Appunti sulla chiesa di s. Agnese

Pp. 333-386, Libro Storia dell’Istituto Cavanis - Congregazione delle Scuole di Carità.

Titolo: Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020

Autore: Giuseppe Leonardi, CSCh

Numero di pagine: 3.793

Lingua: ITALIANO

Anno: 2022 (*Aggiornato 2023)

Parole Chiave:

Congregazione Cavanis, educazione cristiana, Marco Cavanis, Antonio Cavanis, Venezia, pedagogia, vocazione, spiritualità, formazione giovanile, missione educativa, carisma, scuola cattolica, storia ecclesiastica, apostolato, congregazione religiosa, povertà educativa, Chiesa cattolica, evangelizzazione, comunità religiosa, tradizione.

Riassunto:

Quest’opera offre un ampio e documentato percorso storico sulla nascita, lo sviluppo e la missione educativa della Congregazione dei Padri Cavanis, fondata dai fratelli Marco e Antonio Cavanis a Venezia nel XIX secolo. Attraverso un’accurata analisi delle fonti, Giuseppe Leonardi ripercorre i momenti chiave dell’espansione della Congregazione in Italia e nel mondo, mettendo in luce la vocazione alla formazione cristiana e civile dei giovani, in particolare dei più poveri. L’autore evidenzia inoltre la spiritualità cavanisiana, fortemente radicata nella pedagogia dell’amore, nell’apostolato educativo e nella fedeltà alla Chiesa. L’opera si conclude con una riflessione aggiornata sulle sfide e prospettive della Congregazione nel contesto contemporaneo

6.4 Il rifacimento della chiesa

Ma in quale stato si trovava la povera chiesa! Non era stato ancora condotto a termine il restauro generale del 1795, quando venne la sua chiusura; seguirono, dopo la chiusura della parrocchia, l’incameramento da parte del demanio e la vendita del glorioso e sacro edificio come magazzino di legname, trent’anni di abbandono, la distruzione quasi totale del pavimento, che doveva essere già in quadroni disposti a scacchi, di marmi della Formazione Rosso Ammonitico, del Giurassico medio, rispettivamente rosso e bianco, ambedue di Verona,e delle lapidi sepolcrali; distruzione che ne avevano fatto gli operai del magazzino, scaricando e spaccando la legna; gli altari quasi tutti distrutti o mancanti, il tetto rovinato in più luoghi, tutto ciò aveva portato nel luogo sacro la più squallida desolazione.

I Cavanis si accinsero subito all’opera. «Io stesso, scrive un amico dei Padri, ho veduto gli egregi novizii di quella Congregazione affaticarsi solleciti per ritrarre dalla polvere e dallo squallore ciò ché di quell’augusto tempio è rimasto. Quali con badili ne rimovevano le lordure, quali non sdegnavano caricarsene il dorso, quali con man diligente trattavano le antiche lapidi, ne accozzavano le infrante parti, per ricopiarne solleciti le inscrizioni. Ed oh qual gioia brillava in quei volti, allorché tra i capovolti massi e le ammonticchiate rovine ritrovavano alcuna cosa che ancora al decoro del tempio servir potesse!»

Si sperava che tra breve la cara chiesa sarebbe riaperta al culto divino, ed il Parroco stesso di S. M. del Rosario, Don Giuseppe Roverin, ne dava lietamente l’annunzio ai Parrocchiani al termine di quell’anno 1840. Ma dovevano passare ancora molti anni perché questo voto potesse venir soddisfatto.

Per prima cosa, i Padri domandarono al Patriarca la facoltà di ricorrere al civico Magistrato di Sanità per trasportare dalle tombe infrante e sconnesse gli scheletri dei defunti e dall’oratorio del SS. Crocifìsso le ossa dei bambini che negli antichi tempi vi si seppellivano, e che, stritolato il pavimento, ingombravano, ora, misti a macerie, il terreno. L’operazione venne eseguita col più religioso rispetto: un diligente fascicolo, di mano del P. Giuseppe Marchiori, che si conserva nell’Archivio di Congregazione dà notizia dello stato in cui furono trovate le antiche sepolture, quali si poterono lasciare intatte, quali furono ricolmate di materiali, e dove furono collocate le ossa di quelle che non avevano più alcuna indicazione.

Poi l’anima delicatissima dei Servi di Dio volle premunirsi di un’altra facoltà dal Sommo Pontefice. Sebbene più e più volte ne avessero avute le più ampie concessioni relativamente all’acquisto ed alla vendita di beni e di oggetti ecclesiastici a benefizio dei loro Istituti, pur non osando di valersene senza una espressa dichiarazione, chiesero e ottennero il permesso di usare nella nuova fabbrica il molto materiale di marmi, pietre, frantumi, ferramenta che ingombravano inutilmente il terreno della Chiesa, di vendere il rimanente a benefizio della medesima, e di bruciare il legname inservibile.

Al comando superiore della Marina chiesero, e li ottennero, due altari senza la mensa, che ancora rimanevano nella abbandonata chiesa di S. Giustina. E all’architetto Francesco Carlo Astori, loro amico, diedero incarico di preparare il preventivo dei lavori e delle spese necessarie per il restauro.

Alla fine di quest’anno 1840 la Provvidenza divina veniva in soccorso ai santi Sacerdoti che tanto si adoperavano per la gloria ed il culto di Dio. Moriva l’8 ottobre in Milano il distinto e pio cavaliere, Marchese Federico Fagnani, già altre volte loro generoso benefattore, e nominando esecutore testamentario l’amico suo, conte Giacomo Mellerio, pure generoso benefattore dei Cavanis, lasciava a questi un legato di mille lire milanesi all’anno per vent’anni; somma che essi ottennero fosse loro anticipata dal Mellerio tutta in una volta. Le 20.000 lire furono un ristoro per i loro debiti, e una buona scorta per i grandi lavori che avevano intrapresi.

Il Mellerio stesso alle preghiere che continuamente gli rivolgeva il P. Marco aveva risposto con la generosa limosina di mille lire milanesi nell’Agosto del 1839, per l’acquisto della Chiesa, e mandava poi offerta doppia nell’aprile del 1843, ed altre di diversa importanza in altre circostanze.

Molte pie persone si obbligarono a corrispondere a rate fisse qualche elemosina; si trovarono diversi artefici della città che offrirono gratuito il loro lavoro per fare, per esempio, chi l’una, chi l’altra delle inferriate delle finestre, od altri piccoli lavori. Ma, con tutto questo, il grosso delle spese era sempre un impegno che richiedeva da quel santo vecchio del P. Marco continue fatiche nel ricercare sussidi dai benefattori.

Il pavimento fu naturalmente lastricato nuovamente in marmo rosso e bianco di Verona, a quadroni, secondo il costume veneziano. Il livello di questo pavimento in tale occasione fu alzato di un piede, circa 30 cm, eppure il livello della chiesa rimase e rimane tuttora troppo basso rispetto a quello delle strade (e anche a quello dello zero idrografico), tanto che sono necessari tre gradini attorno alla bussola dell’entrata, per vincere il dislivello, di 66 cm; il che crea il problema della periodica inondazione della chiesa soprattutto ad ogni autunno, da parte delle acque salse di infiltrazione, che si vede risalire nei giorni di acqua alta, negli interstizi tra le pietre, principalmente in cinque punti. Il pavimento originario si trovava probabilmente a un livello ancora inferiore a quello del 1795 e poi del tempo dei fondatori, di circa 1,10 m, dato il fenomeno continuo della subsidenza del livello del suolo, in atto da millenni (almeno) a Venezia. Il pavimento originale probabilmente doveva essere coperto da mosaico di pietre di colori diversi.

I lavori procedevano, e continueranno per circa 14 anni (1839-1854) dall’acquisto del nudo edificio all’inaugurazione e nuova consacrazione della chiesa. Ma quale impresa per le povere finanze dell’Istituto! Dal preventivo dell’Astori ricaviamo, in riassunto, che si doveva rimaneggiare tutto il tetto, cambiando in molti luoghi le travature, specialmente delle navate laterali, restaurare le muraglie in molti luoghi, togliere il battistero e otturarne la nicchia, togliere gli avanzi degli antichi altari, anche quelli grandiosi dell’antico altare maggiore addossato al muro dell’abside, che ancora sussistevano, appianare i muri anche internamente, chiudere a muro la finestra circolare dell’abside, fare il soffitto al posto della finestra semicircolare (?) del Presbitero, e accompagnare l’ornamentazione dipinta a cassettoni nell’intonaco del catino absidale. Dare l’intonaco a tutti i muri della chiesa, perché nel rifacimento del 1795 solo il presbitero era stato compito, tutto il resto era ancora in grezzo e già scrostato nelle parti inferiori; compiere i capitelli dei pilastri della navata maggiore e intonacare la cornice principale della medesima, levare tutto il pavimento preesistente, riempire le tombe, elevare come si è visto il suolo di un piede, e lastricare a quadroni di marmo tutto il pavimento. Far nuovi i gradini del Presbitero e delle cappelle laterali, rifare di marmo la mensa dell’altare maggiore ed altri suoi accessori. Regolare la forma dell’atrio, rifarne il pavimento e abolire la scala della antica Canonica. Nella Sacrestia e nell’annesso piccolo locale superiore (che corrispondevano al pianterreno e al primo piano dell’antico campanile demolito prima dell’acquisto della chiesa da parte dei Cavanis) demolire e rifare il tetto, murare tre finestre, far nuovo il pavimento.

Nel locale all’atrio della chiesa, dice l’Astori occorreva «distruggere lo sfondato sulla calle ed otturare il foro a pieno muro, restaurare la muraglia che dà all’esterno, rifare il soffitto e il pavimento, regolare la porta sull’atrio e rifornire il tutto di vetrate, ferramenta e serramenti.»

Tutto ciò nel preventivo dell’Astori importava una spesa di 22.138 lire austriache. Si comprende che, se grande era il coraggio dei Padri per la 1oro fiducia nella Provvidenza del Signore, grande pure era la fatica, che si addossava il P. Marco per procurare i mezzi occorrenti all’impresa.

Dai numerosi documenti che ci rimangono, risulta ch’egli era efficacemente aiutato dal P. Alessandro Scarella, dal P. Marchiori e specialmente dal P. Casara, che già aveva appresa dal suo santo maestro quell’attività energica per cui sarà in avvenire quasi un terzo fondatore dell’Istituto.

Fu di grande utilità anche il fratello laico Bartolo Slavieri, scalpellino di professione, che fece i balaustri dell’altar maggiore e delle due cappelle laterali e i capitelli in legno dei grandi pilastri. Ma lo Slaviero non perseverò in Congregazione. Più utile fu il fratello laico Giovanni Cherubin, falegname, che diresse e lavorò nella costruzione del coro, degli armadi di sacrestia, dei banchi della Chiesa.

I lavori furono assunti e condotti dall’impresario Gaspare Biondetti Crovato, amicissimo dell’Istituto e pieno di venerazione per i nostri Fondatori.

Nel 1843 si attese a demolire la canonica parrocchiale che era stata costruita anticamente sulla fronte della Chiesa (ambiente situato sopra l’atrio e sopra la cappella del Crocifisso, che sarà poi ricostruita in buona parte e trasformata in biblioteca della comunità e della scuola), e aveva la scala nell’atrio stesso di essa. In quest’atrio in tempi ancora più antichi doveva esser il cimitero parrocchiale, come si riscontrò nel corso dei lavori, che fecero trovare molte vetuste sepolture. Con ciò rimaneva indebolito il muro della facciata anteriore, che si dovette (purtroppo) demolire e ricostruire. Si costituì la facciata esterna della Chiesa, il piccolo campanile alla romana o a vela che è ancora in funzione, e si fecero fondere le tre campane alla Ditta Colbacchini di Bassano (Vicenza)

Si continuò a lavorare per lungo tempo perché le necessità del vecchio e malandato edificio erano molte e i mezzi erano scarsi. Qualche volta anche si dovettero sospendere i lavori per alcuni mesi. Una lunga interruzione si dovette fare poi durante l’assedio del 1849; ma poi si riprese il lavoro, e nel 1850 l’Astori presentava il preventivo per ridurre ad uso di cappella l’antico sacello del SS.mo Crocifisso, sede della prima Congregazione mariana, senza dubbio per mancanza di mezzi: si continuò invece a lavorare intorno ad altri bisogni più urgenti. Il restauro di questa storica cappella si farà molto più tardi, nel 1902.

Un altro problema era l’assenza delle pale d’altare e di altre opere d’arte: quadri, statue, ornamenti e tutto il materiale liturgico, che in origine era ricchissimo. E qui entrarono anche parecchi amici e benefattori, che, se non potevano ricuperare le opere d’arte antiche, demaniate e conservate all’Accademia e in altri musei e pinacoteche oppure disperse, almeno potevano provvedere opere, ben più modeste, della stanca arte ottocentesca veneziana, e purtuttavia dignitose.

Il benemerito Mons. Andrea Salsi, già allievo carissimo dei Padri, fece dipingere nel 1842 a sue spese, per il primo altare della navata di sinistra, la pala dell’altare dell’Angelo Custode dall’egregio pittore Lattanzio Querena, definito in modo brillante “il pittore della restaurazione per eccellenza” dal Niero. Lo stesso Querena dipinse pure, a spese della Congregazione, la pala di S. Giuseppe Calasanzio, sistemata attualmente nel secondo altare della navata di sinistra. 

L’altare di S. Alfonso fu eretto a spese di alcuni sacerdoti veneziani; la pala d’altare è di qualità piuttosto scadente. Essa, dopo una risistemazione della localizzazione degli altari, fu ritirata dalla chiesa e appesa in un primo tempo, prima del 1925, nella biblioteca dell’Istituto, situata allora al primo piano dell’edificio dell’avancorpo della chiesa; in seguito (probabilmente dopo la grande riforma architettonica Forlati della chiesa del 1937-1940, nel corso della quale l’avancorpo fu quasi totalmente distrutto, risparmiando soltanto, e con difficoltà, la cappella del Crocifisso) essa fu trasferita nel corridoio del primo piano della residenza dei religiosi (l’edificio costruito da Casara dal 1876 al 1881); dopo la cessione da parte della comunità religiosa di questa residenza alla scuola nel 2004, la pala fu trasferita in modo provvisorio alla nuova, più modesta residenza della comunità, nell’edificio prospicente la Piscina Venier; infine verso il 2006 essa fu riportata nella chiesa di S. Agnese e appesa, fuori contesto e senza cornice, sulla parete sinistra (settentrionale) della cappella del Santissimo Sacramento. Una vera odissea del povero quadro!

La pala del primo altare della navata di destra, quella dei santi veneziani, fu dipinta (non troppo brillantemente in questo caso) dal pittore Sebastiano Santi (1786-1866), allievo di Teodoro Matteini (1754-1831), “colle elemosine di devoti Patrizi veneti”. Quest’ultima pala è sinceramente piuttosto brutta, anche se interessante da un punto di vista documentario e forse politico, e anche se si sa che Sebastiano Santi ha prodotto in altre sedi quadri e cicli di affreschi di buona o ottima fattura. Interessante l’osservazione che fa Antonio Niero, a proposito di questo tema di arte sacra, ossia i santi locali, parlando di dipinti eseguiti dallo stesso Sebastiano Santi per la chiesa di San Luca: “In qualsiasi caso, qui, come altrove (S. Agnese, S. Aponal), il ricupero iconografico dei santi indigeni acquistava il valore di testimonianza nazionalistica: in particolare per il doge Pietro Orseolo, che il Querena, poco prima delle vicende quarantottesche, dipingeva a S. Aponal”.

Questa pala illustra al centro S. Lorenzo Giustiniani, monaco e vescovo, primo patriarca di Venezia, portante la croce processionale da arcivescovo, con il senso di bastone o baculo pastorale. Alla sua destra, dall’alto in basso, il beato Giacomo Salomoni, religioso e prete, riconoscibile per l’abito da domenicano; il beato Giovanni Marinoni prete e canonico di S. Marco; S. Gerardo (Sagredo), vescovo e martire; alla sinistra del protopatriarca, S. Gerolamo Miani (impropriamente detto Emiliani), religioso e presbitero, fondatore dei Somaschi; Il Beato Pietro Acotanto, laico, riconoscibile, con qualche difficoltà, per la moneta che porta nella mano sinistra, per darla in elemosina, e la borsa di denaro che tiene nella destra per lo stesso scopo; e più in basso, S. Pietro Orseolo, doge e poi monaco, riconoscibile per la cappa di ermellino e per il corno dogale sistemato su un cuscino ai suoi piedi; e alla sua sinistra, S. Gregorio Bargarigo, veneziano, vescovo di Padova.

Sopra a questo gruppo di otto santi e beati veneziani, il pittore ha rappresentato sulla destra S. Giuseppe, con gusto tipicamente ottocentesco (e che non c’entra in alcun modo nel tema del quadro), e sulla destra S. Marco Evangelista patrono principale di Venezia, accompagnati da piccoli angioletti; al centro poi, più in alto, un brutto triangolo con l’occhio, rappresentante in qualche modo e secondo una pessima tradizione, la SS.ma Trinità. 

Mancano in questa pala d’altare alcuni altri santi venerati dai Veneziani ma non veneziani di nascita, che trovano posto, con messe proprie, nel libro delle messe proprie del Patriarcato di Venezia. Oltre ad alcune feste del Signore e della Madonna (Annunciazione del Signore e insieme festa della Madonna Nicopeia, il Redentore, Dedicazione della Cattedrale; la festa della Madonna della Salute); la festa di tutti i santi e sante, beati e beate venerati a Venezia; S. Eliodoro vescovo: S. Lorenzo da Brindisi; S. Gaetano Thiene; S. Pio X (che del resto aveva soltanto 4 anni al momento dell’acquisto della chiesa da parte dei Fondatori e doveva essere adolescente alla data della dipintura della pala d’altare); la beata Giuliana da Collalto; S. Magno, vescovo; S. Teodoro, martire, antico patrono di Venezia

La pala dell’altare di S. Agnese, il secondo della navata di destra, rappresenta una delle fasi del martirio della santa, quella del supplizio del rogo, da cui sarebbe stata risparmiata; ma con un cenno alla morte per decapitazione o sgozzamento, nel gladio tenuto in mano da un soldato. La pala, firmata F. Zennaro, fu dipinta nel 1857, come consta dal diario di Congregazione del 1857, a mano del P. Sebastiano Casara, che scrive in data 11 gennaio 1857: “È venuto pure a visitarmi il Sig.r Zennaro, pittore, che per commissione della Sig.ra Schiavoni dipinse la nuova pala di S.ta Agnese, posta già sull’altare Giovedì ultimo scorso, mentre io ero fuor di Venezia. Pel cattivo lume che ha sull’altare, il dipinto non ispira e non apparisce sì bello, come parea nello studio dell’artista; tuttavia piace generalmente.” D’altra parte, senza alcun dubbio, sulla pala d’altare risulta con tutta chiarezza la firma “F. Zennaro 1872”, dipinta in rosso vermiglione all’angolo sinistro in basso della pala, dal Zennaro (o da un aiuto). La signora Schiavoni era devota della santa. Si può fare l’ipotesi che lo Zennaro abbia ricevuto l’incarico di rivedere o restaurare il dipinto nel 1872 e che in quell’occasione abbia rinnovato la firma, con la nuovo data; ma non c’è di questo nessun appoggio di documenti. La necessità di restauro o semplice pulitura, seguita dalla nuova firma, e data, poteva provenire dalla situazione di totale incuria e di eventuali danni avvenuti durante il periodo di sei o sette anni (1866-1872) in cui, dopo l’evento del “geyser” provocato dalla birreria sita a S. Agnese, e dopo l’espropriazione della Chiesa, la pala era stata sottoposta a rischi e forse a malanni. Permane però questo piccolo mistero.

Questa pala d’altare è quella dipinta in onore della titolare della chiesa; per questo sembra opportuno valorizzarla, aggiungendo la descrizione che ne fa il prof. Alberto Peratoner in un articolo pubblicato sul settimanale del Patriarcato di Venezia, “Gente Veneta”, in occasione della memoria di S. Agnese nel 2022.

ARTE E FEDE A Venezia, nella chiesa dedicata alla santa, il dipinto realizzato da Francesco Zennaro

Una luce nuova irrompe dinanzi al martirio di Agnese

Compie 150 anni l’olio su tela che rappresenta Sant’Agnese. Fu dipinto per arricchire la chiesa che proprio nel 1872, retta dai fratelli Cavanis, riapriva al culto

La chiesa romanica di S. Agnese, a Venezia, risalente alla fine del X – inizio dell’XI, secolo, fu sconsacrata nel 1810 in seguito alle soppressioni napoleoniche e spogliata degli arredi e delle opere d’arte, in parte risalenti all’età gotica (alcune delle quali attualmente conservate alle Gallerie dell’Accademia), in parte cinque-seicentesche, che ne decoravano l’interno e che andarono disperse.

L’antico altar maggiore, dedicato a S. Agnese, venne rifatto tra il 1670 e il 1674 per iniziativa di Lodovico Bruzzoni, Guardian Grando della Scuola Grande della Misericordia, con una pala col Martirio di Sant’Agnese dipinto da Antonio Foller. A quanto sappiamo, la santa figurava inoltre, in gloria, sulle portelle dell’organo, opera di Maffeo Verona, dietro l’altar maggiore. Quando la chiesa, sconsacrata a seguito della chiusura al culto, dapprima adibita a deposito e poi acquistata nel 1839 all’asta dall’imprenditore francese François Charmet, fu da questi poco dopo, in quello stesso anno, rivenduta ai Padri Antonangelo e Marcantonio Cavanis – che da anni aspiravano di acquisirne la proprietà e annetterla all’adiacente Casa madre della Congregazione da loro fondata – fu realizzato un nuovo altar maggiore, e alla Santa titolare fu dedicato un altare laterale. Riaperta al culto dopo un ventennio di lavori di restauro e ristrutturazione, la chiesa fu riconsacrata nel 1854. Le nuove confische dei beni ecclesiastici decretate nel 1866 crearono una nuova interruzione nella vita cultuale dell’edificio, che, grazie all’intervento del Patriarca di Venezia, card. Giuseppe Luigi Trevisanato, fu ceduto dal Governo alla diocesi e da questa riconsegnato nel 1871 ai Padri Cavanis. Nella festa di S. Agnese del 1872, la chiesa fu così riaperta al culto, e domenica 18 agosto dello stesso anno nuovamente consacrata dallo stesso Patriarca. Fu in quell’anno che la Congregazione affidò al pittore

Francesco Zennaro, nativo di Chioggia e allievo di Natale Schiavoni all’Accademia di Venezia, già autore di alcuni apprezzati dipinti a soggetto sacro, tra cui riproduzioni di alcuni capolavori della pittura veneziana, la pala dell’altare di S. Agnese che tuttora si conserva nell’omonima chiesa, sulla parete della navata destra. La pala, offerta dalla signora Schiavoni, devota della santa e in rapporti di familiarità con la Congregazione, è firmata e datata, in basso a sinistra, F. Zennaro / 1872. A causa dell’iniziale puntata del nome, l’autore fu a volte confuso con il pittore Felice Zennaro, detto Leppa, artista più noto di Francesco, ma prevalentemente attivo nell’area lombarda, del tutto estraneo alla committenza dell’ambiente ecclesiastico e del quale non risulta alcuna opera a soggetto sacro, e comunque dal carattere stilistico marcatamente difforme da quello candidamente classicheggiante che caratterizza la pala col Martirio di Sant’Agnese in oggetto. 

Il dipinto raffigura la Santa – le fonti lasciano ampi margini d’incertezza sugli anni in cui visse e fu martirizzata, con una maggiore probabilità intorno alla metà del III secolo – inginocchiata frontalmente, davanti all’osservatore, sulla pira sopra la quale avrebbe dovuto subire il supplizio del rogo. Secondo la tradizione agiografica, fallito questo tentativo, si procedette all’esecuzione della vergine per decapitazione, probabilmente integrando le diverse fonti che tramandano il martirio per fuoco (Damaso) o per decollazione (Ambrogio e Prudenzio). Il dipinto dello Zennaro di fatto fonde nella rappresentazione le due modalità, giacché mentre Agnese è inginocchiata sopra le fiamme, alimentate da uno sgherro che si prodiga sulla destra della scena, a sinistra un soldato estrae la spada, accingendosi così all’esecuzione. Le pose delle figure dei carnefici, rudi, oscure e impacciate (e pure, va pur detto, un po’ goffe nella resa figurativa), contrastano con la celestiale compostezza della Santa, avvolta in una candida veste dal morbido panneggio e in un manto rosso simboleggiante il martirio che va a compiersi, ormai rapita nella contemplazione del Cielo, dal quale scende, in uno squarcio di luce che la investe e le si trasmette, dipingendole un nimbo luminoso intorno al capo, un angioletto a recarle la corona e la palma del martirio. Sullo sfondo oscuro, un colonnato dall’andamento leggermente curvilineo che sembra cingere d’intorno la scena, offre il contesto dell’evento e accenna a un mondo ormai in dissolvimento, vinto dall’irrompere della luce di una nuova comprensione della realtà. 

Alberto Peratoner


Nella stessa pagina, si trova anche questo breve testo aggiuntivo:

L’agnello che stavolta non c’è. In genere è associato alla santa

L’iconografia di S. Agnese è tradizionalmente accompagnata da un agnello, che la santa ha accanto a sé o, più frequentemente, tiene in braccio.

L’assonanza Agnes – Agnus, il significato cristologico dell’agnello e l’essere questo simbolo di candore e purezza, lo hanno associato alla martire romana del III secolo. Nella pala ottocentesca dello Zennaro questo simbolo, però, non compare, essendo il dipinto interamente speso su un piano agiografico storico-narrativo, mentre l’agnello è regolarmente riscontrabile nelle figurazioni della Santa singolarmente ritratta, quale suo preciso elemento identificativo.

Alberto Peratoner

L’altare della Madonna, in fondo alla navata di destra, era stata provvista di un’antica icone della Madonna col bambino, di fattura bizantina, anche qui, in forma di dono da parte di un amico dell’Istituto. Ne parla P. Casara nel diario di congregazione, trattando della riapertura al culto della chiesa di S. Agnese e della sua ri-consacrazione, dopo 40 anni di degradazione allo stato di magazzino, nel 1854: “Era una soavissima consolazione il veder tanta gente, e l’intendere come tutti restavano soddisfattissimi ed ammirati della bella semplicità della Chiesa, e della proprietà e del decoro degli ornamenti, nobili, eleganti ed uniformi. La compiacenza poi principale la provavano della Cappella della Madonna, che ispirava singolare e santa allegrezza, e la cui imagine destava gran divozione”. 

Questa immagine era ed è – ancora al centro della parete di fondo di quella cappella – un’icona orientale del principio del secolo XVI, dipinta su tavola, sotto il titolo di Madonna del Soccorso. “L’immagine apparteneva alla nobile famiglia Foscolo, forse era conservata nella cappella privata. È probabile che il professor Conte Giorgio Foscolo l’abbia donata nel 1854 al P. Sebastiano Casara, discepolo e successore dei Fondatori nella dirazione dell’Istituto. Infatti il suddetto conte era amicissimo dei Servi di Dio e loro ammiratore. (…) “Sarebbe interessante poter rintracciare le strade attraverso le quali il devoto dipinto giunse in possesso della nobíle famiglia veneziana: forse per mezzo di qualche governatore dei possedimenti veneziani nel Medio Oriente? Forse per mezzo di qualche commerciante o di qualche amatore di cose orientali? Due cose sono sicure: la provenienza dal vicino oriente e un rifacimento subito nel ‘700. L’icona è una tavola rettangolare dello spessore di 2 cm e di 35 x 45 cm di lato. È in due pezzi uniti verticalmente e cioè nel senso della lunghezza, e saldamente congiunti con due assicelle trasversali di epoca posteriore, forse del ‘700. Nella stessa epoca tutto il dipinto originale subì un rimaneggiamento e fu poi coperto, ad eccezione dei volti e delle mani della Madonna, del Bambino Gesù e dei due Angeli, con una lamina d’argento sbalzato. II lavoro tradisce il gusto dell’epoca e fu compiuto nella bottega di un artista veneziano, non troppo abile per la verità.

In questa forma il piccolo quadro, rinchiuso in una edicoletta a vetro, copribile con una tendina avvolgibile su cilindro orizzontale, rimase sull’altare nella cappella a destra di chi guarda l’altare maggiore, dal 1854 (quando, presente ancora il più anziano dei due santi fratelli fu riaperta al culto la Chiesa di S. Agnese) fino ai nostri giorni, oggetto di venerazione da parte dei fedeli.

Dobbiamo al confratello P. Vincenzo Saveri e al padre redentorista Mario Cattapan I’idea di ispezionare il dipinto sotto la lamina argentea, per studiarne la provenienza e il valore. Tolta dunque con facilità la lamina o “camicia”, si trovò che sul mezzo, in corrispondenza con la giuntura delle due tavolette lignee, il dipinto presentava qualche guasto di non grande entità. Fu allora che si pensò di mettere il dipinto in mano al professor Antonio Lazzarin, che aveva compiuto lavori di restauro ben piü difficili e impegnativi, come quello della famosissima immagine trecentesca dell’altar maggiore nella Basilica della Salute.

II carissimo amico dell’Istituto si assunse con generosa passione e rara competenza il delicato lavoro. Studiò il tipo di legno e il lavoro: e tosto si accorse, cominciando la ripulitura, che l’immagine originale stava sotto a una ridipintura fatta a tempera grassa, opera di bottega, come si è accennato, di un qualche artista veneziano del secolo XVIII.

Ne era risultato un volto settecentesco, e un manto di stile bizantino. Tolta completamente la tempera, emerse in ottimo stato di conservazione il dipinto originale. Trattasi di opera che si deve ascrivere, per numerosi sicuri indizi, alla prima metà del 1500. Infatti il legno usato, il materiale tipico, i colori, Ia impostazione, fanno riferire l’opera certamente a un artista orientale di questo periodo. A Venezia esistono altri esemplari della stessa epoca. Lo sfondo in origine era in foglia d’oro, applicata col solito sistema. Purtroppo nel rifacimento sopraddetto, lo sfondo scomparve e sono rimaste solo le aureole della Vergine e del Bambino che presentano una bulinatura decorativa. Da notare ancora che il disegno è inciso sulla tavola di legno. Lo strato di pittura, salvo poche integrazioni, è di una consistenza singolare, quasi vitrea, cosi da sembrare addirittura una lacca o uno smalto. Anche il legno che non è di quello usato da noi in occidente, è ottimamente conservato, nonostante vari leggeri segni di logorio dai tarli. L’osservazione microscopica che stiamo preparando ci potrà dire se si tratta di cedro del Libano o di altro legno.

II Prof. Lazzarin, col quale abbiamo potuto parlare, ci ha ripetuto che valeva la pena di riportare il lavoro all’originale. Ora con la prima domenica di Novembre, festa annuale della B. Vergine del Soccorso, la bella immagine è tornata sull’altare in veste nuova, cioè, meglio, nella sua veste antica orientale, piena di soave dolcezza e di mistero nei volti bruni e nei vividi colori delle vesti, a suscitare nelle anime devote della Madre di Dio sentimenti di umile devozione e di confidente pietà cristiana.”

Da notare che alcune pale d’altare vennero mutate di posizione nel corso del tempo, approfittando anche del fatto che gli altari laterali e i loro annessi sono tutti uguali e con le stesse dimensioni dopo il restauro radicale del tempo dei Fondatori, essendo stati tutti distrutti nella fase “napoleonica” gli altari originali, diversi tra loro per dimensione e per ornato. Con la riforma liturgica post-conciliare, l’altare maggiore, su cui si trovava anche un grande tabernacolo, e dove era conservato il SS.mo sacramento, fu totalmente trasformato (1967), e il tabernacolo fu trasferito nella cappella absidale di sinistra (verso il cortile); sicché la pala di San Giuseppe Calasanzio, che si trovava in questa cappella, fu trasferita al secondo altare della navata di sinistra; e quella di S. Alfonso de’ Liguori come conseguenza fu ribassata a quadro senza cornice, e girovago, come si è detto. Sembra che anche la pala dell’Angelo custode abbia mutata la sua posizione dal posto di quella di Sant’Alfonso de’ Liguori, se si segue la tesi di Elisa Gavagnin.

Ritornando ora alla grande riforma della chiesa da parte dei fondatori: si continuò a lavorare per molto tempo, procedendo a seconda dei mezzi che la provvidenza forniva. Talora anche si dovette sospendere il lavoro, come si diceva, per esempio durante la rivolta anti-austriaca e l’assedio del 1848-1849; poi si riprendeva. Il 22 giugno 1850 fu collocata in posto l’ultima pietra viva del frontone della facciata esterna, completamente rifatta; infine, ultimate alcune altre opere, il 15 agosto 1854 la Chiesa fu aperta al culto con rito solenne di dedicazione, essendo vescovo presidente della dedicazione il patriarca Giovanni-Pietro-Aurelio Mutti

Grande fu la consolazione dell’Istituto, che vi depose successivamente anche in apposita tomba dietro l’altar maggiore le salme dei Fondatori: quella del P. Marcantonio nel settembre dello stesso anno 1854, un anno dopo la sua morte, trasportandola trionfalmente dal cimitero cittadino, quella del P. Anton’Angelo alla sua morte, avvenuta il 12 marzo 1858.

P. Marco, che tanto aveva lavorato, faticato e sofferto per la ricostruzione e restauro della bella chiesa – la Chiesa-madre dell’Istituto Cavanis, se così si può dire – era purtroppo già morto da un anno al momento dell’inaugurazione e nuova dedicazione.

Ma le vicende della Chiesa non erano terminate, tutt’altro. Nel 1866 per un’eruzione improvvisa di gas avvenuta in un orto vicino, dove si stava perforando un pozzo artesiano, si ebbe un abbassamento del terreno circostante, sicché le case attorno al campo di S. Agnese minacciavano rovina e nella Chiesa si apersero enormi squarci. Per paura di un crollo si dovette chiudere nuovamente al culto. Intanto avvenimenti pubblici di grande importanza si compivano. Con la pace di Verona del 3 ottobre 1866, a conclusione delle III guerra di indipendenza italiana, erano annesse al regno d’Italia le provincie venete, alle quali furono subito estese le leggi di confisca dei beni ecclesiastici approvate poco prima dal Parlamento a Firenze. Anche la pericolante Chiesa di S. Agnese fu incamerata e si pensò di farne una palestra ginnastica. In quegli anni di anticlericalismo piuttosto fanatico tutto era possibile.

I nostri padri erano costernati, gli amici dell’Istituto scattarono. Il giornale «Il Veneto Cattolico» scrisse parole ardenti, amici, ex-allievi e buone persone si riunirono e presentarono al P. Casara, Preposito dell’Istituto, l’indirizzo che riportiamo:

 M. R.do P. Sebastiano Casara.

La notizia ormai diffusa in città, che da taluno si mediti e si procuri di convertire ad uso profano, e propriamente a scuola di ginnastica, la chiesa di S. Agnese, ove riposano le venerate salme dei nostri due grandi e santi concittadini, i Nob.li Fratelli Sacerdoti Anton’Angelo e Marcantonio Conti dei Cavanis, come fu detto ne «Il Veneto Cattolico» (Numero 185, martedì 18 Agosto), fece fremere di vivo orrore ed alto sdegno il nostro buon popolo e generale è la riprovazione dell’opera meditata.

Non si sarebbe creduto mai che si potesse sì presto dimenticare, nonché la santità specchiatissima di quelle due Anime grandi, ma i loro meriti inestimabili e tanti nella cristiana e civile educazione dei figli e delle figlie del popolo principalmente, e si osasse di insultare così freddamente ed alla soave memoria, e al sentimento universale dei cittadini, che nei Fratelli Cavanis ricordano con religiosa venerazione due Santi e due insigni Benefattori della Città, e li considerano come una delle più vere e grandi glorie sue, come una gloria tanto più cara e preziosa, perchè del secolo nostro, e perchè splende tuttavia di vividi raggi nei due Istituti fondati dalla cristiana e civile lor carità. Un freddo orrore ci sentiamo ricercare tutte le ossa, pensando all’atto enorme d’ingratitudine che si compirebbe, e al disonore eterno, all’infamia, di che ne saremo tutti coperti! E quale poi non sarebbe il dolore di voi, R.do Padre, e dei Confratelli vostri, che in quella Tomba considerate meritamente racchiuso il vostro tesoro, e anelavate al momento di riaprire la Chiesa, per veder onorati dalla riconoscenza e dall’amore dei Veneziani, i due vostri amatissimi Padri!

Ma voi non ne avete ancor perduta la speranza, e siatene benedetto! Voi siete disposto di assumere a tutto vostro pensiero l’impegno di ristorare la Chiesa scrollata e fessa in più parti, purché vi sia conceduta, e provvedere poi alla manutenzione futura ed alle spese di culto quando l’aveste riaperta. Un desiderio sì pio, sì giusto, sì generoso, un voto così conforme a quello della universalità dei cittadini non rimarrà certamente deluso. Domandate voi, anche a nome di questi, la Chiesa dovuta chiudersi unicamente per il disastro sovraccennato, nè troverete difficoltà ad ottenerla.

E poiché le Regie Potestà che ve la debbon concedere da un qualche saggio argomentino il comun desiderio, tutto contrario ai divisamenti di alcuni, che pretendeano di rappresentar essi soli, e valere l’intiera città, aggradite la presente, a cui numerosi e spontanei e ardenti sottoscriviamo, ed usatene allo scopo da Voi, dai Confratelli vostri ed da tutti gli onestj desiderato.

Venezia, li 25 Agosto 1868.”

Alla lettera erano uniti dodici libretti di firme.

Difficoltà che ben si possono comprendere impedirono al P. Casara di seguire l’iniziativa di questi benevoli. Soltanto nel dicembre 1870 gli fu suggerito da un buon impiegato all’Intendenza di Finanza di far domandare dal Patriarca al Governo la chiesa di S. Agnese per riaprirla al culto. E così fece il Card. Trevisanato.

Lo stato rovinoso dell’edificio, da cui il Governo poco o nulla poteva ricavare, il dispetto che avrebbe provato la popolazione se fosse stato venduto all’asta o adoperato ad altri usi profani; ma sopratutto l’essere la chiesa di S. Agnese un monumento di carità di due Grandi Cittadini, che in essa erano sepolti, furono gli argomenti coi quali il Regio Prefetto Senatore Torelli appoggiò presso il Governo la domanda del Patriarca. E piacque a Dio che la risposta fosse favorevole. La vigilia dell’Assunta del 1871 (14 agosto 1871) veniva da Firenze il Decreto che cedeva al Patriarca la chiesa, la quale fu subito riconsegnata, contestualmente, ai Padri Cavanis.

Fatti con offerte della pietà cittadina i necessari restauri, nella festa di Santa Agnese del 1872 la Chiesa era definitivamente riaperta al culto e la domenica 18 agosto dello stesso anno il Card. Trevisanato con grande solennità ne faceva la consacrazione. In memoria di questi fatti il citato giornale « Il Veneto Cattolico » proponeva che si erigesse in S. Agnese una lapide « che ricordasse ai posteri i meriti e le virtù dei Padri Cavanis, veri amici del popolo perchè il loro amore pel popolo attinsero alla verace virtù di Gesù Cristo ». Il voto fu accolto, e il 22 aprile 1875, cantata Messa solenne di Requiem dall’Arcidiacono di S. Marco Mons. Ghega, dopo affettuoso discorso, pieno di riverenza per i nostri venerati Fondatori alla tomba dei quali l’Em.mo Patriarca diede solennemente l’assoluzione, furono scoperte due lapidi, una in onore dei Servi di Dio, l’altra in memoria delle più salienti vicende della nostra chiesa.

Da quel tempo tutto procedette con ritmo regolare, e tra le antiche pareti si avvicendarono innumeri generazioni di giovani a educarsi nello spirito di fede e di pietà. Non vi è forse alcuno degli attuali ex-allievi che non conservi tra le visioni più serene della sua età giovanile il ricordo dei momenti di preghiera liturgica o devozionale celebrati nella Chiesa di S. Agnese in una cornice di decoro e di devozione.

6.5 Si pensa al ripristino

Negli anni Trenta del XX secolo però si facevano sempre più visibili i segni della vecchiaia e le ingiurie del tempo nel sacro edificio, tanto che diveniva sempre più palese la necessità di restauri radicali. Ma piuttosto che a un restauro, perché non si sarebbe intrapreso addirittura un ripristino, che rimettesse in luce le belle linee originarie della costruzione romanica? Si sapeva, dalle ricerche fatte nel 1921 dal defunto P. Arturo Zanon e più tardi dall’ex-allievo Prof. Arch. Angelo (Lino) Scattolin, che sopra la bassa volta a botte della Chiesa esistevano ancora in ottimo stato l’antica travatura e le antiche decorazioni di fasce lignee ed in affresco. Anzi il Prof. Scattolin ne aveva ricavato dei disegni rivelatori e si era dato poi con viva passione allo studio del’antico edificio tracciando anche qualche soluzione per il suo ritorno alla forma primiera.

Intanto il P. Preposito dell’Istituto nel 1933 aveva richiamata l’attenzione della locale Soprintendenza ai monumenti sullo stato della Chiesa e sull’opportunità di procedere ad un restauro: ne ebbe delle promesse che rimasero però senza efficacia. Ma si avvicinava per l’Istituto una data fausa: il 1° centenario della sua erezione canonica, che si doveva celebrare entro l’anno scolastico 1938-39.

Parve questa una circostanza favorevole per fare un altro tentativo presso la Regia Soprintendenza, dove intanto si erano avvicendati uomini nuovi. Fu quindi inviata la seguente lettera.

Venezia, li 29 Ottobre 1936 XV

Ill.mo Ing. Comm. Forlati, R. Soprintendente all’Arte Medioevale e Moderna,

Venezia

Questo Comitato si permette di richiamare l’attenzione della S. V. Ill.ma sopra la Chiesa di S. Agnese della nostra città. Di origine antica essa mostra all’esterno ben chiari i segni dello stile originario romanicobizantino, mentre nell’interno una volta a botte, dovuta ad un restauro verso la fine del 700 o gli inìzi dell’800, nasconde l’antica copertura a capriate scoperte ancora conservata.

La Chiesa è officiata dai PP. Cavanis che l’adoperano anche per gli alunni delle loro Scuole gratuite. I detti PP. celebreranno nel 1938 il primo centenario dell’istituzione canonica detta loro Congregazione religiosa, che ha avuto le umili origini proprio nella Chiesa in parola, nella quale pertanto in tale fausta ricorrenza dovranno aver luogo solenni funzioni commemorative.

Sembrerebbe quindi molto opportuno che per il 1938 la Chiesa di S. Agnese si presentasse in un aspetto più decoroso e meno contrastante con l’antico originario.

Questo Comitato crede d’interpretare e il sentimento di gran parte della cittadinanza veneziana così devota verso l’opera benefica dei PP. Cavanis segnalando questa proposta alla S. V. Ill.ma, che con tanto amore cura le sorti dei nostri gloriosi monumenti.

Nella fiducia d’incontrare la benevola considerazione della S. V. ci permettiamo di presentarvi in rispettoso omaggio la « Storia documentata dei Fratelli Cavanis » in due volumi, nel secondo dei quali si discorre diffusamente della Chiesa di S. Agnese.

Con distinta osservanza

Il Presidente del Comitato 

Luigi Benvenuti

Questa lettera ebbe un pronto e benevolo riscontro:

5 Novembre 1936 XV 

All’Ill.mo Signor Luigi Benvenuti – Presidente Comitato Iniziative Benefiche prò « Istituto Cavanis »

Città

Oggetto: Venezia. — Chiesa di S. Agnese

Questa Soprintendenza si compiace vivamente con la S. V. Ill.ma per le iniziative e i programmi esposti a favore della Chiesa di S. Agnese e assicura che verrà studiato senz’altro un restauro che varrà a ridonare ad essa l’interesse e la bellezza antica, ora travisata da infelicissimi rifacimenti.

Riterrei pertanto opportuno fare assieme alla S. V. Ill.ma una visita al vetusto edificio, anche per gettare le basi di un programma di lavori che spero poter nel prossimo anno iniziare.

Prego intanto di voler accettare i miei ringraziamenti per l’omaggio dei due volumi riguardanti la storia dei fratelli Cavanis.

Deferenti saluti

Il Soprintendente F. Forlati

Ci fu anche il 10 dicembre 1936 una visita del preposito P. Aurelio Andreatta al sovrintendente Forlati; il preposito “gli prospetta la convenienza e la necessità di procedere ad un restauro, che potrebbe anche essere un ripristino, della Chiesa di S. Agnese. Il Comm. Forlati s’interessò molto della proposta e promise di fare quanto prima un sopraluogo per constatare de visu le condizioni della Chiesa”.

Il Comm. Forlati qualche tempo dopo eseguì un sopraluogo e si rese conto dell’importanza della Chiesa di S. Agnese, che è tra le più antiche della città. Compiuti quindi dei rilievi e studiato un progetto di massima, il 4 ottobre 1937 iniziò i lavori di restauro e di ripristino.

6.6 La Soprintendenza all’opera

Non è stata lieve la fatica della Soprintendenza, che procedette nel delicato compito con cautela e oculatezza.

Fu ripassata da prima tutta la copertura della navata centrale, che è a doppio tetto con intercapedine: l’inferiore a tavole sostenute da travicelli e decorate alle giunture da « sansovine » dipinte, in parte ripristinate e in parte rifatte secondo la tecnica antica; il superiore costituito da uno strato di tavelle reggenti gli embrici.

Fu poi abbattuta la volta sottostante, tolti il pesante cornicione neo-classico che correva lungo le due pareti e le paraste che lo sostenevano ad ogni pilastro; demolite le quattro colonne in cotto e stucco del presbitero, dove sono state riaperte a destra e a sinistra le due arcate ridotte nel restauro precedente a tribune con vetrate; asportata la cantoria in legno che era appoggiata alla parete sopra e d’attorno alla porta d’ingresso; chiusi i lunettoni nelle pareti nord e sud e quindi rifatti all’esterno gli archetti geminati e le lesene che fregiano l’edifìcio sotto la linea del tetto.

I muri si rivelarono in condizioni preoccupanti; crepe, squarci e cedimenti ne compromettevano la statica, sicché sì dovette provvedere a un risanamento e rafforzamento con delicate operazioni chirurgiche. Delle due fascie correnti all’altezza dei mensoloni delle travature o inferiormente, quella lignea era ben conservata, quella in affresco con tondi di santi interrotta qua e là e deteriorata, per cui fu necessario non solo ripulire e ravvivare le tinte, ma anche in certi punti rifare e restaurare.

Sul fianco sud furono riaperte due finestre ad arco acuto, murate nel passato; una terza era stata conservata e serviva per trasportarsi dal tetto nel soffittale formatosi al di sopra della volta ottocentesca.

A ridosso dei pilastri si ripristinarono le sottili lesene che si arrestano a due terzi della parete soprastante alle arcate. Nel coro le due ampie finestre che tagliavano l’abside, interrompendo anche nella curva esterna il ritmo delle lesene, sono state chiuse, mentre al centro dell’abside stessa riapparve una caratteristica finestrella romanica a doppia strombatura, dalla quale il coro, specie al mattino, riceve una luce calma e diffusa. I balaustri dell’800 nella navata ricondotta alla severità antica erano un’evidente stonatura e perciò sono stati collocati ai fianchi del presbitero in modo che servono di parapetto tra questo e le cappelle laterali della Madonna del Soccorso e di S. Giuseppe Calasanzio. L’intonaco rinnovato sull’intera superficie delle vaste pareti, ricevette una tinta giallo antico a macchie, che ben si accorda con l’austerità dell’ambiente.

Anche l’illuminazione, sostituite le lampade di ottone che rappresentavano ormai un anacronismo con altre più sobrie in ferro battuto, fu curata in armonia alle esigenze del ripristino. Sistemata la navata centrale, la soprintendenza volle risolvere il problema della facciata, che nulla più mostrava dell’antico. L’avancorpo col prospetto neoclassico venne abbattuto e fu messa quindi in luce la vera facciata, in cui è stato riaperto il grande rosone che dà luce all’interno. Il portale dell’ottocento fu sostituito con un altro di maggiore ampiezza, di stile rinascimento, proveniente dalle antiche fabbriche di San Marco. La facciata fu mantenuta in mattoni a vista e sul suo lato sinistro fu conservata la cappella del Crocifisso per ragioni storiche e affettive, staccandola però nettamente dalla restante costruzione mediante un intonaco in rosso veneziano. In tale cappella, come si sa, il 2 maggio 1802 i nostri fondatori iniziarono la loro opera benefica e là riposano le loro venerate spoglie in attesa della glorificazione. La cappella fu però raccorciata per ragioni estetiche dell’alcova che conteneva l’altare, il quale venne ricostruito in proporzioni minori sul lato di fronte all’ingresso dalla Chiesa.

Una porta immette in diretta comunicazione la cappella con l’area esterna, in modo che è possibile ora entrare e far visita alla tomba dei Fondatori dalla strada senza passare per la Chiesa. Alcuni generosi ex-allievi ne sostennero la spesa. Un capitello con la Vergine Assunta, collocato all’esterno nel posto dove prima si apriva una finestra, introduce una nota gradita diabbellimento sulla parete prospicente la strada.

6.7 II risultato

Questa la mole di lavori condotta a termine dalla soprintendenza in poco più di due anni, dal 4 ottobre del 1937 al gennaio del 1940. Naturalmente i cenni surriferiti lasciano in ombra un complesso di problemi artistici, tecnici, decorativi che dovettero pur esser presenti alla mente di chi dirigeva l’opera di restauro e di ripristino.

Il risultato è stato quanto mai lusinghiero. La Chiesa di S. Agnese, liberata dall’ingombro di rifacimenti infelici e di sovrastrutture deturpanti, è risorta a nuova bellezza, e oggi nell’armonia e nella semplicità delle linee originarie parla un suasivo linguaggio di fede all’animo di chi ne varca la soglia per pregare ed avvicinarsi al soprannaturale.

6.8 Il nuovo Organo

Mentre procedevano così felicemente i restauri dell’edificio, l’attenzione dei superiori dell’Istituto si è fermata sull’organo che, ormai troppo vecchio, non rispondeva più né per intonazione e robustezza di voce né per tecnica, alle necessità dei nostri oratòri, nei quali una gran massa di alunni spiega la voce a cantare le lodi di Dio. E l’occasione del centenario parve buona per tentarne la sostituzione con uno più moderno. L’idea, comunicata ad alcune mamme di allievi e di ex-allievi, piacque e si costituì subito un Comitato tutto femminile pro-Organo, con ottimo risultato. Il montaggio dell’organo – un Mascioni – era in atto qualche settimana prima del Natale 1939 e per il 21 gennaio 1940, festa di Santa Agnese, era perfettamente intonato e accordato, e in tale circostanza fu sonato per la prima volta durante la Messa prelatizia di S. E. Rev.ma Mons. Giovanni Jeremich e poi alla Messa solenne, cantata a tre voci dalla Cappella Marciana sotto la direzione dei maestro Don Luigi Vio ed applicata per tutti indistintamente gli offerenti pro Organo.

6.9 Il collaudo dei restauri e del nuovo organo

Durante la prima metà di gennaio erano intanto ultimati i lavori da parte della soprintendenza intorno alla Chiesa; si pensò quindi di unire in una sola giornata il collaudo dei restauri e del nuovo organo. La giornata scelta fu il 28 gennaio.

Come concertista si era offerto con un atto di squisita nobiltà e delicatezza, che rimarrà sempre vivo nel cuore dei padri dell’Istituto, il concittadino maestro Goffredo Giarda, organista di gran fama. Alla manifestazione intervennero le autorità cittadine con alla testa l’Em.mo Card. Patriarca. Ricordiamo tra queste il rappresentante del Prefetto, il Vice Podestà Co. Rocca, il soprintendente ai monumenti Comm. Arch. Forlati, il Provveditore agli Studi. La Chiesa, gremitissima di pubblico, era trasformata in un vasto auditorio.

L’Em.mo Card. Piazza benedì pontificalmente il nuovo organo assistito dal cerimoniere patriarcale e da alcuni padri e chierici dell’Istituto. Quindi i padrini del nuovo organo, Sig.ra Iva Pancino e Co. Rocca, tagliavano il nastro con i colori papali e nazionali che avvolgeva la maestosa consolle. Seguì un discorso del preposito generale P. Aurelio Andreatta e poi il concerto di collaudo.

La chiesa, che risale al secolo XI, venne acquistata dai Fratelli Cavanis Antonio e Marco nel 1839 e riaperta al culto, dopo i profondi restauri, il 14 agosto 1854. Nel settembre dello stesso anno vi fu trasportata la salma del P. Marco e nel 1858 vi fu seppellito il P. Antonio. Nel 1866 veniva di nuovo chiusa al culto. Quali i motivi? Sentiamo il Diario.

— Mercoledì 11 aprile 1866 — «Nell’orto della Birraria vicina alla nostra chiesa, stavasi perforando un pozzo artesiano, quando oggi alle ore 4 pomeridiane ne è scoppiato d’improvviso uno sgorgo impetuoso d’acqua, mista a melma ed a sabbia, che dalla profondità di quasi 50 metri del suolo saliva a circa metri 40 sopra il suolo portando seco e deponendo all’intorno una quantità incredibile di materia, senza quella che veniva portata dall’acqua stessa nel vicino canale, ove a guisa di torrente si scaricava. In seguito a ciò cominciarono presto a manifestarsi e nella Chiesa nostra e nelle fabbriche allo intorno segni di movimenti, per cui e le case furono fatte sgombrare, e noi dalla Chiesa trasportammo alla sera sulle ore 11 in Casa il SS. Sacramento, e si cominciò a portar via paramenti, cera ecc. Lo sgorgo cessò alle ore 11 e 1 /4 ».

Il P. Traiber, allora Prepósito Generale, e i proprietari dei locali vicini, inoltrarono energica protesta al Municipio contro la continuazione del lavoro di perforazione.

In data 16 aprile altra protesta al Municipio nella quale il P. Traiber, «nella sua qualità di Preposito, e per dovere di ovviare possibilmente ogni danno alla sua Congregazione» chiamava «responsabile il Municipio … di tutti i danni d’ogni maniera, reclamandone con regolare petizione presso l’Autorità Giudiziaria il pieno rifacimento ».

La Chiesa venne chiusa al culto. Preoccupazione viva dei Padri fu quella di trovare i fondi (circa cinque mila fiorini) necessari al restauro. Sollecitarono allo scopo la generosità di tutti i fedeli, animati in questo « dal sapere ed avere anche in questa occasione conosciuto quanto piena di venerazione ed affetto viva nei cuori di tutti in generale la memoria dei due piissimi Sacerdoti fondatori dell’Istituto, i Nobili fratelli Anton’Angelo, e Marcantonio Conti de’ Cavanis, che ricchezza, talenti, ogni cosa sì lungamente e generosamente sacrificarono in bene principalmente della povera gioventù d’ambi i sessi, con infinito vantaggio della Società civile, a pura gloria di Dio; e le cui ossa, venerate con tanta gioia dei Buoni, riposano appunto nel coro della chiesa stessa, a cui ora è chiuso dolorosamente l’ingresso ».

L’invito rivolto ai cittadini di Venezia venne sottoscritto anche dal Patriarca Trevisanato: «Raccomandiamo vivamente ai Fedeli di questa Archidiocesi di concorrere colle loro pie elargizioni alle gravi spese che si richieggono per riparare ai guasti della sopraindicata Chiesa, e di sovvenire in tal guisa, la benemerita Congregazione delle Scuole di Carità nelle dolorose circostanze in cui si attrova ».

Con la pace di Vienna del 3 ottobre 1866 venivano annesse al Regno d’Italia le provincie venete, alle quali furono subito estese le leggi di confisca dei beni ecclesiastici approvate poco prima dal Parlamento di Firenze. Il Demanio prese ufficialmente possesso della Chiesa di S. Agnese, del Palazzo delle Scuole e della Casa dei Padri il 24 settembre 1867. Ai Padri fu concesso di rimanere e di continuare la scuola. Il Padre Casara, allora Preposito Generale, si mise subito all’opera per riavere tutti i beni demaniati compresa la Chiesa. Annota nel diario in data 31 marzo 1868: « Scrivo al Patriarca perché ci conceda se può, o ci ottenga, se non può, dal Santo Padre la facoltà di poter concorrere, per mezzo di persona idonea a ciò incaricata, sull’asta dei nostri fondi, quando la si farà per ricuperare quel che potremo ».

Ben presto cominciarono le prime difficoltà dovute al fatto che il Municipio voleva trasformare la Chiesa di S. Agnese in una palestra. Grande fu la costernazione dei Padri e l’indignazione della cittadinanza che indirizzò in data 25 agosto 1868 al P. Casara una lettera accompagnata da dodici libretti di firme, come detto sopra. 

Il progetto del Municipio non venne realizzato. La Chiesa rimase però ancora demaniata; e nel diario della Congregazione non se ne parla più se non in data 22 dicembre 1870. «Recatomi ieri, (scrive P. Casara) dal R.I. Volpi all’Intendenza, e conferito con lui, se mai si potesse riavere la nostra Chiesa senza doverla ricomprare, mi suggerì di farla domandare dal Patriarca, e come bene rovinoso da cui ben poco vantaggio potrebbe averne il Demanio, e perché non sia l’unica chiesa che vada venduta all’asta, e perché in essa stanno deposte le spoglie dei due Venerati Fratelli Cavanis: sicché ne verrebbe una fortissima dispiacenza nella popolazione, che grandemente ne desidera il riaprimento, anche per ragione del caro deposito che in essa si conserva. Detta quindi stamattina la cosa all’Em.mo egli se ne dichiarò tosto molto contento, mi rimise subito al cancelliere perché oggi stesso scriva la istanza, e domani gliela porti». In questa leggiamo tra l’altro: «Vi sono infatti sepolti (nella Chiesa di S. Agnese) quei due onorandissimi Fratelli Sacerdoti Conti Cavanis che dopo aver sacrificato il loro censo avito e la loro vita per la educazione gratuitamente impartita a tanta parte di questa popolazione e ciò per il periodo di quaranta e più anni, riposano nel Signore in quella Chiesa che sorge vicina al campo dei loro sudori spesi al bene di tanta gioventù cittadina, la quale conserva tuttora viva e grata memoria di quei benemeriti Sacerdoti ». L’istanza così termina: «È chiaro il motivo che mi induce a porgere tale richiesta che io mi affido verrà apprezzata dalla stessa Autorità civile che vorrà darsi il merito di cooperare a quel rispetto onde vuolsi circondata la tomba dei due personaggi quanto chiari per nobiltà di casato altrettanto benemeriti di Venezia per le lunghe e disinteressate loro fatiche ».

Si incominciarono subito le pratiche necessarie: …essere quindi assai rilevante il tentar ora di avere dal Municipio un voto di favore. La cosa era assai poco sperabile, per esserci attualmente nella Giunta quegli stessi che nel 1868 volevano convertire la nostra Chiesa in scuola di ginnastica e scherma. Ma Iddio dispose tutto a suo tempo con infinita sapienza e soavità. Per altra ragione ero entrato in qualche grazia presso alcuni di quei signori, e molto con l’avv. Giorgio Marangoni loro amico. Ne parlai dunque con questo, ed ei mi promise e mi assicurò che il voto desiderato lo avrei. Assicurato di questo, parlai all’Intendenza col Volpi perché il provocasse, ed ei ne scrisse ai 12 di gennaio sotto il n. 56196, e la carta andò in Municipio il dì 13 e fu registrata nel protocollo al n. 1513. Il Marangoni poi attenne benissimo la sua parola, e si prestò in modo che ieri andò all’Intendenza la risposta del Municipio, di cui ho avuto copia confidenziale. È di un favore non quasi spiegato: ma attesa la circostanza surricordata, e lo spirito che predomina nella Giunta attuale, il ricordare che vi si fa i meriti dei PP. Cavanis e il sentimento per loro in città è cosa che ha alquanto del prodigioso». (P. Casara — Diario — 1-2-1871 ).

Ecco la interessante risposta: «Il Municipio di Venezia alla R. Intendenza delle Finanze. Non potè il sottoscritto evadere prima d’ora la nota 12 corrente gen. n. 56196 di cod. a R. Intendenza relativamente alla Chiesa di S. Agnese, perché non era il caso di manifestare una opinione individuale o della Giunta, ma piuttosto indagare quale potesse essere la opinione di una buona parte dei cittadini. Il solo modo pratico per avere nozioni abbastanza esatte in proposito era quello di consultare qualcuno ed esaminare atti che esistevano in Municipio riguardo al riaprimento della Chiesa avvenuto nel 1855.

Dalle indagini fatte puossi desumere che se il Municipio d’allora assoggettò al Consiglio Comunale, e questi votò con grande maggioranza un sussidio di L. 1500 per la riapertura di quella Chiesa, ne sarebbe certo veduta da moltissimi con grave dispiacere la vendita per uso diverso dal culto, e che le stesse espressioni usate allora a favore dei Conti Cavanis, e la eredità di gratitudine lasciata da molti tra loro per la popolazione bisognosa, e la gioventù per loro cura e per loro spese educata, lasciano luogo a credere che per la vendita di detta Chiesa, dove stanno le ossa dei Fondatori, sarebbe mosso lagno da molti. Ciò è quanto il sottoscritto crede di poter dire, appoggiandosi a puri fatti del passato. Firmato Fornoni ». (31-1-1871). Dello stesso tenore la risposta data dal Municipio al Prefetto di Venezia Sen. Torelli in data 27 luglio 1871.

Tutte le pratiche furono mandate a Firenze al Ministero di Finanza, Divisione Generale del Demanio. P. Casara più volte scrive all’Avv. Feri « pregandolo caldamente a tener dietro all’affare della chiesa» (Diario 23 maggio – giugno-31 luglio-17 agosto 1871).

Il 29 luglio la Prefettura spediva all’Amministrazione del Fondo per il Culto il suo parere favorevole per la cessione della chiesa e il 15 agosto arrivava l’ordine all’Intendenza di farne consegna al Patriarca. L’atto di cessione veniva firmato il 7 settembre. Ecco cosa scrive P. Casara: «Oggi, Vigilia della Natività di Maria, in casa nostra, è stato sottoscritto l’atto di cessione della Chiesa dai rispettivi incaricati, che furono Mons. Zuannich, Cancelliere, per l’Em.mo Patriarca, e il Dott. Volpi per l’Intendente: e fattane dal Volpi al Zuannich la consegna. Dell’allegrezza nostra non è a dire quanto al fatto: e grande e viva assai si è manifestata quella dei vicini, accorsi subito sul luogo. Ma un motivo per noi di sentire la gioia più vivamente, e insieme più fondate speranze è la circostanza del giorno. Doveva la consegna aver luogo ben prima, ma fu ritardata per male sopravvenuto al Sig. Intendente, che doveva vedere ed approvare la minuta dell’atto, come fu sottoposta all’esame ed all’approvazione di S. Em.za. Così intanto si venne ad oggi, e siamo lietissimi che se il Decreto arrivò da Firenze la Vigilia dell’Assunta, la esecuzione ne ebbe luogo la Vigilia della Natività. Evviva dunque, evviva Maria. Questa sera si è esposta la Sacra Pisside, e cantato giulivamente il Te Deum ».

Si iniziarono subito i lavori di restauro che permisero la riapertura della Chiesa, nel gennaio dell’anno successivo. 

Sabato 20 gennaio 1872 — « Com’era stato stabilito, si è riaperta stamattina la chiesa, e inauguratane la nuova offìciatura con la Messa dello Em.mo Patriarca, che prima d’intonare il Te Deum fece opportune e calde parole. Già di ciò e del resto della festa di oggi e domani verrà stampata relazione sul Veneto Cattolico . . . Sul fin della Messa del Patriarca venne anche il r. Prefetto, e si fermò al discorso ed al Te Deum. Di qui venne che anche la Gazzetta desse un cenno del fatto, e ricordasse che in S. Agnese riposano le ossa dei benemeriti Conti fratelli Cavanis, fondatori delle Scuole di Carità. Sia benedetto anche di questo il Signore ».

« Fu proprio uno spettacolo commoventissimo, una cara festa di famiglia . . . un via vai continuo di gente che entrava ed usciva, e si piaceva di guardar tutto, di esaminar tutto, di ammirar tutto, di informarsi di tutto. Un narrarsi i tristi casi avvenuti, un affollarsi intorno agli altari e sulla tomba, che chiude i Padri Cavanis, ricordare i fatti preziosi della loro vita, un parlare affettuoso della loro virtù, dei loro meriti, della lor carità … Fu codesto un vero plebiscito in favore delle Scuole di Carità, dopo del quale noi speriamo sia finita la dura prova, a cui troppo lungamente furono sottoposti gli eredi dello spirito, della virtù, della carità dei fratelli Cavanis». (Il Veneto Cattolico, n. 17; 22 gennaio 1872).

A ricordo di questi avvenimenti lo stesso giornale “Il Veneto Cattolico” proponeva che si erigesse in S. Agnese una lapide « che ricordasse ai posteri i meriti e le virtù dei Padri Cavanis, veri amici del popolo perché il loro amore pel popolo attinsero alla verace virtù di Gesù Cristo ». Il voto fu realizzato il 22 aprile 1875, con la scoperta di due lapidi, una in onore dei Fratelli Cavanis, l’altra per ricordare le vicende più importanti della Chiesa di S. Agnese.

Domenica 18 agosto 1872 — « La consacrazione della chiesa di S. Agnese è stata oggi eseguita dall’Emin.mo Patriarca (Trevisanato), assistito dai mons.ri Marchiori canonico arciprete e Spandri canonico, con tutta la solennità e maestà augusta del sacro rito. Venne l’Emin.mo anche ier sera ad iniziare la venerazione delle sacre reliquie nell’oratorio minor delle Scuole: in onor delle quali si recitò con esso Emin.mo e vari sacerdoti amici Mattutino e Laudi del comune dei Martiri, e si vegliò poi alternatamente tutta la notte. Questa mattina poi dalle ore 5 fin verso le 7 vi si celebrarono 4 Messe. Alle 7, com’era stabilito, il Patriarca era venuto, e si cominciò la funzione, che durò fino a un’ora e mezzo pomeridiana, compresa la santa Messa, celebrata dal medesimo Patriarca: dopo del quale celebrò subito il P. Mihator che per ogni accidente si era tenuto digiuno. Ogni cosa procedette con ordine mirabile, e il canto lunghissimo, con l’aiuto di Sacerdoti amici e intelligenti, fu sino all’ultimo sempre bene eseguito. Assistette alla funzione popolo numeroso, che riempiè quasi la chiesa, appena vi potè entrare. Più numeroso assai concorse la sera al Vespero corale, al Discorso, ed al Te Deum. La Chiesa ne ritonava.

La sera poi illuminazione nei contorni, fuochi di Bengala suoni musicali, come nelle occasioni di feste pubbliche e grandi, e concorso continuo di gente tranquilla e giuliva, fino a sera molto inoltrata: ed era comune la manifestazione della causa di tanto contento, la manifestazione cioè della riverenza devota ai nostri fondatori, come a due Santi, e dell’affetto verso la nostra Congregazione».

Nel 18 ottobre 1903 la comunità di Venezia riunita in capitolo decide di “mettere all’altare dell’Angelo un’immagine di S. Luigi Gonzaga. La proposta fu subito accolta, perchè conforme alle idee dei Fondatori, che nella vecchia pala di S. Agnese aveano fatto dipingere, a destra della Santa, S. Tomaso, alla sinistra, S. Luigi”. Notizia curiosa, che ci informa 1° che la pala attuale non è quella fatta dipingere dai Fondatori, ma da P. Casara; e 2°, non è chiaro se la pala voluta dai fondatori, e di cui qui si parla, fosse un trittico, o piuttosto una pala con vari santi. Non è raro del resto che, nelle pale d’altare antiche, fossero associati santi di devozione dei committenti, senza riguardo agli anacronismi evidenti. Era una forma devozionale molto diffusa. Il quadro di S. Luigi è poi scomparso da vari decenni dall’altare dell’Angelo custode, ed è possibilmente uno di quelli che si conservano in vari ambienti dell’Istituto.

Un altro dato relativo a una pala d’altare fatta dipingere – senza committenza o autorizzazione ufficiale – per la chiesa di S. Agnese e destinata poi altrove, si trova nel Diario di Congregazione alla data del 2 maggio 1932: una “ignota e pia benefattrice”, aveva fatto dipingere a sue spese dal pittore Umberto Martina, abituato a ricevere committenze dall’Istituto Cavanis, una pala d’altare rappresentante San Gabriele dell’Addolorata; il quadro aveva le dimensioni opportune per entrare nelle cornici marmoree degli altari della chiesa di S. Agnese, ed era stato dipinto con l’intenzione o il suggerimento che servisse per sostituire uno dei quadri già esposti sopra gli otto altari laterali della chiesa. “Si seppe poi che alla cosa non era estraneo il nostro P. Borghese il quale desiderava che uno degli altari della chiesa di S. Agnese fosse dedicato a S. Gabriele dell’Addolorata. (…) Il Preposito, però, ‘re mature perpensa’, non crede conveniente la sostituzione di culto a nessuno degli altari e pensa invece d’inviare il nuovo quadro a Porcari, dove potrà essere molto utile per la cappella di S. Gabriele, ancora senza altare, e senza alcune effige del Santo. Nella nostra Chiesa di S. Agnese tanto per una soddisfazione alla persona oblatrice si potrà mettere, col permesso, dell’autorità diocesana, un sottoquadro di S. Gabriele all’altare dell’Angelo Custode”. E così fu fatto. Il giovane San Gabriele divenne (o forse già era prima di questo fatto) compatrono o patrono secondario del Collegio Cavanis di Porcari, dopo San Giuseppe Calasanzio.

Il quadro (o meglio piccola pala d’altare) di S. Gabriele dell’Addolorata attualmente è stato tolto dalla chiesa già del collegio Cavanis, che è stata graziosamente ceduta dalla Congregazione alla parrocchia di San Giusto di Porcari; ed è stato portato a Possagno, nella cappella della comunità del Collegio Canova-Liceo Calasanzio.

Il diario di congregazione del resto dava una descrizione piuttosto negativa della pala d’altare: “Il quadro in parola porta i segni dell’arte vigorosa del prof. Martina: non soddisfa però per la figura del Santo, che è troppo muscoloso, rude, né l’Addolorata, che vista come in visione, presenta un insieme non simpatico e persuasivo”.

A proposito di quadri, P. Andreatta subito di seguito ci dà notizia anche di un altro: “È giunto un nuovo quadro del pittore Giuseppe Corolli di Tortona. Rappresenta i nostri Ven.ti Fondatori mentre consegnano le Costituzioni ai loro primi seguaci. A dire la verità il quadro piace poco: non ben condotta la composizione, non ben fusi i colori e impacciate le figure dei protagonisti. Ad ogni modo, teniamo conto della buona volontà dell’Autore e del loro committente (D. Agostino Menegoz residente a Voghera (…). Il quadro, di notevoli proporzioni e decorato di bella cornice, sarà appeso ad una delle pareti dell’Oratorio domestico. Ci sembra questo il luogo più conveniente all’argomento trattato”.

In occasione della solennità dell’Immacolata, l’8 dicembre 1933, furono messi in opera i nuovi banchi in legno di acero, tinteggiati in color noce, in una fila completa al centro della navata principale della chiesa di S. Agnese.

Il 9 maggio 1943 il Diario di Congregazione riporta laconicamente: “Voto in S. Agnese di affrescare con l’effigie del Cuore di Gesù il catino absidale per avere l’incolumità di persone e cose nel conflitto in corso”. 

Effettivamente, nella chiesa di S. Agnese, che di recente era stata completamente restaurata e riportata alla struttura romanica, come detto sopra, il catino absidale, una volta probabilmente adorno di una copertura musiva dorata (si pensi per esempio a quella della bellissima chiesa romanica dei SS. Maria e Donato a Murano), poi, nella chiesa rivestita di una patina barocca sul finire del ‘700, da una pittura “trompe-l’oeil” a cassettoni; si presentava ora completamento vuoto. Si pensò ad ornarlo di un affresco e tramite un concorso si scelse il bozzetto del pittore prof. Pino Casarini, approvato anche dalla Commissione Patriarcale di Arte Sacra. L’inaugurazione dell’affresco si tenne la domenica 31 ottobre 1943. L’affresco piacque, dice la rivista Charitas. Ma P. Aurelio Andreatta, nel diario di Congregazione, scrive: “I giudizi sul valore del dipinto sono disparati.” A chi scrive piace molto. È un Cristo pantocrator circondato da una splendida sintesi dell’universo, in qualche modo riavvolto su se stesso, anche se è dubbio che ci sia un’influenza relativistica. A questo schema teologico tradizionale, tipico di molti catini absidali, come si vede in quello dell’abside centrale della basilica di S. Marco per esempio, si sono aggiunti in modo un po’ confuso le caratteristiche e il titolo di “Cristo-re” e quello del “S. Cuore del Cristo-re”. I due Fondatori vi sono rappresentati ai fianchi, in modo meno felice, come aspetto, in posizione di oranti. 

Il bozzetto preparato dal Casarini per il concorso, che si può vedere illustrato a tutta pagina a pag. 4 del Charitas di quell’anno è abbastanza diverso, meno cosmico e più regale. Sembra più bella la versione definitiva, come si vede affrescata in S. Agnese a tutt’oggi.

Un ulteriore cantiere di restauri dei pilastri e delle due navate [laterali?] della chiesa viene realizzato dopo il capitolo generale del 1949.

“Questa mattina è stato benedetto l’impianto radiofonico installato in Chiesa S. Agnese, per una migliore partecipazione degli alunni alle sacre funzioni”. Era il 7 febbraio 1953.

Nel 1954, l’ing. Panfido, ex-allievo dell’Istituto, gli fece dono di un busto di S. Francesco in bronzo, opera dello scultore veneziano Otello Bertazzolo. Ne venne edificato una semplice edicola in cotto, appoggiata alla controfacciata della Chiesa di S. Agnese, nel passaggio tra la navata centrale e quella di sinistra. L’edicola fu benedetta il 17 ottobre 1954 dal patriarca card. Angelo Giuseppe Roncalli, in occasione della sua partecipazione alla conclusione dell’anno centenario della morte del P. Marco Cavanis.

All’inizio del 1957 “nella Chiesa di S. Agnese è stato installato un impianto di riscaldamento ad aria calda della ditta “Saronno”, sia per riscaldare l’ambiente, in modo anche nel più rigido inverno fosse la temperatura più accogliente, sia per evitare il brusco passaggio dagli ambienti riscaldati, sia anche per evitare il grave disturbo scolastico-disciplinare di dover far prendere il cappotto per andare in Chiesa. Il beneficio fisico e il naturale riflesso nel campo della pietà è stato subito notato”.

Una riforma totale del tetto in coppi e in genere nella copertura della chiesa fu effettuato nel settembre 1960, a spese dell’Istituto, non essendo riusciti, dopo anni di insistenze, a ottenere che la realizzasse a sue spese il demanio, vero proprietario dell’edificio sacro, attraverso la soprintendenza ai monumenti.

Un problema della chiesa-madre dell’Istituto Cavanis è l’acqua alta e, per altro verso, il fatto che la chiesa nei circa dieci secoli di esistenza è scesa per fenomeno di subsidenza e si è, diciamo, impantanata nella sabbia e nel fango della laguna. Il livello del pavimento attuale, già parecchio più alto del livello del pavimento medievale, si trova oggi (2020) a circa 48 cm sotto il livello del rioterrà e del campo. Anche quando l’acqua salsa non entra dalla strada, come fa nelle acque alte eccezionali per altezza, solo dalla porta laterale, si infiltra tra i quadroni di marmo di Verona rosso e bianco del pavimento e sale, a volte, nelle grande acque alte, sopra i 120 o 125 cm rispetto al livello medio del mare, fino a far fluttuare i banchi (di noce e di acero), che naturalmente si danneggiano e deformano, assieme ai confessionali ottocenteschi e ad altri mobili. Ci vuole poi molto tempo per aspettare che l’acqua scenda e che si possa asciugare il pavimento della chiesa. 

Box: P. Giuseppe Panizzolo e l’aqua alta

P. Panizzolo era rettore della casa di Venezia sul finire degli anni ’80 e nei primi anni ’90 del secolo scorso. Alla mattina presto andava spesso a celebrare la messa per le suore Canossiane alle Romite. Un giorno di novembre – uno dei mesi autunnali in cui il fenomeno dell’acqua alta è più frequente –, terminata la celebrazione scoprì che l’acqua si era alzata in modo imprevisto e non aveva gli stivali che si usano normalmente a Venezia in questi casi. Non volendo bagnarsi le scarpe, e conoscendo bene la città e il percorso, scelse astutamente percorsi alternativi, evitando le calli e le fondamente più basse, e riuscì ad arrivare davanti alla chiesa di S. Agnese a piede asciutto, come il popolo ebreo nel mare. Vedendo aperta la porta centrale della chiesa, vi entrò trionfante per raggiungere di là l’Istituto, senza entrare nell’acqua che copriva il rio terà dei Alboreti (o Foscarini). Era ancora buio, discese i quattro gradini senza vederci troppo e si trovò con l’acqua fin sopra le caviglie. Non l’aveva scampata e ridemmo abbastanza della sua impresa, e lui con noi.

Il 12 marzo 1961 P. Giorgio Dal Pos, sagrista di S. Agnese, sempre ricco di buone idee, prese l’iniziativa di mantenere abitualmente aperta di giorno la porta della cappella del Crocifisso, permettendo l’accesso al pubblico per la preghiera e per la venerazione della tomba dei Fondatori, fornendo l’ambiente di materiale divulgativo e un ambiente che ispira la devozione.

Dopo il Concilio Vaticano II e prima del capitolo generale del 1967, fu effettuata una completa ristrutturazione del presbiterio di S. Agnese secondo le norme conciliari, costruendo il grande altare e distruggendo il brutto l’altare ottocentesco rivolto verso l’abside. Il nuovo grande altare marmoreo, con l’estesissima mensa marmorea e con il massiccio stipes di marmo dorato (a folha d’oro), fu consacrato dal Patriarca, il card. Giovanni Urbani.

Nella stessa occasione, il disimpegno che permette di entrare dalla porta laterale e raggiungere la sacristia senza disturbare le celebrazioni fu costituito con un muro parabolico affrescato dal buon pittore veneziano Ernani Costantini, forse lui stesso ex-allievo, con una bella “Ultima Cena”, muro che porta anche uno schienale per gli stalli marmorei per il clero celebrante e i ministri. L’affresco è firmato e porta la data del 1967. La risistemazione architettonica e liturgica del presbiterio e dell’altare di S. Agnese fu eseguita su progetto dell’arch. Renato Renosto, amico ed ex-allievo dell’Istituto.

Inoltre la finestra in vetri della bella finestrella romanica strombata dell’abside fu sostituita suggestivamente con una sottile lastra traslucida di alabastro.

Un restauro piuttosto ampio, soprattutto del tetto e degli intonaci della chiesa di S. Agnese ebbe luogo negli anni 1992-1994, durante i quali la chiesa rimase completamente chiusa al culto, essendo trasformata in un cantiere. Le spese del restauro corsero per conto dello stato. L’inaugurazione e la riapertura della chiesa restaurata si fece con vesperi solenni presieduti dal Preposito nella festa di S. Agnese, il 21 gennaio 1995.

Nello stesso periodo, il prof. Antonio Lazzarin, famoso restauratore di opere d’arte, si era dedicato a titolo di amicizia (era anche cognato di P. Angelo Guariento della comunità di Venezia) al restauro di tutte le pale d’altare della chiesa di S. Agnese. Fu omaggioato, festeggiato e ringraziato dalla Comunità di Venezia e dal preposito nella stessa festa di S. Agnese.

6.10 Nota sulle chiese e cappelle dell’Istituto Cavanis di Venezia

Durante la sua lunga storia, l’Istituto Cavanis di Venezia, ossia la casa e scuola-madre, come pure edifici annessi, ha avuto a disposizione e in uso un numero variabile di luoghi di culto, chiesa e cappelle: la chiesa di S. Agnese per uso del pubblico e soprattutto degli allievi (specie dei “grandi”, ossia medie e liceo); la grande sala corrispondente al pòrtego del palazzo Da Mosto, trasformata in “oratorio”, ossia in grande cappella per tutti i ragazzi allievi fino al 1854 e poi in genere per i “piccoli”, ossia gli alunni della scuola primaria. Tale grande cappella serviva anche di cappella comunitaria per la comunità religiosa, che vi si riuniva per le preghiere della mattina Si direbbe meglio dell’alba, ci si trovava alle 5,45, e della sera: meditazione, rosario, preghiere tradizionali Cavanis, celebrazioni penitenziali, a quel tempo chiamate “Accusa”; e ancora devozioni diverse come le novene e la Via Crucis, secondo i periodi dell’anno. L’ufficio divino invece era recitato individualmente, fino al Concilio Vaticano II, più esattamente fino alla primavera del 1971. Tale uso della grande sala da tutta la comunità religiosa di Venezia, durò con ogni probabilità dal 1806 fino agli anni ’70 del XX secolo. Sulla metà di quel secolo e fino al 1968, tra professi perpetui e professo temporanei, la comunità poteva arrivare a comprendere 40-50 religiosi, e quindi era necessaia una grande cappella. In seguito fu sufficiente una cappella ben più piccola.

La comunità religiosa Cavanis di Venezia ha avuto anche delle cappelle minori: oltre alla cappella del crocifisso, adiacente alla chiesa di S. Agnese, cappelle utilizzate per le liturgie, le pratiche di comunità e in genere per la preghiera della comunità e dei religiosi; una cappella per il noviziato-studentato; una cappella per le associazioni, dall’altra parte del rio terà, nell’area della casetta.

Nell’insieme, secondo i periodi, la casa e la scuola di Venezia ha avuto a volte un solo luogo di culto, a volte due, o tre o perfino quattro luoghi di culto contemporaneamente. Più in dettaglio:

2.5.1802-16.7.1806 P. Antonio Cavanis ed eventuali collaboratori sacerdoti celebrano la messa a volte per la Congregazione mariana nella cappella del crocifisso annessa alla chiesa di S. Agnese, ma è improbabile che i registri delle messe si trovino in AICV, devono trovarsi, nel caso, nell’archivio della parrocchia di S. Agnese, confluito (nel 1810) nell’archivio della parrocchia della Madonna del Rosario, vulgo dei Gesuati.

16.7.1806 Acquisto del palazzo barocco Da Mosto, adattato a palazzo delle Scuole di Carità.

Mesi dopo il Pòrtego (sala grande del 1° piano) è adattato a cappella o oratorio per uso delle scuole e anche della comunità dell’Istituto. Questa grande cappella d’ora in poi è definita qui: “oratorio”, e sarà per molti anni (1806-1854 per tutti gli alunni e in parte per la comunità religiosa; e 1854-1975 circa per gli alunni delle primarie e per la comunità) il luogo principale di culto dell’Istituto maschile.

1810-1854 Interruzione del culto nella chiesa parrocchiale di S. Agnese, demaniata (1810) da Napoleone; l’Istituto Cavanis ha per le scuole solo l’oratorio al 1° piano del palazzo da Mosto. La comunità aveva anche una piccola cappella per la comunità nella casetta, come si dirà.

15.8.1854 Riacquistata dai fratelli Cavanis la chiesa S. Agnese, in questa data dopo i completi restauri la chiesa è riconsacrata (dedicazione) e riaperta al culto.

1854-1866 L’Istituto ha due luoghi di culto: chiesa di S. Agnese (per “i grandi” e l’oratorio “dei piccoli”.

11.4-1866-18.8.1872 perdita per disastro ecologico e poi per demaniazione (1867) della chiesa di S. Agnese, poi riacquisto e dedicazione, nella 2ª data. Quindi in questo periodo l’Istituto ha solo una chiesa, l’oratorio, di nuovo al primo piano del palazzo da Mosto, nel “portego”.

1854-1998 In questo periodo l’Istituto ha almeno due ambienti di culto: S. Agnese (per i ragazzi delle medie e liceo e per liturgie pubbliche per il popolo, senza essere chiesa parrocchiale) e l’oratorio (per le elementari e la comunità), salvo il breve periodo 1866-72.

8.4.1904-ottobre 1968 la comunità di Venezia dispone anche di una cappella del nuovo edificio ad uso di noviziato e poi spazio misto di formazione, per novizi e seminaristi minori e maggiori, poi studentato in senso stretto. Tale cappella si trovava immediatamente sulla sinistra di chi entra dal giardino (il cortile più piccolo dei tre) alla Domus Cavanis: tale cappella aveva due finestre sul giardino. Poi tale cappella viene sconsacrata e passa ad altro uso (profano) nell’ottobre 1968 con la partenza dello studentato teologico per la casa di Roma.

Da settembre 1928 al novembre 1960 la casa di Venezia dispone di un’altra cappella, nell’area della casetta, in realtà in un piccolo edificio che era stato costruito da altri (I Somaschi?) al posto dell’ala nord della “casetta” stessa. La cappella serviva soprattutto per le associazioni (Gioventù Italiana di Azione Cattolica-GIAC, Congregazione mariana, ex-allievi). Tale cappella assieme all’edificio stesso, fu distrutta nel 1960 per far posto al nuovo edificio della Domus Cavanis, ossia alla grande foresteria universitaria che ora è l’albergo Belle Arti. La distruzione dell’ambiente precedente cominciò il 21 novembre 1960. In seguito la foresteria universitaria disponeva ancora di una cappella, a pianterreno, nell’ultima stanza verso ovest, dove fu trasferita la lapide che ricordava la camera in cui erano morti successivamente i fondatori. Tale stanza attualmente (proh dolor!) è il deposito bagagli dell’albergo suddetto.

Dal 1998 al 2004 la comunità di Venezia dispone anche di una piccola cappella di comunità, per uso appunto della sola comunità religiosa, dopo che la cappella grande o oratorio nel pòrtego era stata dismessa come ambiente di culto, ed era divenuta aula magna o auditorium delle scuole (1998). Tale cappella era situata inizialmente adiacente all’aula magna, nell’area costituita precedentemente da una camera, la “camera del rettore”, e insieme dallo spazio prima occupato dalla sacristia dell’Oratorio.

2004-ad oggi (2017) la cappella di comunità è stata spostata al primo piano dell’edificio della biblioteca, con finestre sulla Piscina Venier.

Dal 1998-ad oggi (2020). Quindi nel periodo indicato, l’Istituto dispone di due ambienti di culto: la chiesa di S. Agnese e la cappella di comunità nel reparto comunità.

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