ganassini porta al commissario di polizia. Questi si mostra a disagio nella risposta. Il 9 marzo 1874 il ministero dell’istruzione pubblica conferma la chiusura della scuola per decreto, come risposta al ricorso dell’avv. Sante Ganassini e dei genitori degli allievi.
Un foglietto, forse copia dell’originale del 9 aprile 1874, spedito da Roma, forse dal ministero della pubblica istruzione, firmato da Luigi Gau[…], dichiara che la scuola Cavanis non può essere considerata «paterna», ai sensi della legge del 13 novembre 1859, e che si doveva [a livello locale] approvare e confermare con un decreto solenne la chiusura della scuola.
Un altro segno di inimicizia fu il rifiuto del comune di ammettere nelle liste elettorali del 22 giugno 1875 i padri Carlo Simeoni e P. Giovanni Battista Larese.
Per diversi motivi, soprattutto per insegnare, ma anche per compiere degli atti civili o amministrativi, i padri Cavanis provenienti da fuori, ma residenti a Lendinara, dovevano chiedere al comune dei certificati di residenza e di moralità.
I religiosi avevano ottenuto dei certificati positivi per i padri Miorelli e Simeoni il 24 settembre 1878 e il 29 settembre 1878 per P. Larese, nei quali si diceva che il loro comportamento morale e civico era «superiore ad ogni elogio»; ma che non erano stati accettati dal consiglio scolastico della provincia di Rovigo, con il motivo (o il pretesto) che non si erano adeguati all’articolo di legge 330 del 13 novembre 1859.
È interessante esaminare i certificati che domandarono e ricevettero in seconda istanza; P. Giuseppe Miorelli, per esempio, ricevette il 18 ottobre 1878 un certificato firmato dal sindaco L. Giuseppe Marchiori, dove questi dichiara 1) che il Miorelli si è registrato a Lendinara dal 1868 (circa); 2) che è una persona di levatura morale; 3) che non è un insegnante capace; 4) che «professa dei principi politici non ispirati alle idee liberali nazionali». I certificati di moralità di P. Larese e di P. Simeoni, rilasciati nella stessa data, sono uguali. La scuola non fu poi approvata a causa di questi nuovi certificati degli insegnanti.
Il diario di Lendinara, a questo punto, si interrompe purtroppo per 9 anni e inizia nuovamente solo nell’ottobre 1884, con la scrittura del nuovo rettore P. Giuseppe Da Col, futuro preposito generale. Esaurita la fonte principale d’informazione in questo periodo, bisogna quindi ricorrere ai documenti presenti negli altri faldoni e nei fascicoli degli anni successivi.
Il fascicolo degli anni 1861-1886 contiene tra le altre cose, una copia autenticata da P. Casara preposito, di una decisione della seduta definitoriale (ovvero del preposito con il consiglio generale) del 30 ottobre 1874 sulla casa di Lendinara, dove il preposito e i quattro «definitori» (ovvero i consiglieri provinciali), i padri Giuseppe Rovigo, Giuseppe Bassi, Vincenzo Brizzi e Domenico Sapori, constatano che non si può più tenere un ginnasio e non si sa quando lo si potrà rimettere in funzione; che una soluzione sarebbe di aprire una scuola elementare; inoltre che si dovrà inviare P. Giovanni Battista Larese (che aveva un diploma superiore) e il chierico Carlo Simeoni (che aveva un diploma inferiore) e trasferire a Venezia i due padri Ghezzo e Marini; e che si assistessero i giovani che volevano studiare latino e intraprendere il cammino ecclesiastico a Lendinara in privato. Il consiglio dei definitori raccomanda a P. Brizzi, consigliere provinciale e anche rettore di Lendinara, di consultarsi e di farsi consigliare bene dall’Ispettore scolastico di Rovigo e dal suo superiore, l’Ispettore scolastico di Ferrara, prima di procedere.
Su questo periodo, relativo agli anni 70, bisogna aggiungere che i padri cominciarono il secondo anno delle elementari private con quattro classi il 3 novembre 1875 e 60 alunni. Con l’inizio dell’anno 1875-76, gli allievi sono «molto più numerosi». In realtà sono almeno 150; si ricava questo numero riguarda dall’informazione di quelli che erano provvisti di un cero nella processione per il funerale di P. Vincenzo Brizzi, il 15 gennaio 1876. Gli insegnanti erano P. Giovanni Battista Larese, P. Carlo Simeoni e don Licinio Valeriani.
Una lettera di quest’anno (del 4 dicembre 1875) di P. Casara a P. Brizzi, rettore, riconosce che la comunità di Lendinara fu sempre perseguitata: «Poi per ciò che concerne Lendinara, siete voi ad essere stati perseguitati, mentre voi non avete mai fatto niente che possa essere stato motivo di lamentela».
Qualche giorno dopo (il 21 dicembre 75), una lettera di Casara a Brizzi, parla del processo in corso per le scuole e incoraggia i confratelli in situazione di sofferenza; i nemici lottano contro “le vostre scuole lì, vediamo come il diavolo viene fieramente all’attacco. Ma non credete? Il diavolo e il mondo che vi fanno guerra sono già stati vinti da Gesù nel quale noi riponiamo tutta la nostra speranza”. Da una lettera burocratica dell’arciprete parroco della parrocchia di S. Biagio, nel territorio della quale abitavano i nostri, don Domenico Zatta, P. Brizzi risulta ancora essere il rettore della casa Cavanis. Muore tuttavia il 13 gennaio 1876, molto giovane, avendo appena 43 anni. Una bella lettera del 15 gennaio ci dice che era molto amato nell’ambiente della Congregazione e della chiesa e molto stimato e amato dal vescovo (d’Adria). “Consummatus in brevi, explevit tempora multa”: P. Da Col scrive così di lui a P. Larese il 31 (probabilmente gennaio) 1876.
Dopo la morte di P. Brizzi, la comunità elesse come rettore P. Giovanni Battista Larese. Nella comunità a fianco dei padri, c’è in questi anni il seminarista Carlo Simeoni.
Nell’anno successivo la lotta contro l’Istituto non finì. Lo testimonia una minuta di lettera di P. Casara contenente un ricorso al ministro della pubblica istruzione (con ricevuta di ritorno del 28 marzo 1877); nella lettera il preposito protesta contro la procedura informale e improvvisa decretante l’inabilitazione all’insegnamento nel corso dell’anno scolastico dei due maestri (religiosi, ma la lettera non lo menziona) Simeoni [Carlo; era seminarista all’inizio della nuova scuola elementare, 3 novembre 1875, ma già ordinato prete all’epoca dei fatti di cui si sta dicendo, NdA] e Valeriani [donLicinio, padre diocesano collaboratore dell’Istituto, ma non Cavanis¸NdA], senza ragioni legali; P. Casara chiede allora che siano sottoposti a regolare processo per ricevere una completa riabilitazione e fa sapere che li manteneva in servizio in attesa di riscontro.
Il 9 aprile 1877, ventinove genitori degli alunni firmano un ricorso in carta bollata al consiglio comunale di Lendinara contro la decisione dell’avvocato Antonio Bisaglia (nemico risaputo dell’Istituto), che aveva negato la possibilità d’insegnare a P. Carlo Simeoni e a don Licinio Valeriani, senza specificarne i motivi.
Il delegato scolastico del mandamento (ovvero del distretto) di Lendinara, Bisaglia, con lettera del 2 giugno 1877, citando la nota 29 maggio 1877 n° 272/239 del Prefetto della provincia di Rovigo, comunica che il consiglio scolastico non accetta «per ragioni di convenienza» un maestro laico (tale sig. Gasparini Francesco) per sostituire i due maestri di cui si parla; dichiara, rispondendo così anche al ricorso di cui sopra di P. Casara e dei genitori, che i due sono stati sospesi «per mancanza di titoli richiesti», forse un pretesto, e ordina di chiudere le prime due classi delle elementari.
La decisione del ministero, presa “in base alla proposta del consiglio scolastico” si trova nel comunicato del 12 marzo 1877 n°2652, che vietava l’insegnamento ai due maestri Valeriani e Simeoni; il prefetto della provincia aveva comunicato la decisione del ministero con la nota del 20 marzo 1877 n°128/26.
P. Casara, preposito, prepara un ricorso, che porterà personalmente a Roma P. Giovanni Battista Larese per consegnarlo e protocollarlo a mano. Noi abbiamo il testo originale della letterina di conferma della consegna, inviata da Larese al Casara da Roma, che è abbastanza divertente anche se in un momento tragico. P. Giovanni Battista scrive:
«Oggi ho anche presentato al Ministero della Distruzione (sic) Pubblica il vostro rispettabile ricorso che ha numero di protocollo generale 12 318».
P. Giovanni Battista si firma «Guido», evidentemente un nome in codice, ma la scrittura calligrafica è inconfondibile. È la prima volta che troviamo nella storia della Congregazione il gioco di parole «istruzione / distruzione », che si utilizzerà spesso in seguito, nei momenti difficili della lotta per una scuola libera che non sia monopolio dello stato.
Sempre di risposta, P. Larese con lettera del 10 giugno 1877 al prefetto della provincia di Rovigo, non accetta le accuse e le insinuazioni diffamanti verso gli insegnanti al fine di proteggere il proprio onore e quello dei confratelli; fa sapere che chiuderà le due classi o anche la scuola elementare intera solo di un intervento violento che gli si minaccia. Promette di rivolgersi al tribunale. In un documento scritto forse da P. Casara, si trovano delle informazioni complete sulla questione e sulle contraddizioni riscontrate.
Era chiaro che si voleva semplicemente chiudere la scuola cattolica dei Cavanis e che veniva utilizzato ogni mezzo, lecito o illecito, per farlo. Vi si dice che dall’apertura della scuola (qui abbiamo un data, settembre 1874), e in particolare il 17 dicembre 75, l’Ispettore scolastico di Ferrara, dal quale dipendevano anche le scuole della provincia di Rovigo, non accettava i padri Larese e Simeoni, e neanche il maestro Valeriani, perché non erano italiani; in realtà, anche se erano italiani di nazionalità, di lingua e cultura, erano del Sud Tirolo e quindi cittadini austro-ungarici. Oggi sarebbero stati della provincia di Trento, in Italia. P. Larese poi era veneziano “doc”.
Abbiamo già delineato un quadro d’insieme abbastanza chiaro della reale persecuzione alla quale dovette sottostare la comunità Cavanis della piccola cittadina del Polesine. Si potrebbe continuare citando tutto il periodo successivo sino alla fine dell’anno scolastico 1877-78, dozzine di documenti dove le calunnie dei nemici dell’Istituto sulla «malafede del Larese e dei trascorsi poco morali dell’Istituto Cavanis a Lendinara” s’alternano a domande di spiegazioni da parte di P. Larese sul senso giuridico della frase «per motivi di convenienza». P. Casara entrò spesso nel dibattito arrivando a scrivere ai livelli via via più alti, fino ad arrivare al re Vittorio Emanuele II l’8 settembre 1877.
L’accusa era gravissima e infamante: in pratica, probabilmente, senza dirlo si suggeriva la pedofilia. Si trattava senz’altro di calunnie e non di casi reali di immoralità nelle scuole Cavanis, perché sia P. Casara sia P. Larese sfidarono apertamente le autorità a rinviare a processo gli accusati, o allora a riabilitarli pubblicamente, senza tuttavia ottenere mai soddisfazione né in un senso né nell’altro. I padri infatti non avrebbero osato portare avanti ripetutamente la sfida se ci fossero stati realmente dei casi di immoralità in Istituto. Inoltre conoscendo la rettitudine di spirito di P. Casara, si può affermare con certezza che non avrebbe mai celato un abuso grave di carattere morale nelle scuole da parte degli insegnanti, religiosi o laici.
All’inizio dell’agosto 1878, come conseguenza del ricorso al re, P. Larese ricevette l’autorizzazione a riaprire la scuola primaria, che in verità non era mai stata chiusa. P. Casara esige e ottiene tuttavia piena giustizia per coloro che erano stati accusati. Lo stesso P. preposito aveva redatto il 22 luglio 78 su un foglio un riassunto della situazione della casa dove si dice: «quanta persecuzione accanita e palese, null’altro che atroce, venisse perpetrata alle scuole sino ad ottenere un’immediata e assoluta chiusura; era evidente dal foglio allegato al ricorso». Redasse anche un lungo memoriale dettagliato sulla storia di questa “guerra atroce”, che vale la pena di leggere.
È del 1° agosto 1878 il decreto del consiglio scolastico provinciale di Rovigo, che permette di riaprire la scuola di Carità di Lendinara, dopo il ricorso dell’Istituto Cavanis al re (che, morto a gennaio Vittorio Emanuele II, era ormai Umberto I) e la risposta della corte suprema, favorevole alla riapertura: è un decreto che non riconosce apertamente la sconfitta e che pare concedere benignamente il privilegio di riaprire la scuola. Contiene espressioni molto dure, che ci danno l’impressione netta dell’odio e della frustrazione, e che fanno ancora menzione dei motivi della precedente chiusura della scuola, come se questi non fossero stati negati dalla corte suprema: « Si considera che per la sua condotta il reclamante don Larese si sia meritata la pena che gli è stata inflitta. D’altro canto sembra che lo si possa giudicare abbastanza castigato per la sua omissione e insubordinazione dai danni che ha sofferto fin qui. [Il consiglio] ha deliberato che si può nuovamente riconoscere al sig. Larese la facoltà di riaprire la sua scuola, a condizione che lo stesso rispetti i regolamenti scolastici in vigore».
1879: Esiste per quest’anno una cartellina con carte relative alla casa e scuola di Lendinara. I numeri di protocollo delle carte ivi contenute corrispondono alla numerazione del DC, vol. V, 1879-1909. Sono particolarmente alcune lettere di P. Giovanni Battista Larese, allora rettore della casa. In varie accenna alla possibilità di riacquisto, tramite un intermediario non riconoscibile, del blocco degli edifici già di proprietà dei Cavanis: la casa donata dal benefattore (occulto) Francesco Marchiori, la chiesa di S. Giuseppe Calasanzio (che si cercava, da parte del comune e/o del provveditorato agli studi) di trasformare in palestra di ginnastica, l’edificio delle scuole e il terreno all’intorno. Vale la pena di riprodurla quasi integralmente.
“J.M.J. Lendinara, 31-7-79.
Padre mio
Questo Municipio sembra disposto a vendere Casa Chiesa, Scuole e terreno un dì [=in passato già] nostri per acquistare altri locali per la pubblica istruzione. Il signorino dello stradone della Madonna non vuole quei luoghi perché umidi ristretti e non buoni a’ suoi progetti, ha già stampato che si faranno locali nuovi con nuovi maestri, e ciò che ha detto sarà fatto.
Chi si opporrà alle sua pretensioni? So di certo che la Giunta Municipale ha cominciato ad occuparsi della cosa, e non mi faccio meraviglia che sia tra breve convocato il Consiglio [Municipale] per pronunciarsi in argomento. Posto dunque che il Signore volesse che andasse venduto il nostro in S. Francesco, non potremmo noi operando per [mezzo di] un incognito, acquistarlo di nuovo? Oh quanto ci tornerebbe caro ritornare dove fummo per tanti e tanti anni e dove tutto era disposto con ordine, con regolarità e dove di potrebbe ristabilire al culto la nostra vaga chiesetta?
Che sia un tratto di provvidenza per noi la facile vendita di quei luoghi? Padre, la maggiore delle mie consolazioni sarebbe di ritornare colà, e son sicuro che un grande ajuto avremmo da tante buone persone di qui, per fare un tale acquisto. E colla rendita di quanto presentemente abbiamo in fabbriche e in terreni non potremmo portarci assai avanti con la spesa? Mi lascia dunque agire prudentemente su questo affare? Terrò silenzio con tutti, e a lei solo dirò i miei passi. Che ne dice? – (omissis)
Ora guerra ai maestri communali dal solito padrone del paese. Essi pure sono tutti ignoranti, e lo sono già si sa, perché vanno alla Messa alla Festa, non sono ascritti alla Associaz.e Anticlericale ecc. ecc.
(omissis, saluti ecc.).
Altre lettere sullo stesso argomento, sempre di Larese a Casara, tra nostalgia e speranza, si trovano nella cartelletta del 1879: la lettera del 27 febbraio 1879, prot. 88 del 1879; 3 dicembre 1879, prot. 434 del 1879; 14 dicembre 1879, prot. 442 del 1879; 23 dicembre 1879, prot. 459 del 1879. Tuttavia a cosa non andò in porto.
Vale la pena di citare in buona parte anche la copia (di mano di P. Larese) di una lettera del vescovo Giuseppe Apollonio al P. Larese, del 6 luglio 1879, da Venezia, prot. 235 del 1879. Giuseppe Apollonio fu vescovo di Adria-Rovigo dal 12 maggio 1879 al 25 settembre 1882; alla data di questa lettera aveva appena rivevuto l’exequatur, ossia il permesso del governo per la presa di possesso ad Adria.
“M. R. P.e Giambattista
Io che sempre fin da giovanetto amai ed ammirai l’ottimo Istituto Cavanis, al quale anche presentemente sono legato coi ricordi di sincera amicizia; quando dovetti, contro mia voglia, sobbarcarmi al peso dell’Episcopato, provai molta allegrezza, pensando che la mia cara diocesi aveva la fortuna di possedere una Casa di cotesti veri Apostoli di carità evengelica. Pur troppo però questa allegrezza era amareggiata dalla ricordanza delle ardue lotte e delle insistenti persecuzioni, che in Lendinara (la quale pur lo ama tanto) dovette sostenere un sì benemerito Istituto in questi ultimi tempi. Quando poi ritornato da Roma intesi dall’ottimo P.e Casara, essere costì le cose ridotte ad un punto, che, forse forse i Padri saranno obbligati a levare, dopo tanto tempo da Lendinara le pacifiche tende, predominò in me talmente all’allegrezza il dolore che mi sentii gli occhi bagnati di pianto.
Ah no! Io spero che il Signore nella sua misericordia non permetterà che ciò si verifichi. Egli è in mezzo alle lotte e ai sacrifici che la virtù si rinvigorisce e che gli Istituti
Religiosi gettarono più profonde le radici!
Coraggio! Il Signore può tutto, ed io anzi lo prego perché non solo in Lendinara abbia a continuare a sussistere cotesto Istituto ma che anche in altre parti della Diocesi Adriese esso abbia ad aprire presto qualche altra Casa.
Sono gratissimo, R.o Padre, a lei ed ai suoi compagni delle affettuose, umili e sante espressioni direttemi nella loro lettera, e per l’impegno che mostrano nel voler occuparsi (cosa della più grande importanza) specialmente a vantaggio di quei giovanetti che mostrano inclinazione allo Stato Ecclesiastico.
Si compiaccia di farsi interprete di questi miei sensi di gratitudine verso tutti i suoi Confratelli e credano che io riguarderò sempre come un mio dovere il pregare ogni giorno pel bene del loro Santo Istituto.
Nel desiderio di poter presto trovarmi in mezzo a loro, do a tutti la benedizione dichiarandomi (ecc.)”
1881: Vi è qui una lunga lacuna nella documentazione. Essa riprende solo il 16 ottobre 1881 con un telegramma del Papa (che era a quell’epoca Leone XIII) “che invia la richiesta benedizione Apostolica». Segue un’altra lacuna.
1882: La comunità di Lendinara e la Congregazione ebbero (temporaneamente) la gioia di avere tra loro un aspirante ungherese, l’unico di questa nazione finora, un tale Paolo Bohung, cattolico ma di famiglia protestante, presentato dal rosminiano amico di P. Casara, don Giuseppe Ghisellini, ed entrato in comunità a Lendinara nei primi mesi del 1882. Se ne parla varie volte, e particolarmente il 9, 23 e 29 marzo di quest’anno.
In quest’ultima data scrive: “Il P. Gretter (…) mi ringrazia di averglielo là condotto, e scrive: ‘Quanto siamo contenti e beati del tesoro inestimabile che ci ha lasciato’.” Dava un’ottima impressione sotto tutti gli aspetti, e tra l’altro studiava il latino, per mettersi alla pari. In seguito tuttavia non si parla più del Bohung, che deve aver lasciato la Congregazione.
Del 1883 abbiamo però un testo importante da altra fonte, ben autorevole: durante il consiglio definitoriale (1° e 7 settembre 1883), successivo al Capitolo provinciale del 1883, P. Giuseppe Da Col, che era stato per tre anni membro della comunità di Lendinara e ne sarà in seguito il rettore, dando relazione al preposito e ai definitori su quella casa, “lodò le qualità personali del P. Larese, accennò alla stima generale, che gode in paese. A giudizio di molti – continuò il Da Col – le cose non sarebbero andate così a rovescio, se il rettore di quella famiglia avesse sempre cercato, come il Larese, di non urtare troppo vivamente i nostri avversari. Disse non essere state infruttuose le osservazioni del Preposito nell’ultima sua visita, tenersi ora più regolarmente le Scuole, avvenire assai di raro che il rettore se ne allontani in tempo di lezione, ed anche allora costrettovi dal suo dovere di Capo della famiglia”.
Questa lunga dichiarazione, che dovrebbe essere letta integralmente, da un lato, come si è visto, loda entusiasticamente l’operato di P. Larese nella sua abilità, dimostrata nella difficile situazione politica del tempo a Lendinara; ma fa anche capire che P. Larese dedicava troppo tempo alle confessioni e alla predicazione, assentandosi molte volte dalla casa e dalla scuola anche durante il tempo di lezioni. Implicitamente, poi, critica l’eccessiva durezza nel tratto con gli avversari dei Cavanis e della Chiesa da parte del rettore precedente, il defunto P. Vincenzo Brizzi, che per la verità non viene nominato nel documento.
Dallo stesso capitolo definitoriale, o meglio da un suo allegato, il verbale di un capitolo di famiglia di Lendinara del 4 settembre 1883 a mano di G. B. Lareseci si rende conto di una svolta in corso nella pratica elettorale della Congregazione. Il verbale dichiara:
“Compiuta dal Preposito insieme coi definitori la formazione della famiglia di Lendinara, i sottoscritti:
Visto il paragrafo 9 del Cap. I° delle Costituzioni approvate.
Visto quanto fecero i Capitolari di Venezia nella elezione del loro Discreto (delegato) al Capitolo Provinciale.
Si dichiarano contenti di rinunciare per questa volta al diritto che avrebbero di eleggersi il Rettore, e ne lasciano la nomina al Preposito e ai Definitori, come prescrive il Regolamento scritto.” Seguono date e firme dei tre padri di Lendinara, nell’ordine Da Col, Gretter, Larese.
È notabile che qui come altrove, il prescritto delle regole “approvate”, cioè approvate dalla S. Sede nel 1836, e stampate nel 1837, per quanto riguarda la struttura della Congregazione, era in corso di superamento nella pratica da parte del “Regolamento scritto”, cioè dal testo [mano]scritto da P. Casara, che stava preparando la seconda parte delle Costituzioni: il documento che noi abbiamo l’abitudine di chiamare MR5. In questo modo, di passaggio, si procedeva verso una maggiore centralizzazione della Congregazione, secondo il modello romano, e si tendeva ad abbandonare il modello ideale proposto dai Fondatori. L’anno successivo 1884-85, tuttavia, si ritornerà a seguire le regole “approvate” anziché le “scritte”.
In questi anni era a Lendinara in comunità don e poi padre Gottardo Bernardi, ordinato diacono l’8 aprile 1882 da Mons. Callegari, vescovo di Treviso, e sacerdote il 3 giugno 1882 a Venezia. Era stato inviato da P. Casara a Lendinara il 25 ottobre 1883. Il 2 agosto 1883 il diario riporta: “Scrivo al P. Gottardo sull’idea ritornatagli, fortemente in capo di passare a una religione di grande austerezza”. Analogamente il 9 e il 14 agosto. Sembra imminente la sua uscita dall’Istituto Cavanis, ma con alti e bassi nei giorni e mesi successivi. Uscirà di Congregazione in modo sgradevole, tuttavia di sua spontanea volontà e con il permesso del preposito e suo consiglio nel 1884 e passerà ai Trappisti presso Roma, probabilmente alle Frattocchie. L’uscita è avvenuta senza troppo dispiacere da parte del preposito e del suo consiglio definitoriale, dato il carattere instabile osservato nel Bernardi, e dato che aveva mantenuto di sua iniziativa e di nascosto rapporti epistolari con i PP. Trappisti senza parlarne o chiedere permesso ai superiori, manifestando così un’attitudine poco sincera. Si parla di lui a più riprese nei giorni seguenti nel diario di Congregazione. Parte da Lendinara per dirigersi alla trappa di Roma il 15 febbraio 1884. Il monaco trappista Gottardo Bernardi persevererà nella trappa e morirà poi piamente qualche giorno prima del 14 giugno 1902, come annota con simpatia P. Giovanni Chiereghin in questa data nel Diario di Congregazione.
1884: Il diario di Lendinara, si diceva, ha una interruzione di 9 anni. Finisce il testo con la bella calligrafia di P. Giovanni Battista Larese, il 9 novembre 1873, e riprende il 10 ottobre 1884, con la scrittura abbastanza bella, ma non sempre facilmente leggibile, di P. Giuseppe Da Col, futuro preposito; una scrittura leggermente tremolante, nella vecchiaia, e molto caratteristica, con dei tratti verticali delle lettere più spessi, data la diversa pressione del pennino metallico.
In questo periodo la casa di Lendinara è fortemente indebitata e P. Casara scrive a P. Giuseppe da Col una lettera dove manifesta preoccupazione anche per le sportule (offerte) di messe non celebrate. Lo invita quindi a riunire la nuova comunità costituita dal consiglio «provinciale» o definitorio, e composta quell’anno dai padri Giuseppe Da Col, Giuseppe Bassi, Narciso Gretter e dal giovane P. Antonio Dalla Venezia.
Si sa da altre fonti che c’erano a Lendinara un aspirante fratello laico, un certo Antonio Baron, ben presto scomparso dalla scena, e forse altri fratelli o seminaristi non citati. Il 18 ottobre si elegge rettore P. Da Col. Dal diario, si legge inoltre che a quel tempo (e fino all’applicazione dei cambiamenti, le Mutationes,apposti nel 1937 alle costituzioni del 1891), la procedura era la seguente: il consiglio definitoriale, presieduto dal preposito, formava (o confermava) le comunità locali, prima dell’inizio dell’anno scolastico, che a quel tempo era alla fine d’ottobre; formate le comunità, il preposito chiedeva all’ “anziano” della comunità di riunire il capitolo locale che eleggeva il proprio rettore.
Il verbale della riunione di cui si parla, del 21 ottobre 1884, è stato conservato con la firma di ratifica di P. Casara, preposito, che aveva visitato la comunità il 21 ottobre Oltre ai dati qui registrati, si sa che P. Da Col era stato eletto con tre voti su quattro: evidentemente, egli aveva votato per un altro membro della comunità. Si sa ed è chiaro che i fratelli laici non votavano e ciò durò fino al 1971. P. Bassi era il vicario della comunità. Durante la sua visita, P. Casara parla ancora, come farà spesso nelle lettere di questo periodo, di messe di cui la comunità aveva rivevuto le offerte, ma che bisognava ancora celebrare e della situazione economica di certo disastrosa in cui versava la casa.
Il 15 novembre 1884 si parla del possibile acquisto di una certa «Cantina Visentini». Il 29 dello stesso mese si parla con il preposito (a mezzo missiva) delle scuole che erano iniziate il 4 novembre. Non è sempre facile afferrare il discorso, ma vale la pena di leggerlo: “P. Gretter insegna le materie della 1ª primaria superiore a qualche ragazzo che non è obbligato ad andare nella scuola communale (sic). P. Dalla Venezia a una classe preparatoria al ginnasio per qualche alunno non istruito a sufficienza, soprattutto in Italiano. P. Da Col insegna in 1ª ginnasio. P. Bassi insegna a pochi [giovani] più adulti di grado differente per la 1ª. P. Dalla Venezia unisce i suoi studenti con quelli di P. Da Col per insegnare aritmetica e geografia. Si decise di seguire fedelmente nell’insegnamento i programmi del governo”.
Il 23 dicembre si comincia a ventilare la possibilità di vendere la fattoria o podere Fanton e il terreno Bisquola. Si parla anche delle suore dell’ospedale; il padri sono loro confessori, ma non celebrano per loro funzioni liturgiche o devozionali senza l’ordine dell’arciprete di S. Biagio.
1885: Il 16 gennaio il DL segnala che si è celebrata la messa nell’anniversario della morte del fondatore della casa, signor Francesco Marchiori, come si faceva di certo tutti gli anni. Il 25 gennaio si cede al seminario di Rovigo, su richiesta del suo vice-rettore, il modesto guardaroba per le rappresentazioni teatrali dell’Istituto Cavanis. Ciò vuol dire che si era soliti fare teatro, secondo l’antica tradizione dell’Istituto, risalente ai fondatori, ma che a quel tempo a Lendinara non lo si faceva più.
In una lettera strana del 30 gennaio tra P. Casara e P. Da Col, si parla del comportamento da tenere, se accettare o no l’invito, in merito alla partecipazione alla festa patronale nelle parrocchie di S. Biagio e di S. Sofia, e lo si confronta a ciò che faceva P. Larese 7-8 anni prima; la nostra comunità, data la difficile situazione propria e delle scuole che stava affrontando, avrebbe dovuto curare le relazioni pubbliche almeno in seno al clero locale. Si scrive in previsione del 3 febbraio (festa di S. Biagio): si tenta ancora di trovare un pretesto per non partecipare, ma poi alla fine si va. Si ha la sensazione che la comunità si fosse ripiegata su se stessa, e che la mancanza di diplomazia fosse diventata cronica.
Il 9 marzo 1885 comincia una breve serie di scambi epistolari tra P. Casara, P. Giovanni Chiereghin (che viveva a Venezia) e i padri di Lendinara dove si discute in maniera accesa (come sempre quando si discutono riforme delle costituzioni!) sull’impostazione a grandi linee delle nuove regole, che si dovevano inviare a Roma alla Santa Sede soprattutto al riguardo della loro seconda parte, sulla struttura e il governo dell’Istituto.
Il 12 marzo il capitolo della famiglia lendinarese decide di vendere il «fondo Bisquola», una fattoria, per pagare i due terzi di un debito cronico della comunità. P. Casara approva « con rammarico, ma persuaso che fosse necessario, data la condizione di forte nonché abituale indebitamento della comunità di Lendinara.» Seguono altri documenti riguardanti questa vendita con l’approvazione del preposito, del vescovo e della Santa Sede. La procedura era molto complicata e molto lunga. Si arriverà al contratto di vendita solo il 9 giugno 1885. Si discute e si tratta anche della vendita del campo Fanton.
Il 2 aprile 1885 si chiede al comune l’autorizzazione di demolire due casette (acquistate tempo prima da un certo Orlandi) a S. Biagio e di costruire un muro (di certo con i mattoni recuperati dalla demolizione) sulla strada (via Terraglio 9 e 10).
Allo stesso tempo (2 e 30 aprile), ci sono dei problemi con una donna senzatetto che dormiva in una di quelle casette, essendovi stata ospitata per carità durante l’inverno e che ora bisognava sfrattare per demolire, ma questa si opponeva, forse si parla della stessa questione nella lettera di P. Casara (30 gennaio), dove però si parla di una coppia che era ospitata.
Interessante l’annotazione del 4 aprile nel diario: « Il P. preposito [Casara] scrive che dalla seconda metà del mese avrebbe trascorso qualche giorno da noi in santa pace e in piena gioia di carità». Si capisce come invece la sua venuta era legata alla necessità di rivedere la sua posizione con la Chiesa e la Congregazione, in relazione alla questione rosminiana e alla sua posizione come preposito generale; per fare questo doveva uscire dalla comunità di Venezia; deciderà poi di dimettersi.
Si ha tuttavia l’impressione nel diario di Lendinara che la casa continuasse a condurre una vita normale e che in questo mese si trattassero le questioni legate alle vendite, al pagamento dei debiti e altre questioni amministrative. Leggendo queste pagine non si può fare a meno di ammirare la capacità del preposito P. Sebastiano Casara in questo campo: seguiva in dettaglio tutte le necessità e i problemi economici, amministrativi, giuridici e fiscali di Lendinara, con una straordinaria competenza benché avesse avuto anche lui tanti problemi.
Nel mese di giugno scoppia la crisi in Congregazione e il 25 e 27 giugno 1885 P. Da Col e P. Giuseppe Bassi (definitori, oggi consiglieri generali, residenti nella casa di Lendinara) accettano le dimissioni di P. Casara come preposito generale. È conservata un’altra lettera o dichiarazione analoga del 29 luglio1885, scritta da P. Da Col e firmata dai quattro definitori, due di Venezia (Rovigo e Giovanni Chiereghin) e due di Lendinara (Da Col e Bassi). In essa viene stabilito che si segua la prassi del 1863 (anno delle prime dimissioni di P. Casara) e non le regole «scritte»; dato che si trattava di eleggere chi fosse rettore di Venezia e anche preposito, doveva essere eletto dai membri della comunità di Venezia con l’aggiunta dei definitori delle altre case.
Il fatto che non ci fossero definitori di Possagno, dipende dal fatto che lì, dopo la soppressione del 1867 e la partenza dei religiosi il 10 ottobre 1869, la casa era ancora chiusa. La si riaprirà nel gennaio 1892.
In questo periodo sembra che le persecuzioni si fossero placate un po’, o almeno non se ne parla. Il 17 luglio 1885, tuttavia, il DL parla della visita privata di un ispettore scolastico che aveva avuto un buon rapporto con P. Da Col a Possagno e che gli garantì di aiutarlo.
Il 15-17 agosto, la comunità organizza, secondo quanto disposto dal preposito, un ritiro spirituale per l’Assunzione della Vergine in preparazione al capitolo e al cambiamento del preposito. Seguono la novena e la festa di S. Giuseppe Calasanzio il 27 agosto, in tono minore; P. Da Col nota nel DL che non si facevano i primi vespri la sera della vigilia, perché la comunità era troppo piccola e la gente non partecipava, così come non si celebrava solennemente qui la festa del santo patrono perché quello era un giorno lavorativo. La cosa è significativa: sono passati purtroppo i tempi in cui l’Istituto aveva anche a Lendinara la sua propria chiesa dedicata al suo santo patrono. Anche il vescovo d’Adria, mons. Antonio Polin, rifiutò (con dolcezza, si precisi) di celebrare la festa, nell’oratorio della comunità, nonostante si trovasse già per un altro motivo a Lendinara. Fece una visita privata e non liturgica alla comunità prima di ripartire. La festa in ogni caso fu celebrata con soddisfazione dalla nostra comunità. Ma i tempi erano di certo cambiati.
Il 31 agosto P. Da Col e P. Basso partono per Venezia per il capitolo provinciale straordinario; il giorno successivo 1° settembre questo viene celebrato ed è eletto P. Domenico Sapori. Durante il capitolo P. Sebastiano Casara sceglie, come ad aprile, di restare qualche giorno a Lendinara, in luogo di partecipare al capitolo, come era suo diritto, dal 31 agosto al 12 settembre, e poi ritornò a Venezia in compagnia di P. Dalla Venezia.
Una visita pastorale del vescovo mons. Polin si tenne nella città di Lendinara a partire del 24 ottobre. P. Da Col riuscì ad invitarlo in Istituto e a fargli celebrare l’eucaristia nell’oratorio della comunità e a restare a tavola con la comunità il 29 ottobre per la visita pastorale alla comunità e alla scuola. La visita fu molto semplice e cordiale.
Ricomincia l’anno scolastico il 1° novembre 1885, festa di tutti i santi, con un tempo da lupi. Quest’anno, in questa data, dice il DL, P. Gretter ha la 2ª elementare, P. Dalla Venezia la 1ª ginnasio, P. Da Col la 2ª [ginnasio] e P. Bassi la 3ª. Ci si immagina che altre classi e cattedre venissero affidate ad altri insegnanti esterni, non appartenenti ai Cavanis. La comunità ricevette la visita di P. Rovigo in questo periodo (ottobre-novembre); egli venne per curarsi in salute a Lendinara; rientrò a Venezia il 25 novembre.
1886: il 16.1, ancora una volta, si «cantò in primo semi-doppio» la messa da Requiem per l’anniversario della morte del fondatore della casa, signor Francesco Marchiori. La gratitudine dei religiosi non era morta, anche dopo tanti anni.
Nel mese di marzo, dedicato a S. Giuseppe, si prega spesso il santo per il nostro Istituto e nelle scuole. L’8 la comunità, i nostri padri e i fratelli laici (di certo un professo perpetuo di cui sfortunatamente non si fa menzione) firmarono la lettera d’accompagnamento delle nuove costituzioni alla sacra Congregazione dei vescovi e regolari a Roma. Esse saranno approvate nel 1891. Il 3.4 si invia al ministero a Roma la richiesta del certificato di abilitazione all’insegnamento nel ginnasio per i due padri Vincenzo Rossi (futuro preposito generale, che allora aveva 23 anni) e Dalla Venezia (anche lui futuro preposito generale e giovane, ma non abbiamo la sua data di nascita). Si ottengono a questo fine delle raccomandazioni necessarie ed efficaci da alcune persone influenti!
Nei mesi di maggio-luglio di quest’anno 1886 il DL parla soprattutto di affari economici: il P. rettore Da Col parla delle piccole e magre proprietà immobili della comunità, di affitti, di vendite, di prestiti e di debiti. Si parla anche delle morti avvicendatesi a Venezia a due giorni di distanza dei padri Fontana (22 maggio 1886) e Paoli (24 maggio 1886), compagni dei fondatori.
Le feste di S. Luigi Gonzaga (21 luglio), di S. Giuseppe Calasanzio «pro pueris» e della Vergine del Carmelo (16.7) furono celebrate in gran solennità per i bambini e sono descritte a lungo nel DL. Un’altra festa tradizionale di devozione soprattutto per i bambini delle nostre scuole fu celebrata e riportata nel DL il 25 Novembre: la festa (anch’essa pro pueris) dei santi Angeli custodi (normalmente il 2 ottobre).
Durante questo periodo si invocano i santi e in particolare la Vergine, sotto il titolo del Carmelo, per la buona riuscita in merito all’approvazione delle nuove costituzioni a Roma. A questo proposito, si domandò alla Congregazione dei Vescovi e Regolari di poter usufruire già informalmente delle nuove regole che riguardavano l’elezione del preposito, che era imminente, dato che il triennio di P. Sapori stava per terminare. In effetti, P. Casara essendosi dimesso in corso di mandato, P. Sapori restò alla direzione solo due anni, terminando il triennio in corso. La festa di S. Giuseppe Calasanzio fu molto solenne quest’anno data la presenza a Lendinara dal 25 al 27 agosto del vescovo diocesano d’Adria, mons. Antonio Polin. Lo si commenta ampiamente. Il 29 agosto si ricorda di passaggio che i padri Bassi e Da Col devono andare a Venezia per il capitolo dei definitori.
1887: P. Da Col conclude la sua attività di rettore e anche di compilatore del diario della casa di Lendinara, con due brevi descrizioni delle feste di S. Luigi Gonzaga (21.6) e di S. Giuseppe Calasanzio pro pueris (14 luglio). Commenta di passaggio che il numero dei nostri allievi è esiguo. P. Da Col, durante l’estate fu eletto preposito provinciale e quindi si trasferì a Venezia. La casa di Lendinara sarà trasformata in una comunità più modesta e realista. Il superiore locale si chiamerà d’ora in poi pro-rettore anziché rettore e sarà P. Domenico Sapori, che aveva ultimato il suo breve mandato, non facile, di preposito.
Il diario venne scritto d’ora in poi in modo laconico con la difficile scrittura di P. Sapori. Il 1° settembre il DL parla del capitolo provinciale e dell’elezione di P. Da Col, della nomina di P. Sapori a pro-rettore di Lendinara «dovuto al numero esiguo di membri»: una casa si considerava una vera comunità “formata”, e con il rettore come superiore, quella che era costituita da almeno quattro preti (e quindi vocali) professi.
La nuova comunità del 1887-88 comprendeva in effetti, oltre a P. Sapori, solo i padri Giuseppe Bassi e Narciso Gretter, un fratello laico e il seminarista Giovanni Spalmach.
Il 7 ottobre si scrive: «Il suddetto P. Domenico Sapori si recò da Venezia a Lendinara per gestire questa povera famiglia così piccola, ma generosa di spirito cristiano, di vocazione cattolica».
Si ottiene dal preposito di mantenere ancora un anno «il buon giovane», l’aspirante «Giovanni Spalmach studente di VII, che dimostra un vivido impegno nell’educazione dei giovani; aiuta molto nella dottrina cristiana e a scuola».
Il 3 novembre comincia la scuola, quest’anno con una classe preparatoria al ginnasio e solo quattro classi ginnasiali. Termina qui l’unica pagina del diario scritta da P. Sapori. Si ricomincia solo il 13 ottobre 1889, in fogli sciolti allegati al diario, con la scrittura del P. Narciso Gretter. Ha una bella calligrafia, ma scrive di rado e con una forma piuttosto malinconica. Il pro-rettore P. Sapori, anziano e malato, gliene aveva affidato l’incarico.
1889: Alla festa della Maternità di Maria, il 13 ottobre, ricevette l’abito religioso Giovanni Spalmach, da P. Sebastiano Casara.
1890: Il 7 agosto il pro-rettore P. Sapori, che era uscito per celebrare la messa, viene riaccompagnato a casa paralizzato, ciò a causa di un attacco apoplettico. L’8 settembre ci si convince che non guarirà più, ma resterà paralizzato e allettato. Il padre è coraggioso perché affronta la malattia e la accetta. Certamente non scrive più sul diario.
1891: Il 6 agosto si tiene a Venezia il capitolo generale. P. Da Col diventa preposito e P. Bassi è nominato pro-rettore di Lendinara. Il 13 Novembre il religioso Giovanni Spalmach emette la sua professione religiosa triennale nelle mani del preposito.
1892: Giovanni Spalmach fu ordinato suddiacono dal vescovo diocesano Polin a S. Apollinare, in occasione di una visita. Ricevete l’ordinazione diaconale il 2 aprile dallo stesso vescovo a Badia Polesine e l’ordinazione presbiterale l’ 11 giugno nella cattedrale d’Adria. A Lendinara naturalmente si celebrò solennemente il 12 giugno la prima messa di P. Giovanni Spalmach, che aveva compiuto i suoi studi proprio a Lendinara, durante almeno 6 anni. Grande gioia della comunità e commozione «dei buoni» della città.
1893: A gennaio si viene a sapere che «un certo partito» tenta in tutte le maniere di far chiudere le scuole elementari Cavanis, assieme a quelle della Carità. P. Bassi avverte il preposito che chiede l’intercessione del vescovo d’Adria, mons. Polin; il suo intervento dà frutto, e il maestro Gaetano Cappellini può inviare un biglietto da visita il 17 gennaio (biglietto che è stato incollato sulla pagina del diario) dove comunica che la scuola si è salvata.
1894: P. Domenico Sapori, dopo tre anni e mezzo di grave infermità, vissuti con ammirabile pazienza e cristiana rassegnazione, passa sei giorni in agonia e dopo un secondo attacco muore la sera del 6 febbraio 1894.
Il 31 maggio 1894, anche i membri della comunità di Lendinara che hanno compiuto più di tre anni di professione pronunciano i voti perpetui secondo le nuove costituzioni del 1891, alla cui redazione finale, correzione e presentazione alla S. Sede aveva contribuito molto anche P. Sapori. Si tratta dei due padri Bassi e Gretter; e probabilmente anche del fratello Clemente Dal Castagné, che non è espressamente nominato, ma che certamente aveva più di tre anni di professione religiosa. Si conclude qui il diario della casa di Lendinara, il 31 maggio 1894. È stato in seguito collocato nell’archivio storico della Congregazione (AICV) con gli altri documenti della casa di Lendinara ivi confluiti.
Durante l’anno scolastico 1894-95, nel Diario della Congregazione P. Giuseppe da Col, preposito, scrive solo delle buone cose in merito all’amministrazione ordinaria della casa di Lendinara. Tutto va bene, incluso il fatto che mons. Antonio Polin, vescovo diocesano, esprime tutta la sua stima nei confronti dell’Istituto e dei religiosi di Lendinara. Tuttavia c’era qualcosa di latente che covava.
1895 – È certo, anche se non esplicitato nel Diario della Congregazione, che nel consiglio definitoriale del 29 agosto 1895 si decise di chiudere la casa di Lendinara e tutta la presenza e le attività dei Cavanis nella città del Polesine, decisione che «al momento doveva restare segreta».
P. Bassi, membro della comunità di Lendinara per almeno dieci anni e pro-rettore della stessa per gli ultimi cinque, viene trasferito a Possagno dal capitolo dei definitori, il 29 agosto 1895. Parte per Possagno assieme al fratello Clemente Del Castagné il 24 settembre. Resta a Lendinara P. Narciso Gretter. Costui doveva restare solo durante l’anno scolastico in corso fino a chiudere la casa, ma dato che si ammalò, di una malattia sempre più grave, ricevette tante visite dai confratelli delle altre case per confortarlo prima di tutto e poi per assisterlo.
Il 24 settembre 1995 il preposito P. Da Col scrive al vescovo di Adria «la lettera che comunica la decisione presa per quella casa.». Senza dubbio la lettera che indicava di lasciare Lendinara. Il vescovo rispose in maniera molto affettuosa, e insisteva che i Cavanis restassero; tuttavia il 30 settembre P. Da Col rispose ringraziandolo, ma confermando la decisione.
Si capisce che P. Narciso Gretter era solo perché il 29 settembre chiede conferma al preposito se davvero dovesse consumare il pane eucaristico e lasciare vuoto il tabernacolo, come gli era stato ordinato. P. Da Col gli rispose il 30 confermandoglielo. Come gli aveva già precedentemente scritto, dato che la comunità non c’era più, non si aveva più il diritto di conservare la cappella o l’oratorio eucaristico e il santo sacramento. Si trattava della chiusura definitiva. P. Narciso soffre di solitudine e sente l’avvicinarsi della sua fine e della chiusura della casa dopo un lungo cammino percorso.
Dal 31 però ottobre cominciano ad arrivare da Lendinara a Venezia le notizie della malattia di P. Gretter. Si tratta di tubercolosi ma anche di piaghe alle gambe; era stato operato chirurgicamente giorni prima. In questa sede non se ne parlerà più sino alla morte dolorosa dato che le notizie presenti nel Diario della Congregazione sono oltremodo numerose.
Il preposito dà istruzioni a P. Gretter, affinché cominci a svuotare la casa e l’oratorio, regalando i banchi della chiesa e gli armadi ai cappuccini e che inviti le suore dell’ospedale, probabilmente suore della Nigrizia o comboniane, a occupare la casa dell’Istituto Cavanis il prima possibile; non chiede affitto per i primi mesi, finché fossero state impegnate a pagare anche l’affitto dell’altra dimora dove risiedevano; successivamente propone l’affitto di £ 400 per la casa più l’affitto del giardino e dell’orto. Non si sa di sicuro (con le ricerche sino ad oggi) a quale congregazione appartenessero; probabilmente erano le suore missionarie della « Nigrizia», che dal 1892 avevano fondato l’Istituto S. Caterina a S. Biagio, vicino alle nostre scuole, per le giovani, e che continuerà a esistere per un secolo, quindi quasi fino alla fine del XX secolo.
Dal Diario della Congregazione, che non dice il nome di questo Istituto femminile, si sa però che le stesse suore si occupavano dei malati all’ospedale e dell’insegnamento. Era allora possibile che fossero proprio loro ad aver affittato la casa dell’Istituto Cavanis, per abitarci (secondo quanto dice il diario della congregazione) e per trasferircisi (totalmente o parzialmente) con la loro scuola.
Da questa fase della casa di Lendinara, e poi dalla malattia di P. Gretter, si capisce quanto la situazione della Congregazione fosse critica, in fatto di personale, se si lasciava un solo religioso dopo la chiusura della casa, malato per giunta, e non trovava anche solo un fratello laico libero per assisterlo. Oltre agli impegni pastorali della scuola, P. Spalmach stava morendo a Venezia, e c’erano dei malati bisognosi d’assistenza anche a Possagno.
1896 – La malattia, o meglio le malattie di P. Gretter continuarono a peggiorare durante tutto l’anno. Gli fanno visita il preposito, il vicario P. Casara, il vescovo diocesano d’Adria, e, con molta difficoltà, gli si trova il fratello Clemente Del Castagné per assisterlo.
In aprile si vendono i mobili e gli altri oggetti della casa. P. Da Col scrive a P. Bolech, che si trovava lì per assistere e confortare il malato, ormai grave e non più autonomo (aveva richiesto lui stesso che si provvedesse a conservare in casa gli oli santi), di non farlo preoccupare parlandogli di cose materiali ed economiche e di non fargli capire che stavano svuotando la casa. Si parla anche della barca che avrebbe portato le ultime cose a Venezia (senz’altro la biblioteca e l’archivio, tra le altre cose). P. Gretter probabilmente non si poteva trasportare a Venezia anche se c’erano pareri diversi. Ecco perché la casa non venne chiusa prima.
Sempre nell’aprile 1896 si parla di un atto di vendita fatto da P. Narciso Gretter prima della sua malattia, ma non è chiaro di cosa si tratta esattamente. Il 3 maggio P. Larese, che si trovava a Lendinara per assistere spiritualmente P. Narciso, invia un telegramma al preposito di Venezia annunciando la santa morte del povero padre. I funerali si tennero due giorni dopo. Con la sua morte, non c’erano più ragioni di tenere ancora aperta la casa.
Nei primi 23 giorni di maggio, P. Larese restò a Lendinara per trattare e concludere diversi affari della comunità ed in particolare i contratti d’affitto della casa dell’Istituto alle suore dell’ospedale. La casa era sempre quella situata nel territorio della parrocchia di S. Biagio. Il 27 maggio si scrive nel diario della Congregazione che P. Larese ritorna a Venezia e poi va a Possagno; e della casa della nostra comunità si dice «… la casa che si lascia in affitto alle suore che si dedicano all’educazione».
Il diario non parla dei giorni di chiusura di questa casa storica per i Cavanis, la seconda casa della Congregazione, l’unica che fu fondata personalmente dai fondatori fuori Venezia; Possagno in realtà fu fondata su iniziativa di P. Casara, benché avesse ricevuto la benedizione di P. Antonio Cavanis. Non si parla neanche più della barca che doveva essere affittata per trasportare le cose rimaste della casa a Venezia. Bisogna considerare come data di chiusura il 27 maggio 1896, giorno della partenza di P. Larese.
Il 31 maggio 1896, durante una riunione del preposito e dei definitori, P. Larese «delineò un rapporto completo degli affari della casa di Lendinara realizzati da lui prima di partire e liberare la casa per le suore»
Si mantennero i contatti con le suore che abitavano nella nostra casa; il 25 luglio 1896 si viene a sapere che i padri, oltre alla proprietà della casa della comunità, continuavano ad avere la proprietà della casa e dell’orto di S. Giuseppe, dato in affitto anche quello. Dopodiché cala il sipario.
Ci sono state senza dubbio ancora visite dei padri dopo il 1896 per trattare degli affitti degli edifici che la Congregazione continuava a possedere in quella cittadina, ma non ne abbiamo per ora notizia.
Un ulteriore cenno anodino alla casa di Lendinara si fa nel diario di Congregazione il 4 ottobre 1902, con un cenno a un ex-allievo di quella casa, molto riconoscente per l’educazione ricevuta, ora canonico di Adria, che si proponeva di “lasciare un ricordo perpetuo al nostro Istituto, del quale ripetè la sua prima cristiana educazione. Gli rispose quattro giorni dopo il Preposito accettando in massima le condizioni proposte nella lettera. Quando verrà a Venezia, nel mese di novembre, si concreteranno di pieno accordo le cose. Il Signore conceda intanto il premio della buona intenzione al riconoscente discepolo”.
I padri, pochi giorni dopo, nel 1902, cercarono di esumare le ossa dei confratelli seppelliti a Lendinara, trovarono bensì le ossa dei padri Vincenzo Brizzi e Nicolò Morelli, ma non quelle di P. Spernich e di fra Pietro Rossi. Il testo del Diario della Congregazione dice esattamente così: “Domenica /19/ [1902] Scrive il P. Larese da Lendinara di aver avuto finalmente la consolazione di trovare le ossa dei confratelli P. Brizzi, e P. Morelli.
Certo più pieno sarebbe stato il nostro gaudio se avessero trovato anche le ossa del Padre Spernich e del laico Fr. Pietro Rossi, pietre fondamentali del nostro Istituto, ma dopo tanti anni e non avendo punto pensato a questo trasporto, si dovette abbandonare ogni speranza. Le ossa furono trasportate nel nuovo cimitero, e riposeranno nella Cappella fino a lunedì mattina in cui si farà l’esequie. Qui stasera reciteremo un notturno con le laudi dei defunti, domani la prima messa in chiesa sarà applicata per essi”.
Il Diario di Congregazione riporta il 21 settembre 1903, o qualche giorno dopo, la seguente frase: “Il S. Padre benignamente concede la facoltà di alienare in Lendinara la casa ultimamente acquistata, firma conditione pretium in tuto licito ac fructifero investimento caute collocandi favore Congregationis.
Inoltre, in modo piuttosto imprevisto e non del tutto comprensibile, nella seconda riunione del 6° capitolo generale, del 23-25 luglio 1907, si trova il seguente testo: “1. Proposta della vendita della nostra Casa a S. Sofia in Lendinara. Il Capitolo decide di non vendere detta Casa che a non meno di lire 5000 nette. Approvata con voti 7. sì su 7. votanti. 2. Decisione riguardo all’affitto della nostra Casa in S. Biagio a Lendinara. Fu deciso che o le R.R. Suore pigliano in affitto la Casa mediante un rappresentante legale, per almeno Lire 400 annue nette da spese di manutenzione ordinaria a norma di legge, o che resti chiusa la Casa. Approvata con voti 7. sì – votanti 7”.
Curioso il fatto che P. Vincenzo Rossi l’8 gennaio 1905 “si è recato a Lendinara a votare per le elezioni politiche – Ritornò il 9.” È evidente che aveva mantenuto la cittadinanza lendinarese, e non si era scosso la polvere dai calzari.
Alcune notizie sparse si trovano nel Diario di Congregazione fino almeno alla fine degli anni Venti del XX secolo, su ex-allievi di Lendinara che si fanno presenti con affetto all’Istituto; si veda per esempio il caso del P. (Domenico?) Fracassetti, dei Barnabiti di Bologna – ex-allievo di Lendinara appunto – , che aiutò validamente P. Tormene nella sistemazione a Bologna di religiosi Cavanis in pericolo durante la grande guerra; e, ancora a titolo di esempio, il caso dell’ex-allievo Emilio Lazzarini citato nel DC a p. 164 del vol. VIII, nell’ottobre 1928.
Ma si perse abbastanza presto memoria della gloriosa casa di Lendinara, a parte ciò che ne scrissero padre Francesco Saverio Zanon e P. Aldo Servini, solo sul periodo 1833-1852, riguardanti il tempo dei fondatori. Sul periodo 1852-1896, non c’è una cronistoria e pochi religiosi Cavanis avevano avuto accesso (o interesse ad accedervi) all’archivio di Lendinara e anche al Diario della Congregazione. Forse soltanto un religioso Cavanis, P. Leonardi, ritornò a Lendinara nel XX secolo e in questi inizi del XXI. Bisogna recuperare la memoria storica di una casa antica, gloriosa nella sua umiltà, spesso martire. Sarà necessario ritrovare delle foto e delle altre immagini della seconda fase della casa nella fototeca dell’AICV; lì allo stesso modo si potranno studiare in maniera più completa le quattro buste dell’archivio di Lendinara; nell’AICV si possono leggere i volumi del Diario della Congregazione dal 1852 al 1896; e ancora, nell’archivio corrente della curia generalizia a Roma e nell’AICV a Venezia, gli atti dei capitoli provinciali e generali e dei capitoli dei definitori dal 1852 ad almeno il 1896.