Titolo: L’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MAGISTERO DI PAOLO VI – Lettura Teologico-Pastorale di Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi
Autore: Mouyéké Misère Tiburce Barbeault
Numero di pagine: 121
Lingua: ITALIANO
Stampa: 2024
Parole Chiave: Evangelizzazione, Vangelo, Paolo VI, Magistero, Missione, Propaganda Fide, Chiesa, Concilio Vaticano II, Ecumenismo, Nuova Evangelizzazione, Comunità ecclesiale, Gaudete in Domino, Evangelii Nuntiandi, Evangelica Testificatio, Dialogo interreligioso, Laici, Carità, Catechesi, Testimonianza cristiana, Giovanni XXIII.
Riassunto: Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi. Tesi di licenza in Teologia Pastorale che analizza il magistero di Paolo VI sull’annuncio del Vangelo attraverso una lettura teologico-pastorale delle esortazioni Evangelica Testificatio, Gaudete in Domino e Evangelii Nuntiandi.
INTRODUZIONE
Le tre esortazioni apostoliche di Paolo VI, Evangelica Testificatio del 1971, Gaudete in Domino del 1975 e Evangelii Nuntiandi del 1975, costituiscono il cuore del magistero di Paolo VI per quanto riguarda il tema dell’annuncio del vangelo. Nell’esortazione apostolica Evangelica Testificatio, Paolo VI richiama i principi per un vero rinnovamento della vita religiosa presentando i suggerimenti del Concilio Vaticano II come modello da seguire. Nell’Esortazione apostolica Gaudete in Domino, Paolo VI invita la chiesa e l’intero popolo di Dio alla gioia cristiana.
La particolarità dell’esortazione apostolica Gaudete in Domino è quella di mostrare che c’è un invito continuo alla gioia sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Anche la gioia è presente nel cuore dei Santi ed è offerta a tutto il popolo. In particolare il Papa invita i giovani a cercare la gioia della verità divina riconosciuta nella Chiesa.
Nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, Paolo VI dimostra che la testimonianza della vita non è mai separabile dall’annuncio con parole. Se si intende essere fedeli ad Evangelii Nuntiandi, non ci si può esimere dal riflettere sulla connessione intrinseca dell’evangelizzazione delle culture, della testimonianza e dell’importanza delle parole.
Nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, Paolo VI affronta la questione della testimonianza con chiarezza dicendo: “deve essere anzitutto proclamata mediante la testimonianza, […] Allora con tale testimonianza senza parole, i cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere, domande irresistibili… […]. Ebbene, una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa, ma molto forte ed efficace della buona novella. Vi è qui un gesto iniziale di evangelizzazione”.¹¹⁸
2.1 L’ANNUNCIO DEL VANGELO IN EVANGELICA TESTIFICATIO (1971)
2.1.1 Il contesto storico dell’Esortazione Evangelica Testificatio
L’esortazione apostolica Evangelica Testificatio è il primo documento post-conciliare di Paolo VI. Dal Concilio Ecumenico Vaticano II, la vita religiosa è stata definita come “un dono divino, che la chiesa ha ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre conserva… non è intermedio tra la condizione clericale e laicale, ma da entrambe le parti alcuni fedeli sono chiamati da Dio a fruire di questo speciale dono nella vita della chiesa e ad aiutare, ciascuno a suo modo, la sua missione salvifica”.¹¹⁹ In questa prospettiva la chiesa loda la vita consacrata perché rende presente lo stile di vita vissuto dal Figlio di Dio; per mezzo della castità, la povertà e l’obbedienza.¹²⁰
Nell’esortazione apostolica Evangelica Testificatio la consacrazione dei religiosi è ritenuta come una “consacrazione particolare”.¹²¹ Paolo VI attesta, che la vita religiosa testimonia “il primato dell’amore di Dio con una forza tale, di cui bisogna render grazie allo Spirito Santo. […] Uomini e donne, che hanno consacrato la propria vita al Signore”.¹²²
L’idea che Paolo VI ha voluto sviluppare in Evangelica Testificatio è quella della gioia della propria consacrazione. “La gioia del Signore trasfiguri la vostra vita consacrata, e la fecondi il suo amore”;¹²³ quindi, i religiosi devono prender coscienza della loro speciale vocazione in seno alla chiesa.
2.1.2 La vita religiosa, via di annuncio del Vangelo
Nelle prime pagine dell’esortazione apostolica Evangelica Testificatio, Papa Montini scrive che, “La testimonianza evangelica della vita religiosa manifesta chiaramente, agli occhi degli uomini, il primato dell’amore di Dio con una forza tale, di cui bisogna render grazie allo Spirito Santo. […] Desideriamo altresì aiutarvi a continuare il vostro cammino di seguaci del Cristo, nella fedeltà agli insegnamenti conciliari”.¹²⁴
Secondo il Papa bresciano, la vita consacrata permette di conformarsi più profondamente al genere di vita di Cristo. In tal modo la Chiesa non può fare a meno di questi testimoni eccezionali della trascendenza dell’amore di Cristo.
Per il rinnovamento della vita religiosa, il Concilio Vaticano II pone un accento particolare sulla “testimonianza evangelica”¹²⁵ della vita e “l’annuncio della parola di Dio a quelli che Egli pone sul loro cammino, per condurli verso la fede”.¹²⁶ E secondo il concilio, l’impegno di annunciare la parola di Dio “richiede una profonda unione con il Signore, la quale consentirà di trasmettere il messaggio del verbo incarnato, pur usando un linguaggio che il mondo può intendere”.¹²⁷ Questo impegno fa partecipare i religiosi alla passione, morte e alla gloria della resurrezione di Cristo.
Nell’esortazione apostolica Evangelica Testificatio, Paolo VI parla anche della tradizione della chiesa che è quella della testimonianza evangelica. Non è opera umana ma l’opera dello Spirito Santo. Fin dai primi secoli, “lo Spirito Santo ha suscitato, accanto alla eroica confessione dei martiri, la meravigliosa fermezza dei discepoli e delle vergini, degli eremiti e degli anacoreti”.¹²⁸
Ai religiosi, Paolo VI ricorda che, mediante la pratica dei consigli evangelici, loro hanno voluto “seguire più liberamente il Cristo e più fedelmente imitarlo, dedicando tutta la vostra vita a Dio con una consacrazione particolare, che trova la sua radice nella consacrazione battesimale”.¹²⁹ Paolo VI aggiunge: “Noi vi raccomandiamo ai nostri carissimi fratelli nell’episcopato, i quali, assieme ai presbiteri, loro collaboratori nel sacerdozio, sentono la propria responsabilità nei riguardi della vita religiosa”.¹³⁰
Il Romano Pontefice incoraggia i religiosi a fare il discernimento profondo della loro chiamata a testimoniare Cristo: “…noi vorremmo, da parte nostra, stimolarvi a procedere con maggior sicurezza e con più lieta fiducia lungo la strada che avete prescelto. Nella ricerca della carità perfetta”.¹³¹ Si tratta della disponibilità allo Spirito Santo che, agendo nella chiesa, chiama alla libertà dei figli di Dio.
2.1.2 I CARISMI, FORME ESTERIORI DI ANNUNCIO DEL VANGELO
L’esortazione apostolica Evangelica Testificatio parla di fedeltà al carisma dei fondatori: “Non altrimenti il concilio giustamente insiste sull’obbligo, per i religiosi e per le religiose, di esser fedeli allo spirito dei loro fondatori, alle loro intenzioni evangeliche, all’esempio della loro santità, cogliendo in ciò uno dei principi del rinnovamento in corso ed uno dei criteri più sicuri di quel che ciascun istituto deve eventualmente intraprendere”.¹³² I carismi della vita religiosa non nascono dagli impulsi della carne e dal sangue, ma sono i frutti dello Spirito Santo.
I carismi dei religiosi nella vita consacrata son carismi della chiesa. Accanto alla profezia, alla fede, ai miracoli, alle guarigioni, troviamo, infatti, presentati sinotticamente: la misericordia, la consolazione, il servizio, la predicazione, l’apostolato, l’evangelizzazione.¹³³ A questo punto, però, Paolo sottolinea che esiste una gerarchia dei carismi. Infatti esorta a cercare “i carismi più grandi”.¹³⁴ Al primo posto c’è l’agape.
A proposito dei carismi nella chiesa, il Concilio Vaticano II afferma infine, che, “I cristiani, avendo carismi differenti, devono collaborare alla causa del Vangelo, ciascuno secondo le sue possibilità, i suoi mezzi, il suo carisma e il suo ministero. Tutti dunque, coloro che seminano e coloro che mietono, coloro che piantano e coloro che irrigano, devono formare una cosa sola, affinché tendendo tutti in maniera libera e ordinata allo stesso scopo indirizzino in piena unanimità le loro forze all’edificazione della Chiesa”.¹³⁵
I carismi sono distribuiti dallo Spirito alla chiesa affinché i cristiani si sentano chiamati a collaborare, in piena corresponsabilità, all’evangelizzazione, ognuno secondo il dono ricevuto, in maniera libera e ordinata, perché col Battesimo tutti sono abilitati a esercitare nella chiesa un ministero, poiché partecipano al munus sacerdotale, profetico e regale di Cristo Gesù.¹³⁶
Paolo VI parla anche delle forme esteriori e dello slancio interiore che devono caratterizzare la vita religiosa. Secondo il papa, “ogni istituzione umana è insidiata dalla sclerosi e minacciata dal formalismo. La regolarità esteriore non basterebbe, di per sé stessa, a garantire il valore di una vita e l’intima sua coerenza. Pertanto è necessario ravvivare incessantemente le forme esteriori con questo slancio interiore, senza il quale esse si trasformerebbero ben presto in un carico eccessivo”.¹³⁷
Attraverso la diversità delle forme di vita consacrata, che danno a ciascun istituto la sua fisionomia propria e hanno la loro radice nella pienezza della grazia del Cristo, “la regola suprema della vita religiosa, la sua ultima norma, è quella di seguire il Cristo secondo l’insegnamento del vangelo”.¹³⁸ È proprio tale preoccupazione che ha suscitato nella chiesa, durante il corso dei secoli, l’esigenza di una vita casta, povera e obbediente.
2.1.3 I CONSIGLI EVANGELICI COME FORME INTERIORI DI ANNUNCIO DEL VANGELO
L’esortazione apostolica Evangelica Testificatio parla della castità consacrata come un dono di sé stesso. A questa condizione, “il dono di sé stessi, fatto a Dio ed agli altri, sarà sorgente di una pace profonda”.¹³⁹ La castità consacrata richiama questa unione in una maniera più immediata ed opera quel superamento, verso il quale dovrebbe tendere ogni amore umano.
Il dono prezioso della carità consacrata è fatto all’uomo fragile e vulnerabile a motivo dell’umana debolezza. Questo dono rimane “esposto alle contraddizioni della pura ragione ed in parte incomprensibile a coloro, ai quali la luce del verbo incarnato non abbia rivelato in che modo colui che avrà perduto la sua vita per lui, la ritroverà”.¹⁴⁰
L’esortazione apostolica Evangelica Testificatio parla anche della povertà consacrata: “Casti alla sequela del Cristo, voi volete anche vivere poveri secondo il suo esempio, nell’uso dei beni di questo mondo necessari per il quotidiano sostentamento”.¹⁴¹ La povertà consacrata è una testimonianza al vangelo.
Vivere la povertà consacrata è vivere la giustizia contro una qualsiasi forma di ingiustizia sociale. Paolo VI invita i religiosi “a destare le coscienze di fronte al dramma della miseria ed alle esigenze di giustizia sociale del vangelo e della chiesa. Induce certuni tra voi a raggiungere i poveri nella loro condizione, a condividere le loro ansie lancinanti”.¹⁴² Le persone consacrate sono incoraggiate a mostrare nella loro vita quotidiana le prove, anche esterne, dell’autentica povertà: è una testimonianza al vangelo e all’annuncio effettivo del medesimo vangelo.
Per Paolo VI, “La povertà, effettivamente, vissuta mettendo in comune i beni, […] apporterà anche un sollievo ai vostri fratelli e sorelle, che sono nel bisogno. Il desiderio legittimo di esercitare una responsabilità personale non si esprimerà nel godimento delle proprie rendite, ma nella partecipazione fraterna al bene comune.”¹⁴³
Quanto riguarda l’obbedienza consacrata, Paolo VI scrive: “Mediante questa professione, infatti, voi compite l’offerta totale della vostra volontà, […] Sull’esempio del Cristo, venuto ad adempiere la volontà del Padre, in comunione con colui che soffrendo ha imparato l’obbedienza e si è fatto servitore dei propri fratelli, voi siete vincolati più strettamente al servizio della chiesa e dei vostri fratelli.”¹⁴⁴ Il modello perfetto dell’obbedienza consacrata per i religiosi e religiose è Cristo.
Alla sequela di Gesù, i religiosi e religiose sono guidati dall’esempio di Cristo, l’amato nel quale il Padre s’è compiaciuto.¹⁴⁵ È Cristo che ispira l’obbedienza consacrata, perché si compia anche attraverso dei religiosi consacrati a Dio il disegno divino di salvezza. Nella chiesa, “il senso profondo dell’obbedienza si rivela nella pienezza del mistero di morte e di risurrezione di Cristo, in cui si realizza in maniera perfetta il destino soprannaturale dell’uomo.”¹⁴⁶ È infatti attraverso il sacrificio, la sofferenza e la morte che questi accede alla vera vita. Esercitare l’autorità in mezzo ai vostri fratelli, significa dunque servirli, sull’esempio di colui che ha dato la sua vita in riscatto per molti.¹⁴⁷
L’obbedienza religiosa ha una finalità ben precisa: servire in maniera più efficace l’annuncio del vangelo. L’obbedienza implica la non stanzialità, allora è molto più facile essere liberi da qualsiasi legame¹⁴⁸ per recarsi fino agli estremi confini della terra¹⁴⁹ ad annunciare il vangelo di salvezza.
2.1.4 LA VITA COMUNITARIA E FRATERNA, TESTIMONIANZA EVANGELICA DELLA VITA RELIGIOSA
Il magistero della chiesa insegna che, “è importante prendere in esame la vita delle comunità religiose concrete, sia quelle monastiche e contemplative sia quelle dedite all’attività apostolica ciascuna secondo il proprio specifico carattere.”¹⁵⁰ Ciò che viene detto delle comunità religiose si intende riferito anche alle società di vita apostolica, tenendo conto del loro carattere e della loro legislazione propria.
La comunità religiosa, “non è un semplice agglomerato di cristiani in cerca della perfezione personale.”¹⁵¹ Molto più profondamente è partecipazione e testimonianza qualificata della Chiesa-Mistero, in quanto espressione viva e realizzazione privilegiata della sua peculiare comunione. In questo senso, la comunità religiosa partecipa dunque alla rinnovata e approfondita visione della chiesa.
Paolo VI scrisse anche a proposito della carità e dell’accoglienza fraterna tra le membra della comunità religiosa: “Pur se imperfetti, come ogni cristiano, voi intendete tuttavia creare un ambiente atto a favorire il progresso spirituale di ciascuno dei suoi membri. Come si può raggiungere questo risultato, se non approfondendo nel Signore i vostri rapporti, anche quelli più ordinari, con ciascuno dei vostri fratelli?”¹⁵² La carità fraterna e l’accoglienza di tutti i membri sono l’espressione della testimonianza evangelica e la forma adeguata di vivere il vangelo e di annunziarlo in verità.
Inoltre, Paolo VI invita i religiosi ad evangelizzare le città moderne a partire delle piccole comunità religiose: “Una specie di reazione spontanea contro l’anonimato delle concentrazioni urbane, la necessità di adattare l’edificio di una comunità all’habitat esiguo delle città moderne ed il bisogno stesso di esser più vicini, per le condizioni di vita, ad una popolazione da evangelizzare, sono tra i motivi che inducono certi istituti a progettare, di preferenza, la fondazione di comunità con un piccolo numero di membri.”¹⁵³
L’invito di Paolo VI ai religiosi è che, “le comunità, piccole o grandi, non potranno aiutare i loro membri se non rimanendo costantemente animate dallo spirito evangelico, alimentate dalla preghiera, dalla mortificazione dell’uomo vecchio, dalle discipline necessarie per la formazione dell’uomo nuovo.”
2.1.5 LA PREGHIERA COMUNITARIA, PARADIGMA DELLA VITALITÀ DELLA VITA RELIGIOSA E EVANGELICA
Il Papa ricordò i religiosi di non trascurare i momenti della preghiera comunitaria: “L’esperienza della santità cristiana ci dimostra la fecondità della preghiera, nella quale Dio si manifesta allo spirito ed al cuore dei suoi servitori. Questa conoscenza di lui stesso il Signore ce la dona nel fuoco dell’amore.¹⁵⁵ Ci serve sempre di gustare questa conoscenza intima e vera del Signore, senza la quale non riusciremmo né a comprendere il valore della vita cristiana e religiosa, né a possedere la forza per progredirvi nella gioia di una speranza che non inganna.”¹⁵⁶
A proposito della vita interiore, Paolo VI scrisse ai religiosi così: “Abbiate dunque coscienza dell’importanza dell’orazione nella vostra vita, ed imparate ad applicarvi generosamente: la fedeltà alla preghiera quotidiana resta sempre, per ciascuno e per ciascuna di voi, una necessità fondamentale e deve avere il primo posto nelle vostre costituzioni e nella vostra vita.”¹⁵⁷
Il magistero della chiesa conferma il pensiero di Paolo VI: “Ne segue che la comunità religiosa è prima di tutto un mistero che va contemplato e accolto con cuore riconoscente in una limpida dimensione di fede.”¹⁵⁸
L’esortazione apostolica Evangelica Testificatio parla anche del silenzio interiore: “L’uomo interiore avverte i tempi di silenzio come un’esigenza dell’amore divino, e una certa solitudine è a lui normalmente necessaria per sentire Dio che gli parla nel cuore.”¹⁵⁹ Si tratta di momenti di “intimità con Dio che comporta il bisogno, veramente vitale, di un silenzio di tutto l’essere, sia per coloro che devono trovare Dio anche in mezzo al frastuono, sia per i contemplativi.”¹⁶⁰ Un amore di Dio disponibile ai doni dello Spirito esige un bisogno di silenzio.
La vita comunitaria religiosa si vive anche attraverso le celebrazioni liturgiche: “È necessario, infine, ricordarvi il posto specialissimo che ha, nella vita delle vostre comunità, la liturgia della chiesa, il cui centro è il sacrificio eucaristico, nel quale la preghiera interiore si collega al culto esterno.”¹⁶¹
La celebrazione eucaristica è il cuore delle comunità religiose: “Adunate nel suo nome, le vostre comunità hanno di per sé come loro centro l’eucaristia, sacramento di amore, segno di unità, vincolo di carità. È dunque normale che esse siano visibilmente riunite intorno ad un oratorio, in cui la presenza della santa eucaristia esprime ed insieme realizza ciò che deve essere la principale missione di ogni famiglia religiosa, come del resto di ogni assemblea cristiana.”¹⁶²
Annunciare la morte e la risurrezione del Signore aiuta i religiosi, in maniera particolare, a prepararsi al suo ritorno nella gloria. Questo riporta costantemente alla memoria: “le sofferenze fisiche e morali, da cui Cristo fu oppresso e che pure aveva liberamente accettate fino all’agonia ed alla morte sulla croce.”¹⁶³
Nell’esortazione Evangelica Testificatio, il Romano Pontefice insiste sulla preghiera: Non bisogna pensare che i religiosi, per il fatto della loro consacrazione, diventino estranei agli uomini ed inutili nella città terrestre. Difatti, anche se talora non assistono direttamente i loro contemporanei, essi li tengono tuttavia presenti in modo più profondo con la tenerezza di Cristo, e con loro collaborano spiritualmente, affinché l’edificazione della città terrena abbia sempre il suo fondamento nel Signore ed a lui sia diretta, e non avvenga che lavorino invano quelli che la stanno edificando.
2.1.6 LA PARTECIPAZIONE DEI RELIGIOSI ALLA MISSIONE EVANGELIZZATRICE DELLA CHIESA
I religiosi partecipano alla missione evangelizzatrice della chiesa: “Questa partecipazione alla missione della chiesa, […] non può avvenire senza un’apertura ed una collaborazione alle sue iniziative e agli scopi che essa persegue nei vari campi, come in quello biblico, liturgico, dogmatico, pastorale, ecumenico, missionario e sociale.”¹⁶⁵ Paolo VI aggiunge: “…voi lo farete, certo, sempre nel rispetto del carattere proprio di ciascun istituto, ricordando che l’esenzione riguarda soprattutto la sua struttura interna e che non vi dispensa dal sottomettervi alla giurisdione dei vescovi responsabili secondo quanto richiedono sia il compimento del loro ministero pastorale, sia la buona organizzazione della cura d’anime.”¹⁶⁶ Ogni comunità religiosa deve dunque affrontare i diversi contesti del mondo per essere fedele alla sua peculiare missione.
Annunciando il vangelo, i religiosi vanno incontro al mondo pagano. Per questo, il Concilio Vaticano II insegna: “I religiosi pongano ogni cura, affinché per mezzo loro, la chiesa abbia meglio da presentare Cristo ai fratelli e agli infedeli, o mentre Egli contempla sul monte, o annuncia il Regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti e sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha mandato.”¹⁶⁷
Dalla partecipazione ai diversi aspetti della missione di Cristo, lo Spirito fa sorgere diverse famiglie religiose caratterizzate da diverse missioni e quindi da diversi tipi di carismi. Intanto, “gli istituti chiaramente finalizzati a specifiche forme di servizio apostolico, accentuano la priorità dell’intera famiglia religiosa, considerata come un solo corpo apostolico e come una grande comunità alla quale lo Spirito ha dato una missione da svolgere nella Chiesa.”¹⁶⁸ La comunione che anima e riunisce la grande famiglia viene vissuta concretamente nelle singole comunità locali, a cui viene affidata la realizzazione della missione, secondo le diverse necessità.
La consacrazione religiosa inevitabilmente comporta la missione. Il religioso dedito alle opere di apostolato prolunga nel tempo la presenza di Cristo “che annuncia il Regno di Dio alle moltitudini, risana i malati e i feriti, converte i peccatori a una vita migliore, benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha mandato.”¹⁶⁹ Questa opera salvifica di Cristo è condivisa con opere concrete di servizio che la chiesa affida agli istituti mediante l’approvazione delle costituzioni.
La natura del servizio religioso, inoltre, determina in quale modo la missione debba essere effettuata: in una profonda unione con il Signore e un’attenta sensibilità nei confronti dei tempi. A queste condizioni il religioso è in grado di “trasmettere il messaggio del Verbo incarnato in termini che il mondo sia in grado di comprendere.”