Titolo: Storia dell’Istituto Cavanis – Congregazione delle Scuole di Carità 1772-2020
Autore: Giuseppe Leonardi, CSCh
Numero di pagine: 3.793
Lingua: ITALIANO
Anno: 2022 (*Aggiornato 2023)
Parole Chiave:
Congregazione Cavanis, educazione cristiana, Marco Cavanis, Antonio Cavanis, Venezia, pedagogia, vocazione, spiritualità, formazione giovanile, missione educativa, carisma, scuola cattolica, storia ecclesiastica, apostolato, congregazione religiosa, povertà educativa, Chiesa cattolica, evangelizzazione, comunità religiosa, tradizione.
Riassunto:
Quest’opera offre un ampio e documentato percorso storico sulla nascita, lo sviluppo e la missione educativa della Congregazione dei Padri Cavanis, fondata dai fratelli Marco e Antonio Cavanis a Venezia nel XIX secolo. Attraverso un’accurata analisi delle fonti, Giuseppe Leonardi ripercorre i momenti chiave dell’espansione della Congregazione in Italia e nel mondo, mettendo in luce la vocazione alla formazione cristiana e civile dei giovani, in particolare dei più poveri. L’autore evidenzia inoltre la spiritualità cavanisiana, fortemente radicata nella pedagogia dell’amore, nell’apostolato educativo e nella fedeltà alla Chiesa. L’opera si conclude con una riflessione aggiornata sulle sfide e prospettive della Congregazione nel contesto contemporaneo
6.3 Gli altari antichi della chiesa di s. Agnese
6.3.1 Presbiterio
Dell’altare maggiore, bisogna distinguere:
- Quello più antico, almeno dei conosciuti, cioè quello romanico di cui parla il documento “Descritione della fabbrica dell’Altar grande”, a forma di tavola e separato dalla parete di fondo, di cui si parlerà più sotto; questo altare era anche l’altare di S. Agnese.
- L’altar maggiore eretto da Lodovico Bruzzoni, all’epoca Guardian Grando della Schola granda de la Misericordia, tra il 1670 e il 1674; sopra l’altare c’era la pala rappresentante il Martirio di Sant’Agnese dipinto da Antonio Foller su tavola. Dopo la soppresssione della parrocchia e prima dell’acquisto della stessa da parte dei Cavanis, questo altare fu venduto nel 1836, dal proprietario dell’edificio della chiesa che era diventato un magazzino di legna, come si sa, alla parrocchiale di Spresiano in provincia di Treviso, che poi venne completamente distrutta nel corso della prima guerra mondiale.
- L’altare maggiore, enorme, costruito dai PP. Fondatori dopo aver acquistato la Chiesa; era separato dalla parete di fondo, ma naturalmente rivolto verso questa, in modo che il sacerdote celebrante dava le spalle al popolo, alla Tridentina; tale altare aveva un grande tabernacolo al centro e non era sormontato da una pala di altare, quindi, tra l’altro, non era più l’altare di S. Agnese, come nei periodi precedenti, e si dedicò alla santa un altare laterale, come era giusto. Invece della pala d’altare, dopo il 1940, c’era e c’è il grande affresco del Cristo Pantocrator (e S. Cuore) nel Catino absidale. Dietro il tabernacolo tuttavia c’erano dei ganci metallici che permettevano di infilarvi degli spuntoni che reggevano dei quadri provvisori ossia temporanei, che vi si mettevano nelle grandi feste devozionali e particolarmente nelle novene; questi quadri provvisori rappresentavano a seconda dei periodi e delle occasioni di devozione, l’Immacolata, S. Giuseppe Calasanzio; S. Giuseppe Sposo. Dietro l’altare c’era uno spazio ampio, dove si trovava tra l’altro la prima tomba dei fondatori, al suolo, ora vuota. Questo spazio permetteva il passaggio (di disbrigo) tra il cortile della chiesa e la sacristia; era occupato anche dalla suoneria (canne) dell’organo. Tale altare rimase in uso fino al 1967. La fronte dell’altare verso la chiesa e il popolo, di calcescisto, in lamine composite in forma di produrre un disegno a righe bianche, grigie e nere, verticali, che si ripetono lungo tutta la superficie, fu tolta, al momento di eliminare l’altare, e murata in sagrestia, alla base della parete settentrinonale, a ricordo o a ornamento. Si trova al momento in cattivo stato di conservazione, per via della salinità e dell’umidità.
- L’altare in stile conciliare, costruito nel 1966-67, con la base dorata in foglia d’oro e con una mensa enorme, di un solo pezzo di marmo massiccio; sito al centro del presbitero, (e al centro della celebrazione), con il presidente, gli altri preti e i ministri rivolti verso il popolo; e accompagnato dalla larga sede per gli stessi, e dalla parete semiellittica con l’ultima cena rappresentata bellamente in affresco da Ernani Costantini (1967), parete che serve di sfondo e permette il passaggio come sopra.
6.3.2 Navata di destra
PRIMO ALTARE
Altare dell’ Università dei Poveggiotti ossia degli abitanti dell’isola lagunare di Poveglia che avevano quale loro patrono appunto San Vidal (San Vitale).
Pala d’altare: tavola rappresentante San Vitale armato e i figli San Gervasio e San Protasio; della scuola del Damiano [Mazza].
SECONDO ALTARE
altare: eretto a spese di Andrea Berengo.
all’altare: tela San Giacomo Apostolo di Alessandro Varotari, noto anche come il Padovanino.
TERZO ALTARE
all’altare: olio su tela, rappresentava Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia; e un altro quadro, pure in olio si tela sul tema della Manna nel deserto di Antonio Vassillacchi detto l’Aliense.
QUARTO ALTARE (cappella del Santissimo)
all’altare: una tela rappresentante i Quattro Evangelisti, pure di Antonio Vassillacchi detto l’Aliense.
QUINTO ALTARE
all’altare: una tela rappresentante Cristo davanti a Pilato, di Odoardo Fialetti. Questa pittura forse non era una pala d’altare, e comunque doveva trovarsi sul fianco destro del presbiterio.
In questa navata si trovava anche l’altare di S. Agnese, ovviamente, dopo che la sua immagine venne tolta dall’altare maggiore.
6.3.3 Navata di sinistra
QUINTO ALTARE (non risulta pala)
QUARTO ALTARE
all’altare: una pala su tavola, rappresentante Maria, Gesù, San Girolamo e San Sebastiano, della scuola del Damiano Mazza.
TERZO ALTARE
all’altare: tavola dipinta a olio su tavola, con una Natività della Vergine di Antonio Foller.
SECONDO ALTARE
all’altare: tela con lo Sposalizio della Vergine di Pietro Malombra.
PRIMO ALTARE
all’altare: una pala a olio su tela, rappresentante Cristo nell’orto del Getsemani, di Bartolomeo de’ Negri.
C’erano inoltre nella chiesa, senza che si sappia esattamente dove collocarli, un altare di S. Antonio, uno della Madonna delle Grazie; uno della Madonna del Rosario; una cappella dedicata in modo poco logico (ma questo era normale all’epoca) alla Madonna Assunta e a S. Lodovico.
A fianco dell’atrio della Chiesa, sulla sinistra entrando nell’atrio dall’esterno, c’era poi la cappella del crocifisso, che non comunicava come oggi con una porta direttamente con la chiesa, ma soltanto con l’atrio. A questa si dedicherà un capitolo speciale in appendice, data la sua importanza.
L’organo, con delle interessanti portelle dipinte, doveva trovarsi, forse con una cantoria sopraelevata, al fondo della chiesa, dietro l’altare maggiore. Sulle portelle, all’esterno era rappresentato il Padre Eterno con Sant’Agnese in gloria: “in aria, sopra le nuuole” e con grande folla di fedeli plaudenti e il parroco restauratore; opera di Maffeo Verona; all’interno l’Annunciazione, pure di Antonio Foller. La consolle dell’organo Mascioni nel 1938 venne istallata in sede diversa, cioè sulla parete destra della navata di destra, presso l’altare della Madonna, mentre l’insieme delle canne venne disposto dietro l’altare maggiore, sotto la finestrina.
6.3.4 Sagrestia
Sullo sfondo della sagrestia esiste un piccolo altare, fatto costruire nel 1677 da Lodovico Bruzzoni, benefattore della chiesa di S. Agnese, mecenate nella costruzione dell’altare maggiore. Il suo stemma si trova scolpito sul pannello marmoreo del lato destro dell’altare; il ricordo del suo nome sul lato sinistro, in cornu evangelii.
Diversi restauri ed abbellimenti di pregiati dipinti e di numerosi altari nel corso dei secoli si susseguirono in questo tempio devoto. Alcuni di questi dipinti (pale da altare) si trovano attualmente conservati, dopo essere stati predati dal governo di matrice napoleonica, con accenno alla provenienza, nella sala del Capitolo, contenente opere del Trecento-Quattrocento (sala 1) dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, pinacoteca quasi adiacente all’Istituto Cavanis, dall’altra parte del rio terà Antonio Foscarini; altri sono in deposito. Nella sala di cui sopra si trovano esposti (2020):
- N° 25, Michele Giambono (notizie intorno al 1420-1462), Incoronazione della Vergine in Paradiso, attorniata da santi e angeli. Acquistato dalla galleria dell’Accademia nel 1816, cioè 6 anni dopo la chiusura forzata della chiesa e della parrocchia. Ricorda un po’ il paradiso, piccolo splendido quadro del Vivarini a S. Pantaleone (S. Pantalon). C’è annotazione che è proveniente da S. Agnese.
- N° 19, Stefano “Plebanus” di S. Agnese (attivo tra 1369 e 1385), Incoronazione della Vergine con angeli musicanti. Datato 1381, acquisito dall’Accademia nel 1816, probabilmente nello stesso lotto di quadri. Lo stile ricorda Paolo Veneziano (1300 circa – 1365 circa) , ma con una rilettura gotica. È una piccola tavola di circa 40×70 cm, in senso verticale.
- Oltre a pale di altare del XIII e XIV secolo, dato anche che le devozioni verso i santi hanno cambiato con i diversi secoli, e dato che di secolo in secolo ci fu anche un cambiamento ripetuto più volte nella posizione e nel numero degli altari, la chiesa era stata arricchita di quadri e pale di altare anche nell’epoca barocca. Zanon ricorda la presenza di opere do Giacomo Palma (detto Palma il Giovane; il suo nome era tuttavia Giacomo Negretti) , del Verotari (probabilmente Alessandro Varotari, noto anche come il Padovanino), di Odoardo Fialetti, dell’Aliense (così era ed è soprannominato Antonio Vassillacchi, di origine grega), di Bartolomeo Negri. In genere si tratta di manieristi, più o meno del passaggio tra una continuazione ripetitiva del tardo cinquecento veneziano e l’inizio del barocco.
Lo stile della fabbrica di S. Agnese era il romanico (più che romanico-bizantino, come si dice spesso), di cui si vedono soprattutto all’esterno anche oggi (in parte) chiare tracce. Ricordiamo:
- L’antico (e non più esistente almeno dal 1795) sottoportico o esonartece aperto e leggero davanti alla facciata, con funzione di protezione dell’ingresso ma anche cimiteriale;
- La pianta basilicale a tre navate ma monoabsidata;
- Gli archetti pensili e gemini, ciechi e puramente decorativi, dall’alto peduccio, bellissimi, all’esterno della cortina muraria ai fianchi della navata centrale;
- La bellissima abside semi-cilindrica, visibile e visitabile dal cortile del patronato;
- Il tetto a capanna, cioè ligneo, a capriate.
- La piccola finestra con arco a tutto sesto e doppia strombatura al centro dell’abside;
- Le arcate gemine cieche a più ordini e reseghe o denti di sega, in cotto all’esterno della bellissima abside, visibile dal cortile del patronato parrocchiale dei “Gesuati”;
- L’orientamento dell’abside e della chiesa nel complesso, verso oriente.
- La facciata rivolta verso il canale di S. Agnese, interrato più tardi (1838 e 1863).
- Dimensioni piuttosto modeste, come sempre nelle più antiche chiese veneziane; in questo caso lunghezza di circa 34,5 m e larghezza di circa 26 m.
- Campanile cuspidato, con cuspide conica, con lesene e archetti pensili.
Più tardi sono state gradualmente aggiunti:
- Finestre ogivali gotiche, ben più tardive, sulle stesse pareti;
- Lunettoni barocchi, in buona parte chiusi nel restauro del XX secolo sulle pareti delle navate laterali.
Per avere un’immagine chiara di come doveva essere la chiesa di S. Agnese nel Medio Evo, si può osservare con cura la grande stampa o incisione in legno (xilografia) di Jacopo’ de Barberi (circa 1500), che è una meravigliosa e dettagliatissima pianta prospettica della città di Venezia, nella quale la chiesa di S. Agnese è molto ben rappresentata; oppure un disegno ricavato dalla stesssa incisione dal prof. Lino (Angelo) Scattolin e conservato nell’AICV, oltre ad esssere stato rappresentato più volte nella rivista Charitas e anche nella tesi di Elisa Gavagnin (1989-90, fig. 6). Da tali immagini, e soprattutto da quella del De’ Barberi, risulta chiaro che il campanile di S. Agnese non era, come si dice a volte, staccato dalla chiesa (come per esempio lo era, e la base ancora oggi è, a S. Maria del Giglio o Zabenigo), ma attaccato, almeno dal 1500, tramite due corpi uguali di fabbrica.
Contrariamente a quanto si dice spesso, le influenze bizantine sono minime, praticamente nulle. Antichissimo e di stile romanico puro era il campanile, uno dei più alti di Venezia (a quei tempi), perché raggiungeva quasi l’altezza di 30 metri. Terminava esso in una cuspide conica e portava nella cella una trifora romanica e sui fianchi lesene che terminavano in alto con archetti pensili: assomigliava molto agli attuali campanili di S. Polo o di S. Barnaba. Il campanile fu demolito intorno all’anno 1837-38, come vorrebbe il Cicogna o nel 1821 come scrive P. Francesco Saverio Zanon, non si sa con quale base; in ogni caso, il bel campanile non cadde, ma fu abbattuto (purtroppo) dopo che la chiesa aveva perso il suo scopo di culto ed era diventato un magazzino. A quel tempo di miseria economica e di grettezza intellettuale, si usava distruggere edifici giudicati inutili per ricavare e vendere i mattoni e gli elementi marmorei come materiale da costruzione. Del campanile si era mantenuta soltanto la base (sacristia e sopra-sacristia) e fu sostituito più tardi dai Fondatori (attorno al 1843) con un piccolo campanile alla romana o a vela, cioè da un grosso muro maestro con tre archetti che ospitano le tre campane, di cui si muovono i battagli o battacchi, non le campane stesse. Queste oggigiorno funzionano elettricamente, sebbene si usino molto raramente.
Internamente l’abside era semicilindrica con il catino absidale che, in origine, doveva essere ricoperto da un prezioso mosaico come tante chiese veneziane a quell’epoca; davanti, si ergeva l’arco trionfale al quale si addossava la possente travatura, che continuava per tutta la lunghezza della Chiesa.
La travatura era tutta scoperta fino ai restauri del 1795 ed è proprio quella rimessa a vista e in onore dal ripristino degli anni Trenta (1937-40) del secolo XX. Dai biscantieri (o puntoni), che sostengono il tetto, pende il solito colonnello (o monaco), e le chiavi (chiave o più spesso catena) orizzontali sono rafforzate alle estremità da eleganti mensole, pure di legno. All’altezza di queste mensole gira tutto intorno una larga fascia di larice, liscia nel mezzo, guarnita sopra e sotto di fregio a corda e sopra anche di un secondo fregio a scacchi. Sotto la fascia di legno comincia una fascia affrescata, del secolo XIII-XIV, dove tondi geometrici di quasi un metro di diametro, con figure di santi, sono recinti ciascuno di tre corone di colore diverso, e sono uniti da disegni a grandi foglie di acanto, di ottima fattura. Risulta che non siano mai stati restaurati e le figure di santi sono poco leggibili.
Anche dopo un profondo restauro realizzato nel 1733, il vecchio edificio verso la fine del secolo XVIII dava indizi assai gravi di lesioni che mettevano le sue condizioni statiche in pericolo, come risulta da una perizia eseguita nell’agosto del 1795, sicché vi si resero necessari dei grandi restauri. Di questi venne subito cominciata la parte più urgente e tutto l’interno della Chiesa venne radicalmente mutato. Furono rafforzati i pilastri in muratura, la bellissima travatura scoperta fu mascherata da una volta a botte in legno e stucco, le fasce di ornati che decoravano l’interno furono tolte alla vista e in parte danneggiate. Vennero aperte grandi finestre a lunettone dove occorrevano, e l’antica architettura rimase guastata all’esterno e del tutto distrutta all’interno.
Alla caduta della Repubblica Veneta, i lavori della chiesa di S. Agnese erano soltanto in parte eseguiti, e l’opera rimase incompiuta, come in tante altre chiese veneziane, come, per indicare solo due esempi la mancanza di copertura marmorea della facciata di San Marcuola e di San Pantalon, o i due terzi superiori della stessa che mancano nella chiesa di S. Giovanni Nuovo. Si continuò a lavorare ancora, ma solamente per assai poco tempo.
Nel 1810 (più esattamente il 12 aprile di quell’anno) la seconda robusta riforma religiosa della città promossa da Napoleone, cacciati i domenicani dalla chiesa di Santa Maria del Rosario (vulgo ed erroneamente detta dei Gesuati), vi trasportava la parrocchia, e la chiesa parrocchiale di S. Agnese venne chiusa al culto, venduta all’asta e ridotta ad un magazzino commerciale di legna da ardere.
Poche cose si salvarono anche del mobilio liturgico, dei paramenti, dei quadri e statue. Qualche pala di altare trecentesca e/o quattrocentesca, come si è detto, fu trasferito all’Accademia delle Belle Arti; l’altare maggiore passò a S. Maria Formosa; il resto fu disperso, salvo forse alcuni oggetti che si trovano ora nel museo della memoria dell’Istituto Cavanis di Venezia, come forse delle carteglorie in argento.
Sembra che la mensa dell’altare della piccola (quasi) abside di sinistra, l’attuale altare del SS.mo Sacramento (2020) sia ancora oggi quella che era stata comprata e portata a S. Agnese dalla soppressa ed estinta chiesa di S. Giorgio in Alega, nell’isola omonima, secondo afferma P. F.S. Zanon.
Intanto i Fratelli Cavanis avevano dato inizio alla Congregazione Mariana, inizialmente proprio nella cappella del crocifisso nell’atrio della chiesa; e alle Scuole di Carità nelle immediate vicinanze; più tardi avevano fondato anche un Istituto religioso di Sacerdoti per la continuazione della loro opera in favore della gioventù. Sentivano il bisogno di una chiesa capace di contenere i loro giovani sempre più numerosi ed atta al tempo stesso all’esercizio decoroso del culto divino da parte dei sacerdoti dell’Istituto. La chiesa di S. Agnese rispondeva completamente allo scopo: era attigua al palazzo delle scuole e poi ridestava un fascino particolare nei loro cuori, poiché in essa erano stati battezzati, in essa avevano assistito nella loro infanzia e nella loro giovinezza alla celebrazione delle sacre funzioni, avevano esercitato le primizie (e non solo) del loro ministero sacerdotale, avevano fondata quella Congregazione mariana, da cui si era sviluppato il loro Istituto. Un grande ideale si accese in loro: ricuperarla e riaprirla al culto.
I nostri Padri la chiesero invano più volte al governo, fin dal 1818; finalmente risolsero di comprarla e fecero le loro proposte alla Commissione delle vendite. Anche questo invano: bisognava concorrere all’asta pubblica, e i Padri concorsero. Ebbero per avversario un francese, certo François Charmet, il quale pose tanto ardore nella lotta per l’acquisto, da costringere i Cavanis a desistere, e la chiesa fu aggiudicata a lui per 7.150 lire austriache. Il popolo numeroso che assisteva all’asta fu tanto indignato contro il francese, che si parlava di gettarlo in acqua (c’era a quel tempo il rio di S. Agnese proprio davanti alla chiesa!) e fu necessario chiamare in aiuto la forza militare e far ricondurre per barca alla propria abitazione quel disgraziato vincitore. Non passarono otto giorni e una grave sventura colpiva lo Charmet, il quale, accogliendo i suggerimenti di certe buone persone, comunicò di esser disposto a cedere ai Cavanis la chiesa.
Il P. Marco approfittò delle sue buone disposizioni e il francese, dichiarando legalmente di aver fatto l’acquisto a nome del P. Anton’Angelo Cavanis, gli cedeva ogni diritto. Il 27 novembre 1839, sborsato il prezzo d’acquisto, che fu offerto quasi tutto dal conte Francesco Revedin, uomo insigne per le sue beneficenze, la chiesa di S. Agnese passò in proprietà della Congregazione.
Il fonte battesimale di S. Agnese, ora a Santa Maria del Rosario
Il battesimo della sorella maggiore Apollonia Cavanis e dei due venerabili fratelli Antonio e Marco nella chiesa parrocchiale di S. Agnese merita un commento di un certo interesse. Credo che non si sapesse finora quale fosse il fonte battesimale nel quale i tre fratelli ricevettero le acque della salvezza e divennero figli di Dio, cristiani. Infatti, accadde che la chiesa di S. Agnese, fin dal tempo in cui i fondatori la riacquistarono (novembre 1839) e dopo lunghi restauri la fecero nuovamente dedicare e la restituirono al culto divino (15 agosto 1850, non era chiesa parrocchiale e quindi non possedeva il battistero o la pila battesimale. Così è naturalmente anche oggi (20 e nel futuro prossimo. Sembra ora sicuro che il fonte battesimale della parrocchia di S. Agnese, all’atto dell’estinzione della parrocchia (1810), fu trasferito, con tutto un patrimonio di oggetti liturgici e con l’archivio parrocchiale, alla vicina chiesa di S. Maria del Rosario, vulgo dei Gesuati, già chiesa conventuale dei padri Domenicani osservanti, e, a partire dal 1810, nuova chiesa parrocchiale per la zona di S. Agnese. Il fonte tuttavia non fu messo in opera ma con ogni probabilità fu depositato provvisoriamente in un magazzino o deposito annesso alla nuova chiesa parrocchiale, e al suo posto fu utilizzata una pila battesimale mobile in metallo, fino all’inizio del 2015.
Il piedestallo del fonte battesimale venne in qualche modo perduto; ma la vasca del fonte fu felicemente recuperata dagli ambienti adiacenti alla chiesa di S. Maria del Rosario, circa due secoli dopo, dal parroco pro tempore don Raffaele Muresu nella preparazione della Pasqua del 2015 e rimesso in opera in cornu evangelii, cioè a sinistra di chi guarda l’altare maggiore, su un piede fatto fare nell’occasione, e purtroppo piuttosto piccolo e sproporzionato ma, a quanto pare, sufficiente a sostenere la vasca del fonte battesimale. Don Muresu utilizzò per la prima volta la vasca battesimale, tanto antica e da secoli abbandonata, battezzando un bambino nella veglia pasquale appunto del sabato santo del 2015.
La vasca battesimale di cui si parla deve essere stata spostata varie volte durante i due secoli di mancata utilizzazione, dal 1810 al 2015: soltanto nei primi 14 anni del XXI secolo essa era servita in un primo tempo come supporto alla statua della Madonna del Rosario settecentesca (la bella “Madonna vestita”) che a quel tempo si trovava sistemata nella cappella a sinistra della Chiesa, dove ora si trova invece il grande crocifisso cinquecentesco provenuto dalla chiesa (autentica) dei Gesuati, ossia della Visitazione o di S. Gerolamo, e che attualmente si trova all’entrata della navata centrale della chiesa. Più tardi, da don Giacinto Danieli, parroco per due anni ai Gesuati, la vasca battesimale fu scoperta sotto la statua della Madonna al momento del trasferimento di quest’ultima; e fu allora estromessa dalla chiesa, e deposta come cosa inutile, con la concavità in giù, al margine del piccolo giardino che si trova dietro la canonica o casa parrocchiale e a fianco della chiesa; e lì la trovò don Raffaele Muresu, che finalmente la apprezzò e decise di riportare in uso quello che era stato per secoli il fonte battesimale del quartiere e della parrocchia.
Questo è uno splendido pezzo scolpito in calcescisto bianco con venature rese brillanti da cristalli di mica multicolore e da altri microcristallini probabilmente di anfiboli o pirosseni, forse serpentino. Infatti era costume di eseguire, costruire o scolpire il fonte battesimale in materiale nobile, in diversi tipi di marmo possibilmente prezioso, per valorizzare il sacramento fondamentale: Debet ergo fons esse lapideus: nam et de silice aqua in baptismi presagium emanavit. Sed et Christus qui est fons vivus est lapis angularis et petra.
La vasca battesimale di cui si parla presenta forma perfettamente circolare al bordo e semisferica nel complesso, con scanalature radiali nella faccia esterna e anche in quella interna, dove presenta un disco in rilievo al centro, dando così l’aspetto di un rosone all’interna della vasca. Il bordo superiore mostra una irregolarità, cioè la mancanza di un frammento di pietra, che dipende senza dubbio da qualche accidente di trasporto. Dato lo stile e il tipo di roccia da cui era stato ricavato, sembra probabile ma difficilmente dimostrabile che tale vasca di fonte battesimale provenga dal saccheggio di Costantinopoli accaduto nel 1204 nella cosiddetta IV crociata, che in realtà era stata un «orrendo scontro tra cristiani culminato con il saccheggio della capitale dell’impero d’Oriente e con la divisione del bottino, reliquie dei santi comprese.»
Agli effetti di questa storia della Congregazione della Scuole di Carità interessa soprattutto che sembra estremamente probabile che i fondatori dell’Istituto Cavanis e la loro sorella maggiore, ma quasi certamente anche il conte Giovanni Cavanis e altri della famiglia nelle varie generazioni Cavanis vissute nel palazzo sulle Zattere, siano stati battezzati proprio in questo fonte battesimale.