Titolo: 100 Pensieri di padre Basilio Martinelli – Sulla formazione Cavanis
Autore: Curia generalizia dei Padri Cavanis
Numero di pagine: 22
Lingua: ITALIANO
Stampa: ANNO 2011
Parole Chiave: Vocazione, formazione, obbedienza, povertà, superiori, noviziato, pietà, comunità, sacrificio, perseveranza, preghiera, umiltà, direzione spirituale, disciplina, carità, spirito dei Fondatori, conferenza, correzione, prudenza, zelo.
Riassunto: Attraverso brevi meditazioni e consigli pratici, Padre Basilio offre indicazioni preziose sulla vita consacrata, la formazione dei novizi, la guida spirituale dei seminaristi, la disciplina comunitaria, l’umiltà, la carità fraterna e la missione educativa propria della Congregazione delle Scuole di Carità.
Dal volume 1
- Dai frutti si conosce l’albero. Quanta virtù nel P. Sebastiano Casara che ha bevuto a gran sorsi per molti anni dagli esempi dei Fondatori. Un’umiltà profonda, una uniformità incondizionata alla Volontà di Dio, uno spirito di preghiera continua, una semplicità da Santo! Non ho conosciuto una persona più perfetta di lui.
- Vi prego Signore di benedire i padri della Congregazione in modo particolarissimo. Che tutti tendano alla perfezione. E se qualcuno non fosse secondo il vostro cuore, subito riconducetelo sulla retta via. Vi dia ciascuno la maggior gloria possibile, essendo zelante e operoso. E questa preghiera ve la faccio anche per i congregati dei secoli venturi sino alla fine del mondo. Che non vi sia fra essi il figlio della perdizione, né alcuno che distrugga la vita comune e lo spirito di povertà.
- Una preghiera speciale per i novizi e i chierici. Che siano formati secondo lo spirito dei Fondatori. Spirito di umiltà, di docilità, di sacrificio. Se uno fosse di male esempio e di scandalo agli altri, fate o Signore che quanto prima si corregga. Che non diventi un ramo secco da tagliare per essere gettato nel fuoco. Beati coloro che premurosamente si lavorano imitando il divino modello e i santi. I giovani religiosi poi tutti, senza eccezione, sono obbligati, se amano veramente la loro madre, la Congregazione, di dare anche nelle piccole cose buon esempio. Senza di questo faticano indarno i superiori. Vae mundo a scandalis: guai a chi non edifica!
- La nostra Congregazione si rafforza di nuove case religiose. Crescono i seminari e crescendo i seminari crescono le vocazioni. Ma dilatandosi, la Congregazione si manterrà lo spirito che l’anima? Non dobbiamo sperare nelle nostre industrie che valgono poco ma nell’aiuto dall’alto e nelle preghiere dei padri che si trovano nella gloria. Noi da parte nostra corrispondiamo alle grazie abbondanti che ad ogni momento personalmente ci sono elargite. O Signore, te ne preghiamo, mandaci santi superiori da cui dipende l’andamento del nostro Istituto.
- Iddio ludit in orbe terrarum: scherza nel mondo. Vi era da noi un santo giovane aspirante che assorbì in poco tempo quanto mai del nostro spirito. Allontanato per deficienza negli studi andò salesiano: divenuto sacerdote fu preposto agli aspiranti e vi fa un grandissimo bene. O S. Giovanni Bosco, benedici la tua Congregazione che vigoreggi e prosperi per osservanza e santità. Ma una benedizione particolare anche alla nostra che si diffonda e faccia un gran bene senza che perda, dilatandosi, del suo spirito.
- Siamo prima religiosi e poi maestri. O meglio, per essere veri educatori, noi padri Cavanis, dobbiamo essere santi religiosi. Deve essere questo il primo pensiero per un rettore che voglia fare seriamente il suo dovere e lavorare in profondità.
- Dio, che, onnipotente, scruti e leggi come in un libro nelle anime dei membri della mia Congregazione, dì loro una parola che si correggano dei difetti e si diano alla santità. Così parla ai giovani delle nostre case religiose e a tutti i giusti della terra e a tutti i peccatori. Usa della tua infinita misericordia e ricopri tutti dei tuoi benefici. E se vedi che qualcuno osa alzare la fronte per offenderti, con la tua potenza, con la tua grazia fa subito sorgere un buon pensiero. Hai voluto nella tua bontà che fossimo onnipotenti con la preghiera.
- La più grande devozione per tutti gli uomini e specialmente per noi religiosi è quella del santissimo sacramento dell’Eucaristia. Il Cuore eucaristico di Gesù è là che ci aspetta per ricambiarci il suo amore.
- Abbiamo sommo rispetto della donna. Fra le donne vi è la mamma nostra, vi sono le nostre sorelle, vi è la più pura tra le creature, Maria Santissima. I libertini e i cattivi non rispettano nella donna l’immagine di Dio ma mirano a profanarla. La religione cristiana ha nobilitato la donna e i bambini. Lasciate che i bambini vengano a me. Di chi si rassomiglia a questi è il regno dei cieli.
- Dobbiamo osservare, a una certa età, che piega prende il ragazzo o il giovane. È ingiusto, avaro, propenso alla pigrizia, all’orgoglio, al vizio impuro? Pronti noi subito formatori ai ripari. Usiamo più che ci è possibile la persuasione. La pioggia che cade minuta dal cielo fa bene alla campagna. Procuriamo di accorgerci della passione predominante il più presto possibile. Il metodo preventivo sotto tutti gli aspetti è il migliore dei metodi. L’usarono con tatto specialissimo i nostri Fondatori, l’usava San Giovanni Bosco.
- Per la trascuratezza dei maestri dei novizi e per quella degli assistenti ai chierici quali danni nelle congregazioni religiose! È orribile presentarsi a Dio che domanda conto.
- Per essere perfetti formatori dobbiamo essere profondi osservatori.
- L’uomo assennato diffida dei propri pensamenti, e con umiltà prima di agire, se si tratta di cose di qualche importanza, domanda consiglio. Ne sa di più il papa con il contadino che il papa da solo. Chi si crede infallibile e non ascolta nessuno cade in mille piccoli e gravi sbagli e si fa compatire e se si trova in autorità un po’ alla volta la perde. Nel cardinale Giuseppe Sarto c’era stoffa di un papa, eppure essendo patriarca di Venezia domandava consiglio a un umile e dotto religioso, il p. Sebastiano Casara.
- Vale poco la parola, dove non c’è l’esempio. Povere quelle congregazioni che mancano di superiori adatti. Preghiamo il padrone della messe perché susciti buoni superiori. Sarebbe officio delicatissimo del Superiore Generale di formarseli con buone parole e suggerimenti.
- Ogni anno gli Esercizi Spirituali. È regola sapientissima. I superiori facciano di tutto per non esentare nessuno. La terra non coltivata dà spine, e le spine pungono.
- Con gli aspiranti novizi, chierici e spesso con i sacerdoti novelli occorre molta avvertenza da parte dei superiori per non metterli fuori di strada. Sono di danno la stima e le lodi soverchie, il preferirli ad altri, l’affidare incarichi delicati e posti di fiducia, il lasciar correre un tempo notevole senza alcuna prova. Può essere che sulle prime il danno non apparisca. Salta fuori più tardi tanto da compromettere tutta la formazione religiosa e da mandare a monte tutte le speranze. Nel formare bisogna avere sempre gli occhi a tutto e non agire sventatamente. I faciloni, i superficiali rovinano tutto. La dote prima di un formatore, di un superiore, è la prudenza.
Dal volume 2
- Non vi è nulla di peggio in una comunità religiosa che lo spirito di critica. Come si può togliere di mezzo? Con l’inculcare in tutti i modi, di continuo lo spirito di carità e di compatimento vicendevole. Se si deve dire una parola, quando uno ha subito un’umiliazione da parte dei superiori questa parola deve essere in favore dell’autorità non contro l’autorità. Dobbiamo mettere la pace tra fratelli non malumori o discordie. Dove vi è la discordia lo spirito maligno se la gode. Dove regna la carità ivi si trova Gesù come in sua abitazione. Vada tutto ma si salvi la carità e il rispetto ai superiori. Le ultime parole di P. Antonio Cavanis furono: “amatevi scambievolmente”.
- Se i novizi, i filosofi, i teologi vanno a confessarsi da chi vogliono e incappano in un confessore meno adatto o che non dà pienamente buon esempio, la formazione spirituale, che deve stare quanto mai a cuore ai superiori, se ne va, e il giovane viene su come le male erbe… I novizi, i filosofi e i teologi devono avere un confessore ordinario assegnato… In caso di bisogno possono confessarsi anche da altri, ma solo straordinariamente.
- È male aver soverchia facilità di allontanare dalla congregazione novizi, chierici e aspiranti; come è male volerli ad ogni costo ritenere, mancando dei dati requisiti. Le vocazioni si devono trattare con grande ponderazione e rispetto. In qualche soggetto si verificano talora notevoli cambiamenti in bene.
- Un sacerdote andò dal suo superiore e gli disse: “Padre, ho tanto lavoro da fare. Mi levi qualcosa”. Non ti levo nulla, disse il superiore, anzi aggiungi a tutto il resto un quarto d’ora di meditazione, perché il Signore ti aiuti.
- Nel noviziato deve trovarsi in atto tutta la regola. Dall’alzata del mattino, al riposo della sera. E così dicasi delle altre case di formazione. In queste case gli altri religiosi professi devono dare il massimo di buon esempio. Ed è proprio così. Pare che i giovani non vedano niente e vedono tutto e imitano. E così pure nei seminari minori.
- La madre di Giacomo e Giovanni domanda a Gesù che i suoi figli siedano uno alla sua destra e uno alla sua sinistra nel suo regno. Gesù non li rimprovera delle loro pretese, ma come al solito li lascia dire e dà loro ottimi insegnamenti. Anche Teresa del Bambin Gesù aveva una gran pazienza con le sue novizie e lasciava che dicessero tutto. Quando uno si apre sinceramente è facile guidarlo per le vie del bene.
- Non andiamo in cerca dei primi posti ma contentiamoci dell’ultimo. Chi va in cerca delle lodi non dice mai basta e perde ogni ritegno e scioccamente rinuncia ad ogni buon senso. Chi si esalta sarà umiliato: non c’è via di mezzo.
- Se vogliamo fare un po’ di bene nella vita diamo buon esempio… quel padre e quella madre diano buon esempio ai figli, quel maestro agli scolari, quel maestro di novizi ai novizi, quel superiore ai suoi confratelli. Viene in mente la gamberessa: “andate diritti, disse ai suoi figli”, ed essi: “andate diritta voi e procureremo anche noi di fare altrettanto”.
- Le virtù si danno la mano le une con le altre. Una fede viva suppone un’umiltà profonda. L’umiltà va unita, quasi naturalmente, alla semplicità, alla castità, alla carità. I maestri di spirito insistono di divenire eccellenti in qualche virtù particolare. Anche le altre virtù, quasi senza accorgersi, ne godono notevolmente. Non omettiamo l’esame particolare che, secondo S. Ignazio, ha una potenza grandissima a renderci migliori e a piacere a Dio.
- In una comunità di giovani o di adulti la disciplina sta a base di tutto. Quando sussiste la disciplina, possono fiorire le più belle virtù. Se questa manca, un po’ per volta regna la dissipazione che mette ogni cosa a soqquadro. Per la disciplina occorre un regolamento interno al quale non si transige.
- Quando uno è a capo dei novizi o dei chierici deve portarli tutti nel cuore e sostenerli visibilmente nella loro vocazione. Il demonio talora mette fuori tutte le sue batterie per stornare qualcuno dalla sua via. Che deve fare chi è preposto? Stare sulla breccia e combattere con chi è provato per riportare vittoria. In quei momenti non mezzi termini e sfiducia, ma avvedutezza, prudenza, fortezza.
- È difficile che un consiglio schietto e spassionato sia accetto quando è a scapito dell’amor proprio, dell’interesse e dei propri comodi! Occorre da parte di chi lo riceve una stima grandissima verso chi si induce a darlo. Il consiglio, quando si è richiesto e si stima opportuno, va bene darlo anche quando si prevede che non sarà accolto. Forse gli eventi ne faranno capire la giustezza. Il vero umile accoglie volentieri le buone parole e ne trae profitto per il bene della sua anima e anche talora per gli interessi corporali. L’uomo non deve solo badare al pane spirituale, ma anche al naturale.
- Per quanto un giovane sia assennato e virtuoso è cosa pericolosa mostrargli soverchia stima. Come la viola ama profumare l’aria rimanendo nascosta, così è dell’umiltà dei giovani, basta poco a guastar la loro semplicità. Il saggio formatore vede le buone qualità, e senza farsi scorgere, saggiamente le coltiva.
- Se vogliamo che un sacerdote novello riesca bene, non lasciamolo che corra qua e là senza discernimento, ma teniamolo per le briglie. Come base, le pratiche religiose, e poi agisca con discrezione sotto la mano che lo dirige. Se c’è bisogno di una mano che lo accompagni, è nei primi anni di apostolato. Se le abitudini sono storte, quando e come raddrizzarlo?
- In noi uomini l’umiltà è verità. Dobbiamo tenerci per quello che siamo né più né meno. Ogni esagerazione nella stima di noi stessi è un appropriarci di quello che non è nostro e fare torto al Signore. Dobbiamo essere come i santi, semplici con Dio che ci conosce nell’intimo dell’anima e anche semplici con noi stessi senza deprimerci, senza adularci.
- Non mi stanco a dirlo. O sacerdoti e religiosi, non stancatevi di coltivare le vocazioni. Non basta più una pietà ordinaria per la perseveranza, ma ne occorre una di straordinaria. L’ideale dell’immolazione, l’ideale di una vita santa.
- …Voglio mettermi ai piedi dei missionari, patire con loro, predicare con loro senza segni di stanchezza per diffondere la buona novella e perché i fiori di virtù spuntino in ogni luogo… Quanta fatica a vuoto, se la preghiera dei buoni non insiste a ogni istante presso il cuore sacratissimo di Gesù.
- Nelle ricreazioni dei ragazzi un chierico vale per un chierico, essendo piuttosto sfornito di esperienza. Un padre che abbia occhi in testa per vedere, vale per dieci padri.
- La congregazione non deve esaurirsi in uno o due luoghi con opere molteplici sia pure di educazione a scapito del diffondersi. La diffusione è un bene per le vocazioni e anche per la disciplina religiosa. Certi soggetti che non stanno bene qui si mandano altrove. Quello che preme si è di portare dovunque il buono spirito dei nostri santi Fondatori. Il cardinale La Fontaine quando si aprì la casa di Porcari (Lucca) disse a uno dei padri: “Ma perché andare a Porcari? Non potevate moltiplicare le vostre opere qui a Venezia?” Invece il servo di Dio Don Orione ci ripeteva: “Diffondetevi. È un bene per le vocazioni e un conforto per i congregati”.
- In ogni congregazione tutto si impernia sul Superiore generale. È questo che dà il movimento a tutto l’organismo. Preghiamo il Signore che il Preposito abbia un programma e abbia la forza di svolgerlo a bene dell’Istituto. Se qualche superiore particolare fosse di ostacolo a metterlo in esecuzione, deve metterlo quanto prima da parte. Quando si tratta del bene comune non vi devono essere riguardi umani. Preghiamo con fede che Iddio illumini i nostri superiori e li aiuti.
- Le case cosiddette di formazione siano veramente esemplari. Lontano da esse ogni elemento anche un po’ solo turbolento. I giovani hanno bisogno di buon esempio e di osservanza regolare. Umiltà, semplicità, carità, modestia, zelo della gioventù, zelo di bene, pietà, interiorità: ecco le virtù che devono fiorire nelle nostre case le quali devono essere come oasi che attirano le benedizioni.
- La perseveranza dei chierici dopo il noviziato dipende anche dalla cura intelligente e dedicata degli assistenti. Per questo non basta la sola bontà, ma occorre anche l’assennatezza e una certa maturità di giudizio che proviene anche dall’età. Uno sbaglio di tattica può mandare a monte una vocazione. Non è adatto a questo posto chi è ostinato nelle sue idee e vuol fare tutto da sé senza domandare consiglio. Un persona di governo diffida di se stesso e confida in Dio.
- Le doti di un maestro dei novizi si intravedono nelle nostre regole. Guai a mettere in questo posto uno che non sente la responsabilità e ama poco il sacrificio o peggio mostra leggerezza. In poco tempo rovina l’opera di chi lo ha preceduto. Deve essere un’anima interiore e amante delle regole e imbevuto dello spirito dei Fondatori. Se uno riesce non si deve cambiare. Si preghi molto che il Signore lo illumini e lo aiuti.
- “Avere gli stessi sentimenti” (Rom 12). Queste parole di S. Paolo valgono per i sudditi verso i superiori. Quando uno si sforza di pensarla come la pensa il superiore allora l’obbedienza riesce facile e nella comunità regna la pace. Queste parole servono anche per la carità fraterna quando ognuno si sforza umilmente di pensarla come la pensa il suo fratello: regna allora nelle comunità, più o meno numerose, la carità fraterna che è come il cemento che tiene uniti gli individui nelle case religiose. Uniformarsi agli altri anche se la cosa richiede talora sacrifici.
- “Noi singolarmente siamo membri gli uni degli altri” (Rom 12). Questa dunque è la carità che ci deve legare insieme! È mai possibile, se è così, che vi siano gli odi e le avversioni, le maldicenze, le ripicche, le antipatie se siamo membri gli uni degli altri? Tutto deve essere concordia, armonia, compatimento vicendevole, benevolenza, buone parole, aiuti.
- “Obbedite in semplicità di cuore temendo il Signore” (Col 3). Ecco la più bella qualità dell’obbedienza: obbedire con semplicità. Non voler saperla più lunga dei superiori, non ragionare sull’opportunità del comando. Sii semplice ed esegui subito ciò che ti è comandato. Tocca al superiore investigare il pro e il contro. L’obbedienza deve essere fatta prontamente e pienamente perché è la Volontà di Dio… È per questo che S. Paolo dice di obbedire temendo Dio. Chi disobbedisce all’uomo che ha autorità disobbedisce a Dio, da cui ogni autorità deriva.
- Quando uno ha perduto la vocazione, tutte le scuse sono buone per andarsene. La vocazione è cosa delicatissima. Iddio dà le grazie con abbondanza, ma vuole anime generose che stanno salde sulla breccia e non si voltano indietro quasi pentite della via intrapresa. Scio cui credidi.
- “La fermezza e la correzione danno la sapienza” (Prov 29). Guai a chi risparmia la correzione. I figlioli vengono su pieni di storture e nelle famiglie, andando avanti, sono dolori. Come si può raddrizzare una pianta adulta venuta su male? Corre pericolo di spezzarsi. Fin da principio si deve ricorrere alla correzione. Da un padre saggio e forte quali consigli!… Niente di più duraturo. Così dicasi delle parole di un maestro, di un superiore o una superiora.
- “L’uomo iracondo provoca risse” (Prov 29). Uno dei difetti da correggere è l’iracondia. Dall’iracondia quali conseguenze deleterie! Imprudenze, offese, risse, ripicche, vendette, odio… Occorre controllo continuo di se stessi, dolcezza di tratto, amabilità di parole. Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.
- Sopra tutte le doti prefiggerci la pietà. Chi ha la vera pietà possiede in germe tutte le virtù e Dio è contento. Che si richiede da un novizio? La pietà. E così in un chierico e in un sacerdote. Pietas ad omnia utilis: la pietà è utile a tutto. È come il condimento dei cibi.
Dal volume 3
- Immensa è la responsabilità di quel superiore che è causa di decadimento della Congregazione per ciò che riguarda la vita comune e la povertà. I Fondatori gli domanderanno conto di questo che riguardavano come la pupilla dei loro occhi.
- La vocazione è una cosa delicatissima. Basta, per perderla, una grave infedeltà, una continuata trascuratezza nella pietà, omettere per accidia la confessione frequente, vivere una vita distratta quasi mondana. E quando si perde, si perde un tesoro. Queste cose bisogna ricordarle spesso agli aspiranti, ai chierici. “Guai a me che ho taciuto”.
- Se chi presiede alla formazione dei giovani aspiranti o chierici si accorge di qualche difetto, deve subito, senza riguardi umani, correggerlo. Forse più tardi non è possibile, o si incontrano gravi difficoltà. Certi difetti che si incontrano nell’età matura non furono scoperti o non si corressero nell’età giovanile. Ostinazione di carattere, orgoglio segreto, fuga dal sacrificio, amore ai propri comodi e alla mollezza, malignità, egoismo. Chi è responsabile di questi difetti? Chi poteva scoprirli e correggerli e non l’ha fatto?
- Chi non ha confessore stabile, come vuole la Chiesa nei seminari e nelle comunità religiose, come può formarsi un carattere e correggersi dei difetti? Si può trovare qualcuno che non lo vuole stabile per accidia, o per godere più libertà. Chi deve pensare a questo? I superiori che devono aver criterio per chi non lo ha.
- È importante la direzione spirituale da parte del confessore. Chi si sottrae da questa direzione priva l’anima sua di un beneficio grandissimo. I superiori devono provvedere che gli aspiranti, i chierici, i sacerdoti abbiano una saggia direzione spirituale. Se fosse diversamente mancherebbero a un grave dovere.
- Per spirito di critica siamo portati a giudicare l’operato dei superiori. Ma a fare questo giudizio ci mancano molti dati che solo i superiori conoscono e che, talora, per prudenza, tengono nascosti. Chi è saggio rifletta molto prima di parlare.
- “Pregar molto, e parlar poco e assennato”: ecco la regola per chi ha l’ufficio non solo di superiore, ma anche di maestro dei novizi e di confessore. Quali effetti produce una parola irriflessiva, imprudente?
- Una delle cose da raccomandare spesso ai chierici è questa: che si abituino a domandare consiglio a persone assennate. Quanti sbagli di meno se domanderanno consiglio occupando posti di responsabilità.
- “Dai frutti li conoscerete” (Mt 7). Se vediamo che i nostri frutti sono scarsi corriamo subito ai ripari. Più amore, più dedizione, più vuoti di noi stessi. Più fedeli alle grazie anche minime. Più unione con Dio e spirito di mortificazione.
- Guai a quel superiore che per riguardi umani o per timidezza non fa le ammonizioni che deve fare. Tradisce la Congregazione lasciando inveterate degli abusi che la conducono al decadimento.
- Quale progresso negli studi religiosi negli ultimi cinquanta anni. Beati i giovani che possono con facilità istruirsi negli studi teologici, morali, ascetici e in ogni genere di cultura. Amore allo studio: ecco ciò che occorre per divenire persone dotte, atte a difendere con competenza la nostra religione e a lodare, amare, benedire il Signore con più profondità di sentimento. L’istruzione unita a una solida pietà nobilita l’uomo e lo rende più caro al Signore.
- I direttori dei seminari devono sempre essere occupati in questo, nel coltivare le vocazioni e nel mantenere il buono spirito nei seminaristi e nella comunità. Le pianticelle ben coltivate crescono prosperose e fedeli mantengono il posto da Dio assegnato. Quando in una casa religiosa ogni cosa è a base di spiritualità non può mancare la benedizione di Dio che dà l’incremento.
- Lo spirito dei Fondatori si perpetua nella congregazione anche per le preghiere che fanno di continuo in cielo. Se questo spirito per colpa dei congregati venisse a mancare del tutto la congregazione andrebbe un po’ per volta estinguendosi. Per mantenerla in fiore occorre preghiera continua e opere meritorie.
- “A me piace, diceva un tale, che quando qualcuno è superiore faccia da superiore”. Operando a questo modo si trova bene il superiore che finisce per essere ascoltato in cose che riguardano il bene della comunità, e si trovano bene i confratelli che vivono in una casa religiosa ben diretta. Non c’è nulla di più penoso di un governo debole: quando cioè un superiore nel suo ufficio non sa farsi valere usando l’autorità che Dio gli ha dato. Per comandare ci vuole coraggio, prudenza e assennatezza.
- Uno, per essere buon superiore, deve saper affrontare con giustezza e coraggio le questioni anche più ardue. Nelle cose dubbie deve avere tanta umiltà da domandare consiglio come inculca nei Libri Sapienziali lo Spirito Santo. I buoni superiori sono doni preziosi che il Signore elargisce alla Congregazione che di essi ha estremo bisogno.
- Lo studio della teologia e della morale e gli studi letterari non ci devono impedire di essere uomini di orazione. Se la cosa fosse così saremo religiosi di nome e non di fatto.
- Un chierico apatico è meglio invitarlo ad andarsene dall’Istituto – i pretesti non mancano – oppure eccitarlo a corrispondere alla grazia e ad andare avanti? La risposta è di una importanza grandissima per i formatori. Un’altra domanda: chi deve essere giudice della vocazione? Il chierico o i superiori? Diceva un dotto religioso: una volta erano i chierici che avevano timore di essere allontanati, adesso sono cambiate le parti. I chierici sono indifferenti o quasi, e i superiori sentono il dovere di salvare – dove è possibile – la vocazione.
- Se in un posto di responsabilità c’è una persona inetta che può compromettere le vocazioni che si deve fare? Parlare con chi può mettere riparo e se, come può avvenire, non si approda a nulla, raccomandare con insistenza la cosa al Signore. Iddio non può mancare di intervenire e in seguito quello che avviene sarà sua volontà e ci deve lasciare pienamente tranquilli. La fede nella sua bontà e potenza Iddio la premia.
- Quando un formatore dei chierici si accorge che uno manca in qualche cosa, che lasciata correre può avere conseguenze perniciose, si deve subito intervenire. In pedagogia ogni piccolo indizio può essere prezioso per dare al giovane un indirizzo sicuro. La formazione è fatta di piccole cose, che si dicono piccole, ma sono importantissime. Talora trascurate compromettono la riuscita di un giovane, e i superiori si trovano confusi con i soliti se e ma che non concludono nulla. Bisognava a suo tempo essere avveduti.
- Quando mi trovo davanti un adulto, o sacerdote, o religioso che è ostinato nelle sue idee, oppure egoista, pieno di se stesso, iracondo, pigro nei suoi doveri, facile a simpatie, penso ai suoi formatori. Hanno fatto il loro dovere per raddrizzare la pianta quando era tenera? Oppure, senza darsene pensiero, lasciarono che le cose andassero alla peggio?
- Se i padri della mia Congregazione vanno in missione voglio accompagnarli con le mie preghiere affinché possano diffondere il Regno di Cristo anche tra gli infedeli. Voglio accompagnarli nelle loro peregrinazioni alleviando, invisibile, le loro fatiche, asciugare i loro sudori, difenderli dai pericoli specialmente delle loro anime. Conservino sempre, tra le fatiche dell’apostolato, lo spirito dell’Istituto che è spirito di umiltà, semplicità, raccoglimento.
- Mi hanno fatto impressione quelle parole che si dicono prima della comunione nella Santa Messa: “L’assunzione del tuo Corpo non mi sia di giudizio e di condanna”. Adesso mi pare di amarlo il Signore, ma domani, dopo domani? Se il Signore ritira la sua mano e mi lascia a me stesso, sono capace di tutto! O Dio, sostieni la mia debolezza, aiutami in ogni istante. Il tuo Corpo mi fortifichi, il tuo Sangue mi lavi da ogni macchia anche lieve. Non la tua condanna sopra di me, ma la tua benedizione anche negli ultimi istanti della mia vita.
- Leggiamo queste altre parole nel canone della Messa: “Comanda, o Signore, che siamo liberati dalla dannazione eterna e siamo messi nel numero dei tuoi eletti”. Sono parole che fanno impressione. È necessario che sia Dio che ci liberi dalla dannazione. Siamo così fragili che basta una spinta per farci cadere nel peccato! Siamo così leggeri che possiamo lasciar passare la grazia senza profittarne! Iddio ci libera dalla dannazione se siamo umili sino all’annientamento, se siamo generosi fino all’eroismo. Non solo ci libererà dall’inferno, ma ci metterà anche, padre sempre amoroso, nel numero degli eletti.
- Amiamo la povertà che è un vero tesoro. Il secondo tesoro da amare sono le pratiche religiose lasciateci dai Fondatori. La meditazione della Parola di Dio della mattina e della sera e la corona di fiori offerti alla Vergine con la terza parte del Rosario.
- La prima dote, quella che si può dire essenziale per stabilire una vocazione, è la generosità. Da un’anima generosa si può tutto aspettare. Non dice di no agli uomini e non lo dice a Dio.
- Il P. Chiereghin del nostro Istituto era solito dire: “Dimmi che giornale leggi e ti dirò come la pensi”. Quel nostro padre aveva ragione. Un sacerdote, o un religioso che legga abitualmente un giornale liberale finisce con l’essere liberale e di idee storte per quanto riguarda la religione.
- Sono gravi i danni che reca alla comunità un superiore debole che lascia correre. Decade l’osservanza e si introducono gli abusi. È come una tempesta nella vigna del Signore. “E non è peggio se uso soverchia severità?”. Si deve usare severità unita a grande bontà. Rivolgere spesso la parola e avere il sorriso sulle labbra anche se dentro c’è il malcontento per difficoltà che non mancano. Quella del superiore è una vita di continua abnegazione e di sacrificio. Sacrificio e abnegazione che, se offerti a Dio, attirano benedizioni.
- Un padre maestro che non prova i suoi novizi non ottiene nulla o quasi nulla. Per radicarsi nel bene non basta conoscerlo, ma bisogna essere messi al punto di praticarlo superando ogni difficoltà anche grave. Si usi pure la persuasione e la dolcezza, ma vi sono dei casi in cui occorre la forza. Senza di questa il difetto, a breve scadenza, torna vivo come prima. Finito poi il noviziato siamo al punto di partenza… Chi strapperà i difetti non sradicati da un maestro di novizi inetto?
- Con le chiacchiere inutili e con i perditempo noi costringiamo noi stessi a fare di notte giorno. Il tempo dobbiamo occuparlo tutto e bene. C’è il tempo del lavoro e il tempo del riposo… L’Ufficio Divino deve avere il posto d’onore. Chi aspetta a recitare l’Ufficio nelle ore della notte, tormenta se stesso e strapazza l’orazione della Chiesa.
- Si prega per la Congregazione quando si prega per i superiori, che il Signore li illumini e li assista. Portino il peso della giornata con coraggio e fede. Non mirino alla popolarità che sarebbe debolezza, ma a far bene il proprio dovere sul quale devono rispondere.
- Che il cuore missionario nelle gravi difficoltà non venga mai meno, ma cammini avanti con coraggio. Uno sguardo alla Stella del mare che è sempre pronta all’aiuto.
- Il maestro dei novizi deve prefiggersi specialmente due cose. L’obbedienza pronta, esatta, col massimo rispetto e riverenza verso i superiori. Una pietà sincera, sentita verso Dio, da praticarsi liberamente con sacrificio, senza ipocrisia. Voler ottenere queste due cose tenendo d’occhio anche altri difetti che si presentano via via. Mi viene in mente quel bravo direttore d’anime che confessando un suo confratello esigeva ogni giorno un quarto d’ora di lettura spirituale sopra libri adatti con profitto dell’anima. Solo a questo patto si dichiarava disposto a dirigerlo nello spirito.
- Bisogna evitare ad ogni costo lo spirito di critica a carico dei superiori che proviene tutto dal demonio. Il danno che fa chi ha questo spirito è incalcolabile. Le sue belle speranze sono spesso annullate e si tira avanti in una piatta mediocrità.
- Quando certe massime serpeggiano nella Congregazione con danno dei buoni, i superiori devono smascherare i sussurroni… Quando l’errore è smascherato è per metà corretto.
- Chi è formatore dei chierici e degli aspiranti deve procurare il progresso spirituale delle anime che gli sono affidate. Non vale a scanso di responsabilità dire: “Non ci avevo pensato”. Al proprio dovere bisogna pensarci seriamente.
- Stia attento il p. Maestro ai novizi che appaiono inappuntabili. Penetri all’interno del loro animo con prove opportune. Che non ci siano baluardi di orgoglio o difetti di natura, ben celati, da correggere. Se il p. Maestro si accontenta e va avanti, si accorgerà poi, con rimorso, di non esser approdato a nulla. Saltano fuori più tardi tutti i difetti. Il noviziato vero non è stato fatto.
- Per la perseveranza degli aspiranti, dei chierici e padri giovani è necessaria la pietà. E chi è che la immette nei cuori e la conserva e l’accresce? I superiori, sempre i superiori, che avveduti si fanno un programma da cui non recedono.
- Sono rari i superiori che siano veramente superiori. O hanno paura di perdere la popolarità e in seguito anche il posto, oppure, pur avendo lo zelo del bene, sono timidi. Cedono alle scuse degli interessati e lasciano che le cose vadano avanti. Talora danno ordini e poi non hanno il coraggio di domandare conto se non sono osservati, e di venire, come si dice, ai ferri corti. Una delle cose da domandare al Signore è questa: che mandi buoni e abili superiori. Se mancano, invece che avanti si va indietro, con grave danno della Congregazione.
Dal volume 4
- Di due formatori, uno che tira avanti fiaccamente la sua vita religiosa e l’altro istruito, fervoroso, impegnato, quale si deve scegliere? Preme che ci sia un buon rettore, ma preme di più un buon formatore dei chierici e un buon padre maestro. Le conseguenze sono buone o rovinose secondo lo spirito e l’impegno. “Di quelli che mi hai affidato non ho perduto nessuno eccetto il figlio della perdizione”.
- Quando uno è eletto a qualche ufficio non deve pensare a innovare tutto o quasi tutto. La tradizione ha le sue esigenze e prima di cambiare qualcosa conviene pensarci su dieci volte. Se occorre fare il passo lo si faccia con sicurezza. Così si rispetta il lavoro degli altri e anche noi, se occorre, si porta la nostra pietruzza.
- Riguardo come una ispirazione di Dio ciò che mi venne in mente quando fui posto in luogo del p. Calza a curare le vocazioni dell’Istituto: “Non voglio fare nessun cambiamento se non indotto da gravi motivi”. Andai avanti per molti anni fidandomi della Provvidenza e valendomi dell’esperienza di chi mi precedette.
- Bisogna andare molto a rilento ad accogliere come aspiranti quelli che furono allontanati da altri seminari o congregazioni. É cosa prudente assumere informazioni.
- Per mantenerci saldi nella vocazione religiosa o sacerdotale diciamo spesso al Signore: voglio amare il sacrificio nelle piccole cose e, se le circostanze si presentano, anche nelle grandi. Coll’andare coraggiosamente incontro ai sacrifici piaciamo al Signore e ci rassodiamo nel bene.
- Uno dice: non ho la vocazione perché sento ripugnanza per l’obbedienza. A chi non pesa l’obbedienza, che è umiltà e sacrificio? Un altro teme per la sua vocazione perché non sente entusiasmo per lo stato di vita che ha abbracciato. Se va incontro al sacrificio contento di patire per il Signore non deve temere.
- La formazione del noviziato deve continuare nella filosofia e nel teologato per mezzo di formatori ripieni di zelo e dello spirito dell’Istituto. Lo spirito dell’Istituto appare dalle consuetudini, dalle virtù dei Fondatori e dei primo padri. Si leggano le pagine più significative della vita dei Fondatori, i discorsi tenuti alla loro morte e in altre circostanze e le vite dei primi congregati morti in odore di santità. Tutto serve per mantenere lo spirito dell’Istituto e per tramandarlo di generazione in generazione. I superiori vigilino sui formatori che facciano bene e con vero spirito il loro dovere di forgiatori di anime ardenti. Se i pastori dormono, i lupi vengono avanti e divorano le pecore.
- Se qualcuno è eletto a qualche incarico o rettore di una casa, suo primo pensiero sia quello di imparare e leggere qualche libro adatto. Sarebbe brutto fare esperienza a proprie spese con danno dei terzi. Degli sbagli evitabili bisogna rendere conto a Dio.
- Agli aspiranti bisogna sforzarsi di far capire la preziosità della vita religiosa. A questo scopo, per loro, si faccia a parte un po’ di meditazione sopra un libro adatto. Il formatore poi li chiami pure a parte, in un giorno fisso della settimana per una piccola conferenza. Allora soltanto acquisteranno una qualche idea della vita religiosa e si prepareranno a far un buon noviziato.
- Quando uno comincia a prendersela con i superiori, a malignare contro di essi è sulla via della rovina. Se non si corregge ne va di mezzo la vocazione. Bisogna ricevere i superiori così come essi sono. Aiutarli con la preghiera e l’affetto filiale.
- Se un chierico è ostinatamente indocile è cosa pericolosa farlo andare avanti. Un soggetto ribelle può compromettere la disciplina e l’onore della Congregazione. Chi è indocile vede le cose a suo modo e non ha alcun riguardo nel parlare.
- Chi non può intervenire a una pratica religiosa deve supplire. Chi ruba deve restituire. E chi ruba a Dio? Temiamo la desolazione della nostra anima. É il deserto senza un po’ di verde.
- Che i nostri congregati non siano semplici professori ma veri padri degli alunni che diano buon esempio e che mirino a fare dei buoni cristiani., Uomini di sacrificio, vere immagini di Cristo Signore.
- Non venga mai meno la povertà, la carità paterna, l’umiltà, lo spirito dei Fondatori. Se c’è questo il bene che faremo sarà grande e l’impronta nei giovani non si cancellerà.
- Trovai un chierico, prossimo all’ordinazione, pieno di ostinazione e di orgoglio. Come si fa a lavorarlo se manca il tempo? Mi persuasi allora che i candidati bisogna trovare il modo di provarli. Quello che non si fa oggi bisogna farlo domani con il rischio che invece di piegarsi, si spezzino. Quanta preghiera è necessaria in che presiede!
- Tralasciai di correggere, con tutto il rigore che dovevo, una mancanza in uno quasi sempre irreprensibile. Fu per lui una lacuna in tutta la sua vita. Il proprio dovere bisogna farlo sempre bene.
- Quando in un aspirante o in un chierico non vi sono certe doti necessarie per la buona riuscita non bisogna dormirci sopra. O vi è un cambiamento o bisogna prendere una risoluzione. Sarebbe stoltezza riempire la casa di persone che scalzano la disciplina.
- Il P. Rossi, interrogato sulle vocazioni che aveva in cura, rispondeva: mi pare che tutti siano sereni. Ci accompagnava dappertutto specialmente nella preghiera. Ci dava buon esempio. Con noi era di poche parole, ma assennate e convinte. Si imparava molto durante la lettura e in refettorio.
Dal volume 5
- I rettori dei seminari e i superiori delle congregazioni devono avere grande fiducia per la perseveranza delle vocazioni insistendo nelle orazioni e allontanando i pericoli. Se facciamo la parte nostra con prontezza e assennatezza il Signore fa il resto.
- I confessori ordinari devono essere padri dell’Istituto perché i seminaristi, i chierici, i novizi, i padri si imbevano dello spirito della Congregazione.
- Il P. Rossi, che era un uomo di consiglio, vedendoci sereni non ci tormentava con domande sulla vocazione. Chi opera diversamente, se non vi sono dubbi, li suscita. L’opera del p. spirituale è difficilissima. Guai se non è prudente ed equilibrato.
- Coltivare le vocazioni è opera difficile. Chi non è adatto e non è pieno di esperienza si metta da parte.
- Il p. Casara ci eccitava a domandare il dono della perseveranza. Ottenuto questo dono si è sicuri della salvezza.
- Meschino quel superiore che passa sopra la povertà e alla vita comune per non disgustare i religiosi di poco spirito.
- In una famiglia, per educare, bisogna essere tutti d’accordo: allo stesso modo in una comunità. L’unione fa la forza.
- I rettori delle case religiose, dei seminari, il maestro dei novizi, i formatori hanno il diritto di comandare essendo i rappresentanti del Signore e devono essere obbediti. Si ricordino però che sono preposti ad uomini: trattarli quindi come vorremo essere trattati noi, con bontà e con ragionevolezza, ma anche con la dovuta fermezza. I superiori hanno il loro dovere da compiere, ma anche i confratelli hanno il loro dovere. Tutto per la maggior gloria di Dio. Il superiore che sa far capire gli obblighi del suo stato è ascoltato senza compromessi.
- Il maestro dei novizi e i maestri dei chierici devono sapere tutto dei loro novizi e chierici. Devono tenere gli occhi aperti e prudentemente informarsi. Se non si conoscono come si possono correggere e raddrizzare? Chi è più anziano deve vedere e riferire.
- Per il chierico è un aiuto grande a comportarsi bene il sapere che il formatore deve informare i superiori sul suo contegno. Si ha sempre caro che i superiori siano contenti.
- La formazione dei nostri religiosi deve aver luogo nel seminario, nel noviziato, durante gli anni di filosofia e nel teologato. Quante doti occorrono in chi è preposto alla formazione! Le speranze della Congregazione bisogna circondarle di tutte le cure.
- Chi non ha vinto il proprio “io” nel noviziato si trova male, in quanto ad abnegazione, tutta la vita.
- Chi è rettore di un seminario o maestro dei novizi, dei chierici o p. spirituale deve essere fornito di pietà, prudenza ed esperienza.
- Il noviziato vale poco se non c’è buona volontà di essere umili davanti a Dio e di togliersi i difetti. Il noviziato vale poco se non ci sono le prove del p. maestro.